L'uomo delinquente/Parte quarta/I

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Capitolo 1. Pazzo morale

L'uomo delinquente/Parte terza/VIII L'uomo delinquente/Parte quinta/I IncludiIntestazione 12 maggio 2012 75% Criminologia

Parte terza - VIII Parte quinta - I

1. Analogie biologiche del pazzo morale col delinquente. — 2. Analogie psichiche e morali. — 3. Differenze vere e apparenti.


Schizzata così la figura del criminale-nato nei suoi caratteri fisici, biologici e psichici, passiamo a quella del pazzo morale e dell’epilettico.

1. La pazzia morale o monomania affettiva dell’Esquirol, mania senza delirio del Pinel, o pazzia ragionante, o imbecillità morale, consiste, come denota il nome, in un’alterazione del senso morale, che può giungere sino alla sua assoluta mancanza. Per molto tempo essa non costituì in psichiatria un’entità nosologica, ma semplicemente un sintomo di altre numerose alienazioni. Ma ora, come in psichiatria avviene di altre sindromi, quali la paralisi e la demenza, costituisce veramente una specie morbosa a sé, a cui io ho assegnati caratteri nuovi e precisi, che ne disegnano il quadro clinico sulla base dell’epilessia, fondendovi insieme la figura del criminale-nato, dal quale assai più difficile riesce il differenziarlo anziché di provarne l’identità. Sulle prime si proverà certo grande ripugnanza ad accettare la fusione del pazzo morale col delinquente-nato: sia perché siamo avvezzi a considerare il reo di tanto più responsabile di quanto più grande è stata in lui la colpa, sia perché difficilmente si può immaginare altro modo per paralizzarne i malefici oltre quello della pena, la quale evidentemente non si può imporre a un pazzo; eppure l’evidenza s’impone, suffragata da numerose prove.
Prove statistiche. — Una delle prove indirette dell’identità della pazzia morale colla criminalità è la grande scarsezza della prima nei manicomi, e viceversa la sua grande frequenza nelle carceri. Dagonet, sopra 3000 pazzi, non ne vide che 10 o 12 casi. Il Verga sopra 16.856 alienati nel 1880 nei manicomi pubblici d’Italia, contò lo 0,56% di pazzi morali. La quota s’innalza invece nei ricchi dei manicomi privati, dove sopra 585 pazzi si ebbe il 3,9%. Questa differenza giustamente viene dal Verga stesso spiegata con ciò che molti di quei ricchi che entrerebbero nel carcere, vi vengono dopo — e spesso anche prima — del reato, ricoverati dalle famiglie. Invece sopra 960 pazzi delle nostre carceri in 10 anni se n’ebbe ufficialmente, il che vuol dire per una minima frazione del vero, il 5,2%. Inoltre apparve scarsissima questa forma nella donna, appunto come è la criminalità. Prove dirette, e quindi più concludenti, si hanno dalla comunanza di caratteri fisici, biologici e psichici che presentano le due forme. Un certo numero di pazzi morali presenta statura e peso superiori alla media: vi si trovano crani ora voluminosi ora piccolissimi, e con frequenti anomalie craniche e fisionomiche, sclerosi cranica, mandibole e zigomi voluminosi, seni frontali sporgenti fossetta occipitale mediana, fronte sfuggente, orecchie ad ansa, obliquità della faccia, progeneismo, frequenti creste ossee del cranio, denti mal conformati, volta palatina asimmetrica od appiattita, ugola allungata e bifida, ingrandimento ed ineguaglianza delle orecchie, ecc., tutte anomalie che abbiamo riscontrato nei criminali. Inoltre vi si trova quella riunione o aggruppamento da 5, a 6, a 7 caratteri degenerativi che chiamammo tipo criminale, la fisionomia loro presenta però minori anomalie in confronto dei criminali, probabilmente perché gran numero di pazzie morali, almeno nei manicomi, sono insorte in tarda età, per cui essa non ebbe campo di atteggiarsi sinistramente come nei rei-nati. Vi si trovano, come nei criminali, strabismo, nistagmo, tic convulsivi della faccia, atassie, e in modo accentuatissimo l’analgesia e l’anestesia. Io osservai un caso, nella mia pratica privata, di un pazzo morale che con blenorragia acuta continuava a cavalcare e fece un’ascensione alpina. — Il Renaudin narra il caso assai interessante di un giovane, in cui le anomalie della sensibilità variavano con l’anomalia psichica: dapprima buono, si