La Colonia Eritrea/Parte II/Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII

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CAPITOLO XVIII.

(1896)


Forze e condizioni dei due eserciti avversari alla vigilia della battaglia — Necessità per entrambi di una imminente ritirata — Astuzie di Menelik — Baratieri delibera l’attacco — Precedenti e disposizioni.


Le forze italiane che sulla fine di febbraio si trovavano di fronte agli Abissini a Saurià, erano le seguenti:

Brigata Arimondi (1a) 2900 uomini
     »     Da Bormida (2a) 3500      »     
     »     Ellena (3a) 3350      »     
Indigeni e Bande 8300      »     
Batterie da montagna 1200      »      32 cannoni
     »     a tiro rapido 320      »      12      »     
     »     indigeni 400      »      8      »     
Quartiere generale e servizi 150      »           »     

Totale

20120 uomini 52 cannoni.

Un’altra batteria era già in viaggio da Mai Maret a Saurià.

Guardavano le retrovie avanzate da Senafè a Saurià le forze seguenti:

A Mai Maret un reggimento (Di Boccard) 1250 italiani
A Barakit il 17.° battaglione bianco 450     »     
Al passo di Cascassè (col capit. Bernardi) 260     »     
A Adigrat (col maggior Prestinari) 2216 misti,
     (cioè: 56 Ufficiali, 1550 uomini bianchi e 670 indigeni.)

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Nel restante della Colonia e compresi gli uomini addetti ai servizi varii e le bande locali presidiavano:

All’Asmara 1150 uomini (900 bianchi 250 indigeni)
A Keren 550      »      (100      »      450      »     )
A Agordat 1290      »      (40      »      1250      »     )
A Kassala 1545      »      (100      »      1445      »     )
A Adi Ugri 1585      »      (725      »      860      »     )
A Adi qualà 1550      »      tutti indigeni tranne gli uffic.
A Saganeiti 845      »      (700 bianchi 145 indigeni)
A Adi Caiè 700      »      (600      »      100      »     )

Totale

9215

In preparazione a Napoli, in viaggio per Massaua ed in parte già sbarcativi altri 24 battaglioni e 4 batterie, cioè due divisioni di circa 16000 uomini complessivamente.

Le condizioni in cui trovavansi le truppe di Saurià erano militarmente migliorate per la rientrata dei molti reparti già distaccati in difesa delle retrovie; ma in riguardo agli approvigionamenti erano sensibilmente peggiorate.

L’intendenza ripiegata ad Adi Caiè era semiparalizzata dal vuoto fattosi nei magazzini, dalla sempre crescente deficienza di quadrupedi e dallo sconcertato servizio dei conducenti, ed aveva dovuto dichiararsi impotente a garantire il rifornimento giornaliero del corpo d’operazioni; ormai costringendo tanto i soldati bianchi come gli indigeni a razioni ridotte o con generi sostituiti, e raccogliendo tutte le riserve di Mai Maret e Saurià, e quelle in distribuzione alla truppa, non vi erano più di quattro o cinque giornate di vitto assicurato; assai deteriorati erano il vestiario e [p. 206 modifica]l’equipaggiamento, assotigliate o guaste le salmerie dei reparti; lo spirito militare alquanto depresso per le privazioni, la fatica e la lunga attesa; ma non abbattuto e sempre suscettibile d’entusiasmo ad ogni speranza di battaglia: in complesso condizioni gravissime, quasi disperate, ma che tuttavia avrebbero ancora permesso una ordinata ritirata, od una resistenza a Saurià, che tenendo conto degli aiuti benchè imperfetti che si potevano ancora avere dall’Intendenza, avrebbe potuto durare forse anche una settimana.

