La Colonia Eritrea/Parte III/Capitolo XX

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Capitolo XX

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CAPITOLO XX.

(marzo-giugno 1896)



Effetti della battaglia d’Adua in Italia — Crisi ministeriale — Agitazioni e violenze — Il gabinetto Di Rudinì — Suo programma — Votazione di 140 milioni per continuare la guerra — Baldissera difende la Colonia — Il Negus si ritira — Trattative di pace — Stevani a Kassala — Combattimenti di Monte Mocram e di Tucruf — Baldissera muove alla liberazione di Adigrat — Sua ordinata ed imponente marcia in avanti — I Ras tigrini non ardiscono opporglisi — Sgombro ed abbandono di Adigrat — Liberazione dei prigionieri del Tigrè — Fine della campagna.


La notizia della battaglia d’Adua giunse in Italia così improvvisa ed inaspettata, che sulle prime si stentò perfino a credervi. La popolazione ormai avvezza alla lunga inerzia passiva di Baratieri, che aveva stancati i desideri e gli entusiasmi, e d’altra parte ignara delle vere condizioni del nostro corpo d’operazione, che dopo la spedizione di tanti rinforzi riteneva invincibile, credette quasi che i primi telegrammi fossero una manovra di borsa.

Ma quando poi la terribile verità fu confermata, il paese sentì una tale scossa violenta che gli tolse perfino la misura del dolore.

La tenace opposizione che da qualche tempo era sorta contro la nostra politica coloniale, [p. 266 modifica]da taluni combattuta perchè giudicata ingiusta, da altri perchè pericolosa, e dannosa agli interessi della patria, sotto l’impressione del disastro proruppe e trasmodò in modo formidabile.

Successero dimostrazioni e tumulti in tutta la penisola, che dettero luogo a scene violente ed a rappresaglie. Mestatori e metingai scesi in piazza a trarre loro pro dalla sventura della patria spingevano la popolazione agli eccessi. Si inveì contro la Colonia, contro coloro che la impiantarono, contro quelli che la ampliarono e contro tutti gli africanisti in genere, e si invocò forte il suo abbandono, ricorrendo per meglio riuscirvi anche ad una sottoscrizione nazionale aperta tra le donne italiane, la quale ad onor del vero non diede grandi risultati nè di firme nè di serietà; il parossismo giunse a tale che si tentò perfino di impedire, in alcuni luoghi, colla violenza, la partenza dei treni che trasportavano nuovi rinforzi nella Colonia.

Contro il Governo poi, e specialmente contro i ministri Crispi e Mocenni, ritenuti organizzatori del disastro, e contro Baratieri che ne era stato l’esecutore, non vi fu contumelia od accusa che non fosse lanciata.

Fu insomma uno spettacolo desolante, che per fortuna durò pochissimo, ma che tuttavia, in quel momento gettò una luce sinistra sulla nostra patria.

È ben vero che la parte maggiore e più sana della popolazione seppe sopportare dignitosamente la sventura nazionale, ed [p. 267 modifica]abbondarono i nobili esempi di forza d’animo e di patriotismo, non soltanto fra gli uomini ma anche tra le donne, molte delle quali e mogli e madri di soldati morti od in pericolo nella Colonia, si rifiutarono alla predetta sottoscrizione, respingendola con frasi inspirate ai più nobili ed alti sensi. Ma queste virtù dignitose e silenziose erano sopraffatte dal chiasso violento della via.

Nè va scordato il santo impulso della pietà che fece vibrare tanti cuori. Si istituirono dei numerosi comitati di beneficenza, presieduti dalle persone più nobili d’ambo i sessi, ed in unione alla benemerita Croce Rossa, si raccolsero in breve tempo vistosi soccorsi per le famiglie dei morti e pei feriti, nonchè per i poveri prigionieri che in numero di circa 1500, laceri e scalzi ed in gran parte feriti, venivano spinti come bestie, con un pugno di orzo o ceci abbrustoliti per sostentamento, a preparare l’ingresso trionfale di Menelik ad Adis Abeba.

Al gabinetto Crispi, che dovette dimettersi in seguito alle manifestazioni ostili del paese, il 15 marzo, successe quello formato dal generale Ricotti, che ne diede la presidenza al marchese di Rudinì. Questi, nella seduta del 17 espose subito alla Camera il suo programma relativo all’Africa, annunciando che il Governo avrebbe continuato nelle trattative di pace già iniziate dal Ministero dimissionario, ma che per ottenere dei patti onorevoli e decorosi per l’Italia, aveva frattanto determinato di continuare le ostilità, chiedendo all’uopo [p. 268 modifica]un credito di 140 milioni, in parte per soddisfare agli impegni assunti negli ultimi gravi momenti, ed il resto per provvedere alle esigenze della situazione. Il Presidente del Consiglio dichiarò inoltre che per conto suo era pronto a rinunziare definitivamente al Tigrè ed al protettorato etiopico, e tornò a ribadire il suo concetto antico di una politica coloniale di raccoglimento, lasciando anche intravvedere la possibilità di un prossimo abbandono di Kassala.

