L'avaro/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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L'avaro L'autore a chi legge
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AL MIO CARISSIMO AMICO

IL SIGNOR

GIROLAMO MARSAND

Per la Serenissima Repubblica di Venezia

Console in Trieste ed in tutto il Littorale Austriaco.


B
ENEDETTA sia, Amico mio dilettissimo, benedetta sia l’amicizia. Io l’ho sempre stimata e venerata moltissimo, ma voi me l’avete resa vieppiù amabile, vieppiù dilettevole e preziosa. Non v’ha dubbio che l’affetto dell’amicizia non sia tra gli affetti umani il più virtuoso, e giugnerebbe al grado di amor perfetto, s’ei non avesse un certo original difettuzzo, derivando, per quant’io credo, dall’amor proprio. Ragionando fra me sovente sopra l’amore dell’amicizia, ho sempre avuto sospetto che così fosse, pure non ardiva di stabilirne la massima, rispettando il bell’esteriore di un tale affetto, e temendo recargli un’onta ch’esso non meritasse. Permettetemi, amico mio carissimo, ch’io vi dica, essermi finalmente chiarito di non aver pensato fuor di ragione, ed aver toccato con mano essere la più sincera, la più perfetta amicizia, uno de’ più interessati effetti dell’amor proprio. Volete voi sapere con qual mezzo mi sono di ciò illuminato? Ve lo dirò francamente: coll’uso della vostra cara amicizia, e colla dura necessità di doverci dividere ed allontanare. Finchè noi passavamo insieme tranquillamente i giorni in Venezia1, godea nell’amarvi, mi compiaceva di essere da voi amato, era all’affetto unita la stima, e mi parea d’amarvi soltanto perchè avevate il merito di essere amato, e mi parca l’amor mio sì semplice e disinteressato, che avrei difeso l’amore dell’amicizia contro chiunque avesse ardito di minorare il fregio di un affetto sì virtuoso. Accade che presa massima da [p. 390 modifica]codesto Serenissimo eccelso Governo di creare un Console per la prima volta in Trieste, fra i varj concorrenti a sì degno importante carico, foste voi per il merito de’ vostri talenti a pieni voti prescelto. Io allora, per effetto di quella tenera, radicata amicizia che a voi mi legava, dovea esultare e rallegrarmi quanto voi stesso di un bene che vi assicurava e lucro ed onore, e vi apriva un campo per esercitare l’ingegno vostro, e porre in uso quegli studj a’ quali vi siete fin da fanciullo applicato. Eppure, lo credereste? Per quanto trovassi giusto e ragionevole il compiacimento, un certo rammarico mi inquietava, che non mi lasciava gustare quel bene di cui mi rendeva partecipe l’attaccamento. Ma da che procedeva la mia inquietudine? Non da altro al certo, che dal dispiacere di vedervi da me allontanare, dalla perdita della vostra amabile compagnia, dalla privazione della vostra cara presenza. In fatti conversando con voi, trattandovi frequentemente e cambiando fra noi i ragionamenti, le proposizioni, i consigli, io ci trovava il mio piacere non solo, ma il mio interesse. Voi avete una bella mente, un intelletto fecondo, un ingegno pronto e vivace, onde non si può, con voi conversando, che approfittare. So di avervi consigliato in occasioni dubbiose e difficili, e so d’aver riportato buoni suggerimenti ed opportuni pareri. Quanto siete utile nelle serie occasioni, altrettanto riuscite ameno e gentile nelle piacevoli conversazioni. Belle giornate2, giocondissime sere abbiamo insieme passate. Oh quanto deliziosa ed amabile era la compagnia de’ nostri cari comuni amici! Onorevole ricordanza ho di tutti, ma specialmente della rispettabile, ingenua famiglia Cornet, con cui abbiamo fatto, si può dire, la nostra vita parecchi anni3, e dove nulla mancava ad una saggia, cordiale, morigerata conversazione. Voi ne eravate il condimento; Voi promotore di onesti divertimenti; Voi di ottimo gusto nella direzione de’ sociali onorevoli trattamenti; Voi direttore di piacevolissime villeggiature; Voi in somma buon amico, gioviale, [p. 391 modifica]generoso, gentile; e non volete che il perdervi mi rincrescesse? e non volete ch’io dica che nell’amarvi vi ritrovava la mia compiacenza, e che l’amore dell’amicizia viene principalmente originato dall’amor proprio?

