La burla retrocessa nel contraccambio/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Altra camera in casa di Gottardo con un armerone in fondo, e tavola apparecchiata.

Pandolfo, Costanza, Roberto, Leandro, Agapito. Tutti a sedere a tavola, osservando che Roberto sia vicino a Costanza. Servitori servono; la tavola è al desere1.

Agapito. Signori, alla salute del signor Gottardo. (beve) (Tutti fanno applauso, e bevono alla salute di Gottardo e di Placida. Roberto e Costanza parlano piano di quando in quando fra di loro.)

Pandolfo. Ma io non posso stare allegro; io sono mortificatissimo, caro signor Agapito, voi ci avete obbligati a metterci a tavola, [p. 336 modifica] facendoci sperare ad ogni momento che Gottardo e Placida sarebbero venuti a casa; eccoci di già al desere, il pranzo è finito, e non si vedono ancora a venire. Io non so cosa sia; vi dico la verità, io sono inquietissimo.

Agapito. Ma caro signor Pandolfo, non so che dire, questa non è colpa mia. Vi tornerò a dire quel che vi ho detto. Avanti di metterci a tavola, sono andato a trovare per la seconda volta Gottardo e Placida, che sono, come vi ho detto, in casa del signor Bernardo loro compare. Sono dietro a stabilire il contratto di una partita di lino, sono dietro a concludere una società di un’impresa non so di che. Mi hanno incaricato di pregare la compagnia di mettersi a tavola, mi hanno assicurato che a momenti sarebbero venuti. Se non l’hanno fatto, non è colpa mia; sarà colpa dei loro interessi, dei loro affari.

Pandolfo. Ma io non voglio assolutamente andar via senza vederli, senza ringraziarli. Fatemi il piacere di mandai qualcheduno...

Agapito. Oh ecco il caffè. Entrate, venite avanti. (alla scena)

SCENA II.

Garzone del caffè con cinque tazze e cogoma. Tutti si alzano per bevere il caffè di qua dalla tavola. Chi vuole, può prendere una sedia, e sedere. Il Garzone dà a tutti la sua chicchera; versa il caffè, prendono lo zucchero. Tutti bevono il caffè.

Pandolfo. (Bevendo il caffè) Ma io vi torno a dire, signor Agapito, che sono inquietissimo per conto di Gottardo e di Placida. Se non volete mandar nessuno, ci anderò io. Mi avete detto che sono...

Agapito. Aspetti un momento, che finisca di prendere il mio caffè, e anderò io un’altra volta a vedere cos’è di loro, e subito sarò qui di ritorno colla risposta. (bevendo)

Roberto. (Questo è il giorno che decide della mia vera felicità). (piano a Costanza) [p. 337 modifica]

Costanza. (S’ella da me dipende, ne siete certo). (piano a Roberto)

Agapito. (Come va, signor Roberto?) (piano a Roberto)

Roberto. (Benissimo, che non può andar meglio). (piano ad Agapito)

Pandolfo. E così, signor Agapito?

Agapito. Vado subito. Con permissione di lor signori. Animo, figliuoli, sparecchiate la tavola: mettete tutto dove vi ho detto, ed aspettatemi che mangerete anche voi. (ai servitori)

Garzone. Signor Agapito, siete voi che paga il caffè, o lo pagherà il signor Gottardo?

Agapito. Lo pagherà il signor Gottardo. (parte)

Garzone. (Riprende le sue tazze, e parte.)

SCENA III.

Pandolfo, Costanza, Roberto, Leandro, Servitori. I Servitori sparecchiano la tavola a poco a poco; mettono le posate in una cesta, la biancheria in un’altra, e tutto chiudono nell’armadio.

Pandolfo. Io anderei a casa assai volentieri; ma son curioso di sapere cosa sia di queste genti, che non si vedono.

Roberto. E ancora presto, signore. Frattanto che torna il signor Agapito, il signor Leandro, che è un giovane di talento, ci farà sentire qualche cosa di buono, qualche cosa del suo.

Leandro. Oh io non ho niente che sia degno di esser sentito.

Roberto. Eh sappiamo chi siete, conosciamo il vostro genio poetico, e so che il signor Pandolfo è di buon gusto, e so che gli farete piacere.