Queste dichiarazioni furono una pillola amara per quella Camera che poco prima aveva votato la guerra per la difesa ed il mantenimento del Tigrè; tuttavia il programma del Governo ed il suo credito furono approvati.

Il generale Ricotti, assunte con mano energica le redini della guerra, diede subito un grande impulso alle operazioni militari, e mentre sollevava gli animi sconfortati proclamando in pieno Parlamento che le truppe d’Adua avevano dimostrato ad esuberanza il loro valore, rimanendo per due terzi sul campo di battaglia, e dichiarando che egli si riterrebbe fiero di poterne comandare in guerra delle consimili, esercitava la massima severità verso il generale che le aveva condotte al disastro, sottoponendolo al giudizio di un Tribunale di guerra.

Frattanto il generale Baldissera era sbarcato a Massaua il 4 marzo e vi aveva appreso la terribile notizia della battaglia d’Adua, che gli lasciava una delle più tristi eredità: un corpo d’operazione quasi distrutto e cogli [p. 269 modifica]avanzi in dissoluzione che si raccoglievano feriti e sbandati in varie località; le altre truppe ancora poco organizzate e dibattentisi fra mille difficoltà, e sotto l’impressione del disastro; un presidio di 2000 uomini assediato in Adigrat ad una enorme distanza; l’immenso esercito abissino che da Adua si era già avanzato fino a Mai-Ciò e ad Entisciò donde, spingendo avanguardie verso il Belesa e verso Gundet, minacciava di procedere verso Gura nell’interno della vecchia Colonia; il fermento e le sollevazioni nell’Okulè-Kusai e nel Seraè, e Kassala investita dai Mahdisti. Era lo sfacelo che minacciava l’Eritrea.

Tale stato di cose deve ben aver impressionato il nuovo Governatore, che sperava di trovare tutt’altro al suo giungere in Massaua; tuttavia egli non si perdette d’animo, e conscio della sua posizione e della tremenda responsabilità che pesava sopra di lui, si diede con tutta l’attività delle sue forze e del suo ingegno a scongiurare il pericolo che minacciava l’esistenza stessa della Colonia.

D’ordine del Governo egli inviò subito il maggiore Salsa per intavolare trattative di pace col Negus, ma tutt’altro che fiducioso in esse, pensò invece a porsi in grado di respingerlo.

Fece perciò ripiegare sull’Asmara le truppe raccolte in Adi Caiè o sparse in altri luoghi di frontiera, lasciando come posti avanzati verso il nemico soltanto i presidi di Saganeiti e di Adi Ugri. Poscia si diede a concentrare tutte le truppe disponibili tra Ghinda e [p. 270 modifica]Asmara, quivi raccogliendo anche i superstiti della battaglia d’Adua, dei quali 3260 italiani furono poi inquadrati in nuovi reparti e 3041 indigeni concorsero con nuovi arruolati a ricostituire il 1.° 3.° 6.° 7.° 8.° battaglione indigeni, già rimasti disfatti il 1.° marzo.

In pochi giorni così Baldissera potè avere sotto le mani, escluso il presidio di Adigrat e le truppe dislocate verso Kassala, circa 18000 uomini, che scaglionò in una linea di posizioni tra Baresa, Ghinda, Asmara, Sichet e Auscià, coprendo in tal modo efficacemente Asmara e Saati, e sbarrando le vie che per l’altipiano e pel versante orientale conducono da Gura alle predette località ed a Massaua.

Si diede quindi alacremente a riordinare i servizi d’intendenza, ed a provvedere per l’arrivo e l’equipaggiamento dei nuovi rinforzi, la maggior parte dei quali, la divisione Heusch, erano già in viaggio dalla fine di febbraio, e 3 battaglioni e 3 batterie erano state da lui chieste dopo il suo arrivo nella Colonia.

Ma mentre queste provvide disposizioni riuscivano a migliorare sensibilmente le condizioni militari della Colonia, e le nostre truppe, sotto l’energico impulso del nuovo Governatore, si rianimavano, Menelik arrestò tutto ad un tratto il suo movimento di avanzata verso Gura e, raccoltosi col grosso del suo esercito nel Farras Mai, si disponeva alla ritirata.

