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L'elemento germanico nella lingua italiana/D

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Daga, spada corta e larga (Villani F.). È strano che lo Zambaldi la dica spada usata dai Romani, mentre il nome non fa la sua comparsa nelle lingue europ. che nel tardo medio-evo, e mentre non è certamente d’orig. l. Difatti il mlt. daggarius è vicinissimo al mbt. dagge, ing. dagger, sv. daggert [donde tm. Degen]: perciò lo Scheler suppose senz’altro che venisse dal ger. All’incontro il Diez trae il vocab. del tm., usato già nel sec. XV, dalle forme rom. [fr. dague, sp. port. daga], che potrebbero anche procedere dal celt. dag, dager, punta, stile; e il Littrè, considerato che il port. presenta anche la forma adaga, sospetta una deriv. dall’arabo. Da ultimo il Kluge, pel fatto che il pol. ha daga, e il mag. dákos, inclina a credere che questa parola sia piuttosto d’orig. slavo-orientale, come il tm. Dolch, bt. Tisak, at. Tilits. Deriv. daghetta, daghinazzo.

Danda, le due strisce di lana con cui si reggono i bambini che imparano a camminare (voce senese, in questo senso). Probabilmente proviene dal t. tandeln, baloccare, tempellare, [mat. tant, tm. Tand = inezia, balocco]; al quale ceppo spettano pure m. ol. danten, fare sciocchezze, fiam. dantern, bagattella; at. dantern, ing. dandle, cullare, tutti i quali signif. ci pare che convengano assai al concetto della voce it., giacchè importa una specie di “balocco”. Crediamo che sia passato a traverso il fr. [p. 103 modifica]dandiner, vacillare, muoversi or per un verso or per un altro. Lo Scheler però vede in quest’ultimo vb. un deriv. del vocab. infantile dada, esprimente i primi tentativi fatti per camminare.

Danzare, ballare, (Dante, Boccaccio). Venne dall’ aat. dansôn [tansôn], mat. dansen, tirare, stendere (propriamente = tirare una catena, una fila: senso che ricorre anche nel t. Reigen, Reihen, danza, identico al t. Reihe, fila). È singolare la storia di questa parola. Nel ger. significava “tirare”; poichè in quella lingua l’idea di “ballare” era designata da tûmôn e leihhan, got. laiken. V. Lai. Passò nelle lingue rom. [fr. danser, sp. port. prov. danzar, dansar], dove assunse il signif. che conserva tuttavia. Rientrò poi in Germania verso il sec. XI, sotto la forma di tanzen, tanz, ol. dansen, ing. to dance, e col signif. acquistato sul territorio delle lingue neol. V. Kluge, Etym. Wört. p. 32. Quanto poi all’aat. dansôn, esso appartiene al vb. dinsan, got. thinsan, [pas. thäns], che in t. si conserva solo nel dial. ass. dinsen, forse mediante il mat. dinsen, stendersi. Del resto la rad. ger. tens ha una diffusione immensa nel campo indeu. Difatti nel ger. le si raggruppano intorno il got. thanian da * thina, donde aat. deunen, mat. denen, tm. dehnen, stendere, dunn, sottile; e le corrispondono sans. tan, filare, tántus, filo; lit. testi, tiklas, a. sl. teneto, tonoto, funicella; gr. τείνω, τάνυμαι, τάσις, τένον, ταινία; l. tendo, teneo, tenuis. Sicchè i nomi danza, tenda, tendere, tendine, tenere, tenia, hanno la stessa radice! Deriv.: danza-tore-trice, danzetta; contraddanza.

Dardo, freccia dell’arco (Fra Bartol., Villani). Dall’ags. daradh, darodh, daredh, dearedh, ing. dart, aat. tart, lancia; anrd. darr, dörr, darradhr. Le altre forme rom. sono: fr. dard, sp. dardo, prov. dart. Dal ger. sono puro venuti il valac. darde, ung. dárda. Anche il celt. darts d’ug. sig., e il gr. δόρυ, δόρατος, lancia, sono stati proposti per etim. della voce neol.: ma è troppo chiaro che il ger. è senza [p. 104 modifica]alcun confronto superiore in verisimiglianza per la maggiore diffusione delle parole ger., e per la forma stessa. È però possibile una comune origine indeu. Deriv.: dardeggiamento, dardeggiare, dardiere.

Defalcare, diffalcare, sottrarre, levar via (Bellincioni, †1491; Guicciardini). Questo vb. col fr. défalquer, sp. defalcar, viene dai più fatto derivare dal l. falx, falce; sicchè verrebbe a significare “tórre via colla falce”. Però il Diez preferisce l’etim. dall’aat. falgian, falgan, falcan, privare, toglier via. V. Falcare. Deriv.: defalcamento, defalco.