L’esercito del Negus invece, secondo le informazioni più conformi al vero e secondo quanto poterono poi constatare molti prigionieri italiani trascinati allo Scioa, si trovava nelle condizioni seguenti:

Disposti intorno alla conca d’Adua donde pareva ormai abbandonato ogni tentativo di invasione del Seraè stavano le seguenti forze calcolate al minimo possibile.1

Negus Menelik 25000 fucili 3000 cavalli      32 cann.
Imperatrice Taitù 3000      »      600      »           4      »     
Negus Tecla Haimanot 5000      »           »           »           »           »     
Ras Maconnen 15000      »           »           »           »           »     
» Mangascià e Alula 12000      »           »           »           6      »     
» Mangascià Atichim 6000      »           »           »           »           »     
» Mikael 6000      »      5000      »           »           »     
» Oliè ed altri 8000      »           »           »           »           »     

Totale

80000 fucili 8600 cavalli 42 cann.

E ciò senza contare i ribelli tigrini scorazzanti per retrovie con tanto danno degli italiani. [p. 207 modifica]

Le condizioni d’armamento e di munizionamento erano le migliori che l’esercito abissino avesse mai avuto: fucili quasi tutti a retrocarica e buoni, di modello Gras, Lebel e Martini; moltissimi Remington; cannoni a tiro rapido di recentissimo tipo condotti in Abissinia dal famoso Chefneux, e che vincevano in portata e perfezione, come si vide a Makallè, quelli italiani.

Oltre all’immenso numero di fucilieri, cavalieri, artiglieri, non si teme d’esagerare affermando che seguivano l’esercito non meno di altre ventimila persone armate di sole lancie e di scudi, ed anche disarmati, pronte a sostituire i vuoti nelle file durante la battaglia, e nei campi e nelle marcie dedicate assieme alle donne ed ai fanciulli ai servizi di vettovagliamento, ai trasporti dei bagagli ed a condurre le salmerie.

Era insomma uno dei più grandi eserciti che l’Abissinia abbia mai messo insieme, e ciò si giustifica dalla sua più grande e completa unione politica raggiunta.

Ma le condizioni del vettovagliamento per un ammasso di tante genti che stavano riunite da sì lungo tempo si erano fatte forse più critiche che per gli italiani. Esaurite le provviste portate per obbligo dai soldati, e quelle requisite dai capi, e le grandi carovane di vettovaglie e di bestiame condotte dal Negus e preparate coi sanguinosi zemeccià tra i Galla ed i Wollamo, gli Abissini per provvedere al loro sostentamento erano costretti a continue razzie che desolavano il Tigrè e ne avevano ormai esaurito ogni risorsa. [p. 208 modifica]

È ormai assodato dalla testimonianza concorde di tutti coloro che poterono conoscere da vicino le vere condizioni dell’esercito scioano, che esso non avrebbe potuto mantenersi riunito ancora per più di tre o quattro giorni, dopo dei quali sarebbe stato costretto a dissolversi per la fame; e ciò è comprovato oltre che dalla rinunzia all’invasione del Seraè, dallo stesso ripiegamento su Adua e dalle necessità che, dopo la vittoria, malgrado le prede fatte e le razzie moltiplicate quando più non premeva il pericolo di fronte, indussero quasi subito il Negus e molti altri capi alla ritirata.

Erano queste suppergiù le condizioni dei due eserciti avversari; cioè, per riguardo alle forze che si fronteggiavano, immensamente superiori gli Scioani che stavano agli Italiani come 5 sta a 1; superiori questi nella qualità dell’armamento in generale, ma bene armati e muniti di numerosa e buona artiglieria anche i nemici; entrambi allo stremo di viveri ed obbligati ad una imminente e inevitabile ritirata.

La quale però ripugnava tanto a Menelik quanto a Baratieri, perchè il programma di entrambi non era ancora stato svolto completamente e specialmente quello del secondo aveva avuto già un’esordio tutt’altro che soddisfacente per l’Italia e pel Comandante in Capo.