Pandolfo. Sì certo, mi piace la poesia. Ammirerò volentieri la sua virtù.

Leandro. In verità, signori...

Roberto. (Andate, andate, divertitelo, che ho bisogno di dir qualche cosa). (piano a Leandro, accennando a Costanza)

Leandro. (Lo farò per compiacere l’amico). (piano a Roberto)

Roberto. Sediamo, che staremo meglio. Là, signor Leandro, vicino [p. 338 modifica] al signor Pandolfo. (Siedono, Pandolfo nella prima sedia. Leandro nella seconda. Costanza nella terza, Roberto nella quarta. Intanto i Servitori seguono sempre a sparecchiare.)

Leandro. Vi dirò alcune ottave. (a Pandolfo, tirando fuori una carta)

Pandolfo. Le sentirò con piacere.

Leandro. L’argomento è una figlia rispettosa, che parla al suo amoroso genitore.

Pandolfo. L’argomento è bellissimo. Costanza, ascoltate, che è a proposito ancora per voi.

Costanza. Sono qui attentissima.

Roberto. (Vorrei potervi dir due parole). (prono a Costanza)

Costanza. (Anch’io ho delle cose da dirvi). (piano a Roberto)

Leandro. Ottave.

     " Padre, a voi deggio de’ miei giorni il dono;
     " Deh un sì bel don di conservar vi piaccia.
     " Da un novello martir trafitta or sono,
     " E da uno strale che il mio fin minaccia.
     " Pietà, buon genitor, pietà, perdono.
     " Il rispetto, il dover, non vuol ch’io taccia.
     " La vita che mi deste è mio tormento,
     " Se un’altra vita ricusarmi io sento.

Pandolfo. (Ascolta sbadigliando, e si vede che il sonno lo prende.)

Costanza. Bravo. (forte a Leandro)

Roberto. Bravissimo. (forte a Leandro)

Pandolfo. Sì, bravo. (scuotendosi dal sonno) Non ho bene capito il senso degli ultimi versi.

Leandro. La figlia dice che sarebbe per lei un tormento la vita che le ha dato il padre, s’egli non le volesse dar la seconda vita; e potete capire di che si tratta.

Pandolfo. Sì, va bene, ma non mi pare che sia un componimento a proposito per far sentire ad una figliuola.

Leandro. Scusatemi; non vi è niente di male. Sentite quest’altra ottava.

Pandolfo. Non vi è bisogno che voi ascoltiate. (a Costanza)

Costanza. Oh io non ho niente di curiosità. [p. 339 modifica]

Roberto. Nemmeno io. (Costanza si accosta colla sedia a Roberto; Roberto si allontana, ed ella si accosta ancora, e tutti due restano lontani da Pandolfo e Leandro, e parlano piano fra di loro con maggior libertà.)

Leandro. " Voi de’ segreti di natura istrutto,

" Voi saprete il mio mal, più che non dico,
" Voi per lo stesso cal da amor condutto,
" Nel primier tempo di dolcezza amico.
Pandolfo. (Si va difendendo dal sonno, ma poi si addormenta.
Leandro. " Un cenno vostro in mio favor può tutto,
" Può il fervente bear desio pudico.
" Deh se il cuor vostro è alla ragion conforme...
(si volta a Costanza e a Roberto
" Parlate in libertà, che il vecchio dorme.


Costanza. Bravissimo.

Leandro. Zitto.

Roberto. Approfittiamo di questi momenti. Voi dunque mi assicurate dell’amor vostro?

Costanza. Voi ne potete esser certo, quando le intenzioni vostre siano convenienti al mio grado.

Roberto. Non ardirei di amarvi, se non avessi in animo di procurarmi i mezzi per ottenervi.

Costanza. Parlatene dunque a mio padre.

Roberto. Io non ardisco farlo da me medesimo, ma troverò persona che gli parlerà quanto prima.

Costanza. Ed io non mancherò di far a mio padre l’arringa patetica contenuta nei graziosi versi del signor Leandro.

Leandro. Ho io ritrovato delle ottave a proposito.

