L'impresario delle Smirne (in versi)/Atto III

Da Wikisource.
Atto III

../Atto II ../Atto IV IncludiIntestazione 2 giugno 2020 100% Da definire

Atto II Atto IV

[p. 309 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera nell’albergo d’Alì, con canapè lungo e sedie.

Alì fumando con lunga pipa sul canape a sedere,
poi Trottolo servitore.

Trottolo. Signore, una persona brama di riverirla.

Alì. Star femmina, o star omo?
Trottolo.   Non lo saprei1, per dirla.
All’abito par uomo; la voce è femminile.
Alì. Star signor? star canaglia?
Trottolo.   All’aspetto è civile.
Alì. Far che drento venir. Tu preparar caffè.
Trottolo. (È ricco il mio padrone; ma galantuom egli è). (parte)
Alì. (Segue a fumare.)

SCENA II.

Carluccio e detto.

Alì. (S’alza dal canapè.)

Carluccio. Servitor riverente. Di voi mi fu parlato.
Pel piacer di conoscervi, venir non ho tardato.
Alì. Tu star omo, o star donna?
Carluccio.   Star uomo, padron mio.
Alì. (Si pone a sedere sul canapè con qualche sprezzatura.)
Carluccio. (S’egli a seder si pone, voglio sedere anch’io).
(vuol sedere nello stesso canapè)
Alì. Chi dir che tu seder? (gl’impedisce di sedere)
Carluccio.   In piedi si ha da star?
(Manco mal che siam soli. Voglio dissimular).

[p. 310 modifica]
Signor, se nol sapete, io sono un virtuoso.

Reso nell’età verde dal merito famoso,
E vengo ad esibirmi, non per necessità,
Ma di veder le Smirne ho anch’io curiosità.
Alì. Smirne de tua persona bisogno non aver;
Serraglio gran Signora mandar, se tu voler.
Carluccio. Per che fare al serraglio?
Alì.   Con femine abitar.
Carluccio. Chi credete ch’io sia?
Alì.   Eunuco ti non star?
Carluccio. Di voi mi meraviglio. Non sono un uom villano;
Io sono un virtuoso, un musico soprano.
Alì. Star musico? (con meraviglia)
Carluccio.   Star musico.
Alì.   Che diavolo pensar,
Che omo per Italia, per femmina cantar?
Voler donna per donna.
Carluccio.   Soprano esser mi vanto.
Fo la parte da uomo, da femmina non canto.
Alì. Non star voce da uomo. Io non star così matto,
Musico de pigliar, che cantar come gatto.
Carluccio. Voi non sapete niente. I musici miei pari
Si stimano per tutto, e al mondo sono rari.
Domandatelo a Nibbio, ch’è il vostro direttore,
Ei vi dirà s’io sono un celebre cantore.
Fatti ho i primi teatri. Per tutto ove ho cantato,
or impresari dell’opere moltissimo han lucrato.
Uno de’ miei passaggi, un trillo, una cadenza.
Una mia volatina basta a fermar l’udienza.
Voce alla mia simile ancor non si è sentita,
Chiara, forte, sonora, senza difetti e unita.
Ho ventisette corde, tutte distese, eguali;
So tutti gli artifìci dei riti musicali.
Recito da demonio, la comica posseggo,
Quei che il mestier non sanno, li addestro e li correggo;

[p. 311 modifica]
Vesto d’ottimo gusto, e soglio far talora

Da maestro di musica e da poeta ancora.
Alì. De tutte to bravure niente non m’importar;
Voler omini e donne per musica cantar.
Omeni, a mio paese, voce aver come mi.
E star cosa ridicola omo parlar così. (contraffacendolo)

SCENA III.

Trottolo e detti.