Per ultimarlo con successo Menelik che non poteva più resistere e non aveva forza di assalire, ricorse alle astuzie e stando nascosto nella conca d’Adua si diede a far divulgare false notizie di ritirate, di sbandamenti, di ribellioni [p. 209 modifica]e di scissioni nel suo esercito per allettare e trarre in inganno Baratieri, promettendo perfino un premio a chi lo avesse indotto all’attacco; ed il Generale italiano che per tanto tempo aveva saputo temporeggiare con lode, frenando gli impeti della sua ambizione, domando gli scatti per le patite offese, resistendo alla spinta dei capi dipendenti e delle truppe anelanti alla battaglia ed ai desideri del Governo e della patria che aspettavano una vittoria, dopo aver tentennato alquanto, ed anzi predisposto un’altra volta e poi abbandonato pel mattino del 28 febbraio un principio di ritirata, finì per prestarsi al gioco dell’avversario, deliberando fatalmente di muovere all’attacco.

Che cosa era avvenuto? Perchè questo repentino cambiamento di vedute, d’intenti e di mosse?

Il generale Baratieri giustificò la fatale sua risoluzione colle seguenti ragioni:

1.° Le informazioni avute intorno al nemico affermavano concordi che Menelik e Taitù eransi recati ad Axum con molti seguaci; che molte truppe si erano allontanate da Adua per far razzie, ed altre eransi già messe in viaggio per ritornare allo Scioa; che erano scoppiati dei dissidii fra i capi e che il Re del Goggiam e ras Oliè avevano dichiarato che in caso di battaglia non si sarebbero battuti.

2.° Intorno a Saurià dopo la rientrata di Stevani, Valli e Oddone coi loro reparti, si erano nuovamente concentrate le maggiori forze [p. 210 modifica]combattenti che potessero nutrirsi e manovrare in quella regione; e che le difficoltà gravissime del vettovagliamento imponevano la necessità di avanzare o di retrocedere.

3.° Un’avanzata coronata dal successo poteva aprire la nuova linea di rifornimento per Adi Ugri-Asmara, ove erano già preparati copiosi depositi di vettovaglie.

4.° Una ritirata avrebbe avuto conseguenze materiali e morali disastrose; imposto l’abbandono dell’Agamè e l’isolamento del presidio di Adigrat, fatta scoppiare la ribellione anche fra gli indigeni e prodotto una penosissima impressione nell’animo delle truppe.

5.° Una risoluzione immediata si imponeva anche per la necessità di poter poi pensare al soccorso di Kassala, intorno alla quale fino dal 22 erano avvenuti degli attacchi di dervisci, e poscia si era stabilito un grosso corpo nemico che minacciava l’occidente della Colonia.

6.° In un consiglio di generali tenuto la sera del 28 febbraio sotto la tenda del Comandante in capo, tutti i quattro Comandanti di brigata e lo stesso Capo di stato maggiore si erano dimostrati assolutamente contrari alla ritirata e favorevoli invece per l’attacco.

Come si vede, queste ragioni sono tutt’altro che cattive; disgraziatamente però quella principale che da sola poteva determinare l’opportunità di tentare un colpo contro il nemico, cioè quella riferentesi alle informazioni concordi sul campo nemico, era completamente basata sul falso. [p. 211 modifica]

La gita di Menelik e di Taitù ad Axum, la ritirata e lo sbandamento di altre truppe, nonchè le ribellioni di Tecla Haimanot, di Oliè e di altri capi non erano che fiabe messe in giro da Menelik per trarre in inganno il Comandante italiano; e riesce strano che questi abbia potuto avere tali informazioni come tutte concordi e che le abbia credute con tanta facilità.

Era possibile un propalamento di notizie così assurde senza che da nessuna parte venisse qualche smentita? Che tutti i nostri informatori si prestassero a fare il giuoco di Menelik?

Può darsi; ma non per questo è meno biasimevole quella buona fede del Governatore, che sull’asserzione di informatori che non ne avevano mai indovinato una, che arrivavano sempre con notizie nebulose, incerte ed in ritardo, gli faceva esporre le sorti della Colonia e delle truppe ad un supremo cimento.