fece ad un tratto stranamente perverso, e allora venne trovato affatto analgesico; poi ritornato, dopo un certo tempo, alla vita di prima, si trovò reintegrata la sua sensibilità cutanea normale. — Tamburini e Seppilli nel celebre studio sullo Sbro..., fratricida, parricida e pazzo morale, lo trovarono analgesico, sicché trapassandogli con uno spillo le carni, la lingua, la fronte, non si destavano segni di dolore. Vi si trovano ancora l’agilità straordinaria, la precocità, l’esagerata libidine seguita da impotenza, i pervertimenti sessuali e la fecondità eccessiva seguita da grande sterilità; fu pure costatata scarsa reazione vasale nelle prove coll’idrosfigmografo fatte sullo Sbro...; e ritardo ed esagerata differenza tra i minimi ed i massimi nella psicometria. Troviamo il tatuaggio con caratteri di oscenità, di diffusione in tutto il corpo, e di vanità criminale, che fanno intravedere insieme una grande insensibilità morale, mentre ricordano le usanze analoghe dei selvaggi e li distinguono dagli altri pazzi. L’estesiometro e l’algometro elettrico ci provano in modo preciso la diminuita sensibilità al dolore e l’ottusità del tatto specie a destra, la quale è pure segno caratteristico dei selvaggi. L’esame dei sensi, ci mostra in mezzo ad ottundimento del gusto e dell’olfatto, una straordinaria acutezza visiva, che si rilega alla grande capacità orbitaria e all’acutezza visiva dei selvaggi. L’esame così della sensibilità meteorica e magnetica come dei riflessi, ci mostra una esagerazione dei riflessi che si rilega non più all’atavismo, ma a una malattia del midollo spinale. Lo studio del ricambio ci mostra la poca variazione della temperatura nelle malattie febbrili, l’aumento dell’acido fosforico in contrasto colla diminuzione d’azoto che ci parlano per fenomeni morbosi. Lo studio della dinamometria così come l’estesiometro ci rivela una forza maggiore a sinistra, così come una maggiore sensibilità a sinistra, carattere prettamente atavico. Le osservazioni e le esperienze col nitrito d’amido ci mostrarono nei rei frequente la mancanza di rossore, che si lega alla scarsa sensibilità e vulnerabilità, e quindi alla loro longevità, al maggior peso, alla scarsa canizie, malgrado si tratti di malati fin dalla nascita. Frequente è nei pazzi morali la forma intermittente. I guardiani dicono che i prigionieri hanno da un tempo all’altro un cattivo momento della giornata in cui divengono intrattabili. Lo stesso diceva Dostojewski dei suoi compagni. Io ho veduto dei casi in cui l’impulsione del pazzo morale era preceduta da un’aura motrice come negli epilettici. Non raramente si nota in essi anche amnesia. Bianchi l’ha osservata in 4 pazzi morali; noi l’osserviamo spesso nei ghiribizzi dei fanciulli.

2. Mancano del tutto del senso morale, mostrando in ciò l’analogia più importante con i rei-nati. «Sono (li descrive Krafft-Ebing), una specie di idioti morali, che non possono elevarsi a comprendere il sentimento morale dovuto all’educazione: questo si arresta alla forma teorica senza tradursi in pratica; sono ciechi morali, perché la loro retina psichica è anestesica. Manca in essi la facoltà di utilizzare nozioni di estetica, di morale, di modo che gli istinti latenti nel fondo di ogni uomo prendono il sopravvento. Le nozioni d’interesse personale dell’utile o dei danno, dedotte dalla logica pura, possono essere normali; donde un freddo egoismo che rinnega il bello, il buono, insofferenza alla sventura altrui e al giudizio degli altri. Se vengono in collisione colla legge l’indifferenza si muta in odio, in vendetta, in ferocia, nella persuasione di essere in diritto di fare il male; o la nozione della colpabilità che hanno in certi casi è affatto astratta e quasi meccanica della legge». « Essi parlano (scrive ancora il Vigna, uno psichiatra spiritualista), frequentemente di ordine, di giustizia, di moralità, di religione, di onore, di patriottismo, di filantropia, ecc. — vocaboli prediletti del loro frasario —, ma ciò che loro manca sì è appunto il sentimento relativo. In questa mancanza si trova la spiegazione dei loro giudizi così strani e contraddittori sui medesimi fatti, e sta la ragione per cui invano si