Trottolo. Veduto ho una signora a scendere le scale. (ad Alì)

Alì. Musica? (a Trottolo)
Trottolo.   Così credo.
Alì.   Come star? (accennando se è bella)
Trottolo.   Non vi è male.
Alì. Star sola?
Trottolo.   Un certo Nibbio parmi vi sia con essa.
Alì. Sì, sì. Nibbio star bravo.
Trottolo.   Eccola che si appressa, (parte)
Carluccio. Signor, se voi volete....
Alì.   (Star giovine mi par).
(s’alza osservando fra le scene)
Carluccio. Ascoltate, signore...
Alì.   Al diavolo ti andar.

SCENA IV.

Annina, Nibbio e detti.

Annina. Serva sua.

Alì.   (Star bella).
Nibbio.   Ecco, signor Alì,
Ecco una virtuosa.
Alì.   Virtuosa? (ad Annina vezzosamente)
Annina.   Gnor sì.
Alì. Seder presso di me. (siede sul canapè)

[p. 312 modifica]
Annina.   Con so bona licenza. (siede)

Carluccio. (Ella seduta, io in piedi? Quest’è un’impertinenza).
(si prende una sedia, e si mette a sedere con sprezzatura)
Alì. Dir mi to nome. (ad Annina)
Annina.   Annina.
Alì.   Dove star to paese?
Annina. Bulogna.
Alì.   Mi piaser to grazia bolognese.
Star brava?
Annina.   An sta me a direi; a’ son zovne d’età,
Ma al le sa al sgner Nibi, se ai ho di’abilità.
Nibbio. È una brava ragazza; vel posso assicurar.
Alì. Se star brava e star bella, far tutti innamorar.
Carluccio. Sì, la signora Annina canta ben, così è,
Ma non è virtuosa da mettersi con me.
Alì. Cosa entrar ti parlar? Ti musico, taser. (a Carluccio)
To graziosa maniera, tanto per mi piaser.
(dolce, ad Annina)
Annina. Oh, l’è la so buntà.
Alì.   Quanto voler per paga?
Annina. (Cancher? sai pias da bon, a vui far ch’al me paga).
Me son zovna discreta; ma s’as tratta d’andar
In tun pajeis luntan, e qual ch’è piz, per mar.
De cinquecent zecchini è la mi pretension,
E ne farem negotta, s’ai manca un bagaron.
Carluccio. Queste sono le paghe dei musici meschini;
io se vengo alle Smirne, voglio mille zecchini.
Alì. De ti per trenta soldi mi che far no saver.
A bella virtuosa tutto quel che voler.
Carluccio. (Nibbio, mi raccomando. Il Turco non sa niente;
Ditegli voi ch’io sono un musico eccellente.
Fate ch’egli mi prenda, e darvi mi contento
Della paga accordata un dodici per cento).
Nibbio. Signor, se voi volete la compagnia formare,
Un musico soprano è forza di pigliare.

[p. 313 modifica]
Piacere agl’Europei vi lusingate invano,

Quando sopra le scene non vedono il soprano.
E cosa necessaria, parlo da uomo onesto,
E il musico più bravo non trovasi di questo.
Alì. Se musico bisogna, musico ti trovar,
Che non abbia per ose femena somigliar.
Nibbio. Quelli che dite voi, si chiamano tenori,
Che soglion far da padri, da re, da imperatori;
Ma per la prima parte, patetica, cantabile,
Un musico soprano fermare è indispensabile.
Alì. Io non voler patetico.
Nibbio.   Ma questo è l’ordinario.
Alì. Voler musica allegra.
Nibbio.   È il sopran necessario.
Alì. Maledetto sopran, ti maledetto ancora!
Nibbio. Lo fermo, o non lo fermo?
Alì.   Sì, fermar tua malora.
(a Nibbio)
Bella mia cantarina, te prego perdonar. (ad Annina)
Tenor, sopran, to diavolo, matto far deventar.
(a Nibbio)
Annina. Che al ne vaga incollera.
Nibbio.   Dunque possiam trattare? (a Carl.)
Carluccio. A un musico mio pari quanto vorreste dare? (ad Alì)
Alì. Va via.
Nibbio.   Mille zecchini non vo’ che li spendiate.
Ma gli ottocento almeno converrà che li diate. (ad Alì)
Carluccio. Ottocento zecchini non è la paga mia. (a Nibbio)
Voglio mille zecchini, ed il quartier. (ad Alì)
Alì.   Va via.
Nibbio. Orsù, la differenza di accomodar prometto.
Cento più, cento meno.
Alì.   Andar via, maledetto, (a Nibbio)
Nibbio. Tornerò con più comodo. La riverisco, e parto.
(parte)