Egli aveva certamente constatato che, se anche la fortuna lo aveva sorretto ad Adua, non era però più in grado di sostenere un altro [p. 271 modifica]sforzo consimile. Le grandi perdite ivi subite, la penuria dei viveri, e la paura delle sagge disposizioni di Baldissera, lo costringevano al ritorno, prima che veramente urgesse la stagione delle pioggie; e le notizie dei grandi rinforzi che appunto in quei giorni sbarcavano a Massaua, devono avergli fatto capire che nella giornata del 1.° marzo non era già stata vinta tutta l’Italia, ma soltanto una piccola parte del suo esercito.

Frattanto continuavano le trattative di pace già iniziate da Salsa il giorno 6. Le condizioni che in tal giorno egli potè avere da Menelik imponevano l’abolizione del trattato di Uccialli, lo sgombro immediato di Adigrat, e promettevano pel Tigrè un capo amico dell’Italia che sarebbe stato Maconnen; ma pare che lasciassero dei dubbi sulla concessione della linea di confini del Mareb-Belesa-Muna, nè contenevano la liberazione dei prigionieri. Inoltre furono accompagnate dalle strane pretese di Maconnen che l’Italia non erigesse fortificazioni entro i proprii confini.

Naturalmente queste condizioni non piacquero al Governo italiano, il quale alla sua volta domandò che fosse incluso nel trattato l’obbligo per Menelik di rifiutare qualsiasi protettorato di altra nazione europea.

Ma il Negus non ne volle sapere; ed in un secondo convegno con Salsa al Farras Mai il giorno 16, stendeva per iscritto presso a poco le stesse sue condizioni predette, apponendo al documento, la firma ed il sigillo imperiale come segno dell’ultima sua volontà.

Respinte anche queste dal Governo italiano [p. 272 modifica]Salsa ritornò una terza volta presso il Negus per avere nuove condizioni di pace, ma questa volta oltre che ebbe a stentare assai prima di potersi abboccare con Menelik, già in ritirata presso Makallè, vi fu ricevuto in malo modo ed invitato a restituire anche il documento scritto e sigillato consegnatogli il giorno 16; e poichè egli ne era sprovvisto, fu trattenuto prigioniero e lasciato presso Mangascià.

Così le trattative di pace furono definitivamente rotte; e non rimaneva che da proseguire le ostilità.

Erano frattanto arrivate dall’Italia le truppe di rinforzo della divisione Heusch e gli ultimi 3 battaglioni e 3 batterie chieste da Baldissera, così che si aveva complessivamente nella Colonia una forza di oltre a 41000 uomini.

Baldissera pensò tosto alla riscossa e cominciò col provvedere alla liberazione di Kassala il cui presidio versava in tristi condizioni.

*

L’invasione abissina, contro la nostra Colonia aveva determinato anche l’entrata in campo dei dervisci.

Fino dai primi di dicembre 1895 una missione tigrina spedita da Mangascià era andata a stringere accordo con Ahmed Fadil emiro del Ghedaref per spingerlo contro Kassala; e fin da quel tempo anche Osman Digma si agitava nella Nubia minacciando i nostri confini e le nostre tribù a nord di Kassala.

Le numerose piantagioni di dura che esistevano intorno a Kassala e specialmente quelle [p. 273 modifica]eseguire dal Governatore a Gulusit, Futà e Adarcaiai situate tra alcune diramazioni del Gasc a circa 15 Km. a nord della stessa annunciavano uno splendido raccolto ed avevano eccitato l’avidità dei dervisci che, approfittando dell’occasione propizia, vollero tentare un colpo contro di esse e contro la città.

A compiere l’operazione fù designato dal Kalifa l’emiro Ahmed Fadil che nella prima metà di gennaio potè raccogliere nel Ghedaref un corpo di oltre 5000 fucili e 1000 lancie col quale indi a poco mosse verso Kassala.

Il 22 febbraio l’avanguardia di Ahmed Fadil attaccava di viva forza i posti italiani a guardia della coltivazioni di Gulusit, rimanendone respinta, e tre giorni dopo tutto il corpo dei dervisci accampava presso le predette località formandovi un grande campo trincerato donde si dava a molestare i dintorni.