Diga, argine, e specialmente quello fatto contro le ondate del mare (Corsini, Stor. Mes. trad.; Segneri). Il nome insieme colla forma speciale della cosa penetrò nel mezzodì dell’Europa dall’Olanda che doveva lottare continuamente contro i flutti dell’Oceano. Dall’ol. dyk si svolsero lo sp. dique, ed il fr. digue, donde il nostro diga. Dalla forma ags. dic, anrd. dike, [as. dik] provenne l’ing. ditch, dike. Il tm. ha Deich [altra forma Teich dal mat. tich], argine, derivato dall’ol. e bt. nei sec. XVI, XVII, XVIII, nei quali offrì anche le forme parallele Dike, Diek. Nell’ aat. esiste la forma dih, vortice; ma non pare connessa con dik. Nel campo indeu. è evidente l’affinità formale e logica del ger. dik, argine, col gr. τείχος, muro. È incerto al contrario se il ger. dik (da dhighni?) sia da collegarsi al gr. τίφος (da dhighos?). Dall’ol. venne anche Dicco, parola nè bella nè utile.

Digrignare, arrotare e mostrare i denti per mordere (Dante, Sacchetti). Insieme col prov. grinar, pic. grigner [les dents], com. berg. grignà, procede dall’aat. grînan, crînan, mat. grînen, grinnen, tm. greinen, storcere la bocca ridendo o piangendo; donde ing. to grin, piangere, to groan [ags. granian], gemere, e tm. grinsen, sghignazzare. L’it. pic. com. e lad. grigna = frascheria, sembrano venire immediatamente da una forma aat. parallela grînjan = ags. grinian. La rad. ger. gri, preger. ghri sono forse da [p. 105 modifica]rapportarsi al sans. hri, vergognarsi. Vicinissimo di senso è il gr. τρίξω. Un deriv. dialettale delle montagne moden. [Montese] è sgrignare, “ridere sgangheratamente”.

Dollaro, (neolog.), moneta d’oro degli Stati Uniti d’America (Botta, Stor. Am’., 4,270). Viene da dollar, forma ing. rappresentante il t. Thaler, la cui etim. e storia vedremo alla parola Tallero.

Dotta, v. Otta.

Drappo, tessuto di seta o di lana; panno (Novellino, Dante). Tre etim. t. si sono proposte per questa voce e sorelle neol. [prov. cat. fr. drap, sp. port. trapo]. Il mlt. drappus, trappus, appare prestissimo (Capit. ad Leg. Alam.); e il Diez inchina a credere che provenga dall’ aat. trabo che in un gloss. del sec. XII è spiegato per “frangia, orlo, trama”. Il nome dell’orlo, dic’egli, potè estendersi a tutto il tessuto: il che, soggiungiamo noi, si verificò nel caso di bordo [v. questa parola]. Nell’aat. troviamo anche le forme trâdo, trâda, trâdhâ, drâdâ, frangia, dove il senso è uguale a quello di trabo; ma fa difficoltà lo scambio della dentale e della labiale. Ad ogni modo le forme sp. e port. trapo, trapajo, trapero, traperia, unite a drapero, coll’alternativa della tenue e della media, accennano, secondo il Diez ad una origine t.; corrispondendo il d al bt., e il t all’at. E difatti la voce rom. rientrata in t. diede ora drappierer, ora trappier, trappar. Il Frisch congetturò che la voce neol. si fosse formata dal vb. t. trappen, pestare, serrare, mat. trapp, trappe, colpo. In questa ipotesi drappus, trappus, accennerebbe al modo con cui si sarebbero originariamente lavorati questi panni. Da ultimo il Baist (Zeits, VI, 116) propose l’ags. trâf, = afr. tref, prov. trap, tenda in drappo, ch’egli stacca nettamente dal l. trabs, trave, e trae dall’ind. dhrab. Ma G. Paris, Rom. VI, 629, ha mostrato falsa la distinzione tra afr. tref, trave, e afr. tref, tenda [= ags. traf]. Le maggiori probabilità restano sempre per La prima delle tre etim. [p. 106 modifica]Deriv.: Drappamento, drappare, drappeggiare, drappel-la-lare-letto-lo-lone, drappe-ria-tto, drappicello, drappiere, drappone.

Droga, nome generico di spezierie ed aromi (Empol. Gir. Vit. 20; Ricet. fior. C. 309; Segni, Grazzini, Sassetti). Le voci neol., it. sp. port. prov. droga, fr. drogue, e l’ing. drug, riposano sull’ol. droog, secco: quindi propriamente = merce secca, secondo il Frisch. Però l’agg. prov. droguit = “bruniccio, oscuro”, sembrerebbe accennare a “merce colorata”. Il tm. Droge viene direttamente dal fr., del pari che l’it. L’ol. droog poi, e bt. drooge, arido, si collegano all’aat. trockan [trucchan], mat. tm. trocken, asciugare, as. druckno, drockno, bt. dreuge [droogte = aridità], ags. dryge, drúgian, drugoth, ing. dry, drought, d’ug. sig. La rad. ger. è druk, drug, draug, a cui si riannoda l’anrd. draugr “legno arido”. La rad. preger. sarebbe dhrug; ma finora non si sa che abbia corrispondenti nelle altre lingue indeu. Questa voce si diffuse in Europa sulla fine del sec. XVI, quando gli Olandesi, divenuti padroni del commercio dell’Oriente, spacciavano nei mercati dell’Occidente le merci dell’Asia e dell’Oceania. Il Kluge però sostiene che la parola droga, benchè importata e diffusa dagli Olandesi, sia d’orig. orientale, e non ger.: ma non dà le ragioni di questa sua asserzione. Deriv.: drogare, drogheria, droghista.

