La burla retrocessa nel contraccambio/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Agapito solo.

(Apre la porta colla chiave, ed entra pian piano, guardando qua e là se vi è nessuno, e guarda nella camera di fondo, cioè dalla porta di detta camera, senza entrare, e poi guarda alla scena, dove Gottardo diceva essere la cantina, e assicuratosi si avanza, e dice: E andato via; non vi è nessuno. Potrò prendere la mia chiave. (la cerca sul tavolino e per terra) Diavolo, non c’è più la mia chiave, o che Gottardo l’ha messa via in qualche luogo, o che se l’è messa in tasca credendola la sua. Mi dispiace per il mio orologio, ma non importa, per oggi ne farò di meno; e questa sera, se non avrò la mia chiave, farò aprire da un fabbro1 e domani farò cambiare la serratura, intanto vo’ pre[p. 326 modifica]valermi dell’occasione. Ora son padrone di questa casa, e voglio ben divertirmi alle spalle dell’avaraccio. Ehi Berto. (chiama alla porta)

SCENA II.

Berto e detto.

Berto. Signore.

Agapito. Voleva mandarti a casa mia a prendere il mio orologio, ma ho pensato diversamente. Ora voglio mandarti in un altro luogo. Va qui dall’oste della Fortuna, e di’ al padrone, che venga subito qui in casa del signor Gottardo linaruolo, e insegnagli la casa, se non la sa, e digli che è egli il signor Gottardo medesimo che lo domanda, e che gli ha da ordinar un pranzo. Conducilo qui, e poi aspettami al caffè vicino. Fa polito quel che ti ordino.

Berto. Non dubitate niente, sarete pontualmente servito. (parte)

SCENA III.

Agapito, poi Roberto.

Agapito. Oh se la cosa mi riesce bene, come l’ho disegnata, ha da essere la più bella scena del mondo. Ma mi dispiace della mia chiave. Vediamo se fosse nel cassettino. (guarda nel cassettino della tavola) Non vi è niente assolutamente. Gottardo l’ha presa per la sua. Tanto meglio; se non ne ha altre, non potrà entrare in casa. (battono alla porta) È stato battuto. Vediamo un poco chi è. (guarda dal buco della porta) Oh il signor Roberto! capperi, è stato pronto a venire! (apre)

Roberto. Eccomi qui, a ricever le grazie del signor Gottardo.

Agapito. Ma caro signor Roberto, vi mancano due o tre ore all’ora del pranzo.

Roberto. Sì, ma non mi avete voi detto che ci doveva essere la signora Costanza? Io ho anticipato per aver il piacere di star più lungo tempo con lei. [p. 327 modifica]

Agapito. Ancora non c’è nessuno; e poi non siamo sicuri che venga nè il signor Pandolfo, nè la signora Costanza.

Roberto. Caro signor Agapito, se non siete sicuro che venga la signora Costanza, perchè mi avete fatto venire a pranzo dal signor Gottardo? Io stimo fino ad un certo segno il signor Gottardo, ma credetemi, senza la signora Costanza io non so che fare di lui.

Agapito. Ed io mi lusingo che ci sarà la signora Costanza, perchè or ora anderò a casa del signor Pandolfo, e pregherò lui e sua figlia in nome del signor Gottardo, e mi comprometto di farlo venire.

Roberto. Benissimo. Allora sarò obbligato a voi, e sarò obbligato al signor Gottardo d’invitarmi a pranzo da lui.

Agapito. Oh perchè il signor Gottardo è un uomo generosissimo, che tratta m casa sua tutte le persone di sua conoscenza. Si è sovvenuto di aver fatto con vossignoria qualche buon negozietto, spera di farne degli altri, e vuol cattivarsi la buona grazia di tutti.

Roberto. Bravo, se farà così, avrà degli amici, e farà del bene. Ma come ha egli cercato di unirmi col signor Pandolfo e la sua figliuola? È informato che io ho dell’inclinazion per lei?