Le forze italiane che in quel tempo erano scaglionate contro i dervisci consistevano:

a Kassala, alloggiato nel forte Baratieri, il 2.° battaglione indigeni, una sezione artiglieria da montagna, un distaccamento di cannonnieri, genio e sussistenza: in tutto 20 ufficiali, 82 uomini di truppa italiana e 1225 indigeni con 6 pezzi d’artiglieria e 4 mitragliere;

a Sabderat circa 150 uomini tra fanteria, indigeni, telegrafisti e banda di Ali Nurin;

a Ela Dal circa 120 uomini fra irregolari e Chitet;

ad Agordat poco più di 300 uomini tra milizia mobile, cannonnieri e bande;

a Keren circa 600 uomini di diversa specie. [p. 274 modifica]

La prima cura di Baldissera fu di disporre che la carovana mensile, che da Agordat doveva recarsi a fornire di vivere e munizioni Kassala, fosse aumentata da 400 a 600 cammelli, e che fosse scortata dalla maggior parte delle truppe scaglionate lungo la via tra le due località.

La carovana stessa, appena compiuto il rifornimento di Kassala, avrebbe dovuto ritornare indietro trasportando seco ammalati, feriti e famiglie per sgombrare il forte.

Per assicurare questa uscita e per liberare Kassala dall’investimento dei dervisci Baldissera dispose inoltre che un corpo d’operazione composto di 4 battaglioni indigeni (3.° 6.° 7.° 8.°) e di una sezione di artiglieria da montagna, si recasse in soccorso del maggiore Hidalgo, e ne affidò il comando al colonnello Stevani, il quale, per facilitarne ed accelerarne la formazione fece concentrare i varii reparti in Sabderat.

Intanto i dervisci si erano ancor più stretti attorno a Kassala impiantandosi anche a Tucruf a pochi chilometri dalla città; e quindi imprendevano continue razzie e scorrerie intomo spingendosi fino a Sabderat, ove l’8 marzo una loro turba di circa 600 fu respinta dal posto d’osservazione italiano. Tuttavia la carovana il 16 marzo potè entrare felicemente nel forte; ma avendo l’indomani i dervisci occupato la gola del monte Mocram ad est di Kassala, non le fù più possibile di uscirne e si dovette rinunziare allo sgombro progettato. Anzi il giorno 18 i dervisci ritornarono in numero di circa 1300 contro il [p. 275 modifica]nostro posto di Sabderat, sperando di impadronirsi di quella importante posizione che avrebbe preclusa la via di ritirata alla carovana predetta, e rotte le comunicazioni colla Colonia; ma anche questa volta i nostri ascari con pochi uomini del Chitet e della banda di Ali Nurin, ai quali si aggiunsero arditamente quattro telegrafisti italiani, poterono respingere i dervisci cagionando gravi perdite, e salvare così la posizione.

Allora i dervisci si diedero a stringere più d’appresso Kassala, e nella notte del 27 al 28 riuscirono a scavare inosservati diverse linee di trincee a poco più di un Km. tutto intorno al forte, dalle quali cominciarono giornalmente a molestare l’interno.

Da questo momento le condizioni del presidio si fecero criticissime, tanto più che dopo l’arrivo della carovana, sebbene buona parte dei quadrupedi fosse rimasta fuori del forte, questo conteneva 4047 persone, delle quali poco più di un terzo combattenti, e 253 quadrupedi, per cui si rendevano più difficili ancora le operazioni della difesa.

Ma per fortuna dei nostri, non tardarono ad arrivare i soccorsi necessari per rimediare a tali tristi condizioni. Il colonnello Stevani facendo accelerare i movimenti, potè riunire a Sabderat il 31 marzo quasi tutto il suo corpo d’operazione, tranne il 6.° battaglione rimasto indietro di una sola tappa; ed all’indomani, l.° aprile, dopo aver lasciato ordini perchè il predetto battaglione lo seguisse appena fosse possibile, si mise in marcia verso Kassala. [p. 276 modifica]

Kassala è situata in territorio piano sulla riva destra del Gasc (Mareb) a 399 Km. ad ovest, e quasi sullo stesso parallelo di Massaua. La coprono da sud e da est due linee di alture che le distano dai 3 ai 4 Km. e la rinserrano contro il Gasc, formando con esso una specie di rettangolo aperto su un lato minore verso nord ove si stende una vasta pianura. Le alture del lato sud sono denominate Monti di Kassala, quelle del lato est sono formate in parte dalle Cadmie che si distaccano dai precedenti, e in parte dall’isolato Monte Mocram che si eleva sul prolungamento di queste, formando con esse una gola per cui passa la via che da Sabderat conduce a Kassala.

Stevani che aveva potuto prendere per mezzo di lettere e dispacci gli opportuni accordi con Hidalgo, sapendo che la predetta gola era già occupata dal nemico, decise di evitarla girando a nord del Monte Mocram, e così mentre al primo chiaro di luna il forte apriva il fuoco sul fronte sud per attirare l’attenzione dei dervisci verso quella parte, il corpo di rinforzo poteva compiere inosservato il giro predetto, ed alle 3 del 2 aprile penetrava indisturbato in Kassala.

