L'isola del tesoro/Parte V/XXVI

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Il vento favorendo il nostro desiderio soffiava verso ponente, sicché tanto più agevolmente potevamo correre dalla punta nord-est dell’isola alla bocca della Baia del Nord. Mancandoci però la possibilità di ancorarci, e non osando arenare prima che la marea fosse montata un bel po’, avevamo del tempo d’avanzo. Il quartiermastro mi disse la maniera di mettere il bastimento in panna; vi riuscii dopo molti tentativi, e in silenzio sedemmo per fare un altro pasto.

«Capitano», ruppe egli alfine con lo stesso inquietante sorriso, «ecco qui il mio vecchio camerata O’Brien. Io penso che tu vorrai bene gettarlo in mare. Io, in genere, non sono troppo delicato, e non mi faccio colpa d’averlo così conciato; ma, non lo trovo decorativo, ti pare?»

«Io non mi sento forte abbastanza», risposi, «e non è una faccenda che mi piaccia. Per me, può restar dov’è.»

«È un bastimento che porta disgrazia questa Hispaniola, Jim», seguitò lui ammiccando. «Un mucchio d’uomini sono stati uccisi su questa Hispaniola: una fila di poveri marinai morti e seppelliti dacché tu e io ci imbarcammo a Bristol. Mai ho visto una così maledetta sorte, io, mai. Questo O’Brien era pure dei nostri, e ora è morto, no? Ebbene, senti, io non sono istruito, mentre tu sei un ragazzo capace di leggere e scrivere; per parlar chiaro, credi tu che un uomo morto sia morto per davvero, o torni a vivere di nuovo?»

«Voi potete uccidere il corpo, signor Hands, ma non lo spirito, dovreste pur saperlo. O’Brien è passato in un altro mondo, e forse in questo momento ci spia.»

«Ah», disse lui, «questo è spiacevole: vuol dire che ammazzar la gente non è che un perder tempo. Comunque sia, gli spiriti non contano molto, a quanto ho visto. Mi ci voglio provare, io, con gli spiriti, Jim. E ora, che hai parlato liberamente, mi useresti una vera cortesia se volessi scender giù in cabina a prendermi una... ma sì, una... corpo di Satanasso! non riesco a tirar fuori il nome; ah, ecco, una bottiglia di vino, Jim; quest’acquavite è troppo forte per la mia testa.»

L’esitazione del quartiermastro non mi parve naturale, e quanto al suo preferire il vino all’acquavite, non gli credetti affatto. L’intera storia non era che un pretesto. Egli voleva allontanarmi dal ponte, ciò era evidente: ma, a quale scopo, non riuscivo a immaginare. I suoi occhi evitavano d’incontrarsi coi miei: essi erravano senza posa da un punto all’altro; e ora si volgevano al cielo, ora con un rapido sguardo al cadavere di O’Brien. Egli non cessava di sorridere e di tirar fuori la lingua con un’aria così colpevole e imbarazzata che persino un ragazzo avrebbe detto che stava macchinando qualche tradimento. Io peraltro non esitai a rispondere, perché ero conscio della mia superiorità su di lui, e convinto che con un essere così supinamente stupido, avrei potuto facilmente tener nascosti i miei sospetti fino alla fine.

«Del vino?», dissi. «Perfettamente. Bianco o rosso?»

«Bah! Ti confesso che per me è press’a pocola stessa cosa. Purché sia forte e abbondante, che differenza c’è?»

«Benissimo», risposi. «Vi darò del Porto, signor Hands. Ma mi toccherà faticare, per trovarlo.»

Ciò detto m’imbucai nel portello con tutto il fracasso possibile; mi tolsi le scarpe, percorsi piano piano il corridoio, e montato per la scala di prua, misi fuori la testa da quel boccaporto. Io sapevo ch’egli non si sarebbe aspettato di vedermi là, nondimeno non trascurai nessuna precauzione, ed effettivamente i miei peggiori sospetti risultarono giustificati.

Egli s’era levato sulle mani e sulle ginocchia, e sebbene la gamba gli dolesse assai mentre si muoveva — l’intesi infatti soffocare un gemito — riuscì tuttavia a traversare abbastanza sveltamente il ponte. In mezzo minuto raggiunse gli ombrinali di babordo, e tratto fuori da un rotolo di cordame un lungo coltello, o meglio un corto pugnale macchiato di sangue fino all’impugnatura, lo esaminò un istante con una truce smorfia, ne provò la punta sulla mano, poi, nascostolo in fretta sotto il camiciotto, raggiunse precipitosamente il suo posto di prima contro il bastingaggio.

