La Stampa - Anno XXXIX, n. 60/La padrona

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Maria Antonietta Torriani

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La Stampa - Anno XXXIX, n. 60

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Idee, persone e cose


La padrona


Lettera aperta a Matilde Serao


Cara Matilde

Da parecchi anni non scrivevo più un articolo, e chissà per quanto non ne scriverò ancora. Ci voleva il tuo nome sotto uno scritto che ha ferito profondamente il mio sentimento di giustizia ed il caro ricordo della tua animabuona, tanto in disaccordo con la crudeltà delle tue parole, per farmi riprendere la penna abbandonata

Ti sia questa una prova della mia antica, ed inalterata amicizia.- Tu hai parlato della serva. Io parlerò della padrona. Non per fare il processo alla padrona in genere, perchè ne conosco tante piene di indulgenza, di evangelica bontà come lo sei tu stessa. Ma osserverò i suoi rapporti con la serva ed il grado di influenza che l'una può aver su l'altra.

La padrona! La parola è ugualmente brutta, perché nel mondo evoluto, nella umanità umana, non vi dovrebbero essere né servi né padroni; ma soltanto creature uguali annanzi alla natura ed alla giustizia, creature che si amino fraternamente e si aiutino a vicenda.

Serva e padrona stringono un contratto. Una dà l'opera sua, obbedienza cieca, rispetto e sottomissione, e tutte le sue ore del giorno e della notte, il che vuol dire la sua libertà. L'altra dà in compenso un salario, l'alloggio, il vitto, e la concessione di qualche ora libera in un dato giorno della settimana; Non vi sono implorazioni né elemosine da nessuna parte. Sono pari.

Ma non è pari la loro sorte.

Vi sono padrone che esigono dalle serve fatiche superiori alle loro forze di donne. Intere giornate in piedi a stirare, salite dalla cantina ad un terzo o quarto piano con un carico di carbone ... Ve ne sono che misurano loro la porzione nel piatto, e tengono sotto chiave gli avanzi di credenza e le provviste.

Ve ne sono che trattano la serva con alterigia e credono molto nobile il non rivolgerle mai la parola. Ve ne sono che le impongono un dato vestire dimesso, e guai se la serva, col frutto delle sue fatiche, si permette qualche fronzolo, povera concessione alle sue ambizioni giovanili.

Le serve debbono parlar sempre tra loro a bassa voce come in chiesa, o star zitte perché la padrona non abbia il fastidio di sentir chiacchierare.

Le contadine, avvezze ad allietar la fatica del lavoro colla gioia del canto, debbon rinunciarvi completamente appena entra in servizio, perchè la padrona non può permettere che la serva canti. £ quando una serva è sola in una famiglia modesta, che noia deve subire nelle lunghe ore solitarie, sempre relegata in cucina, mentre sente nelle stanze padronali, ridere, discorrere, cantare, sonare.

Molte padrone quando vanno a teatro o in società esigono che la cameriera, o magari l'unica serva, stia alzata ad aspettarle fino a mezzanotte, fino al tocco, e più in là. La povera donna che è in piedi dal mattino, è costretta a lottare per lunghe ore col sonno, o, quando la natura la vince, ai spasimare nell'incubo, a svegliarsi in sussulto pel terrore di non aver udita la scampanellata della signora.

E la sensibilità raffinata della padrona non mette una punta di amarezza nel piacere dello sue serate, al pensiero di quella muta, ignorata tortura che infligge ad una sua simile?

E se la serva, nella sua anima immortale, sente sorgere le ribellioni che il confronto dei due diversi destini può suscitare, non è ovvio? non è umano? e, sopratutto, non è un sentimento opposto all'idea di servilità di cui tu accusi tutta quella classe di diseredate?

Vi sono serve maldicenti, bugiarde, invidiose, ladre anche; ve ne sono di omicide, come quelle che tu citi. Ma non tutte le maldicenti, le bugiarde, le ladre, sono serve.

Signore, che ci chiamano amiche, sparlano alle nostro spalle quanto le umili serva. Lo faranno con maggior spirito, con arte più raffinata; ma la perfidia è la stessa.

E le omicide, le avvelenatrici non sono sempre serve; molti, troppi fatti recenti lo provano. Le stesse serve che tu citi per fa vergognosa notorietà che risulta loro da scandalosi processi, furono incitate, spiate, trascinate alla nefanda impresa da mariti, da fratelli delle vittime, i quali non debbono avere un'anima servila.

Ma le serve, come lo padrone delinquenti, — perché vi sono anche padrone delinquenti, — sono casj eccezionali.

Quella, che tu stabilisci come regola e causa di ogni malvagità è lo servilità dell'animo nelle serve. Ma i torti di cui le accusi sono piuttosto una ribellione del loro animo alla. servilità della loro situazione. «E' serva e soffre atrocemente di esser tale» — tu dici. E non ti pare che sia questa una manifestazione del sentimento dell'uguaglianza umana, che spasima e protesta contro le ineguaglianze della società! E ti pare che queste proteste disperate siano di anime servili!

Lascio indifesa l'accusa di subdole cospirazioni con le tarme per far tarmare le pellicce della padróna. Non conosco tanto al fondo l'anima oscura di quelle bestiole per poter misurare la loro parte di responsabilità sul delitto; mai mi sono grandemente sospette perché loro sole ne traggono vantaggio.

E quando la serva, giovane, forse bella, qualche volta, pura — almeno pel primo fortunato, — diventa l'amante del maritò e del figlio della padrona, tutta la colpa è proprio di lei sola, della sua anima, servile? Quei poveri uomini sono stati colti per sorpresa? Violati? E quella ingenua padrona ignorava che la convivenza, nella stessa casa, a tutte le ore d'una ragazza con uomo giovine — o anche mezzo vecchio. - - è una tentazione ed un pericolo? Quanta sventura! E quanti tradimenti contro quelle anime non servili!

La padrona, può avere, come tu supponi

[p. 2 modifica] un... amico «al quale ha dato il suo miglior tempo e tutto il suo amore, e la cameriera tenta di strapparglielo». Questo è atto crudele, sleale, è un tradimento... Ma io ne sono ardentementemente, pazzamente innamorata, quella cameriera! (Anche le serve possono amare). E tu hai dimostrato nei tuoi romanzi così vissuti, così suggestivi che l'amore a'impone a tutto, che non si lotta colle passioni. Per amore le amiche hanno tradito le amiche, le sorelle hanno tradito le sorelle, come in quello splendido Cuore Infermo.

Il tuo ingegno brillante e versatile, ha voluto far dello spirito alle spalle dele serve.

Ma tu sai che siamo tutte figlie d'Eva, tutte soggette agli stessi errori, tutte capaci delle stesse abnegazioni, tutte colpite dalle stesse fragilità, tutte meritevoli delle stesse indulgenze.

E tu che hai versale così sante lacrime sulla via della Croce, Nel paese di Gesù, sono certa che trovi nel tuo cuore di fervente cristiana tesori di fraterno amore e dì infinita pietà per alleviare alle nostre sorelle sfortunate il peso e l'umiliazione della loro sorte.

Torino, 27 febbraio 1905.

La Marchesa Colombi.