[p. 314 modifica]
Carluccio. Vo’ per appartamento un magnifico quarto,

E voglio la carrozza, e il piccolo vestiario,
Che ai musici miei pari si dà per ordinario;
E voglio che si faccia quel libro che vogl’io,
E mettere nel libro le arie a modo mio.
E voglio....
Alì. To voler star troppo impertinente.
(si alza con sdegno)
Carluccio. No, signor impresario, servitor riverente. (parte)
Alì. Tanti, tanti aver fatti negozi in vita mia,
Negozio per teatro non saver cosa sia.
Se musichi star tutti come costù parer, (siede)
Star salda nell’impegno testa mia non poder.
Se omo star insolente, femena star bonina,
Mi aver tanto piacer de mia graziosa Annina.
Annina. L’am fa troppa finezza. La dega, lam perdona,
Sa vegnirò con li, faroi da prima donna?
Alì. Sì, star prima venuta Annina a mio quartier.
In mio cuor, in mia stima, star prima è de dover.
Annina. Faroi la prema part?
Alì.   Quel che voler ti far.
Padrona de mio cuor ti poder comandar.
Annina. Ai son ben ubligà.
Alì.   Dar a mi to manina.
Annina. Mo sgnor, no da bon.2
Alì.   Cara, via, star bonina.
Annina. Che l’abbia da saveir, che mi per ordinari,
An faz, come fan tanti, l’amour con l’impresari;
Pur trop, in ste mestir, ai nè dei sfazzadoni3
Ch’han l’impresari amigh per far el braghironi.
Da dop ch’a son al mond, sempr’a son sta mudesta;
A dar la man a un sgnour, la ne nè cosa unesta.
Alì. Se star bella, star bona....

[p. 315 modifica]

SCENA V.

Trottolo e detti.

Trottolo.   Signor....

Alì.   Cosa voler? (con sdegno)
Trottolo. Un musico tenore.
Alì.   Adesso non poter. (con sdegno)
Trottolo. Vi è una donna con lui.
Alì.   Donna, donna? vegnir.
Trottolo. (La donna, quando è in collera, buono lo fa venir).
(parte)
Annina. (Ai zugh ch’l’è la Tugnina).
Alì.   To man non voler dar?
Annina. Basta, an vui mo gnanch’ch’ai s’abbia da desgustar4.
(allunga la mano e Alì, vedendo venir Tonina, non le bada)
Alì. (Star pezzo da sessanta).

SCENA VI.

Tonina, Pasqualino e detti.

Tonina. Patron mio riverito, (ad Alì)

(La xe qua sta frascona, in verità l’ho dito).
Alì. Chi star ti?
Tonina.   Veneziana. El mio nome è Tonina,
Virtuosa de musica, detta la Zuecchina.
Pasqualino. Ed io sono, signore....
Alì.   De ti non domandar. (a Pasqualino)
Virtuosa Tonnina, presso de mi sentar.
(fa luogo a Tonina sul canapè, ed ella siede alla dritta d’Alì, che resta in mezzo.)
Tonina. Grazie alla so bontà. (siede)
Annina.   (Am despias ch’alia Tugnina
J’ha tuccà la man dretta, e a me la man mancina.
Sa reciten insem, aqusì lan andarà).

[p. 316 modifica]
Tonina. Sior Pasqualin, senteve.