tenta di convincerli dei loro torti, dell’immoralità degli atti, dell’assurdità delle opinioni, dell’ingiustizia delle pretese. Sono individui suscettibili bensì d’una superficiale istruzione intellettiva, ma decisamente ribelli ad una vera educazione morale, la cui base precipua è costituita appunto dal sentimento ». I caratteri morali che riconobbi nel delinquente-nato ripetono esattamente questo quadro. Affettività. — È proprio degli uni e degli altri l’odio per l’odio, anche senza causa, e la vendetta per cause leggerissime. «La Caterina B. (scrive Bonvecchiato) dice male degli altri, specialmente se l’hanno offesa, ma anche di tutte le persone che ha avvicinato. Odia chiunque sia ben voluto, come se ciò fosse un torto fatto a lei; la irrita persino vedere i cani accarezzati dalla gente ». — In Sbro... si vede nascere l’odio, senza alcuna causa, per il fratello e per la madre. — Il Callisto Grandi, un altro tipo caratteristico di pazzo morale, descritto da Livi, Bini e Morselli, seppellisce vivo un fanciullo perché gli tolse i colori e perché gli sporcò il suo tabarro. — Lo Z..., descritto da Legrand de Saulle, tentò di uccidere la madre « perché un essere virile deve saper uccidere i suoi ».
Pervertimento. — E anche le manifestazioni di altruismo che in essi si verificano, come nella pazza morale di cui racconta Hollnder, che tentò il suicidio dopo la morte dell’amica, non sono spesso, come nei delinquenti-nati, che una forma di pervertimento degli affetti, perché l’esagerazione di alcuni di essi è a scapito di quelli che sono più vivi negli altri uomini, come i familiari. Vi è, del resto, un pervertimento anche nella forma con cui questo altruismo si manifesta. — Legrand de Saulle ci narra di una madre che per preservare il figlio dalla sifilide, lo istradava man mano essa stessa all’amore carnale; rimastane gravida, volle abortire per non perdere le attrattive della bellezza, e ad ogni rimprovero rispondeva: « Sono assolta da Dio, che è infallibile ». — Con ragioni presso a poco uguali la Caterina N..., studiata da Salemi-Pace, voleva prostituire le figlie perché godessero i piaceri sensuali, e ciò senza proprio vantaggio.
Vanità eccessiva. — In quest’altruismo entra anche l’eccessiva vanità, per cui spendono somme enormi, per esempio, nella carità, per attirarsi la considerazione pubblica ed onori. Che la megalomania, l’eccessiva vanità è propria come dei criminali, così dei pazzi morali. Agnoletti a me disse con serietà che un artista a Milano era occupato nel fargli un busto, come se fosse un grand’uomo, e mi chiese se la Revue des Deux Mondes, ch’io avevo alla mano, si occupasse di lui: la vanità morbosa certo contribuì a fargli scrivere la sua vita con moltissimi dettagli e molta eleganza, nel che si accomuna cogli alienati inclini di scrivere di sé medesimi.
Vanità del delitto. Autobiografia. — E finalmente anche la vanità del delitto, o meglio, lo strano bisogno di esternarlo negli scritti, che abbiamo visto con prove così numerose essere speciale tendenza dei criminali, si è potuta notare da acuti osservatori in alcuni casi in cui la diagnosi di follia morale era indiscutibile; si noti, proprio come nei rei comuni, essa servì a dare un indizio anzi spesso, e qualche volta una spiegazione dei reati. Il pazzo morale Sbro..., dopo aver preso tutte le precauzioni per nascondere il fratricidio e parricidio, scriveva queste linee che lo tradivano: « Qual’è il destino di mia madre, e che morte dovrà fare? Se mi riuscirà, troncarla con arsenico: se no, ed in qual modo? In qual anno morirà, e di che malattia, non sapendosi? Mi riuscirà d’ucciderla, e in che modo, e se di no? Infino a quando dovrà vivere (non potendo succedere ciò?). Come sarà meglio per me unendomi con... o starmi in famiglia, oppure esercitando la milizia? Il destino mio qual’è? Qual era il destino di Enrico, e da chi doveva morire? Verso la morte dì colui, tengo qualche peccato ». Richiestò perché avesse scritto quelle parole, rispose che non aveva potuto far a meno di scriverle. — Un pazzo citato da Maudsley, appena uccisa una fanciulla, si lavò le mani e scrisse nel suo diario: « Uccisa una piccola fanciulla: era buona e calda ».