Drudo1, amante, per lo più in senso disonesto (Cavalcanti, Dante). Secondo me non c’è alcun dubbio che questa parola coll’a. sp. drudo, afr. prov. drud, fem. druda, drue amico, amante, provenga dall’aat. trût (ricorre già presso Otfried di Weissenburg, an. 868), drût, drûd, mat. trût, trûte, fedele, amico-a, spettante al vb. truén, e al n. triu, triuwi, l’uno e l’altro diffusissimi nel ger. e che entra in moltissimi nomi composti t. sia comuni che proprii [ad es. trûtboto, drûdboto, trutdêgan, drûtthëgan; trûtdiorna, drûtthiorna; Drudbold, Wieldrud, Gertrud, Rotrud ecc.]. Il Diez ammette come possibile la deriv. dal celt. drûth, [p. 107 modifica]meretrice; che certo si presta anch’esso. Però noi abbiamo non pochi argomenti per escludere affatto la provenienza celt. di questa parola. Il primo è che essa da principio fu quasi sempre usata in buon senso. Il Diez stesso ammette che è spesso unita ad ami: mes drus et mes amis; ses amis et ses drus; vos amis et vos drus. In un capit. di Carlo il Calvo s’accompagna a vassallo: sine solatio et comitatu drudorum atque vassorum. Otfredo di Weissenburg ha Gotes drût = servo, amico di Dio. In tutti questi casi è chiaro che abbiamo perfettamente il senso di “fedele, dipendente, servo”, che è il vero signif. etimol. del vocabolo t. Anche in Dante è adoperato in buon senso. [«Dentro vi nacque l’amoroso drudo — Della fede cristiana». Parad. XII]. Ora è evidente essere più facile che la parola dal signif. buono passasse poscia al cattivo, che viceversa: il quale ultimo caso si sarebbe verificato nell’ipotesi che drudo fosse venuto dal celt. druth, meretrice; lasciando anche stare che questa parola per essere femminile, era difficile che potesse applicarsi a uomini, come avveniva nel più dei casi della voce drudo. E noto ancora che l’influsso del gael. sulle lingue rom. è quasi nulla rispetto a quello esercitatovi dal ger. Inoltre poichè drûd ricorre già in Otfredo e in altri scrittori dell’aat., ed anche nel tm. sotto la forma di Drude, benchè in signif. diverso, e d’altra parte queste voci non vengono certo dal gael., s’accresce sempre più la probabilità dell’orig. ger. della parola in quistione; e difatti anche il Diez, considerato tutto, propende per questa. Si può bensì ammettere che il celt. drûth fosse originariamente e radicalmente affine al ger. Quanto alla radice dell’aat. trût, essa sarà trattata alla parola Tregua. Il tm. Drude, stregone, incubo, [mat. trute, turing. trûde, bav. aust. franco-ren. trûd, dan. drüde, gotl. druda], si riattacca all’agg. traut, della stessa radice, ed è denominazione fondata sullo stesso principio del nome gr. delle Eumeuidi. Deriv.: druda, druderia. [p. 108 modifica]

Drudo2, manieroso, bello, grazioso; robusto, rigoglioso (Rim. Ant.; Fazio, Dittam.). Questo aggettivo col fr. dru, potrebbe farsi derivare dal sost. precedente pel senso di “bello, grazioso”, essendo ovvio che i zerbini e i galanti cerchino d’apparire azzimati e leggiadri; ma il senso di “robusto, gagliardo” ripugna a tale etim.: quindi lo Scheler propende pel celt.: gael. druth, petulante, cimb. drud, vigoroso, ardito. Il Gachet lo riattacca all’isl. drugr, sv. dryg d’ug. sig., e corrispondenti al gr. άδρός; dal quale lo trasse Enrico Stefani, ma inutilmente, secondo Buttmann. Questo è un punto ancora molto oscuro. V. Diez. Wört. II, 679.

Duna, monticello di rena, albajone, tombolo (Carletti † 1617, Davila † 1631). Questa parola [fr. dune, sp. port. duna] viene dall’aat. dûn, dûna, promontorio, ags. afdune, adune, dûn, colle, ing. down, sv. dun, ol. duin, bt. dune, monticello di sabbia. È affine all’a. irl. dun, gael. din, luogo alto, fortificato [di qui la desinenza dunum di molti nomi proprii di città nella Gallia: Lugdunum, Augustodunum, Eberodunum, ecc.]. Nel campo idg. si connette col gr. θίς, θινός, d’ug. sig., e col sans. dhanus, banco di sabbia, dhanvan, spiaggia, dal vb. dhanv, affrettarsi, e ciò pel forte agitarsi della sabbia.