Alì.   Cosa voler ti qua? (a Pasqualino)
Pasqualino. San venuto con lei.
Alì.   Con ti, che cosa intrar? (a Tonino)
Tonina. Per no vegnir mi sola, m’ho fatto compagnar.
El xe un tenor bravissimo, che canta a perfezion,
Uno che se pol dir, che el sa la profession.
L’è una bella fegura, el recita con arte,
Capace, se bisogna, de far la prima parte.
Alì. So fegura star bona; se saver ben cantar,
Star mal che prima parte tenor no poder far.
Tonina. Chi gh’ha ditto sta cosa?
Alì.   Star Nibbio direttor,
Che per forza voler far che sopran mi tor.
Tonina. (Nol sa quel ch’el se diga). Ghe zuro e ghe protesto,
Che per la prima parte no gh’è meggio de questo.
Un tenor de sta sorte se pol sentir per tutto,
Meggio assae d’un sopran.
Alì.   (Star Nibbio un farabutto.
Voler per suo interesse far musico pigliar).
Annina. (L’amigh, la simuncina lai vorrev’appuggiar).
Alì. Dir ti quanto voler? (a Pasqualino)
Pasqualino.   Di tutto io mi contento;
Verrò, se mi prendete, per zecchini trecento.
Alì. (Musico voler mille; trecento vol tenor.
Al diavolo mandar sopran e direttor).
E ti, Tonina bella, quanto da mi voler?
Tonina. Quel che la vol; con ela vegnirò con piaser.
So che el xe un galantomo, ghe digo onestamente,
Che per lu cantarave, co5 se sol dir, per gnente.
Alì. Tonina generosa, to dir tanto obligar.
Che de Turco onorato no poder dubitar.
Annina. Se mi ai ho domanda, al’ho fat per obbedir;
Ch’alm daga quel ch’al vol, che mi sarà che dir.

[p. 317 modifica]
Alì. Star furba Bolognese, conosser anca mi,

Ma donna Veneziana star più furba de ti.
Tonina. Mi ghel digo de cuor, no parlo con finzion;
Proprio ghe voggio ben, perchè el xe cussì bon.
(lo prende per mano)
Annina. L’è veira, propriament l’ha un cor de marzapan.
(lo prende per l’altra mano)
Alì. Star tutte do belline, star tutte do graziose;
Prometter tutte do voler mie virtuose.
Tonina. D’aver no me scontento Annina in compagnia.
Ma della prima donna la parte ha da esser mia.
Annina. No, la mi signorina, la ne n’ha d’andar aqusì;
La part de prima donna al l’ha prumessa a mi.
Tonina. A éla avè promesso? (ad Alì, ritirando la mano)
Alì.   Mi gnente non capir. (a Tonino)
Annina. An cederev la part, s’a credes de murir.
(ad Alì, ritirando la mano)
Alì. Cosa aver ti promesso, che st’altra non voler? (ad Annina)
Annina. El ch’an s’l’arecorda più? O finzl de noi saver?
N’al dit che mi sarò la prima donna? (ad Alì)
Alì.   Sì. (ad Annina)
Tonina. Ch’el se ne trova un’altra, quando la xe cussì, (s’alza)
Alì. Star prima, star seconda, non è tutt’un? (a Ton., alzand.)
Tonina.   Sior no.
O vôi la prima parte, o via no vegnirò.
Pasqualino. (Maledetto puntiglio! si vuol precipitar).
Via, signora Tonina...
Tonina.   Vu no gh’avè d’intrar. (a Pasqualino)
Alì. Se paga star l’istessa, cosa star sto rumor?
Annina. An m’importa de la paga, m’importa dell’unor.
(alzandosi)
Alì. Dir ti, parte seconda star parte da barona? (a Pasq.)
Pasqualino. Anzi talor codesta più della prima è buona. (ad Alì)
Alì. Star prima, star seconda, star cosa indifferente.
(alle donne)

[p. 318 modifica]
Annina. O vui la prima, o ngotta.