Mezz’ora dopo arrivava presso Monte Mocram anche il 6.° battaglione, e si disponeva già ad occuparne le falde sud-est, quando essendo stato scorto dagli avamposti nemici, fu immediatamente assalito a fucilate.

Il battaglione si difese con grande vigoria e riuscì ad occupare i fianchi e le creste del monte, dando così tempo alle truppe del forte di accorrere in suo aiuto. [p. 277 modifica]

Stevani appena si accorse del combattimento, riunì i quattro battaglioni e le due sezioni d’artiglieria esistenti nel forte ed uscì dirigendosi verso la gola; quivi sostando alquanto e riconosciute al chiarore dell’alba le posizioni occupate dal 6.° battaglione, dispose le altre truppe in linea sulla sua destra e con esse diede l’assalto al nemico.

Il combattimento si fece vivacissimo ed accanito da ambe le parti, ma dopo un’ora di lotta i dervisci in piena rotta dovettero ritirarsi disordinatamente verso Tucruf inseguiti e bersagliati dall’artiglieria e subendo gravissime perdite.

In seguito a questa brillante vittoria, poche ore dopo poteva uscire dal forte la carovana con 500 cammelli ed altrettanti uomini del Chitet, che la sera stessa senza alcun incidente giungevano a Sabderat.

La vittoria di Monte Mocram aveva rotto il blocco di Kassala ed assicurate le comunicazioni colla Colonia, ma non aveva debellati completamente i dervisci, che raccoltisi nel campo trincerato di Tucruf a 3 km. circa a nord della città, avrebbero potuto ritornare ancora all’assalto.

Perciò il colonnello Stevani decise di sloggiarli di là e liberare completamente la piazza da ogni pericolo.

Con questo intendimento, la mattina del 3 aprile verso le ore 6 uscì dal forte coi quattro battaglioni ed i 4 pezzi da montagna disposti in quadrato, dirigendosi verso Tucruf.

Giunto a circa 2 Km. dalle trincee [p. 278 modifica]nemiche, Stevani sostò e cominciò a batterle coll’artiglieria, e poichè esse non davano segno di vita, riprese il movimento facendo degli sbalzi, seguiti dal fuoco, di 200 in 200 metri finchè si fu avvicinato di un’altro Km.

Allora si videro uscire dalle trincee due masse numerose di dervisci che si diedero tosto a tentare un’aggiramento sulla destra. I nostri raddoppiarono il fuoco ed in breve le predette masse dovettero darsi a precipitosa fuga, dirigendosi verso Gulusit.

L’uscita di tanta gente dalle trincee le fece ritenere ormai sgombre, perciò il colonnello Stevani, dopo averle fatte perlustrare da due pattuglie di cavalleria, spintesi fino a pochi passi dalle palizzate che le coprivano senza scorgere alcun indizio di nemico, fece avanzare una compagnia del quadrato per occuparle.

Ma appena questa ebbe percorso circa 300 metri fu accolta da un fuoco violentissimo per parte dei dervisci appostati dietro le trincee credute vuote, così che Stevani per disimpegnarla dovette muovere all’assalto delle trincee stesse con tutte le sue forze.

Tale assalto fu seguito da un combattimento micidialissimo nel quale i nostri che erano allo scoperto ebbero delle perdite gravi, e si videro anche minacciati da oltre a 300 cavalieri dervisci apparsi improvvisamente da tergo.

Davanti al doppio pericolo Stevani fu costretto n ritirarsi ordinatamente in posizione retrostante più coperta e dominante, e quindi schierando le truppe sulle due fronti di [p. 279 modifica]combattimento potè ridurre al silenzio le trincee e disperdere in fuga la cavalleria nemica.

Poscia si ritirava ordinatamente e senza molestie nel forte.

La giornata di Tucruf fu più sanguinosa ed a tutto prima apparve meno decisa di quella del giorno precedente; tuttavia ebbe un risultato molto più grande, perchè mentre il colonnello Stevani si disponeva, per niente scosso, a riprendere nei giorni successivi l’assalto del campo nemico, Ahmed Fadil invece non si sentì più in grado di sostenerlo, e bastarono alcune minaccie di pattuglie e d’artiglieria nei giorni 4 e 5 perchè il nemico abbandonasse spontaneamente i suoi trinceramenti ritirandosi precipitosamente verso Osobri, e lasciando in potere dei nostri armi, feriti e quadrupedi, ciò che veniva a costituire la vittoria completa delle truppe italiane.

La tremenda minaccia che gravava sui confini occidentali della Colonia era ormai sventata; Kassala era alfin libera ed un respiro di sollievo corse per la Colonia e per l’Italia.

