La Palingenesi di Roma/La Rinascita/IV. Lo Stato-Dio in Livio e nel Machiavelli

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IV. Lo Stato-Dio in Livio e nel Machiavelli

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IV. Lo Stato-Dio in Livio e nel Machiavelli
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IV.


LO STATO-DIO IN LIVIO E NEL MACHIAVELLI.


Quella che balza fuori ad un tratto nell’opera del Machiavelli dallo studio degli storici antichi e massime di Tito Livio è dunque la dottrina dello Stato-Dio, la cui prosperità e potenza è lo scopo supremo al quale ogni altro interesse, anche la religione, è subordinato. Che Livio sia stato il grande ispiratore di questa dottrina, non è meraviglia. I suoi annali sono una divinizzazione di Roma come Stato e come Repubblica, sono la storia di un popolo, arrivato ad una potenza quasi sovrumana, servendo lo Stato come una divinità, immolando ogni altro bene, o diritto e aspirazione al suo bene. In tutto il passato, che egli era in grado di conoscere, il Machiavelli non poteva trovare un modello più alto, più completo, più grandioso di Stato, che trova in sè stesso il suo scopo e la sua perfezione. Ed il modello gli parve così sublime che egli volle centuplicarlo in un numero infinito di imitazioni spicciole.

Se in Livio questa subordinazione universale allo [p. 104 modifica] Stato-Dio poteva essere giustificata dalla grandezza straordinaria di Roma e dal meraviglioso destino che l’aspettava, il Machiavell ne fa la legge di tutti gli stati, grandi e piccoli, gloriosi ed oscuri. Ogni repubblichetta ed ogni principato doveva tentare di essere, quanto poteva, una piccola Roma, innamorata solo di sè stessa ed aspirante alla propria divinizzazione se non in cospetto dell’universo e dei posteri, almeno nella piccola cerchia in cui doveva vivere e operare.

Senonchè, così facendo, il Machiavell percorreva con un balzo formidabile quella che doveva essere la lenta evoluzione di tre secoli; e trascinava nel suo balzo anche Livio.

Senza dubbio, la concezione medioevale dello Stato e della storia che aveva avuto in S. Agostino il suo grande filosofo e che poneva in Dio il termine della perfezione dei singoli uomini come degli Stati, era al principio del secolo XVI molto indebolita. Se no, il Machiavelli sarebbe finito sul rogo.

A poco a poco i tempi si incamminavano di nuovo verso la concezione pagana dello Stato-Dio. Ma lentamente e non con la furia del Machiavelli, perchè le dottrine e le istituzioni medioevali, per quanto indebolite, erano abbastanza forti da resistere ancora ai più violenti attacchi dottrinali dei dialettici razionalisti.

D’altra parte, Tito Livio era lo storico della Repubblica; e con il Cinquecento incomincia dappertutto, ma in Italia particolarmente, la decadenza [p. 105 modifica] delle repubbliche. Molte repubbliche cadono, e con essa si affievolisce anche l’ammirazione per lo storico delle Deche, il quale ebbe nel Nardi — un antico ammiratore e discepolo del Savonarola, ritirato a Venezia — l’ultimo traduttore.

A poco a poco Livio è considerato come un gonfio e retorico panegirista di una Repubblica immaginaria, scrittore pregevole per lo stile, ma di poco merito per la sostanza.