Pigrizia. — In essi vi è pure la pigrizia per il lavoro in contrasto coll’attività esagerata nell’orgia e nel male, proprio come nei rei-nati. Vero è che Schule li dice stranamente eccitabili, con operosità eccessiva alternata ad inerzia, ad indisciplina, a crudeltà, a continua irrequietezza, incontentabilità; ogni tanto pare abbiano raggiunto lo scopo, e si tranquillizzano, ma poi ritornano inquieti, bravi qualche volta nella professione, ma bimbi nella vita. Ma anche questa attività compare ad intermittenze, è infine morbosa, tanto più che si spiega solo nel male, e si trova appunto in non pochi grandi criminali, per esempio, in Lacenaire, in Gasparone, in Alberti, che giunsero ad elevate posizioni sociali.
Spirito d’associazione. — Trovai frequente fra costoro, come appunto nel maggior numero dei criminali, il bisogno di vivere in mezzo alla società, che essi tanto infestano e detestano, specie d’uomini della loro risma. Io ricordo un certo Ros..., che prima strangolò, senza causa, una sua nipotina, poi per vendetta uccise nella mia Clinica un alienato; eppure non poteva vivere isolato, e appena lo misi in cella minacciò, poi tentò di strangolarsi e avrebbe compiuto il suicidio se non l’avessi rimesso in mezzo a coloro cli cui era il perpetuo tormentatore, ma da cui non poteva separarsi. — Un altro certo G..., manifestava questa tendenza in specie per la società criminale, e domandava di essere ricondotto nel car5ere, dove, egli diceva, avrebbe trovato la compagnia prediletta; e lo reclamava con insistenza e con logica: « Se ho rubato, è nel carcere che mi si deve rinviare ». Questo sentimento, poi, prova tanto più l’identità delle due forme, della pazzia morale e della criminalità congenita, perché è noto che gli altri pazzi, salvo gli epilettici, amano di vivere isolati.
Intelligenza. Suoi vari gradi. — Certo essa non è lesa come i sentimenti e gli affetti, ma per quel legame che unisce tutte le funzioni nervose, non è neppure normale. Vi hanno i due eccessi: molti pazzi morali sono quasi imbecilli, moltissimi invece di intelligenza molto viva, ma tale che facilmente va all’assurdo. — Così Agnoletti sentenziava: « Un nome falso, quando lo si è portato altra volta, non è più falso. — La parola d’onore non è più valida quando la si dà a persone indegne. — Atti sottoscritti non han valore quando non siano più in accordo coi sentimenti attuali. — Uno quando non ha rimorsi non è colpevole. — Uccidere il proprio figlio non è delitto quando insieme si uccide sé stesso ». Presentano insomma gradazioni d’intelligenza, che vanno dai semi-imbecilli, come Carlino Grandi, sino ai geni: quali il B..., descritto da Ball, che aveva studiato anatomia per dar colpi più sicuramente mortali: quale Thomas Warmoright, autore degli Essais et critiques, falsario ed avvelenatore; e finalmente il Kriiger, ladro molte volte recidivo, ed abilissimo nell’evadere da manicomi e da galere.
Astuzia, leggerezza, cinismo, menzogna e neofilia. — Ma una ragione per cui tanti credono intatta la loro intelligenza, è perché tutti sono astuti, abilissimi nel compiere i delitti e nel giustificarli; così la Caterina N..., studiata da Salemi-Pace, nega subito il tentativo di corruzione e si giustifica con ciò che temendo di essere colpita dalle figlie voleva aver vicini degli uomini a sua difesa. — Lo Sbro..., e perfino il Grandi, non diedero mai luogo a sospettare per mesi e mesi d’esser loro gli autori dei malefici. — Caterina B..., descritta da Bonvecchiato, per ottenere complici del tribalismo fingeva d’essere paralitica, e sceglieva per assisterla ninfomaniache che potessero compiacerla. — Inoltre hanno una leggerezza di mente e un cinismo che li fa parer brillanti ed acuti, e soprattutto un’abilità somma nella simulazione e nella menzogna. Non di rado hanno vero ingegno che rasenta il genio. I migliori lavori, più singolari e più originali che si fanno nei manicomi, di poesia e di arte con indirizzo nuovo, sono fatti da essi, perché presentano una spiccata neofilia. Morel trova in loro facilità nello scrivere e nel parlare, ma un’accentuata tendenza al paradosso, alla bizzaria e mancanza di senso comune; KrafftEbing li riconosce spesso assurdi, senza prudenza nel compiere atti criminosi, bugiardi, ma tali che finiscono per credere essi stessi veri i fatti che inventano e per attribuirseli.