Qui voi potreste dubitare a ragione, che essendo ora da voi lontano, non vi ami più, come da vicino vi amava. No, amico, dileguate un tal dubbio; vi amo egualmente, e vi amerò fin ch’io viva. Prima di tutto, qualunque sia la ragione che fatto abbia concepire un affetto, radicato questo nel cuore non si cancella sì facilmente, e si ama per abito, quando una volta si ha bene amato. In secondo luogo, anche nell’amarvi ch’io fo da lontano, l’amor proprio vi ha la sua parte; dicendo fra me medesimo: Io amo un amico che merita di essere amato, un amico che si fa onore nell’onorevole impiego che ora sostiene, che si rende caro alla Patria colla sua abilità, col suo zelo, coll’indefessa attenzione al suo ministero, e che si fa rispettare ed amare, dove risiede, col dolce tratto, collo spirito vivace e coll’animo suo generoso. Finalmente mi fa onore la vostra amicizia, onora il vostro talento le opere mie, profitta il mio nome nelle vostre labbra, e voi contribuite alla mia gloria ed al mio interesse, promovendo con fervore la mia novella edizione, procurandomi de’ rispettabili, copiosi associati, onde ecco soddisfatto anche i amor proprio amandovi com’io faccio, amandovi nella miglior maniera che è a noi permesso d’amare.

Ma voi, amico carissimo, voi che un tempo senza dubbio mi amaste, e mi lusingo che ancor mi amiate, da che vi sentite mosso ad amarmi? Vi ha parte l’amor proprio nella vostra amicizia? Bella domanda in vero! Scusatela, come fatta senza pensarvi. Qual merito ho io, quai pregi, quali attrattive per solleticare il vostro amor proprio? Vi piacciono forse le mie Commedie? e bene, potete compiacervene, senza obbligo di amarmi. Pure io so che mi amate, ed una ragione vi dee essere del vostro amore. Sarà probabilmente la gratitudine. Sapete ch’io vi amo, siete un uomo onesto, e vi credete in debito di corrispondermi. Su via dunque, non vi stancate di farlo: accompagnatemi coll’amor vostro a Parigi, [p. 392 modifica]dove mi porta il mio presente destino4. Se non basta la costanza dell’amor mio ad impegnare la perseveranza del vostro, voglio tentare di costringervi a volermi bene con una nuova testimonianza d’affetto, di stima e di amicizia per voi. Voglio dedicarvi una mia Commedia. Non disprezzate l’offerta. Questo è quanto ho al mondo da offrire a’ miei Padroni, a’ miei cari amici. Se di meglio avessi, di meglio vi esibirei; dunque gradir dovete anche ciò che per se val poco, se per me è quel tutto che dar io posso; e dovete aumentare per me l’affetto, per quel buon genio che in me scorgete di meritarlo, assicurandovi ch’io sono e sarò sempre, per debito, per inclinazione e per amor proprio

Vostro cordialissimo Amico
Carlo Goldoni.


  1. Questa lettera di dedica fu stampata a Venezia l’anno 1762, nel t. IV dell’ed. Pasquali.
  2. Nel testo si legge; Nelle giornate ecc.
  3. Gabriele Cornet, agente a Venezia dell’Elettore di Baviera, e già console veneto a Marsiglia, giunse sulle lagune nel giugno del 1737 (v. Notatorj inediti del Gradenigo. presso il Museo Correr). Nel ’61 gli dedicò Goldoni la commedia delle Morbinose, che troveremo più avanti, e molte lettere affettuose gli scrisse poi dalla Francia (v. Lettere di C. G. per cura di E. Masi. Bologna, 1880).
  4. Il Goldoni, com’è noto, partì da Venezia per Ferrara, alla volta di Francia, ai 15 aprile del 1762.