La Duchessa di Leyra

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Giovanni Verga

1922 romanzi letteratura La Duchessa di Leyra Intestazione 19 settembre 2008 75% romanzi

I


Ieri all'arrivo del vapore Nettuno con a bordo l'E.mo cardinal Pignatelli, arcivescovo di Palermo, reduce dal Conclave per l'elezione di Pio IX, e S. E. il Ministro Segretario di Stato Principe di Comitini, ed il signor Commendatore Corsi, segretario particolare del Re, si ebbe la grata certezza che S. M. il nostro adorato Signore sarebbe pur giunta a momenti, con la sua àugusta Consorte, co' suoi amabili Figli ed altri Individui della R. Famiglia.

Elevatosi a tale annunzio il solito entusiasmo, accresciuto dalla riconoscenza pel grazioso favore che la M.S. veniva ad impartirle, recando seco i più preziosi Oggetti dell'affezione sua, e pur partecipi del dovuto affetto di questi leali sudditi, l'attenzione pubblica andò subito a rivolgersi verso il mare.

Ma – continuava la "Cerere", gazzetta ufficiale dell'epoca – "ma l'ansietà pubblica non poté essere appagata prima dell'alba di questo giorno ( 11) allorché si scoprirono le vele della Real Flottiglia".

Un nugolo di birri, in gran tenuta, scalmanavasi a mantenere l'entusiasmo dei leali sudditi dietro la doppia fila di "pàgnoli" schierati da Porta Felice al molo. La città scampanava a distesa, la real flottiglia rispondeva a cannonate – un baccano, un polverio, la gente fitta come le mosche alla Marina – bande dei "paesi", stormi di "villani" scesi pel Festino di Santa Rosalia che cominciava allora – e su quel mare di teste, tra le baionette luccicanti, sfilavano in processione i pezzi grossi che "dovevano recarsi ad ossequiare le LL. MM.", magistrati, ufficiali pubblici, uniformi scintillanti di Chiavi d'Oro e staffieri gallonati che dondolavano gravemente, reggendosi alle cinghie, dietro i carrozzoni delle Dame di Corte. La berlina di gala della duchessa di Leyra s'imbatté appunto nell'equipaggio di casa Rio all'uscire di Porta Felice, proprio faccia a faccia, le bestie superbe che si mettevano quasi le gambe addosso, e le due rivali che si salutavano per forza, all'urto dell'improvvisa fermata. Donna Fernanda Rio squadrò dalla testa ai piedi l'insolente che osava prendere il passo su di una Santapaola di Pietrapizzuta. – Casa di Leyra! – Tocca a me ch'ero primo in fila! – Accorse anche don Cosimo il brigadiere vociando e sbracciando quando i due cocchieri stavano già per alzare la frusta. Ma don Leopoldo, fiero dello stemma dei Leyra su cui troneggiava un serpe, diede una vigorosa strappata di redini e passò come un Dio. Donna Fernanda Río scese allo sbarcatoio verde dalla bile. Però era signora nata, lei, e sapeva come starci in mezzo alle sue pari, amiche e parenti, tutte che le facevano festa e se la ridevano sotto il naso.

- Cara!... Bella mia!... – Bella, ormai, ahimè!... Ma aveva un amore di paglia di Firenze che sembrava chiuderle in una carezza il visetto emaciato e fine, e una grand'aria signorile in quelle quattr'ossa vestite da Madama Martin. Poi il casato da cui usciva, la fama stessa dei suoi capricci, e quegli occhi indiavolati che vi piantava in faccia – sempre giovani. Grazie a Dio aveva del sangue nelle vene e più di un'avola discesa dai regi talami. S.E. il Signor Duca di Laurino ín persona corse subito a complimentarla: – Oh, donna Fernanda! Temevo di non vederla arrivare a tempo. Le loro Maestà sbarcheranno a momenti. – Ella rispose con un ghignetto, in cui luccicò la punta del dente indorato: – C'era tanta gente per le strade! Tanti "villani"!