3. Di fronte a queste molteplici ed evidenti analogie, alcuni psichiatri vollero trovare tra la pazzia morale e la criminalità congenita delle differenze, che a me sembrano insussistenti. Krafft-Ebing ritiene, per esempio, più proprio della pazzia morale non solo l’andamento progressivo del morbo, a cui io contrappongo la così detta sca1a del crimine, ma ancora le affezioni cerebrali, lo strabismo, le anomalie di conformazione dei genitori, ecc.; ma io ho dimostrato che queste anomalie sono comuni anche nei rei-nati, come pure quei caratteri psichici di impulsività, di imprudenza, di crudeltà, di cinismo, che il Pinel attribuisce esclusivamente ai pazzi morali. Krafft-Ebing pretende ancora che i pazzi morali si distinguano dai rei perché sono inetti ad estendere il loro orizzonte intellettuale coll’educazione, per l’assurdità degli atti contrari ai loro interessi e pel sorgere di idee fisse sotto l’influenza della passione. Sta invece il fatto che lo Sbro..., si è modificato sotto l’influenza dell’educazione nel manicomio di Reggio, ed abbiamo visto criminali commettere un reato senza utile, anzi colla certezza del proprio danno, ed accusarsi persino di reati commessi da altri.
Premeditazione. — Si pretende di trovare una differenza nella premeditazione, nella dissimulazione, nell’arte con cui i veri criminali si nascondono, mentre i pazzi morali commetterebbero ogni maleficio all’aperto, quasi avessero il diritto di farlo (Hollnder); ma io ricordo i vanti preventivi del delitto, le spontanee propagazioni che i rei-nati fanno non di rado al primo venuto, mentre d’altra parte poco sopra ho notato in alcuni pazzi morali l’abilissima dissimulazione, che non manca, del resto, anche nei veri alienati. E giova aggiungere che non rare volte i folli morali, come i rei comuni, si preparano l’alibi, premeditano il crimine e lo compiono, associandosi spesso compagni, non per impeto improvviso, ma a scopo dì vendetta e di lucro; ed a tutti gli alienisti è noto quanti guai nascono nei manicomi da costoro, che spingono continuamente al male gli altri, che ingannano e denunciano i superiori e sono sempre inclini ai complotti, mostrando un vero spirito d’associazione.
Forza irresistibile. — Da questa pervertita affettività, da questo odio eccessivo e fin senza causa, da questa mancanza od insufficienza di freni, da queste tendenze ereditarie molteplici, deriva la irresistibilità dei pazzi morali come dei rei-nati. « Essi (scrive di loro Scuhle) hanno un fondo di irritabilità pronto a scoppiare come un vulcano — non possono comandare alla loro volontà, seguono gli impulsi della gelosia, della sensualità senza potervi resistere — sono ingrati, impazienti, vanitosi fino dei loro atti più pravi ». Il Pinel racconta di un pazzo morale che, male educato, s’abitua agli ultimi eccessi; i cavalli che non gli accomodano li uccide: chi gli si oppone in politica è da lui bastonato: contraddetto da una signora, la getta nel pozzo. «Se sapeste, dice la Caty a Bonvecchjato, quante volte giurai di correggermi, ma quando uno resiste fin che può... Dio Stesso non potrebbe domandare di più di quello che gli si può dare ». «In entrambi » scrive il frate Battanoli, parlando dei suoi due pazzi-morali, «si scorge uno sforzo a diventare migliori e l’impotenza a riuscirvi. Mancano di previdenza e di prudenza; inutili a loro tornano i consigli, le ammonizioni, i castighi, e perfino, peggio degli animali domestici, i danni sofferti ». Nella casa di pena di Milano, pochi mesi fa veniva ucciso un guardiano di pasta così dolce, che non era odiato da alcuno dei suoi carcerati. Richiesto l’omicida sul movente del suo delitto, rispose che non aveva alcun odio per lui, ma che si era sentito un bisogno di uccidere e avrebbe colpito anche il direttore se l’avesse incontrato. Era un comune grassatore, figlio d’un brigante — Feliciani incontra per la strada un delegato, col quale non aveva avuto nessun rapporto: gli domanda il nome, e sentito che si chiamava Bianchi, «Ed