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La Palingenesi di Roma/La Creazione/V. Svetonio

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V. Svetonio

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La Creazione - IV. Tacito La Distruzione
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V.


SVETONIO.


Per capir bene la svolta a cui arriva, dopo Tacito, la storiografia, sarà bene che ci rifacciamo un momento da capo.

Gli annalisti arcaici, che non pensarono all’arte, intesero la storia come uno dei loro tanti doveri civili. Poi, con Sallustio e Livio, il fine artistico si mescola a quello morale e politico; ma siccome nella vita dell’uomo si considerava solo la parte sociale e pubblica, trascurando la privata e vera del tutto, anche la psicologia e la morale si occupano di lui in quanto è cittadino romano, e perciò sono generiche e un po’ esteriori. Ma poi a poco a poco l’uomo prevale anche nella storiografia romana sul cittadino, ed ai tempi di Tacito si osservano già due correnti. Una, quella impersonata da Tacito, il quale, pur conservando la nobiltà di intendimenti, e la dignità stilistica degli antichi, ha già una tesi particolare da dimostrare, una verità da gridare; e per arrivare ai suoi fini, abbandonando la tradizione [p. 42 modifica] della psicologia e della morale civile, basa la sua storia sulla psicologia e la morale personale; — e ridando all’uomo come uomo una grande importanza ne toglie molto all’uomo come cittadino. L’altra è quella di cui egli stesso si lagna, che si può considerare come l’estrema esagerazione della storia personale: la storia anedottica, scritta specialmente per divertire, e questa fa capo a Svetonio.

Svetonio era un uomo di mondo che leggeva molto, osservava molto, conosceva tutte le persone intelligenti della capitale, e che, essendo stato segretario di Adriano — l’imperatore intellettuale ed esteta -— ebbe la fortuna di poter leggere dei documenti ignoti a tutti e seppe sfruttarli con intelligenza. La sua vita dei Cesari è l’opera più famosa giunta a noi di questo genere nuovo. Svetonio non dispone gli avvenimenti nell’ordine cronologico, secondo i canoni prestabiliti; non conosce retorica, non si abbandona a concezioni politiche e considerazioni generali, nè pretende mai di far lezione. Invece, nella sua storia abbondano gli aneddoti, raccontati con semplicità, senza preoccupazioni di fare effetto o di disegnare grandi quadri; i documenti originali, specialmente le lettere, quando possono illuminare un personaggio; le facezie e le spiritosaggini che la leggenda gli mette in bocca a quelle inventate su di lui. Sono enumerati i monumenti che il personaggio ha costruiti o riparati, i giochi che ha dati al popolo; e non sono dimenticati mai nè i segni che annunziarono la sua morte nè i connotati fìsici. C’è sempre un ritratto [p. 43 modifica] dell’imperatore dove dall’altezza della statua al colore degli occhi non è saltato un particolare. Svetonio ci confida senza scrupoli che Cesare rialzava i capelli sulla testa per nascondere la sua calvizia; che Claudio sbavava e dondolava il capo parlando; che Domiziano, bello da giovane, era in vecchiaia afflitto da un ventre enorme, con due gambe magre e tremanti. La morale civica non ha più importanza rispetto a quella privata. Anzi lo stesso scopo morale si perde, per lasciar posto alla curiosità, all’interesse, alla novità; cosicché Tacito è l’ultimo grande storico classico e il primo della nuova corrente anticlassica: altro segno a cui si riconosce l’epoca di transizione. Dopo Svetonio tutti gli infiniti storici che fiorirono hanno seguito più o meno il metodo svetoniano. La corruzione era penetrata nelle midolla della storiografia, e la malattia non tardò a venire.

Eppure, se pensiamo alle centinaia di storici dei quali ci è stato tramandato il nome, alla scarsezza di quelli che sono giunti a noi anche con l’opera, e alle lacune dei testi conservati, rispetto al numero di quelli iscritti, non possiamo non essere profondamente meravigliati.

Perchè della storiografia, che è forse il genere letterario più fecondo della latinità, ci sono rimasti così scarsi frammenti? Chi è responsabile di questa immensa distruzione?