Avevo visto abbastanza. Israel poteva muoversi, era armato adesso; e la gran pena che s’era data per liberarsi della mia presenza diceva chiaro che ero io la vittima designata. Che cosa avrebbe fatto poi? Avrebbe cercato di traversar l’isola trascinandosi dalla Baia del Nord al campo della palude? O avrebbe sparato un colpo di cannone con la speranza di far accorrere i compagni in suo aiuto? Qui, naturalmente, ero al buio.

Sentivo però di potermi fidar di lui circa un punto di comune interesse; ed era la sorte della goletta. Tutti e due tenevamo a portarla ad arenare in salvo; in un luogo riparato, per modo che, a tempo opportuno con poco rischio e disagio la si potesse condurre fuori di là: finché ciò non fosse avvenuto, la mia vita, pensavo, sarebbe stata sicuramente risparmiata.

Mentre la mia mente girava intorno a tali cose, il mio fisico non era rimasto inoperoso. Di furia ero ritornato nella cabina, m’ero rimesso le scarpe, avevo arraffato a caso una bottiglia di vino; e, con questa in mano a giustificazione del ritardo, ero riapparso in coperta.

Hands giaceva come l’avevo lasciato, ripiegato su di sé, e raggomitolato, le palpebre abbassate come fosse troppo debole per sopportare la luce. Al mio sopraggiungere dette peraltro una sbirciata in su, ruppe il collo della bottiglia con la disinvoltura d’uno abituato a quel gesto, e tracannò un lungo sorso accompagnandovi il suo brindisi favorito: «Alla nostra buona fortuna!». Rimase un momento cheto, e poi, cavato fuori un rotolo di tabacco, mi pregò di tagliargli una cicca.

«Tagliami un pezzo di questo», disse, «perché non ho coltello, io, e s’anche lo avessi mi mancherebbe la forza. Ah, Jim, Jim, riconosco che ho sbagliato manovra! Tagliami un pezzo, che sarà forse l’ultimo, ragazzo; perché io sto incamminandomi verso quella lontana dimora, e non c’è dubbio!»

«Sta bene, vi taglierò un po’ di tabacco; ma se fossi in voi e mi sentissi così male, io direi le mie orazioni da buon cristiano.»

«O perché?», fece lui. «Su, dimmi un po’ perché.»

«Perché?», gridai. «Non stavate poco fa interrogandomi a proposito del morto? Voi avete mancato alla parola data, siete vissuto in peccato, menzogna e sangue; c’è qui un uomo che avete ucciso e vi giace ai piedi in questo momento, e voi mi domandate perché! Per l’amor di Dio, mastro Hands, ma è questo il perché!»

Parlavo con un certo calore pensando al pugnale insanguinato ch’egli teneva nascosto nella sua tasca e destinato nel suo perfido disegno a sopprimermi. Egli, dal canto suo, bevve un’altra lunga sorsata di vino, e con un tono di eccezionale solennità riprese:

«Durante trent’anni ho corso i mari e ho visto il buono e il cattivo, e il meglio e il peggio, il bel tempo e la burrasca, e le provviste esaurirsi, e i coltelli lavorare, e cos’altro non ho visto? Ebbene, ora io ti dico che mai ho visto dalla bontà uscire il bene. Io sono per chi picchia per primo; i morti non mordono: questa è la mia opinione... amen, così sia. E ora ascoltami», aggiunse cambiando tono a un tratto, «basta con queste sciocchezze. La marea è sufficientemente alta, adesso. Ti darò i miei ordini, capitano Hawkins, e sarà cosa finita.»

Ci rimanevano appena, tutto calcolato, un paio di miglia da fare; ma la navigazione era delicata, l’imboccatura di codesto ancoraggio nord era non solo stretta e poco profonda, ma orientata da Est a Ovest, di maniera che per entrare bisognava governar la goletta con molta abilità. Io ero, credo, un buon subalterno e Hands era certamente un ottimo pilota, poiché andammo intorno intorno piegando di qua e di là, rasentando i banchi di sabbia con una precisione e accuratezza che facevano piacere a vedere.

Subito dopo sorpassata la bocca, la terra ci attorniò d’ogni parte. Le rive della Baia del Nord erano altrettanto boscose quanto quelle dell’ancoraggio sud; ma lo specchio d’acqueo si distendeva più lungo e più angusto, e somigliava di più all’estuario d’un fiume, quale in realtà era. Dritta davanti a noi all’estremità sud, si scorgeva la carcassa d’un bastimento naufragato in completo sfacelo. Era stato un grande trealberi, ma tante intemperie e stagioni vi erano passate sopra, che lungo i fianchi gli pendevano come delle reti d’alghe gocciolanti, e in coperta erbe terrestri avevano messo radici, e ora si decoravano d’una ricca fioritura. Malinconico spettacolo in verità, ma denotante la tranquillità del rifugio.