Tonina.   O vôi la prima, o gnente.
Alì. Via, se ben me voler... (a Tonino)
Tonina.   La mia reputazion.
Alì. Se aver stima per mi... (ad Annina)
Annina.   A son quella che son.
Tonina. Gnanca per mille doppie.
Annina.   Nianc si me fan regina.
Tonina. Annetta prima donna?
Annina.   Prima donna Tugnina?
Tonina. Vôi ch’i me taggia a fette.
Annina.   A me fareu scurtgar.
Alì. Tutte do maledette al diavolo mandar.

SCENA VII.

Trottolo e detti.

Trottolo. Un’imbasciata.

Alì.   Un corno. (a Trot)
Trottolo.   Ascolti; è una signora.
Alì. Donne più non voler. Femene andar malora.
Trottolo. Dirò che se ne vada.
Alì.   Ferma; sentir chi star?
Trottolo. Credo sia cantatrice; almen così mi par.
Alì. Star de musica stuffo. Donne più no soffrir.
Star bella?
Trottolo.   E graziosissima.
Alì.   Ah, sì, far vegnir.6
(Trottolo parte)
Pasqualino. (Se alcuna si fa sotto, non vi tornerà il conto). (a Ton.)
Tonina. (Vaga la casa e i coppi7, ma che se salva el ponto).
(a Pasqualino)

[p. 319 modifica]

SCENA VIII.

Lucrezia, Cavolo e detti.

Lucrezia. Serva di lor signori. Perdonino l’ardire.

Sono il signor Alì venuta a riverire.
Mi ha detto il conte Lasca, ch’egli è un signor garbato;
Messer Nibbio m’ha detto, ch’hanno di me parlato,
E che volea venirmi a favorire a casa,
Ma di venir io stessa da lor fui persuasa.
Non vengo ad offerirmi, ch’io vaglio nulla o poco,
Ma una ragion più nobile mi ha spinto in questo loco:
Il desio di conoscere un uom particolare.
Che vuol la nostra musica portar di là dal mare,
E ringraziarlo anch’io di tanta propensione,
Onde è beneficata la nostra professione.
Tonina. (Parla coi slinci e squinci).
Annina.   (Che signora compita!)
(ironicamente)
Lucrezia. (Non uso i miei riboboli, per essere capita). (a Cav.)
Cavolo. (Il turco certamente capirla non potria). (a Lucrezia)
Pasqualino. (Come attento la guarda). (a Tonino)
Alì.   (Bella fisonomia!) (a Lucrezia)
Favorir di seder.
Lucrezia.   Se comanda così.
(siede al mezzo del canapè)
Tonina. Anca mi vôi sentarme.
(siede presso Lucrezia alla dritta dove voleva sedere Al, che passa per sedere dall’altra parte. Annina gli leva il posto.)
Annina.   E me an vui star in pì.
Pasqualino. (Siede.)
Alì. Per donne aver rispetto più che no meritar.
Pasqualino. Sedete qui, signore.
Alì.   No, no, non comodar;
Star avvezzo Turchia sentar su mio sofà.
Sopportar volontiera graziosa inciviltà.

[p. 320 modifica]
Lucrezia. Non è dover, se in piedi restar vuole il padrone.