Il prode colonnello Stevani che aveva così brillantemente condotte le operazioni militari a lui affidate, dopo aver cambiato il presidio di Kassala, e disposto per la sicurezza della regione secondo le istruzioni avute dal Governatore, ritornava col 2.° e 7° battaglione e con una sezione d’artiglieria a ricongiungersi al corpo principale operante contro il Tigrè.

L’assedio e la liberazione di Kassala avevano costato alle nostre truppe 2 morti e 20 feriti nel forte; 20 morti e 35 feriti nelle [p. 280 modifica]operazioni esterne precedenti ai combattimenti del 2 e 3 aprile, ed in questi ultimi 127 morti e 281 feriti, cioè: un centinaio complessivamente nella giornata di monte Mocram ed il resto in quella di Tucruf1.

I dervisci secondo quanto si potè constatare, perdettero oltre un migliaio di morti e moltissimi feriti.

***

La ritirata ormai accertata del Negus e la liberazione di Kassala vennero a migliorare molto sensibilmente le condizioni politiche e militari della nostra Colonia, ed a permettere al governatore Baldissera di abbandonare la sua posizione difensiva e di spingersi invece all’offensiva movendo alla liberazione di Adigrat assediata dai Ras tigrini.

Questa liberazione che tanto gli stava a cuore e che era tanto necessaria, aveva formato l’oggetto delle sue cure fin dai primi giorni dopo il suo arrivo nella Colonia, nei quali aveva già pensato di tentarla con un colpo di mano improvviso, prima, valendosi dei 5 battaglioni intatti che il colonnello Di Boccard aveva raccolto ad Adi Caiè, poscia affidandone l’impresa al capitano De Bernardis che con circa 700 uomini guardava il passo di Cascassè; ma aveva dovuto rinunziare a questi due tentativi per le gravi difficoltà che quell’operazione presentava specialmente in considerazione dell’ingente numero di feriti e di [p. 281 modifica]ammalati che esistevano nel forte, i quali ne avrebbero reso lungo e penoso lo sgombro, ed anche in riguardo alle condizioni materiali e morali delle truppe che vi si volevano destinare, alquanto scosse dopo la battaglia.

Ora però che Menelik era già in marcia verso lo Scioa e la sua stessa retroguardia con Maconnen si era già spostata fino ad Ausen per seguirne il movimento, e che intorno ad Adigrat non esistevano più che circa 12,000 armati agli ordini di Mangascià, ras Alula, ras Sebath ed Agos Tafari, e solo pochi altri nuclei nemici erano sparsi in altri punti del Tigrè, Baldissera deliberò di muovere verso Adigrat per liberarlo a viva forza.

Dopo gli ultimi rinforzi giunti dall’Italia, le truppe coloniali compreso il presidio assediato di Adigrat ed i reparti e servizi vari non combattenti, avevano raggiunto l’ingente numero di 1301 ufficiali e 41,545 uomini di truppa, di cui circa 7000 tra regolari indigeni e bande, e disponevano di 10,248 quadrupedi.

Di queste forze il generale Baldissera formò un corpo d’operazione composto di due divisioni della forza complessiva di 16,717 uomini agli ordini dei tenenti generali Del Maino (1.°) ed Heusch (2.a) con quattro brigate di fanteria comandate dai maggiori generali Bisesti (1a), Barbieri (2a), Gazzurelli (3a), Mazza (5a), e con due brigate d’artiglieria, ed altri reparti e servizi vari. Dispose inoltre che lo raggiungessero i due battaglioni indigeni 2° e 7° e la sezione d’artiglieria che ritornavano con Stevani da Kassala. Tutte le altre truppe [p. 282 modifica]vennero lasciate dislocate tra Asmara e Massaua e sparse negli altri presidi della Colonia.

Il generale Baldissera dopo di aver fatto in persona dal 24 al 28 marzo accompagnato da 140 uomini una perlustrazione fino a Toconda per riconoscervi e far preparare le strade ed il terreno atto all’avanzamento ed all’accampamento del corpo d’operazione, e dopo aver disposto che la linea di rifornimento delle truppe si dovesse spostare prima dalla strada Saati-Asmara a quella di Saati-Saganeiti e poscia più tardi a quella di Archico-Adi Caiè, il giorno 4 aprile fece avanzare le sue truppe verso Mai Serau e Adi Caiè la quale ultima località fu completamente occupata il giorno 12, riducendovisi lo stesso Comando in capo.