Agapito. Sa tutto, e l’ha fatto apposta.

Roberto. Bravo il signor Gottardo. È veramente un galantuomo.

Agapito. È il re dei galantuomini. Ma io per altro ho il merito di averglielo suggerito.

Roberto. Vi ringrazio infinitamente. So il mio debito, e saprò essere riconoscente.

Agapito. Caro signor Roberto. Credo che parlando così, ella voglia scherzare. Ella sa ch’io sono un galantuomo, che non sono capace di meschiarmi in queste cose per interesse. Ho della stima, ho dell’amicizia per lei. Cerco di farle un piacere, se posso, e non ho altra mira che far per un altro quello che vorrei che fosse stato2 per me, se fossi nel medesimo caso. [p. 328 modifica]

Roberto. Ed io, ve lo protesto, farei lo stesso per qualunque de’ miei amici.

Agapito. Ma favorisca in grazia, ella sa ch’io ho l’accesso libero in casa del signor Pandolfo, e più d’una volta vossignoria mi ha parlato della sua figliuola, e mi ha detto che inclinerebbe a sposarla.

Roberto. È verissimo; questa è l’unica mia intenzione.

Agapito. Ma perchè dunque non ne parla, o non ne fa parlare a suo padre? Se vuole, mi esibisco io stesso di farlo.

Roberto. Vi dirò. Prima di fare questo passo, vorrei assicurarmi se la giovane mi ama, s’ella sarà contenta di me. Per questo ho desiderato tanto di potermi abboccar con lei. Non ho mai potuto farlo, e oggi spero di ottenere la grazia per favor vostro e del signor Gottardo.

Agapito. (Può dir me solo, poichè Gottardo non ne sa niente). (da sè) È stato battuto. (si sente battere)

Roberto. Oh, se fosse la signora Costanza, felice me!

Agapito. Aspetti, guarderò per assicurarmi. (Non vorrei che fosse qualche persona che m’imbrogliasse). (da sè; guarda per il buco della chiave) È il Signor Pandolfo.

Roberto. Solo?

Agapito. Solo.

Roberto. Ma perchè solo?

Agapito. Non saprei; sentiremo. Ma faccia una cosa; si ritiri in quella camera. Non si faccia vedere.

Roberto. Perchè?

Agapito. Per non parere che la cosa sia concertata.

Roberto. Dite bene. Mi ritirerò, e sentirò. (entra in camera)

SCENA IV.

Agapito, poi Pandolfo.

(Tornano a battere più forte, Agapito apre).


Agapito. Oh scusi, signor Pandolfo. Non ho gran pratica della casa; non aveva sentito. [p. 329 modifica]

Pandolfo. Dov’è Gottardo?

Agapito. Non c’è, signore; è sortito con sua moglie per un affar di premura, ed ha lasciato me in casa, per ricever lei e la signora Costanza; che vuol dire che non è venuta la signora Costanza?

Pandolfo. E come sapeva Gottardo, che io e mia figliuola volevamo oggi venir da lui? E che sì, che voi gliel’avete detto?

Agapito. Signor, vi domando scusa; è vero, io non son capace di dir bugie. Sono stato io che gliel’ha detto.

Pandolfo. E per qual ragione? Vi aveva pure avvertito di non dirgli niente.

Agapito. È vero, ma vi dirò la verità. Io ho dell’amicizia per Gottardo, e mi dispiaceva di vedere questo pover’uomo imbrogliato, se gli foste arrivati all’improvviso. Ho creduto bene avvertirlo, ma non dubitate che egli si metta in gran soggezione. Gliel’ho detto espressamente, e non lo farà.

Pandolfo. Oh bene, io ho perduto il gusto della sorpresa; mi piaceva di vederlo imbarazzato; ora che lo sa, non voglio altro.

Agapito. Oh caro signor Pandolfo, questa sarebbe per Gottardo una mortificazione infinita. Ora che lo sa, che ha fatto qualche preparativo...