Che facciasi sedendo con lui conversazione.
Queste ch’io non conosco, dame saran di sfera;
Per far il mio dovere, m’alzerò io primiera.
(Credo che queste siano dame come son io!
Ma i Turchi li conosco, so fare il fatto mio).
Tonina. (La fa da gomitar8 co ste so affettazion).
Annina. (Che la diga pur su, mi stag ben dov’a son).
Tonina. (Senti, se ti ghe parli in fazza de culia,
Fazzo qualche gran scena). (piano a Pasqualino)
Pasqualino.   (Che pazienza è la mia!)
Alì. Vostro nome?
Lucrezia.   Lucrezia, signor, per obbedirla.
Alì. Virtuosa de musica?
Lucrezia.   Sì signor, per servirla.
Alì. Star profession medesima tutte queste persone.
Lucrezia. Umilissima serva di queste due padrone. (ad Ann. e Ton.)
Riverente m’inchino. (a Pasq.) Par ch’ognun mi ributti?
Han ragione, signori, son l’ultima di tutti.
Senza merito alcuno, senz’ombra di virtù,
Da persone di rango non merito di più.
Alì. (Questa star virtuosa, per quel che all’occhio par,
Che non aver catarro9 da prima voler far).
Lucrezia. Credo che già a quest’ora il suo felice ingegno
Scielti avrà i virtuosi del genere più degno.
Io che son, nella musica, del popolo inferiore,
Meritar non poteva un sì sublime onore.
È ver che buona voce sortii dalla natura,
Che giovami in teatro l’aspetto e la statura;
È ver che han più maestri in mio favor deciso,
Che intendo il contrappunto, ch’io canto all’improviso,
E dove ho recitato, e dove mi han sentito,
Dirò modestamente, mi han sempre compatito:

[p. 321 modifica]
Ma mettermi non posso con altre in competenza,

Con altre, ch’hanno il merito d’aver la preferenza.
Fortuna mia sarebbe per imparare il canto
Servir queste signore, lor sostenendo il manto;
E dietro dalle scene, qual loro serva o schiava,
Batter le mani, e dire: La mia padrona è brava.
Tonina. (Oe sentìu? la ne burla). (ad Annina)
Annina.   (Cosa importa a mi?10
Intant mi son a seder, è la bamboza in pi).
(a Tonina)
Pasqualino. (La nazion fiorentina è più dell’altre accorta).
Cavolo. (Come la sa far bene costei la gatta morta).
Alì. (So modesto parlar, mostrar sincerità;
Creder che più dell’altre aver abilità).
Smirne voler vegnir? (a Lucrezia)
Lucrezia.   Mio signor, perchè no?
Se degna mi credete, venir non lascierò.
Alì. Quanto voler per paga?
Lucrezia.   Ciò tratterem dopoi.
Pria ditemi in qual grado deggio venir con voi.
Alì. Per musica venir.
Lucrezia.   Per musica capisco.
Ma chiedevi perdono, se oltre il dovere ardisco.
Se qualche altra signora prima di me è fermata,
Bramo saper qual parte a me sia destinata.
Alì. Ti meritar la prima; ma donne no trovar,
Che parte da seconda abbia intenzion de far.
Ti che parlar con mi tanto modesta e bona,
Spero seconda parte vorrà far to persona.
Lucrezia. Caro signor Alì, mi onora in ogni modo;
Se ha di me tal concetto, moltissimo ne godo.
Per me sdegnar non posso delle seconde il rango.
Non deggio alzar la testa dal povero mio fango.

[p. 322 modifica]
Spiacemi del maestro; ci va della sua stima,

Se non mi vede il mondo a recitar da prima.
Che direbbe la patria, il padre, i miei parenti?
Tutti per tal disordine sarebbero scontenti.
La professione istessa, che sostener si debbe,
Se avvilir mi volessi, di me cosa direbbe?
Queste signore istesse, che ascoltanmi ridendo,
Cosa di me diranno, se al vostro dir mi arrendo?
Gradisco il vostro bene, parlo sinceramente,
Se ho l’onor di servirvi, o prima donna, o niente.
(parte)
Tonina. Alo sentio el sermon? dasseno el compatisso;
Semo tutte compagne. Patron, lo reverisso.
Andemo, Pasqualin. (parte)
Pasqualino.   Servitor riverente.
(Si può dir l’impresario un povero paziente). (parte)
Annina. (Incantà, immatunè, l’è restà lè al tandan).
Ehi, sgner impresari, ai faz un basaman. (parte)
Alì. Oh maledetto el ponto, che a mi venir in testa
Opera per le Smirne. Desperazion star questa.
Ma in impegno mi star. Scritto aver mio paese.
Ordine aver manda per far teatro e spese.
Donne, che testa aver? Voler mi far crepar?