Sta il fatto della strettezza dei viveri che, se non immediata, imponeva certo una prossima risoluzione; era giusta la speranza di poter aprire una nuova via di rifornimento da Adi-Ugri, ben fornita di materiali, più facile e più breve; è vero che la ritirata avrebbe imbaldanzito il nemico, demoralizzate le nostre truppe ed eccitata la ribellione per lo meno nell’Okulè-Kusai e forse anche nel Seraè e costretto ad un isolamento doloroso il presidio di Adigrat, qualora non si fosse preferito di ritirarlo; vero anche che necessitava provvedere a Kassala, sebbene questa potesse più facilmente [p. 212 modifica]soccorrersi coi nuovi rinforzi che sbarcavano a Massaua; ma queste non erano sufficienti ragioni per far scegliere l’avanzata piuttosto che la ritirata.

Relativamente poi al parere espresso dai Generali e dal Capo di stato maggiore, si capisce poi come anch’essi subendo il fascino delle lusinghiere informazioni loro esposte dal Comandante in capo che le aveva raccolte, si siano espressi favorevolmente all’attacco; tanto più che tutto l’ambiente di Saurià era saturo di sentimenti belligeri, incominciando dai capi e fino ai soldati; ed anche perchè a certi quesiti che parlano di battaglia un inferiore non dice mai no2.

Ecco come il generale Ellena nella sua deposizione fatta al Tribunale di Asmara narra del convegno dei generali.


TRIBUNALE MILITARE DI ROMA.

Deposizione del maggior generale Ellena cav. Giuseppe


Pag. 185 degli Atti processuali dell’Istruttoria a Massaua


. . . . . . . . . .

D. Se sappia le ragioni per le quali il generale Baratieri si decide improvvisamente nel 29 febbraio ad attaccare gli Scioani, se ebbe occasione di esprimere al generale Baratieri la sua opinione relativamente a questo attacco e se sappia che la esprimessero altri generali od ufficiali superiori.

R. «A tutto rigore non posso dire di conoscere tutte le ragioni che possono aver indotto il generale Baratieri nella sera del 29 febbraio ad ordinare la marcia sull’accampamento scioano e conseguente attacco. Conosco solamente le [p. 213 modifica]ragioni che furono svolte la sera del 28 febbraio in una riunione che il prefato Generale tenne coi quattro generali comandanti di brigata, presente il capo di stato maggiore colonnello Valenzano. Premetto che durante la mia permanenza al campo, il generale Baratieri aveva già due altre volte ricevuto i suddetti generali per intrattenerli sulle grandi difficoltà che si incontravano nel servizio di vettovagliamento e per accennare alla possibilità che venisse ordinata una ritirata su qualche posizione più prossima alle fonti del vettovagliamento ed aveva dichiarato che la riunione non era un consiglio di guerra ma bensì una discussione con scambi di idee, dopo la quale egli, che solo aveva la responsabilità di tutto, avrebbe preso le sue decisioni.

«La sera del 28 febbraio, poco dopo le ore diciasette, fu tenuta la riunione cui ho sopra accennato. Il generale Baratieri espose che il servizio viveri era assicurato fino al giorno 2 marzo, o tutt’al più fino al giorno successivo, dopo il quale non potevasi più sperare in modo assoluto di poter provvedere all’alimentazione della truppa: che perciò si imponeva la necessità di un provvedimento, il quale poteva essere una ritirata verso la conca di Senafè, od anche ad Adi Cajè, se pure nell’effettuare la ritirata non si presentava la convenienza di retrocedere addirittura sino all’Asmara.

«Prese allora per primo la parola il generale Dabormida, il quale esclamò: «Ritirarsi mai!» e convalidò la sua opinione con le seguenti tre ragioni essenziali: Primo che in Italia non si sarebbe compreso una ritirata perchè il Paese avrebbe preferito perdere in una battaglia due o tremila uomini piuttosto che andar incontro ad una ritirata che le sarebbe parsa disonorevole; secondo che la ritirata avrebbe straordinariamente depresso il morale dei nostri soldati, con conseguenze gravissime per non dire fatali; terzo che il nemico, sempre bene al corrente dei fatti nostri, assai più numeroso di noi, e più celere nella marcia che le nostre truppe bianche, non avrebbe mancato di attaccarci in marcia in quel giorno ed in quel luogo che gli fosse parso utile, e che perciò noi ci saremmo trovati costretti a combattere nelle condizioni più sfavorevoli, attesa la natura del terreno che ci avrebbe costretto ad un enorme allungamento della nostra colonna. Finì quindi per concludere che era preferibile muovere all’attacco.