io, gli grida, ti darò i Neri ». E per questa sola coincidenza lo pugnalava; precisamente come un pellagroso uccise un curato per odio ai croati. Don Vincenzo D’Aragona, dopo l’abolizione delle corporazioni, piantò bottega da libraio. Vendeva i libri poco preziosi, ma dei rari non sapeva disfarsi. In un’asta giudiziaria, un certo Pastot potè, superandolo nella posta, comperare un libro che a lui era carissimo; pochi giorni dopo Pastot e la sua casa erano in fiamme. Di lì a non molti mesi, otto cadaveri si trovarono sulla via, erano studenti agiati, ed avevano i danari indosso. Si arrestò D. Vincenzo, il quale fattosi promettere che i libri suoi prediletti non andrebbero dispersi, ma sibbene raccolti nella Biblioteca di Barcellona, confessò di essersi introdotto da Pastot per portargli via il libro, ed esportatolo, d’averlo strangolato e dato quindi il fuoco alla casa; che un altro giorno un curato volle acquistargli un incunabulo dei più preziosi; egli cercò di dissuadermelo, ma quegli insistette e pagò quanto gli chiese: « Subito pentito, io gli andai dietro per pregarlo di ridarmi il libro. Egli rifiutava ed io lo uccisi, dopo di avergli dato l’assoluzione in extremis. E così accadde degli altri, ma per buona intenzione. Io voleva arricchire la scienza conservandole dei tesori. Se io feci male, facciano di me ciò che si vuole, ma non mi divisavo dai miei libri. Non è giusto di punire questi per me ». Ed al presidente, che gli domandava come avesse potuto por mano sulle creature di Dio: « Gli uomini sono mortali: i libri bisogna conservarli, sono la gloria di Dio ». E non pianse alla condanna a morte: pianse al sentire che un suo esemplare che egli credeva unico non era tale (Despine). La Jeanneret, che avvelenò con atropina e morfina nove persone amiche sue, dalla cui conservazione traeva diretto vantaggio, che piangeva alla morte di ciascuna delle sue vittime, e ne conservava per memoria una ciocca di capelli, contava parenti alienati e suicidi; aveva sofferto di isterismo; s’era fatta cauterizzare, senza bisogno, col ferro rovente, la matrice e la spina; provava un vero bisogno di prendere essa medesima quelle sostanze che somministrava agli altri in dosi mortali. Tutti costoro furono condannati come rei, ma chi non vede in essi che il delitto si confondeva colla forma impulsiva dei pazzi morali? Non già che nei sani sia libera la volontà, come dai metafisici si pensa, ma in essi gli atti sono determinati da motivi, da desideri che non contrastano al benessere sociale, e quando insorgono sono più o meno frenati da altri motivi, come il piacere della lode, il timore della pena, dell’infamia, dalla Chiesa o dall’eredità, o da savie abitudini imposte da una ginnastica morale continuata, motivi che non valgono più pei pazzi morali o pei rei-nati, che quindi segnano la massima delle recidive.
Fusione dei rei-nati coi pazzi morali. — L’analogia, anzi l’identità completa tra il pazzo morale e il delinquente-nato, pone in pace per sempre un dissidio che era continuo tra moralisti, giuristi e psichiatri, anzi fra l’una e l’altra delle scuole psichiatriche, dissidio in cui per strano caso tutti avevano ragione, perché da un lato era giusta l’obiezione che i caratteri che si annettevano al pazzo morale erano quelli dei criminali, come dall’altro era giusto che i caratteri dei delinquenti-nati si riscontrassero esattamente nei pazzi morali. Così si comprende perché uomini, certo rispettabili per dottrina, siansi trovati discordi nel diagnostico di un delinquente e abbiano chiamato criminali individui che erano pazzi o mattoidi, o che concludessero alla diagnosi di pazzia quando si trattava di veri criminali-nati. Il vero è che tutti avevano ragione, perché costoro erano l’uno e l’altro insieme. Ma una fortunata serie di circostanze e l’aiuto di egregi colleghi mi ha spinto un passo più innanzi in questo problema, mostrandomi nel pazzo morale una varietà del delirio epilettoide, quello che dimostrerò nel prossimo capitolo.