La "villana" era lì, a due passi, bella come un fiore, colle insegne di Dama di Corte e le rosse narici frementi di sdegno; tal-ché l'Intendente, uomo navigato, s'affrettò subito a virare di bordo.

- Certo, certo... l'entusiasmo è sentito... generale...

Ad ogni colpo di cannone infatti la marmaglia, laggiù, tumultuava impaziente e buttavasi fin sotto i cavalli dei gendarmi per accostarsi al padiglione ornato come un trono e brulicante di splendori. L'odore della polvere dava una specie d'ebbrezza, e le signore, un po' pallide anche per l'ora mattutina, sbirciavano sorridenti i bei giovani della Guardia d'Onore che mandavano lampi da ogni bottone.

Il più bello, in quell'assisa, era senza dubbio Pippo Franci, tutto luccicante di tracolle e svolazzante di penne di cappone –"una rivelazione" anche per le ammiratrici che aveva da semplice borghese. S'era vero che filavano il perfetto amore colla Du chessa di Leyra e al teatro Carolino e alla trottata del Foro Borbonico, certo quella fu la volta... Donna Citta Villanis ammiccò alle amiche intorno con un sorriso malizioso mentre la Duchessa andava a prendere il posto che le spettava, in prima fila, al braccio di Sua Eccellenza, inchinata di qua e di là, più rossa delle fucsie che aveva sul cappellino – e passando dinanzi al bel Guardia che presentava l'arma gli scoccò un'occhiata che quasi gli faceva scappar di mano lo squadrone.

- Ehi?... Che fate, perdi... ana! – strillò Sua Eccellenza scansandosi a mala pena.

– Ma nulla non fa, povero Franci! – disse forte la Umido in un certo tono, con quella bocca di serafino, che tutte le altre scoppiarono a ridere. Poiché le dame rimaste in seconda fila erano pure delle prime in paese, e s'annoiavano a farla da spettatrici – e da testimoni anche! – La Rio, la Villanis, la principessa d'Alce, la Solarino di Sammarco – tant'altre mai – tutte che la storia patria la conoscevano, e di Pippo Franci sapevano vita e miracoli – miracoli no, anzi!

- Oh, marchesa! Oh!...

- Eh, caro mio, lo sanno tutti. Da che mondo venite voi? E in primis non state a sentire quello che diciamo tra noi donne. Lascari si ostinò a difendere l'amico Franci per pura cavalleria – ed anche perché aveva dovuto assisterlo in un certo affare, lui e Sciamarra lì presente – un affare gravissimo e gelosissimo, di cui si era parlato al Casino per una settimana, in gran segreto... – Ma sì, che lo sappiamo! – Ma no, che non sapete nulla, cara marchesa. Non ci si taglia la gola fra gentiluomini, per quella che sapete voi... – La principessa d'Alce sussurrò infatti il nome dell'eroina vera dello scandalo all'orecchio di donna Fernanda, la quale fissò il bel Guardia socchiudendo gli occhi – come l'assaporasse. – Sì – confermò la Solarino. Aveva perduto la testa, povera Nina! suo marito stava per fare uno sproposito.

Tutti gli occhi si volsero allora sul gentiluomo di Camera che se ne stava a testa alta fra i suoi pari, fasciato e decorato, faccia a faccia con Pippo Franci, in parata anche lui.

- Però la gola non se l'è tagliata nessuno!

- Eh, se non fosse stato per la polizia!...

- Ah, la polizia!... Sentite, voialtri?...

La Limido era più inebriante dell'odore della polvere, con quel sorriso che le arrovesciava in su il labbro color di rosa, e gli occhi proprio due stelle maliziose. — Poi lo sfarfallio di tufi. quelle bellezze — le fanfare belliche — la pompa marziale — i giovanotti si accaloravano sempre più a discuter d'armi e di cavalleria, sotto agli occhi medesimi del sig. Ministro di Polizia che sorrideva indulgente, a tu per tu con Sciarnarra, il quale ascoltava serio chiuso fino al collo nel soprabito verdone, col castoro buttato all'indietro e facendo la faccia sciocca di spadaccino consumato.