«Il generale Albertone, che prese dopo la parola, espresse lo stesso parere del generale Da Bormida ripetendo ragioni analoghe ed aggiungendo che dalle informazioni di indigeni [p. 214 modifica]risultava che una parte dell’esercito scioano era a razziare fuori della conca di Adua, che un’altra parte erasi già mossa verso lo Scioa per ritornare ai proprii paesi. Disse inoltre, sebbene in termini dubbiosi, che due ras si sarebbero astenuti di prender parte al combattimento. Discorrendo poi della posizione occupata dagli Scioani, accennò risultargli che l’accampamento era diviso in due parti alquanto distanti fra di loro, in una delle quali, (la meno lontana da noi) non vi erano che poche forze, quattordici o quindicimila uomini.

«Il generale Arimondi, che fu il terzo a parlare, espresse parere reciso per l’attacco soggiungendo che già si erano lasciate trascorrere due o tre occasioni per eseguirlo.

«Io, che fui quarto a prendere la parola, dichiarai che mi era valso del mio diritto di anzianità di parlar l’ultimo, perchè, giunto da soli dodici giorni al Corpo d’operazione non poteva avere nozioni esatte e complete su tutto quanto si riferiva all’esercito nemico, come forza intrinseca, attitudine, tattica, posizione occupata e che perciò il mio giudizio non poteva essere basato su altro, se non che sulle informazioni e considerazioni svolte dai miei colleghi: in conseguenza davo anche un parere favorevole all’attacco. Nel seguito dei discorsi che si intracciavano mi venne fatto di precisare il mio concetto con queste parole: «radunare il massimo delle forze disponibile e poi andare a cercare il nemico».

«Il generale Baratieri chiuse la riunione con queste parole:

«Il Consiglio è animoso, il nemico è valoroso e disprezza la morte, come è il morale dei nostri soldati?

«— Eccellente, risposero tutti i Comandanti di brigata. Allora fummo congedati con queste parole: «Attendo ulteriori informazioni da informatori che devono arrivare dal campo nemico; avutele prenderò una decisione».

«La sera del ventinove, alle ore diciassette, il generale Baratieri chiamò presso di sè i quattro Comandanti di brigata, comunicò loro la sua decisione di muovere, spiegò mediante uno schizzo topografico l’ordine della marcia ed il piano d’attacco. Si riservò di mandare in breve alle brigate l’ordine scritto, che mi pervenne alle 18 e mezza; e congedò i predetti Comandanti raccomandando loro di persuadere bene la truppa che si trattava di vincere o morire».

Lettura data, conferma e si sottoscrive all’ufficio.

Firmato: Ellena Giuseppe.

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Come si vede dalla predetta deposizione il parere degli interpellati fu effettivamente unanime per l’attacco; ma con tutto ciò non scemasi la responsabilità spettante al Comandante in capo; il quale era il solo ed unico giudice della situazione, era quello a cui l’Italia aveva affidato la suprema ed assoluta direzione delle operazioni di guerra, ed il supremo ed assoluto comando sulla truppa senza bisogno di consigli di consulti.

Alcuni, spinti dallo spirito della partigianeria politica fecero risalire al Ministero e segnatamente a Crispi la responsabilità di questa fatale decisione d’attacco; ma se non ci fosse altro per scagionarlo da si grave accusa basterebbe il fatto che appunto per non impressionare e spingere Baratieri ad un’inconsulto colpo di mano prima di vedersi sfuggire il comando, nominava ed inviava a Massaua con tanta segretezza il nuovo Governatore destinato a sostituirlo.

