La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie/Cantare terzo

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Cantare terzo

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Cantare secondo Cantare quarto


1

L’alta chiarezza di quell’alta madre,
la gran piatà di quel benigno lume,
che ’l creator del ciel prese per madre
per figlia per isposa e per suo lume
per divota sirocchia, sí che madre
non fu ch’al figlio desse tanto lume,
quanto mostrò nel mondo, poiché ’l figlio
dal ventre suo discese come giglio,

2

del figlio e di tal madre el lume chiamo
sí che al mio canto segua dolce fine;
la santa Venus che ’l nemico gramo
sempre sommette a velenose spine,
mi porga un frutto del benigno ramo
quale soccorso di tutte ruíne,
cosí per grazia delle luce sante
dirò la pace di ciascuno amante.

3

Dico che s’apparecchia gran battaglia
infra li duo nemici disfidati.
Le vecchie mandan per ogni boscaglia
per siepi per spilonche e per fossati
cercando di lor armi e vittuvaglia,
e di color che son disamorati;
facendo loro sforzo prestamente
per vendicar del tutto donna Ogliente.

4

Nel borgo della noce un casolare
siede cerchiato da ogni bruttura,
dove le vecchie per consiglio fare
tutte si ragunar sanza misura;
or quivi si facea sí gran ciarlare
con urli e canti di maniera oscura,
che nel ninferno non si fece mai
tanto rumor di strida o tanti guai.

5

Quivi era gente di vil condizione,
bigliocchi portatori e beccamorti,
ragazzi che facean nuovo sermone,
stregghie sonando e panatoi ritorti;
quivi era dispiegato un gonfalone
terribile a veder pien di sconforti,
tutto dipinto d’infernal ruina
e poi nel mezzo siede Proserpina.

6

Tanti neri mantili e canovacci
adoperati a fuoco mai non furo,
quanti alle teste lor facean legacci
e questo ben parea timido e scuro;
pendevano a quell’ombra i capellacci
canuti e unti d’olio e di bituro,
gli occhi focosi e le vizze mascelle
avrebbon morto il diavolo a vedelle.

7

Erano armati d’uncinati raffi,
di pale coltellacci e di schedoni,
e l’una all’altra: “Or credi ch’io l’accaffi...”
diceva spesso con brutti sermoni,
qual eran sanza sella e sanza staffi
montate con gran pena a cavalcioni,
su magri tori e su bufale nere,
come piú sozze e di maggior podere.

8

E quale a’ piè con un forcon da stalla
di gran valor combattere intendea,
gli portator colla callosa spalla
con grandi urli seguon tal ginea;
il villan canta e ’l sottocuoco balla
gridando ver Proserpina lor dea:
“Dacci vettoria, imperadrice diva,
verso chi vuol che la tua fama viva.”

9

Cosí nel casolare apparecchiate
con tal tempesta che dir nol porria,
lor capitana feciono, or pensate
se dovea esser pieno di follia,
essendosi gran pezza sconsigliate
sanza ragion ma con invidia ria;
la qual fu una che se bene affissola
dall’altre era chiamata donna Ghisola.

10

O Ghisola tapina e dolorosa,
di quanto mal se’ fatta capitana,
tu brami, o falsa strega invidiosa,
la fama spegner dell’alta Diana?
Non pensi tu quel gran valor che posa
nel regno di costanza umile e piana?
Le spade rilucenti per lor mani
distruggeranno e vostri cuor villani.

11

Amor benigno, o dolce mio signore,
or trammi tu che puoi di tal matera,
che queste vecchie m’hanno spento il core
in parte della tua santa lumera,
però che gli è sí grave il loro errore
ch’a ciò pensando l’alma si dispera,
e io che li lor regni ho qui veduti
son quasi morto se tu non m’aiuti.

12

Tu se’ nel petto mio tanto soave
che prima ch’io ti chiami tu rispondi,
e colla tua perfetta e vera chiave
aperto m’hai e tratto alle chiar’ondi;
correte, amanti, poiché non v’è grave,
e udirete con versi giocondi
come Costanza bella s’apparecchia
per dar la morte a ciascheduna vecchia.