Ma in quella si vide un fuggi fuggi per la Marina, e naturalmente nacque anche un po' di scompiglio fra i personaggi ch'erano ad attendere S. M. il Re (D. G.) e non si sapeva che diavoleria potesse nascere. Fortuna apparve di lì a poco in fondo alla scalinata il faccione rosso di don Cosimo il brigadiere che rassicurò ognuno:

— Niente, Eccellenza. Ubriachi.

Le Guardie d'Onore stettero ferme come rocche in quel frangente, tanto che Sua Eccellenza li felicitò con un cenno del capo, mentre sventolava il fazzolettino bianco per invitare a gridare — Vi-va il Re!

La Real Flottiglia avvolta come un Sinai in un nembo di lampi e tuoni sputava fuoco e fiamme sul popolaccio addensato alla Marina: e come taceva il fragore delle artiglierie, giungeva pure a ondate dalla Cristina il suono grave e lento dell'inno borbonico, su cui palpitava la gran gala di bandiere, al sole — un bel sole di luglio che luccicava sui vetri delle cupole e sulla distesa azzurra da Capo Catalfano a Monte Pellegrino. I capelli biondi della Duchessa di Leyra erano tutti d'oro ed ella tutta rosea sotto il padiglione di velluto cremisi e gli occhi di Pippo Franci che le dicevano tante cose.

— M'ama? — Non m'ama? — Ah, no! — disse forte la Rio, mentre le altre motteggiavano piano. — Ah no, io non mi diverto qui. È un'ora che si fanno aspettare...

Sua Eccellenza si voltò ad ammonirla graziosamente. — Anche lei, donna Fernanda? — Altri dicevano: — Vengono. Vengono! —. E tratto tratto la folla dei magnati agitavasi, ondeggiava essa pure come la marmaglia lì sotto. Ma non giungeva nessuna persona di qualità ormai. Qualche modesto legno da nolo che ferma-vasi dietro il cordone militare, qualche funzionario in ritardo che salutava umilmente tutti, e infine, lemme lemme, a braccetto con l'inseparabile Sarino Rio, don Guglielmo Larocca, il quale do- vette leticare anche con le guardie che non volevano lasciarlo passare.

— Eh, io non cerco di meglio, amici cari. Se non volete io me ne torno a letto volentieri.

Le dame invece se lo rubavano, perché era cattivo come un asino rosso — una lingua d'inferno — impertinente poi! Ed anche perché era nelle migliori grazie di donna Fernanda Rio, come lo era stato, un tempo, della famosa Sammarco, e perfino, dicevasi, di una testa coronata, che gli aveva lasciato in ricordo una bella Ricevitoria. — Oh voi! Oh, Larocca! — Egli grugnì un buongiorno a tutti, s'inchinò a baciare il guanto della sua bella amica, e borbottò:

- Un altro po' mi pigliavo le coltellate anch'io. S'ammazzano laggiù: il vostro cocchiere, credo, con quello della Leyra.

- Bravo. E me lo dite così?

- Come volete che ve lo dica? Già non vi metterete a piangere per il vostro cocchiere.

- E mio marito?

- È rimasto a pigliarsela con quella gente. Non potevo condurvelo per mano, vostro marito. Tirò su il bavero del raglan, pigliandosela per conto suo colla brezza mattutina e colla seccatura che gli capitava, e si piantò come un pascià ín mezzo al crocchio delle sue belle dame, secco, ripicchiato, arcigno, più nero del solito, di capelli e di umore —elegantissimo però, anzi il padre eterno dell'eleganza, come lo chiamavano gl'invidiosi, col castoro sulle ventitré e tanto di sigaro in bocca che faceva tossire la piccola Arcilio.

— O perché avete fatto questa levataccia, se avete il petto tanto delicato? — le disse infine, risolvendosi a buttar via l'avana.

- Oh bella, per vedere. E voi?

- Io è un altro par di maniche. Sono pagato apposta...