Pandolfo. Procurate di ritrovarlo; ditegli che non faccia altro, ch’io non ci vengo.

Agapito. In verità, il pover’uomo sarebbe alla disperazione. Ha sentito con tanto piacere la nuova ch’io gli ho recato; e poi, per dirle la verità, tanto egli che Placida, quando hanno saputo questo, hanno invitato qualche altra persona, e se non venissero vossignoria e la signora Costanza, sarebbero alla disperazione.

Pandolfo. Questa è una ragione che quasi mi persuade, ma voi avete fatto male a parlare.

Agapito. È vero, ma l’ho fatto per buon core.

Pandolfo. Gottardo vuol dunque oggi trattarsi. Ha invitato delle persone?

Agapito. Sì signore, saremo, io credo, sei o sette.

Pandolfo. È come ha fatto a determinarsi a ciò? Io so che egli è stato sempre un grand’economo. [p. 330 modifica]

Agapito. Oh adesso è generosissimo. Si è messo un poco a trattare; vede bene, è diventato mercante.

Pandolfo. Non vorrei che perdesse il giudizio, e diventasse troppo liberale.

Agapito. Oh non vi è pericolo; ve l’assicuro.

Pandolfo. Basta; per questa volta verrò.

Agapito. E la signora Costanza?

Pandolfo. Verrà ancor ella. Vi dirò, io sono venuto avanti per saper con bel modo, se Gottardo e Placida restavano a pranzo in casa, per esser sicuro di non burlarmi; poi sarei andato ad aspettarvi in Piazza, come eravamo d’accordo, e saremmo andati a prender mia figlia per condurla qui.

Agapito. Mi dispiace che io ora non mi posso partire.

Pandolfo. No, no, restate. All’ora congrua verrò io con Costanza. Ma dite a Gottardo che non faccia spese superflue.

Agapito. Sì signore.

Pandolfo. Ricordategli l’economia.

Agapito. Oh lasciate fare a me.

Pandolfo. A rivederci, ciarlone.

Agapito. Avete ragione. Ho parlato, ch’io non doveva.

Pandolfo. M’immagino che sarete voi pure degli invitati.

Agapito. Sicuro, lo quando ho sentito così, non ci voleva stare, ma Gottardo mi ha tanto pregato.

Pandolfo. Sì, è un uomo di buonissimo core.

Agapito. Oh! è una gioia.

Pandolfo. Addio. (parte)

Agapito. Servitor suo.

SCENA V.

Agapito, poi Roberto.

Agapito. Eh che gioia3 ch’è Gottardo! e che buon cuore ch’egli ha! [p. 331 modifica]

Roberto. Oh quanta obbligazione ho al mio caro Agapito! ho sentito tutto. Non mi scorderò mai della vostra buona amicizia. (lo abbraccia)

Agapito. Ha sentito quanta fatica vi ha voluto?

Roberto. Ho sentito.

Agapito. Vossignoria può andar a far qualche affare, se ne ha, e poi tornare all’ora del pranzo.

Roberto. Sì, dite bene, anderò, e tornerò. Ma ho sentito che avete detto, che vi saranno delle altre persone; non vorrei che m’imbarazzassero.

Agapito. Credo che non ci sarà altri che il signor Leandro.

Roberto. Oh Leandro è mio amico. Non mi dà soggezione.

Agapito. L’ho fatto invitare apposta, acciò possa assisterla se bisogna, acciò tenga il padre in conversazione, mentre vossignoria si trattenerà colla figlia.

Roberto. Bravo, bravissimo. Tornerò dunque... Che ora abbiamo al presente?

Agapito. Non lo so, mi ho scordato a casa l’orologio.

Roberto. Sono sedici ore vicine. (guardando il suo orologio) Se avete bisogno di questo...

Agapito. No, no, la ringrazio. Ho il mio, che mi serve.

Roberto. A rivederci, amico, a rivederci. (parte allegro)

SCENA VI.

Agapito solo.