13

Nel verde prato del vago giardino
che siede in quella nobile foresta,
dove si pose il creator divino
colle suo mani e con la dritta sesta
formando tanto lucido cammino,
come ben vede chi d’amor fa festa;
quivi sonando trombe e cennamelle
eran con gran valor le donne belle.

14

E se nel regno di Ghisola prava
grave spavento e tenebre si vede,
cosí dall’alto ciel virtú si schiava,
virtú di queste donne e di lor fede,
con allegrezza tanta che ’nchinava
le pietre e l’acqua per trovar merzede,
pensando quanto dolce melodia
allora in quel bell’orto si sentia.

15

L’alta reina delle chiare ninfe
che delle vecchie sente l’apparecchio,
ridendo si rivolse a quelle ninfe,
la cui somma biltà non ha parecchio;
e disse: “Donne, leggiadrette ninfe,
gli alti stormenti del dolce apparecchio
mettete omai nelle veste dorate,
e me alquanto priego che ascoltiate.

16

Molto s’appressa la vostra vittoria
che Venus ci ha promesso veramente,
ma per piú pregio di viva memoria
parmi che manchi a nostro convenente,
non già per tema, ma per crescer gloria,
in ciascun ch’è d’amor fedel servente,
il caro duca de’ leali amanti,
però mandiam per lui che venga avanti.

17

Mandiam per lui che tostamente vegna
con quelli amanti che vorran seguire
la sua celeste e triunfale insegna,
acciò che noi veggiamo il loro ardire,
e come fia venuto non ci tegna
priego né tema del nostro partire,
ma tosto fatte le sovrane ischiere
seguasi di presente le bandiere.”

18

Andaron due messaggi a quel barone,
e subito gli fer comandamento
ch’al terzo dí, spiegato suo pennone,
cogli amador si muova e non sia lento.
Udito ’l duca quell’alto sermone
tosto rispose sanza alcun pavento
che non al terzo dí ma al dí secondo
verrà con tutti gli amador del mondo.

19

Spirato ’l duca di molta letizia
d’argento fe’ sonar trombe e trombette,
la cui gran voce priva di tristizia
sentita fu mentre che non ristette
in acqua in terra in alta primizia
dove dimoran l’anime perfette,
alla cui voce quasi in men d’un punto
ogn’amador dinanzi a lui fu giunto.

20

Qual de’ Troian già mai le ricche schiere
de’ principi de’ regi e de’ signori,
qual greci adornamenti di cimiere
de’ rilucenti scudi in piú colori,
qual armi de’ Romani usate fiere
lucide piú che il sol negli alti cori,
simile a queste furon chiare e sperti
delle qual gli amador venien coperti?

21

Perle zaffir balasci argento e oro,
galatide bandine e amatiste
ornavan per virtú li drappi loro,
con ricamate fiere, e chi con liste,
chi rilevati cuor di gran tesoro,
porta feriti d’amorose viste;
ghirlande avien di fior maravigliose
sovra i destrier coverti tutti a rose.

22

Dinanzi al duca lor con reverenza
allegramente si rappresentaro,
e ’l duca per la sua magnificenza
come piú degno piú felice e caro
per non poter ricever violenza
d’alcuna piaga o d’altro colpo amaro,
si fe’ menare i suo’ quattro destrieri,
che son sí forti poderosi e fieri.

23

Egli eran bianchi piú che l’ermellino
coperte di meravigliose veste,
con pomi tutti quanti d’oro fino
sovr’un velluto di color celeste,
e ogni pomo avea il suo rubino
sí come il fior che prima si digeste
e per picciuoli avean chiari topazi,
le foglie circuncinte in grisopazi.

24

Perché mi metto in quel che dir non posso
né io né altri che nel mondo sia?
Egli avea il duca tante perle addosso
che non val tanto Spagna e la Turchia.
Imagini ciascun che non è grosso
omai la lor virtú e vigoría,
e quanto sia lucente lor ricchezza
che ragionarne piú mi par mattezza.