E continuò a brontolare, prendendosela ora con la gente che va in giro a seccare il prossimo... — Adesso anche i Re si son messi a viaggiare! Per la venuta di Sua Maestà hanno fatto anche degli arresti, stanotte... Fra gli altri il baronello Sghémberi...

- Ah, povera Amelia!

- Zitti! Non saprà nulla ancora!...

Certo non sapeva nulla ancora la bella Sanfiorenzo, fresca come una rosa, con un abito bouton-d'or (sic) che andava meravigliosamente alla sua figura giapponese, e senza alcuna nube nel sorriso che le stampava una pozzetta nella guancia color d'am-bra – dalla parte del cuore – tanto che Lascari, armato d'una cravatta irresistibile giocava di scherma assai serrato con lei quel giorno – non si sa mai! – Ed essa rideva, rideva, povera bimba – povero Sghémberi...

– Eh, che non si metterà a piangere neppur lei... – rispose La-rocca scrollando le spalle.

- Ma perché l'hanno arrestato? Che ha fatto il baronello Sghémberi?

La principessa d'Alce fermò un momento il signor Ministro di Polizia che si faceva largo nella folla per chiederlo a lui questo perché. Egli si chinò graziosamente a prestar l'orecchio, sorrise, e rispose coll'aria più candida dei suoi begli occhi azzurri:

- Non so, cara principessa. Se ne fanno tante in nome mio! E la piantò per correre alla scaletta d'approdo dov'era una gran ressa. Larocca sogghignò:

- Lui non fa mai nulla. Ora vo a salutare la Leyra per vedere se ne sa qualcosa lei...

- No! Non si può... Vedete! – interruppe la Limido maliziosamente.

Egli rizzò il capo come un cavallo di sangue, colse a volo il delizioso duetto senza parole che cantavano gli occhi della duchessa e di Pippo Franci, guardandosi, e lasciò ricadere la caramella con un moto del ciglio e un – Vedo! Vedo! – ch'erano un poema.

Allora nel brulichio e nel sussurro della attesa risuonò a un tratto uno squillo di tromba, acuto.

Una ventata immensa parve correre sulla folla, fino al Foro Borbonico. Le file dei soldati si fecero come corde, gli ufficiali galoppanti da un capo all'altro, i birri che menavano le mani, e le bande irruppero a suonare tutte insieme all'impazzata. Una baraonda, una confusione, senza più ordine né precedenze, il signor Comandante le armi colla spada presa nei merletti di una donna, il signor Intendente che belava – Prego!... Prego!... –sballottato di qua e di là. Don Cosimo: – Largo! Largo!

Finalmente, nel tumulto, nel pigia pigia, tra l'ondeggiare dei pennacchi e dei cappellini fioriti, apparve il chepì amaranto del Re, messo alla sgherra. Donna Fernanda, combinazione, si era trovata in quella stretta proprio addosso a Pippo Franci – come gli si abbandonasse, molle e profumata, cogli occhi fissi in quelli di lui e le labbra secche. – Così che il poveraccio si sbiancò anch'esso in viso e chinò gli occhi d'aquila. Leí però più ardita, sempre la gran signora che era, gli disse in faccia, mentre le loro Maestà ricevevano i dovuti omaggi:

- Oh, Franci! Finalmente. Un secolo che non ci si vede!

Il caposquadrone volse un'occhiataccia. Don Mariano Larocca invece salutò il bel Guardia con un sorrisetto affettuoso, quasi si avvedesse soltanto allora di lui. Un'ondata di sangue era salita rapida al viso della Leyra, una specie di vertigine, contro cui s'irrigidì, mentre Sua Maestà le chiedeva graziosamente se il Duca fosse indisposto, giacché non era lì.

- Mi dispiace, – tagliò corto poi alle scuse che essa presentava. – Ditegli che mi dispiace di non averlo visto... Oh, la nostra Santapaola!...

Donna Fernanda strisciò la sua bella riverenza, barattò quattro parole colla disinvoltura di una di casa e si mise col seguito, dicendo forte a Franci:

- Sarò in casa anche di sera, subito dopo le feste. Mercoledì, volete?