«E ora», disse Hands, «guarda: c’è un bel posticino là per arenarci. Un fondo di sabbia fina e liscia, senza una ruga; alberi tutt’intorno e fiori che sbocciano come un giardino su quella vecchia nave.»

«Ma una volta arrenati», domandai, «come faremo a rimetterci a galla?»

«Ebbene», rispose lui, «ascolta. A bassa marea, tu porti un cavo a terra, da quell’altra parte; lo avvolgi al tronco d’uno di quei grossi pini; riporti il cavo a bordo, lo avvolgi all’argano, e aspetti l’alta marea. Venuta l’alta marea, tutto l’equipaggio sul cavo ad alare, e il bastimento esce via facile come un olio. E ora, ragazzo mio, attenzione. Siamo vicini al posto, e teniamo troppo abbrivo. Un po’ più a tribordo, così — diritto — a tribordo — a babordo un po’ — diritto — diritto!»

Così egli lanciava i suoi comandi che io eseguivo senza fiatare, finché tutt’a un tratto gridò: «E ora, mio caro, forza!». E io con tutta forza passai la barra al vento, e l’Hispaniola virò rapidamente e corse con alta la verga di prua verso la piatta riva boscosa.

L’eccitazione di queste ultime manovre aveva alquanto allentato la vigilanza da me fino ad allora esercitata con sufficiente attenzione sul quartiermastro. Completamente assorto nell’attesa che la nave toccasse, avevo del tutto dimenticato il pericolo che incombeva su di me, e stavo curvo sul bastingaggio di tribordo a osservare le schiume che si allargavano davanti al tagliamare. Sarei caduto senza un gesto in difesa della mia vita se un’improvvisa inquietudine non m’avesse preso costringendomi a volgere il capo. Avevo forse inteso uno scricchiolio, o forse visto con la coda dell’occhio muoversi l’ombra di lui, o forse ancora fu un moto istintivo come quello del gatto: certo è che quando mi guardai attorno, Hands era lì, vicino a me e che col pugnale nella sua destra.

Credo che tutti e due gettammo un forte grido quando i nostri occhi s’incontrarono: ma mentre il mio era il grido del terrore bianco, il suo era un ruggito di rabbia pari a quello del toro che assale. Egli mi si lanciò contro, e io con un balzo mi portai da lato, verso prua. In quell’atto mollai la barra del timone che si abbatté violentemente a babordo; e fu indubbiamente questo che mi salvò la vita, giacché la barra colpì Hands in pieno petto e lo trattenne per un momento intontito.

Prima ch’egli potesse riaversi io ero al sicuro fuori dell’angolo ove mi aveva serrato, con dinanzi libera tutta la coperta. Giusto di contro all’albero di maestra mi fermai, trassi dalla tasca una pistola, mirai con sangue freddo, quantunque egli già si fosse voltato e mi s’avventasse di nuovo contro, e tirai il grilletto. Il cane cadde, ma né lampo né detonazione seguì: l’umidità marina aveva guastato la polvere. Maledissi la mia negligenza. Come mai non avevo da tanto tempo rinnovato l’esca e la polvere delle mie uniche armi? Non sarei stato come ora un nudo agnello in fuga dinanzi al beccaio.

Sorprendente era la sveltezza con cui, ferito com’era, egli si muoveva, coi suoi capelli grigi spioventi sugli occhi, rosso in viso come il rosso d’una bandiera, ubriaco di precipitazione e di furore. Io non ebbi tempo né, in realtà, molta voglia di provar l’altra pistola, persuaso che sarebbe stato inutile. Una cosa vidi chiaro: che cioè non dovevo limitarmi a indietreggiare, ché altrimenti ben presto egli mi avrebbe respinto e stretto contro la prua, come un istante prima era stato a un pelo dal serrarmi contro la poppa. Una volta così catturato, nove o dieci pollici del pugnale lordo di sangue avrebbero costituito l’ultima mia esperienza da questo lato dell’eternità. Applicai le palme sull’albero di maestra, ch’era di notevole grossezza, e aspettai con tutti i nervi tesi.