25

Dappoi che furon tutti apparecchiati
il duca comandò d’esser seguito;
cosí la schiera degli innamorati
si mosse su per l’amoroso lito;
non eran gli stormenti ammutolati
ma ben parea quel suon da cielo uscito;
trombe trombette nacchere e sveglioni
e d’altra guisa piú di mille suoni.

26

Serrati sotto un vago pennoncello
verso quella foresta cavalcando
chi fosse stato sovr’un monticello
la lor bellezza in quella rimirando,
sariegli il sol paruto oscuro e fello;
simili allo splendor che va raggiando
la vaga schiera della santa Dea,
che d’angioli una nuvola parea.

27

Già eran tutti sovra la fiumana
a piè della foresta pervenuti,
dove Costanza di valor sovrana
prima che gli altri tosto gli ha veduti,
e una danza leggiadretta e piana
fece sonar pian pian con duo leuti,
prendendo un ballo a quella vaga danza,
qual fu cagion d’amor fede e speranza.

28

Or chi potria contar la gran letizia
di quelli amanti tanto valorosi,
spogliati di dolore e di trestizia,
quando si viddon ne’ porti amorosi?
Ciascun ragguarda sua dolce primizia
cogli occhi bassi onesti e vergognosi,
d’animo giusti e di perfetto core,
come leali amanti d’alto amore.

29

Non creder tu che leggi o tu che ascolti,
ch’amanti di parole sian costoro,
non giovinetti di maniera stolti,
come si veggono oggi fare a loro.
O ignoranza, quanti n’hai tu tolti
al ben servir dell’amoroso coro,
esser mostrando a tale innamorato
che dir si può piuttosto ismemorato!

30

Amor in cor villan non ha suo loco,
ch’amor per suo virtú vizio abbandona.
O quanta pace, quanto dolce gioco,
cosí alto signor al servo dona!
Chi sente fiamma dal benigno foco,
la cosa amata amar chi l’ama sprona,
or pensa, pensa s’allegrezza induce
l’alto valor di sí perfetta luce.

31

Ma tu che segui l’impeto carnale
usando nuove e dolorose leggi,
se piangi per angoscia o senti male,
rammarcati di te, che piú non veggi,
e non di donna il cui valore è tale
che non intende alli tuo bassi seggi;
Amore è tanto quanto onesta brama
non già carnal disío, com’altri ’l chiama.

32

Dunque non sia chi pensi alcun difetto
del savio duca e della sua compagna;
amanti son di quell’amor perfetto
che chi piú ’l segue piú virtú guadagna.
Rimanga nel poetico intelletto
omai quel che per me non si diragna;
voi che portate amor dell’alte muse
sarete pronti a far tutte mie scuse.

33

Poiché Costanza nella sua foresta
si vidde tanto bene accompagnata,
Itta chiamò e Telda molto presta,
e disse: “Che vi par di tal brigata?”
E quelle rispondendo con gran festa:
“Piú bella schiera non fu mai trovata,
che sol gli amanti che qui giunser’ora
combatterian con tutto il mondo ognora.

34

Dunque, reina, omai non dimoriamo,
facciam sonare a stormo l’altra grida,
e a ciascuna donna comandiamo
che s’apparecchi per donare strida
a quelle vecchie contro a’ quali andiamo,
per la virtú d’amor che ’n noi s’annida
e ’l duca cogli amanti sí sovrani
par che si strugga d’essere alle mani.”

35

La tromba per lo campo già risuona,
com’a Costanza piacque, del partire,
e certo quivi allor non si tenziona
né con ragazzi si sente garrire:
l’una arma l’altra, e l’altra all’una dona
chi scudo e chi cimier sanza mentire;
cosí con pace e con molta dolcezza
all’arme viddi il fior d’ogni bellezza.

36

Costanza bella sovr’un gran destriere
era salita come imperadrice,
per ordinar le valorose schiere
dell’alta schiera ch’è tanto felice,
ell’avea sovra ’l capo tre bandiere
in segno tal com’a reina lice;
e piú di mille cavallotti a destra
e palafren da dritta e da sinestra.