La duchessa, pallida e fiera, le passò dinanzi, fra le Dame della Regina, senza neppure voltare il capo. Ma a pie' della scalinata dovette fermarsi, perduta nella ressa che travolgeva ogni cosa, il corteo reale come fuggendo in una nuvola di polvere, fra il luccichio dei gendarmi e delle Guardie d'Onore, lasciandosi dietro gli equipaggi del seguito sbandati in un'orda di monelli schiamazzanti, tra la folla che rovesciavasi dalla Kalsa, da Porta Felice e dalle Mura Cattive ancora nere e brulicanti di popolo.

- Se aspettate la vostra carrozza, duchessa, state fresca... – osservò don Mommo che le si era messo alle costole.

Ella trasalì e si rivolse a lui con un sorriso pallido, gli occhi ancora pieni di sogno.

- Oh, Larocca!

- Eccoci soli e abbandonati, signora mia... – Sarino Rio gli faceva dei segni dall'altro lato della banchina. – E me la cerca a me ora sua moglie? – finì stringendosi nelle spalle.

Voleva fermare una carrozza che veniva di corsa, quando ne saltò giù Lascari tutto affannato e si vide scendere dalla scalinata la Sanfiorenzo, più morta che viva, sorretta dalla principessa e da qualche altra amica.

- Poveretta! È venuta a saperlo anche lei... No, non importa, lasciateli andare. Vedete che c'è Lascari? È in buone mani. Piuttosto mando a cercare un legno, qui, in Piazza Marina, e vi accompagno a casa.

Per dire qualche cosa, mentre aspettavano la carrozza, continuò a parlare dell'arresto del baronello Sghémberi, che metteva sossopra la povera Sanfiorenzo – per dirne una – e della Polizia ch'era sossopra anch'essa a caccia di fuorusciti pericolosi che erano tornati di nascosto, per fare un colpo.

- Lo so per sentito dire. Io ho un po' l'orecchio da per tutto. S'interruppe ad un tratto, quasi rammentandosi, e le piantò in faccia gli occhi acuti.

- A proposito, sapete nulla di quel vostro parente ch'era scappato all'estero, a Firenze, credo. E scriveva anche dei libri, poesia mi pare... una testa calda anche quella! Un affar serio! Altro che baronello Sghémberi.

Ella arrossì a quelle parole, quasi il ricordo del passato le fosse rifiorito a un tratto in cuore e in viso; ma subito si fece smorta con un vago sgomento negli occhi affascinati da quelli di lui, rapaci.

– No – diss'egli piano, stringendole la mano più forte che non fosse necessario per aiutarla a montare in carrozza. – Ví sono amico. Voglio esservi amico, ricordatevi.


II



– Ah! Sua Maestà si è degnata?...

Il duca sorrise leggermente così dicendo – lo stesso sorriso altero, il tono stesso di quell'altra che aveva detto "C'era tanti villani per le strade...". Le parve di vederla, proprio!

- Un altro po' di fragole? Non hai mangiato quasi.

- Grazie – rispose lei.

- Povera bella! È toccata a te questa!

La duchessa levò il capo a quel diminutivo carezzevole del suo nome e si guardarono in faccia un istante, vagamente turbati, senza saper perché.

- Chi c'era dei nostri, almeno?... Ah, Larocca! Chissà cosa gli usciva di bocca, eh?

- È stato graziosissimo.

- Con te lo credo bene. – Essa alzò di nuovo gli occhi su di lui, sorpresa, ringraziandolo con l'accenno di un sorriso. – Davvero, se vuoi che t'accompagni a questo ricevimento. Se ti fa piacere.

- Certo, se fa piacere a te... Non per imitare Larocca sai! –aggiunse il duca graziosamente.

- Sì, vieni, te ne prego. Giacché Sua Maestà...

Egli alzò le spalle: – Sua Maestà non se ne accorge neppure. Adesso vede tanta gente...