Il generale Baldissera sperava di poter riprendere il movimento in avanti verso la metà di aprile; ma ne fu impedito dalle enormi difficoltà che dopo la sua avanzata su Adi Caiè vennero a turbare il servizio dei viveri, sia per causa della insufficenza e della moria dei quadrupedi, sia perchè gli spostamenti forzati subiti dalla linea di rifornimento avevano cagionato non lieve incaglio nel servizio stesso. Il corpo d’operazione fu quindi costretto a sostare fin quasi al termine di detto mese vivendo alla meglio alla giornata, e ricorrendo a requisizioni ed a ripieghi d’ogni genere anche per rimediare alla deficenza dell’acqua.

Intanto però Baldissera aprofittò della sosta forzata per fortificare le posizioni occupate, migliorare le strade, ed eseguire perlustrazioni [p. 283 modifica]spingendosi personalmente fino a Senafè e quivi distaccando poscia delle truppe del genio per scavarvi dei pozzi.

Verso la fine di aprile poi quando a forza di cure e di sacrifici si era potuto costituire una abbondante riserva di viveri in Adi Caiè, che toglieva la preoccupazione principale per l’avanzata delle truppe, Baldissera dispose per la ripresa della marcia in avanti. Prima però volle sconcertare le forze dei Ras tigrini e trarli in inganno perchè non s’opponessero in massa al movimento del nostro corpo d’operazione, ciò che considerate le intricate e montuose condizioni del suolo e le tortuosissime e alpestri vie da percorrere, e le difficoltà di manovrare e marciar compatti in esse, avrebbe potuto recargli seri imbarazzi.

A tal uopo Baldissera ordinò la costituzione di una colonna di truppe che col 6° e 7° battaglioni bersaglieri, metà del 1° battaglione fanteria, una sezione d’artiglieria, le bande del Seraè ed altre minori, raggiunse la forza di 2210 uomini; e la destinò a fare una dimostrazione su Adua per la via di Adì Ugri-Gundet.

Il comando di detta colonna fù affidato al colonnello Paganini, che raccolte le sue truppe parte in Asmara e parte lungo la via predetta, il giorno 1 maggio potè passare il Mareb colla sua avanguardia.

In pari tempo Baldissera dispose che il tenente Sapelli colle bande dell’Amasen e dell’Okulè Kusai facesse un’altra dimostrazione in direzione di Coatit e di Debra Damo. [p. 284 modifica]

Queste due finte eseguite sul fianco del corpo d’operazione principale ed accompagnate da voci minaciose e da bandi per la popolazione, ottennero l’effetto che ras Alula si recasse immediatamente con circa 2000 armati a coprire Adua e che una parte delle altre forze tigrine disposte intorno ad Adigrat si spostasse verso Debra Damo per chiudere le vie dell’Entisciò e quella cosidetta del Negus, rimanendo in tal modo indebolite e ridotte le forze nemiche rimaste sul fronte, le quali consistevano ormai in poco più di 10,000 fucili, tra gli 8000 di Mangascià campeggiante presso Amba Sion e quelli di Sebath e Agos Tafari sparsi intorno al forte di Adigrat.

Predisposte così le cose, Baldissera iniziò la seconda avanzata spingendosi fino a Senafè che fu occupata negli ultimi giorni di aprile; nei giorni 1 e 2 maggio tutto il corpo di operazione si trasferì fino intorno a Barachit, ed il giorno 3 successivo dopo aver disperso a fucilate alcuni stormi nemici che dal ciglione di Guna-Guna avevano fatto fuoco sui nostri avamposti, riprese il movimento verso la piana di Gullabà, donde con un’imponente marcia in colonna di battaglioni e ad intervalli di spiegamento proseguì ancora spingendosi fino ai monti di Dongollo ed ai villaggi circostanti che furono sgombrati dai ribelli. Il giorno 4 maggio poi mentre il colonnello Stevani ed il generale Gazzurelli occupavano con truppe indigene ed artiglieria i fianchi orientali e meridionali di Dongollo, ricacciandosi innanzi con scambio di fucilate la gente dei Ras tigrini e [p. 285 modifica]mentre la brigata Mazza disperdeva intorno a Mai Maret degli altri nuclei d’armati che molestavano il fianco destro del corpo d’operazione, questo si riduceva a Cherseber ed a Legat già in vista e tosto in comunicazione col forte di Adigrat.

Fu questo un giorno di letizia pel bravo maggiore Prestinari e pel suo valoroso battaglione che da oltre due mesi, così lontani ed isolati dalle truppe sorelle, erano sottoposti alle cure ed alle preoccupazioni snervanti di un assedio lungo, molesto e insidioso che toglieva perfino la speranza di un’aperta lotta col nemico, e che minacciava soltanto il triste epilogo di una resa per fame.

Nè meno grande fu l’entusiasmo col quale l’esercito liberatore raccolse i fratelli di Adigrat, e quello prodotto dalla lieta notizia nella madre patria.