Roberto. Siete l’uomo il più amabile della terra. (a Leandro)

Costanza. Vi abbiamo dell’obbligazione, signor Leandro.

Leandro. Siete due innamorati si virtuosi, che si può far ciò senz’alcun ribrezzo.

Roberto. La mia cara Costanza è adorabile. [p. 340 modifica]

SCENA IV.

Agapito e detti.

Agapito. Signori, eccomi di ritorno. (tutti si alzano)

Pandolfo. (Si risveglia) E bene, che nova ci recate? Vengono? Non vengono? Cosa fanno?

Agapito. Il signor Gottardo e la signora Placida riveriscono umilmente lor signori; rendono loro infinite grazie dell’onore che hanno fatto alla loro casa. Domandano mille perdoni, se non vengono a far quest’atto di dover in persona; la ragione si è, perchè non hanno ancor terminato il loro affare importante, e vi vorranno due ore ancora a finirlo.

Pandolfo. Quand’è così dunque, possiamo andarsene. Mi dispiace dell’inconveniente; mi dispiace che abbiano fatto la spesa, che ci abbiano ben così trattati2, e che non siano stati con noi. Salutateli caramente, ringraziateli intanto per parte mia, e quando li vedrò, farò le mie parti. Costanza, andiamo. Servitor umilissimo di lor signori.

Roberto. Volete di già andarvene? Volete partir sì presto? Il signor Leandro ha delle altre ottave.

Leandro. Sì, se aveste bisogno di dormire anche un poco.

Pandolfo. Scusatemi, sono avvezzo a dormire quando ho mangiato. Non crediate che sia per disprezzo del vostro bellissimo componimento. I primi versi mi sono piaciuti infinitamente.

Leandro. Un’altra volta ve li leggerò quando avrete dormito.

Pandolfo. Oh sì, la mattina pel fresco; venite a prendere la cioccolata da me.

Roberto. Oh sì, anderemo insieme. (a Leandro) Verrò ancor io, se vi contentate. (a Landolfo)

Pandolfo. Mi farete onore e piacere. Andiamo. (a Costanza, incamminandosi) [p. 341 modifica]

Costanza. (Addio). (a Roberto, piano)

Roberto. (Addio). (a Costanza, piano)

Pandolfo. E bene? Non venite? (a Costanza, voltandosi)

Costanza. Mi avea scordato il mio fazzoletto. (a Pandolfo) (Tutti si salutano. Pandolfo e Costanza partono)

SCENA V.

Roberto, Leandro, Agapito e Servitori.

Agapito. E bene, signor Roberto, è andato bene l’affare?

Roberto. Perfettamente. Grazie all’amico Leandro, e grazie al sonno del signor Pandolfo, abbiamo accomodate le cose nostre assai bene.

Leandro. Così scherzando, volete dire che i miei versi hanno fatto i mezzani.

Roberto. Oh dolcissimi versi! oh caro amico! oh giorno per me felice! vi ringrazio, signor Agapito, ringraziate il signor Gottardo. Son fuor di me dalla contentezza. (parte)

SCENA VI.

Leandro, Agapito e Servitori.

Leandro. Fate per me, vi prego, lo stesso uffizio al signor Gottardo. (ad Agapito)

Agapito. Sarà servita. È stata contenta del pranzo?

Leandro. Contentissimo. Non si può far meglio. Si vede che il signor Gottardo è di buon gusto, ed è generoso.

Agapito. Sì certo, egli è un uomo generosissimo.

Leandro. Vi riverisco, signor Agapito. (parte)

Agapito. Servitor suo. [p. 342 modifica]

SCENA VII.

Agapito e Servitori.

Figliuoli, avete finito? Avete messo via ogni cosa? La biancheria, le posate, i piatti sono in quell’armadio? (gli dicono di sì) Avete salvato per voi gli avanzi della tavola? (gli dicono di sì) Bene dunque, andate a mangiare dove volete con vostro comodo e con libertà. (Servitori partono) La burla è fatta, è riuscita bene, resta ora a vedere come Gottardo si tirerà d’affare con l’oste. (parte)

Fine dell’Atto Terzo.

Note

  1. Così l’ed. Zatta. Altre edizioni posteriori stampano: desert.
  2. Così nel testo.