Credo che dalla consolazione mi avrebbe donato quell’orologio assai volentieri. Ma io non lo prenderei, se fosse tempestato di diamanti. Non voglio ch’ei possa dire, ch’io lo faccio per interesse. Io lo faccio per semplice divertimento. (si sente battere) Tornano a battere. Chi diavolo sarà? Dovrebbe esser l’oste. (guarda per il buco della chiave) Mi pare desso senz’altro. Ci vuol destrezza per condurre la cosa bene. (apre) [p. 332 modifica]

SCENA VII.

L’Oste ed il suddetto.

Oste. Servitor umilissimo.

Agapito. Riverito. Siete voi l’oste della Fortuna?

Oste. Per obbedirla. Sono qui a ricevere i suoi comandi.

Agapito. Si vorrebbe un pranzo per sei o sette persone.

Oste. Anche per sedici, s’ella comanda. Favorisca, è ella il signor Gottardo?

Agapito. Non sono io Gottardo, ma sono il di lui fratello.

Oste. Servitor umilissimo: me ne consolo infinitamente.

Agapito. Lo conoscete voi Gottardo mio fratello?

Oste. Non ho l’onor di conoscerlo di persona. Siamo vicini, ma non ho mai avuto l’onor di vederlo. So che è un signore di garbo, che si è maritato che è poco; so che dimora in questa casa, e mi consolo di aver l’onore di servirlo.

Agapito. Ed io ho l’onor di dirvi la di lui volontà.

Oste. Ed io mi darò l’onor di eseguirla.

Agapito. Come vi diceva, si vorrebbe4 oggi un pranzo per cinque persone. Vi darà l’animo di far presto e bene?

Oste. Subito, in un momento, e spero che saranno contenti di me. Ma la supplico, come vuol restar servita? Quanti piatti? Di che sorte? Di che qualità?

Agapito. Vi dirò, per non confondervi la fantasia, vi lasceremo in libertà di far quel che volete. Voi porterete tutto. Pane, vino, frutti, biancheria, tondi, posate... Averete le vostre posate d’argento?

Oste. Oh sì signore, per sessanta persone, se occorre.

Agapito. Oh si sa, alla Fortuna non manca niente.

Oste. Scusi. Alla Fortuna, e al merito.

Agapito. E al merito?

Oste. Non faccio per dire, ma la mia osteria è conosciuta. La fortuna alla porta, e il merito nella cucina. [p. 333 modifica]

Agapito. Bravissimo. Voi dunque ci darete tutto il bisogno. Ci darete quei piatti che parerà al vostro merito, e noi avremo l’onore di pagarvi a ragione di sei paoli per testa. Anderà bene così?

Oste. Tutto quello ch’ella comanda; ma a sei paoli a testa non vi può essere nè gran merito, nè gran fortuna.

Agapito. Eh! signor oste, me n’intendo anch’io qualche poco. Sei paoli a testa per un pranzo mediocre...

Oste. Bene, bene, come comanda.

Agapito. Animo dunque, andate, e portatevi bene.

Oste. Vado subito a ordinare, a disporre, a travagliare, a eseguire.

Agapito. Qualche piatto di gusto, qualche cosa di delicato.

Oste. Si lasci servire.

Agapito. Mi raccomando al merito.

Oste. Ella ha il merito di comandare; ed io avrò la fortuna di servirla. (parte)

SCENA VIII.

Agapito solo.

Non vorrei che costui avesse il merito di burlarci, e noi la disgrazia di essere maltrattati. Non mi fido delle sue cerimonie. Voglio andar io a vedere, a osservare, e ad assicurarmi. Giacchè ho pensato di far onore alla generosità di Gottardo, voglio almeno che i commensali siano contenti, e che gli facciano il ringraziamento coi fiocchi. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Ed. Zatta: fabro.
  2. Così l’ed. Zatta. Altre edizioni correggono: fatto.
  3. Ed. Zatta: E che gioja ecc.
  4. Ed. Zatta: Come ci diceva. Si vorrebbe ecc.