È poi ben vero che il Ministero e segnatamente Crispi avevano, come l’avevano anche il Parlamento ed il Paese, il desiderio vivissimo di una vittoria che risolvesse per sempre la questione abissina; e che si dimostravano ansiosi di ottenerla respingendo, prima di averla ottenuta, qualsiasi pratica di accomodamento con Menelik; ma ciò era incluso nel programma di rivincita già votato dal Parlamento; ciò era lo scopo degli ingenti sforzi e sacrifici che faceva la patria nel mandar in Africa tante truppe, ciò era richiesto dallo stesso onore dell’Italia e del suo esercito. [p. 216 modifica]

I telegrammi con cui l’onorevole Crispi rimprovera Baratieri dell’avanzata scioana su Ausen, della sorpresa di Seetà e di Alequà e con cui annunzia l’invio dei mortai per sloggiare i nemici dalle loro posizioni ed anche alcuni altri, manifestano bene spesso il vivissimo desiderio e si direbbe quasi l’impazienza febbrile del Ministro nel successo, ma non contengono una sola parola che possa anche menomamente forzare la volontà del Comandante in capo, che è lasciato giudice opportuno de’ suoi movimenti e delle sue mosse ed al quale non è prefisso che lo scopo finale da conseguire.

Con ciò non si viene ad escludere relativamente all’esito della campagna, la responsabilità politica spettante al Governo, la quale come si disse già, gli derivò piuttosto dallo stato di impreparazione politica e militare in cui trovossi l’Italia allo scoppio della guerra e sopra tutto dall’aver avuta e mantenuta fino all’ultimo la fiducia nel generale Baratieri.

Alcuni invece ritennero allora e ritengono ancora oggi, che Baratieri siasi deciso all’attacco per essere venuto a conoscenza della nomina del nuovo Governatore, quantunque da Roma e da Massaua si fosse impedito con sommo rigore la trasmissione telegrafica di tale notizia.

Baratieri durante il suo processo svoltosi poi a Massaua e nel suo libro posteriore di Memorie respinge con isdegno la terribile accusa, che infatti non si potè comprovare da alcuno; anzi egli afferma che se avesse [p. 217 modifica]saputo la sua sostituzione, si sarebbe assolutamente astenuto da ogni iniziativa personale per rimettere con gioia il comando e le gravi responsabilità che lo accompagnavano nelle mani dell’amico e suo superiore in anzianità, al quale era già stato sottoposto altre volte e sotto il quale, esercitando il comando più modesto di comandante di divisione, avrebbe cooperato anche in seguito alla difesa della Colonia, sia ripiegando se ne era il caso, sia seguendolo all’attacco se egli lo ordinava, per vincere o cadere coi compagni d’arme.

Ciò non ostante per taluni il dubbio è rimasto ancora ed è alimentato dalle considerazioni seguenti.

Sebbene il Ministero avesse mantenuto il più rigoroso segreto intorno alla nomina di un nuovo Comandante in Africa, la notizia correva già nella bocca di tutti, circolava già nella Colonia e tra le stesse truppe raccolte a Saurià, e da parecchi giorni l’Agenzia Reuter che aveva abbonati a Massaua l’aveva telegrafata, nominando come successore il generale Pelloux; negli ultimi giorni poi a Massaua stessa erano giunte lettere e telegrammi dirette al generale Baldissera. Ritengono i dubbiosi che una notizia così importante non potesse rimanere occulta e che con qualsiasi mezzo di corrispondenza confidenziale, o convenzionale sia pervenuta all’orecchio del generale Baratieri.

Comunque sia avvenuto, resta il fatto che alla sera del 29 febbraio 1896, Baratieri emanava alle sue truppe l’ordine seguente, corredandolo di un apposito schizzo. [p. 218 modifica]

«Ordine del giorno 29 febbraio N. 87.

«Stasera il corpo d’operazione muove dalla posizione di Sauria in direzione di Adua formato nelle colonne sotto indicate:

«Colonna di destra (Generale Dabormida): 2a brigata fanteria — battaglione di milizia mobile — comando 2a brigata di batteria colle batterie 5a, 6a e 7a.