37

In quella insegna che nel mezzo siede
triunfa Giove e suo bella pintura;
nella seconda Venus poi si vede
piú bella che mai fosse criatura;
nel terzo luce il sol con tanta fede
ch’ogni altra cosa fa parere oscura,
quando per vento sventolando vole
o che tal sol dal sol riceva sole.

38

Tre chiare lune in fiammeggiante fuoco
attraversate in campo d’oro fino
coprivan gli destrieri da ogni loco,
che ben parea veder atto divino;
gli adornamenti suoi non vaglion poco
che sarie sciocco alla stima Merlino;
però silenzio mostri gloriato
quel che per dir non può esser lodato.

39

Il ciel non credo che di maggior lume
mostrasse mai virtú per suo grandezza,
né altro cerchio sovra ’l suo cacume
non porse in occhio mai tanta allegrezza;
quivi d’ogni diletto corre un fiume
che cerchia l’universo per altezza,
e io che tanto lume rimirai
non porria dirlo, sí forte abbagliai.

40

Mentre che l’occhio mio guardava fiso
gli adornamenti della bella dama,
ed ecco giugner con pulito viso
Itta vezzosa d’ogni virtú rama
sovr’un destrier coperto d’un aliso
velluto incatenato per suo fama
d’incrocicchiate catene d’argento
con tante perle che mi fe’ pavento.

41

Ben dimostrava questa bella donna
la sua grandezza in ciascheduna parte,
ella par veramente una colonna
che ’l ciel sostenga e ’l mondo d’ogni parte;
pel campo corre a guisa d’alta monna,
maestra in arme dell’ardito Marte,
ordine dando all’altre tuttavia:
“Armatevi, sorelle, in cortesia.”

42

Telda coll’arme de’ piccon vermigli
di montare a caval già non dimora,
questa conforta gli amorosi figli
e al ben far piú ch’altra gli rincora.
Deh quanto son perfetti i suoi consigli
in distrugger le vecchie d’ora in ora!
Questa risplende sí nell’armi bella
qual nel sereno ciel si vede stella.

43

Segue nell’arme col bello stendardo
chi gentil Caterina si piú dire,
con un volpon nel petto sí gagliardo
che proprio vivo par sanza mentire,
e poi ch’a tutte pose il dolce sguardo
nel mezzo si fermò con grande ardire;
intanto l’altre con un bel drappello
armate corson sotto suo pennello.

44

Or si rallegri tutto l’universo
l’imperio grande e ’l regno di Plutone,
sentendo d’allegrezza il dolce verso,
veggendo l’armi di tanta ragione,
l’oro e le perle e ’l vermiglio col perso,
i fior la seta e poi l’alte corone,
la festa il giuoco l’amore e la fede,
la franchezza del cor che ’n lor si vede.

45

Cosí le belle donne apparecchiate
nell’armi rilucenti e nelle schiere,
la prima schiera, e ciò non dubitate,
il savio duca prese volentiere
per correr prima tra quelle arrabbiate,
con valorosi amanti, a chi mestiere
fa di provare el giorno francamente
per viver con amor benignamente.

46

Piacque a Costanza l’altra schiera dare
ad Alessandra valorosa guida,
la qual sovr’un destrier di grande affare
era montata per donare strida
al vecchio campo, e con lor provare
volesse contro a chi in amor s’annida;
e per insegna lucide catene
porta nel serafin che ben la tene.

47

La terza poi condusse Elena bella
saggia benigna onesta e gloriosa,
chiara nell’armi, a guisa d’una stella,
amorosa vezzosa e valorosa;
rigan tre febe il bel petto di quella
nel campo febo in banda sanguinosa,
in segno quale altezza nel suo sangue
è per sommerger l’arrabbiato angue.

48

L’ultima e quarta Costanza reina
colle reali insegne poi conduce,
con Itta Telda e bella Caterina,
e con alquante d’ogni virtú luce.
Quest’alta ischiera valorosa e fina
governa il mondo come savio duce,
or pensa quando questa sarà vinta,
ch’allor sarà la luna stella quinta.