L’esito brillante dell’impresa di Baldissera sollevò gli animi della truppa e della popolazione e fece rinascere la speranza di una rivincita del 1. marzo.

Ma il Governo, al quale il Baldissera si rivolse per chieder ordini, gli significò che essendo la liberazione di Adigrat avvenuta senza una vittoria contro il nemico in campo aperto, non era più il caso di mantenersi in quelle posizioni, e gli ordinò che predisponesse pel loro abbandono.

In seguito a quest’ordine che da taluni fu tanto biasimato perchè videro in esso la rinunzia completa ai frutti dell’opera di Baldissera ed all’Agamè, che ritenevano almeno un [p. 286 modifica]buon pegno per facilitare la liberazione dei prigionieri e ottenere la bramata delimitazione di confini, il generale Baldissera fece incominciare le operazioni per lo sgombro del forte. Prima però di disporre per la ritirata del corpo d’operazioni egli cercò di ritrarre tutti i vantaggi possibili dalle sue posizioni nell’intento di liberare almeno quel centinaio di prigionieri che si sapevano esistenti presso gli spaventati ed annichiliti Ras tigrini.

A tal uopo pubblicò un bando alle popolazioni tigrine invitando i capi a consegnare immediatamente i prigionieri che tenevano e minacciando in caso di rifiuto le più severe rappresaglie; e poichè Sebath cominciò a mentire ed a tergiversare in proposito, Baldissera gli spedì subito contro il colonnello Stevani cogli indigeni, che lo snidarono da Debra Matzo, uccidendogli molti uomini e portandogli via una grande quantità di bestiame.

Poco dopo lo stesso Stevani si recò contro il convento di Debra Damo, covo di ladri e di banditi, allo scopo di indurre quel priore a facilitare la consegna dei prigionieri ed a fornire delle vettovaglie per le nostre truppe, ciò che si ottenne subito.

In pari tempo avendo saputo che il figlio di ras Sebath, degiac Desta, occupava e teneva con molti ribelli la posizione di Amba Debra, Baldissera gli mandava contro le bande del tenente Sapelli, che con brillante combattimento lo sconfiggevano ricacciandolo in fuga. Alcuni villaggi che avevano fatto atto di ostilità contro le nostre truppe furono tosto incendiati. [p. 287 modifica]

Un salutare terrore si sparse subito in tutto il Tigrè, ed anche Mangascià che seguendo gli ordini di Menelik, evitava ogni combattimento ritirandosi qua e là, dovette raccogliere l’intimazione di Baldissera e dimostrarsi pronto ad accordi. In breve Agos Tafari e Sebath si piegarono a consegnare i prigionieri che essi tenevano (due ufficiali e 19 soldati) ed il 18 maggio dopo patteggiata la consegna del forte di Adigrat a ras Mangascià anche i prigionieri che aveva costui (6 ufficiali e 90 uomini di truppa, col maggiore Salsa ed il colonnello Nava) furono liberati. Ottenuto tuttociò, ed ottenuto anche da ras Mangascià che una colonna di nostri soldati del genio agli ordini del tenente colonnello Arimondi, fratello dell’eroe caduto sul monte Raio, si potesse recare sui campi d’Adua a dar pietosa sepoltura ai caduti del 1 marzo, il generale Baldissera iniziò la ritirata del corpo d’operazioni, entro i vecchi confini del Mareb-Belesa-Muna, e poi dispose pel rimpatrio della maggior parte delle truppe.

Così ebbe termine la sfortunata campagna dell’Italia in Africa del 1895-96.

In essa la nostra patria dimostrò una potenzialità economica e militare di veramente grande nazione, ma non ottenne il successo finale perchè i suoi sforzi furono slegati e sconnessi e contristati dagli errori.

Le primitive lesinerie che esposero la nostra patria impreparata a sostenere l’urto scioano, non poterono essere compensate dai successivi graduali sacrifici votati man mano che le sorti [p. 288 modifica]della campagna peggioravano; così che l’Italia alla fine si trovò ad aver speso poco meno di duecento milioni per essere sconfitta, mentre colla stessa somma votata in una sol volta, e in tempo a preparare ed a provvedere alle esigenze della guerra, avrebbe indubbiamente ottenuto il successo.

Come triste epilogo della campagna venne a svolgersi presso il Tribunale militare dell’Asmara il processo già istruito contro Baratieri, che con sentenza delli 15 maggio fu assolto e soltanto dichiarato inetto all’alta carica sostenuta.






Note

  1. Lasciarono la vita a Tucruf i tenenti Panini, Bassetti, Stella e Di Salvio.