SCENA IX.

Nibbio, Maccario e detti.

Nibbio. Signor, son qua venuto...

Alì.   Andar ti far squartar.
Nibbio. Cos’avete con me?
Alì.   No trovar donne al mondo.
Che voler far in scena carattere secondo.
Nibbio. Sì, ne ritroveremo, non vi mettete in pena:
Di donne da teatro tutta la terra è piena.

[p. 323 modifica]
Finchè voi le trattate, difficile parrà,

Subito ch’io la voglio, la donna ci sarà.
Maccario. Favorisca, signore, sentire una parola;
Faccia fare un libretto con una donna sola.
Alì. Chi star ti? (a Maccario)
Maccario.   Star poeta.
Alì.   Poeta che volere? (a Nibbio)
Nibbio. Un poeta, signore, pensato ho provvedere.
La si lasci servire. Mi creda. A un impresario
Un poeta vicino è sempre necessario.
Quando il bisogno il chieda, farà dei libri nuovi.
Ne rifarà dei vecchi, se crederem che giovi.
Se mette un’aria vecchia il mastro di cappella,
Cambiate le parole, par che non sia più quella.
Credetemi, è il poeta util per più ragioni.
Maccario. Ditegli pur che insegno ai musici le azioni,
E dirigo la scena, e corro pei palchetti
Ad avvisar la donna che di venir si affretti.
Che assisto alle comparse, e che mi porto bene
Ad avvisar col fischio il mutar delle scene.
Alì. Che diavolo d’imbroglio star questo.

SCENA X.

Fabrizio e detti.

Poi tutti quelli che vengono nominati da Nibbio
entrano e partono dall’altra parte.

Fabrizio.   Mio signore. (ad Alì)

Alì. E quest’altro chi star? (a Nibbio)
Nibbio.   Questi è un bravo pittore,
Quel che farà le scene, e condurrà con lui
Tutti i suoi lavoranti e gli operari sui.
Alì. Quanta gente venir?

[p. 324 modifica]
Nibbio.   Questi è un bravo omenone,

Pratico più di tutti per l’illuminazione.
Capo delle comparse costui è destinato
Con trentadue compagni, secondo il praticato.
Ecco qui il Portinaro, uomo di gran coraggio;
E per la prima donna, ecco, signore, il paggio.
Questi è il suggeritore, e questi è quel che addita
Al musici le prove, quando il maestro invita.
Ecco il bollettinaro, ecco quegli uomin bravi,
Che assistono ai palchetti, e vendono le chiavi.
Questi sa far da orso, costui fa da leone;
Vi sono spadaccini ventiquattro persone.
Quest’uomo dalla scena suol discacciare i cani,
E questi è destinato per battere le mani.
Alì. Smirne condur sta gente?
Nibbio.   Condurla è necessario.
Alì. Le viscere mangiar de povero impresario.
Direttor maledetto, se ti me far fallir,
Con un palo alle Smirne te voler divertir. (parte)
Nibbio. Questa ci mancherebbe?
Maccario.   Non temete niente.
Io vi farò un libretto, che incanterà la gente.
E se mai succedesse quel caso a voi predetto.
Vi farò l’epitaffio compreso in un sonetto. (parte)
Nibbio. Non bado alle sciocchezze, penso al periglio mio;
Ma di funesto evento dubitar non vogl’io.
Io faccio il mio mestiere, lo faccio come va,
E soglio dir per solito: Sarà quel che sarà, (parte)

Fine dell’Atto Terzo.


Note

  1. Così corregge l’ed. Antonelli. Nell’edizione Savioli: No savaria.
  2. Così il testo.
  3. Nel testo sfazzadouni.
  4. Così il testo.
  5. Come.
  6. Così il testo. Forse Farla vegnir.
  7. Coppo, tegolo. V. vol. II, p. 230.
  8. Fa venire il vomito.
  9. V. vol. XII, p. 494.
  10. Così il testo.