49

Fatte le schiere e ordinati i segni
la santa Venus fu data per nome,
e gli stormenti di dolcezza pregni
incominciaron le vaghe idiome.
Allor le vecchie con crudeli isdegni
cogli aspri volti e con canute chiome
sentendo l’apparecchio ch’era fatto
bacini e corni fecion sonar ratto.

50

E poi ch’alquanto doloroso suono
ebbon finito con superbo fine,
Ghisola si levò con un gran tuono,
e la sua strozza paurosa aprine
dicendo: “In nome del crudel dimono
Scilla Cariddi e tutte altre ruine
adempian oggi il nostro mal volere,
sí ch’ogni ben si possa far cadere.

51

Dolor tormento e grida ci notrica,
dunque la pace non si fa per noi;
la grande invidia ch’al cor ci s’abbica
farà Costanza sempre gridar ‘Oi’;
altro non fa bisogno ch’io vi dica
se non che ciascuna sia morta poi;
che piú di noi si tengono esser belle,
asine brutte disdegnose e felle.”

52

E fece quattro schiere di sua gente
e diè le prime al Ciuffa portatore
vecchio bistorto pazzo e frodolente,
ch’un cercine per arme ha messo fore.
Or udirete come francamente
si porterà nell’arme il feritore,
che volendo in sull’asino salire
sei volte o piú ne cadde, allo ver dire.

53

A Nuccia trista impose la seconda,
la qual per arme portò un strufinaccio,
questa d’ogni bruttura sempre abbonda,
porta padella per un tavolaccio,
una pentola in testa poi si fonda,
in pugno prese lo schedone avaccio;
minacciando Costanza sovr’un toro
salí rivolta indietro per ristoro.

54

La terza a Dogliamante concedette
con l’arme sua dipinta di malíe,
costei porta per guanti duo scarpette
e per barbuta una cesta d’ubbíe;
fatt’ha lo scudo di quoia ben sette,
dico di topi, e non s’armò di die;
questa sovr’una bufola s’inforna
legata con la coda tra le corna.

55

Ghisola tapina di tristizia
volle la quarta sotto il suo condotto,
con Puccia matta Tondina e la Vizia
con Semaldrudo che pare un merlotto:
e menò seco per maggior letizia
la Grigna la Germina e ser Margotto;
queste che mai non calan di gridare
per rabbia e per invidia del ben fare.

56

La ’nsegna sua che gli è portata sopra
riluce a guisa dell’oscura notte,
però che Proserpina vi s’adopra
cerchiata di ramarri serpe e botte,
e di tal dama intendo che si scopra
il gran cimier ch’uscí dell’atre grotte
l’asino, dico, che pare un balestro
legato sovra ’l fondo d’un canestro.

57

Sovr’una mula magra zoppa e cieca
trecento portator la caricaro
con gran fatica questa vecchia bieca,
e poi d’intorno ben la puntellaro
di paglia e di capecchio ch’ognun reca,
sí che non caggia per un colpo amaro,
e un paiuolo le dieron per targhetta
con una forca per doppia vendetta.

58

Secchie bacini e vecchi can latrando
corni vassoi e altri vaghi suoni
e quelle vecchie a gridar cominciando
Giove temette di sí fatti tuoni;
però che ’l ciel si venne annuvolando
sentendo lo stridor de’ gran dimoni
che fecion quando fu Ghisola armata
e ciascun’altra vecchia apparecchiata.

59

Benché lecito sia narrare il vero
del brutto campo che ’n quel luogo vidi,
parmi pur tanto grande il vitupero
che signoreggia li mortali stridi,
ch’amor chiamando dal celeste impero
priego ch’alquanto con piatà mi fidi,
sí ch’io possa tornare al santo regno
del qual Costanza mi fa vero segno.

60

Cosí per grazia del benigno amore
lieto ritorno all’altra tragedia,
lasciando queste vecchie con dolore
in una valle chiusa d’aspra via,
e pongo fine al mio terzo tenore
seguendo l’altro poi con mente pia,
dove si narran le crude ruine
dell’aspre vecchie o ’l doloroso fine.