«Colonna del centro. — (Generale Arimondi): 1a brigata fanteria — 1a compagnia del 5° battaglione indigeni — batterie 8a ed 11a.

«Colonna di sinistra. — (Generale Albertone): quattro battaglioni indigeni — comando della 1a brigata di batterie e batterie 1a, 2a, 3a e 4a.

«Riserva, (Generale Ellena): 3a brigata fanteria — 3a battaglione indigeni — 2 batterie a tiro rapido e compagnia genio.

«Le colonne Dabormida, Arimondi ed Albertone alle ore 21 muoveranno dai rispettivi accampamenti; la riserva muoverà un’ora dopo la coda della colonna centrale.

«La colonna di destra segue la strada colle Zalà, Colle Guidam, colle Rebbi Arienni; la colonna centrale e la riserva la strada Addi-Dicchi, Gandapta, colle Rebbi Arienni; la colonna di sinistra la strada Sauria, Addi-Gheras, colle Chidane Meret; il quartier generale marcia in testa alla riserva.

«Primo obbiettivo; la posizione formata dai colli Mai-Meret e Rebbi Arienni tra monte Semaiata e monte Esciasciò, la cui occupazione verrà fatta dalla colonna Albertone a sinistra, dalla colonna Arimondi al centro e dalla colonna Dabormida a destra. La colonna Arimondi però, ove sieno sufficienti le colonne Albertone e Dabormida, prenderà posizione di aspetto dietro le due brigate predette.

Avvertenze.

«Ogni militare di truppe italiano porterà seco la propria dotazione di cartucce (112), due giornate viveri di riserva, la mantellina, borraccia e tascapane. Per ogni battaglione italiano marceranno al seguito delle truppe riuniti in coda alle singole colonne, due quadrupedi da soma con materiali sanitari e otto con le munizioni di riserva. Tutti i rimanenti quadrupedi da salmerie, con un soldato ogni cinque quadrupedi oltre ai conducenti, un graduato [p. 219 modifica]per battaglione o batteria, un ufficiale subalterno per reggimento fanteria, un capitano per tutte le salmerie (fornito dalla 2a brigata fanteria) si raccoglieranno a Entisciò con la razione viveri prelevata oggi per domani, le trenta cartucce per ogni soldato prelevate oggi dal parco, le tende, le coperte e gli altri materiali non trasportati dai corpi. Tanto le suddette salmerie, quanto la sezione sussistenza, i vari servizi di tappa ed il parco di artiglieria resteranno fermi ad Entisciò, pronti a muovere quando ne riceveranno l’ordine da questo comando, sotto la protezione di un presidio del 7° reggimento fanteria che giungerà stasera da Mai Gabetà. La brigate di artiglieria ed i battaglioni indigeni si regoleranno per le loro salmerie in modo analogo a quanto è detto per i battaglioni italiani.

«Nessuno oltrepassi le punte ed i fiancheggiatori delle colonne.

«Tutte le persone fermate dai drappelli di sicurezza siano inviate al più presto al comando.

«Il direttore dei servizi del genio provvedere per lo stendimento della linea telegrafica al seguito del quartier generale e perchè, appena possibile, questo sia messo in comunicazione colle colonne laterali o antistanti mediante telegrafia ottica.

I comandanti delle varie colonne mandino frequenti avvisi al quartier generale ed alle colonne vicine.

«Il tenente generale          

«Firmato O. Baratieri».     


E così venne decisa la grande battaglia d’Adua che segnò il principio di una nuova fase nella storia coloniale non solo d’Italia ma anche d’Europa.



Fine della Parte II


Note

  1. Queste cifre concordano con quelle che il russo Elez attinse al diario di Leontiew e che costui per esaltare il valore abissino avrà calcolato piuttosto al di sotto che al di sopra del vero.
  2. Dicesi che il maggiore Salsa, sottocapo di stato maggiore, essendo stato interpellato, sia stato il solo ad esprimere parere contrario.