Vedendo ch’io mi preparavo a spostarmi, si fermò egli pure, e alcuni momenti si consumarono in finte da parte sua e corrispondenti mosse da parte mia. In simil modo avevo io spesso giocato a casa tra le rocce della Baia della Montagna nera, ma non mai, lo si può credere, con un tal veemente martellare di cuore. Nondimeno, come sto dicendo, era un gioco da ragazzi, e io mi sentivo capace di vincer la partita, contro un marinaio anziano e ferito a una coscia. In verità ero talmente imbaldanzito che mi permisi alcune furtive riflessioni sulla probabile fine della contesa. Ma, mentre mi ritenevo sicuro di poterla tirar molto in lungo, non vedevo alcuna speranza di un definitivo scampo.

Le cose stavano a questo punto, quando all’improvviso l’Hispaniola urtò contro il fondo, vacillò, sfregò un istante con la chiglia la sabbia, e poi, come sotto un potente ceffone, sbandò sulla sinistra, di modo che il ponte fece un angolo di quarantacinque gradi e dai fori degli ombrinali scaturì una mezza tonnellata d’acqua che si allargò come uno stagno fra il mezzo del ponte e il bastingaggio.

Tutti e due noi andammo a gambe levate e quasi insieme ruzzolammo negli ombrinali, mentre il morto dal berretto rosso con le sue braccia sempre stese in croce venne rigido a battere dietro a noi. Eravamo così vicini, che la mia testa cozzò contro il piede del quartiermastro con un botto tale che i miei denti scricchiolarono. Malgrado il colpo e tutto, fui io il primo a rialzarmi, tanto più che a Hands s’era messo di traverso il corpo dell’ucciso. L’improvviso sbandamento della nave aveva reso il ponte inadatto alla corsa: ma bisognava escogitare qualche altro mezzo di evasione, e ciò sull’istante, giacché il mio avversario m’era quasi alle costole. Rapido come il lampo saltai sulle sartie di mezzana, divorai le griselle una dopo l’altra, e non ripresi fiato se non quando mi trovai installato sulla verga di gabbia.

La mia prontezza mi aveva salvato: il pugnale aveva colpito neanche un mezzo piede al disotto di me, mentre io scappavo su, e Israel Hands rimase lì a bocca aperta, la faccia tesa verso di me, proprio come fosse la statua della sorpresa e della delusione.

Poiché l’attimo era mio, non indugiai a cambiar l’innesco alla mia pistola, e appena l’una fu in ordine, mi affrettai, per maggior sicurezza, a vuotar l’altra e ricaricarla da capo.

La mia nuova occupazione sconvolse Hands: egli cominciò a capire che la sorte gli si voltava contro; e dopo una evidente esitazione si issò pesantemente fra le sartie e col pugnale tra i denti incominciò con penosa lentezza a montare. Assai tempo gli ci volle e lamenti a tirarsi dietro la sua gamba ferita; ma prima ch’egli avesse coperto poco più d’un terzo della distanza che ci separava, io avevo tranquillamente terminato i miei preparativi. Allora, con una pistola in ciascuna mano mi rivolsi a lui.

«Un passo di più, mastro Hands, e vi brucio le cervella. I morti non mordono, lo sapete bene», aggiunsi con una risatina.

Di colpo si fermò. Io lessi nelle contrazioni del suo volto gli sforzi ch’egli faceva per riflettere; e il processo era così tardo e laborioso che, forte della mia recuperata sicurezza, detti in uno scoppio di risa. Finalmente, dopo inghiottito una o due volte la saliva, parlò con sulla faccia ancora i segni della stessa estrema perplessità. Dovette, per parlare, togliersi il pugnale dalla bocca, ma non si mosse altrimenti.

«Jim», disse, «vedo che siamo a un brutto punto, tu e io, e ci conviene firmare la pace. Io t’avrei preso se non fosse stato per quello sbandamento, ma non ho fortuna, io, e vedo che mi tocca ammainare; cosa dura, capisci, per un mastro marinaio come me, di fronte a uno sbarbatello tuo pari, Jim.»

Io bevevo le sue parole sorridendoci sopra, tronfio come un gallo in cima a un muro, quando in un battibaleno la sua mano destra sormontò le sue spalle. Qualche cosa ronzò come una freccia attraverso l’aria; io sentii un urto e poi un lancinante dolore e mi trovai conficcato all’albero per una spalla. Nel bruciore dello spasimo e nella scossa della sorpresa — non posso dire se al tutto di mia volontà ma sono comunque certo che non mirai — tutt’e due le mie pistole scattarono, e tutt’e due mi caddero di mano. Esse non caddero sole: con un grido soffocato il quartiermastro lasciò andare le sartie, e piombò in mare a capofitto.