La casa del poeta/La casa del poeta

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La casa del poeta

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Battesimi Famiglie povere

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LA CASA DEL POETA


Finchè era vissuto l’antico proprietario della casa già appartenuta al poeta morto, i non troppo frequenti nè numerosi, ma raffinati e commossi visitatori, se ne erano andati sempre contenti. Poichè il signore e custode di questa specie di tempio li riceveva con gentilezza e gioia, quasi venissero per lui: apriva uno dopo l’altro tutti gli usci della casa; indicava con meticolosa precisione gli angoli e gli oggetti più imbevuti della vita del poeta; in modo che la figura mortale di questi balzava dalla sua parola come da un ritratto del tempo, colorita, palpabile, parlante.

E i visitatori andavano via, non solo contenti, ma quasi allucinati, come avessero veduto nella casa del poeta morto lo stesso poeta miracolosamente resuscitato. [p. 80 modifica]

*

Adesso il nuovo proprietario si trovava impicciato e mortificato.

Già, era un vecchio scapolo, egoista e misantropo, ritornato nella piccola città a godersi la pensione di un lungo impiego governativo: le visite, anche quelle fatte a lui personalmente, lo seccavano; e spesso, chiuse le finestre e la porta, non aveva aperto a chi bussava.

Questa volta però si trattava di un alto personaggio che veniva molto di lontano, appunto per visitare la casa, e che in precedenza aveva chiesto di essere ricevuto il tal giorno, alla tale ora.

All’ora precisa indicata, il personaggio arriva: è a piedi, vestito come un qualsiasi altro umile mortale, con un viso stranamente mobile, a momenti giovane, a momenti vecchio, gli occhi nascosti da rotondi occhiali scuri.

Il proprietario stesso lo riceve, segretamente ansioso, introducendolo subito nel salottino al pianterreno. Salottino che, con le sue poltrone e il divano coperti di fodere di tela grigia, la mensola con sopra un vassoio di frutta di marmo destinate ad una gelida eternità, avrebbe chiuso il cuore anche di un visitatore contadino, senza [p. 81 modifica]la finestra aperta su una specie di parco del quale non s’indovinava il limite.

L’uomo s’era tolto gli occhiali e fissava quello sfondo con gli occhi grigi incantati.

Forse era breve, il giardino della casa del poeta, ma sembrava appunto senza confini, come egli lo aveva cantato, coi suoi alberi antichi, i cui tronchi mille e più mila cuori di edera lucente rivestivano; e fra un tronco e l’altro festoni di rampicanti, gelsomini e passiflore. Solo le macchie rosse delle rose porporine spandevano chiazze di colore sul verde ombroso e quasi boschivo del luogo: bastava però quel chiarore di fiamma sanguigna per dare una luce calda al giardino e allo stesso salotto. Con voce velata, il visitatore domanda:

— Il giardino appartiene alla casa? Il poeta ha piantato almeno uno di questi alberi?

Il proprietario non lo sa; ma per non fare cattiva figura risponde:

— Credo, sì, che alcuni siano stati piantati da lui.

— Sì, quella paulonia, al centro, è stata piantata da lui.

Il visitatore parla come fra di sè, rispondendo alla sua domanda: e il proprietario lo guarda con lieve stupore, volgendosi poi a fissare la pianta della quale ancora non sapeva il nome. [p. 82 modifica]

*

Il suo stupore crebbe a misura che si procedette nella visita. Poichè era l’altro che gli faceva da guida e gli svelava il mistero di ogni cosa.

— Questa è l’antica cucina, ancora paesana, con le pareti affumicate, le padelle di rame, le graticole, gli spiedi. E questo il camino — disse, fermandosi a guardare la cenere ammucchiatavi dentro come un monticello grigio su uno sfondo di nuvole nere. — Qui, d’inverno, era il suo rifugio prediletto, specialmente alle cimase della sua vita: l’infanzia, e gli ultimi anni, quando ai suoi ammiratori infidi il suo cuore pareva già spento peggio di questo camino, mentre continuava a sfolgorare come il sole che a noi sembra tramontato.

— E questa è la scala: la prima rampata è di granito rosso, patinato dal tempo: le altre, sì, ecco, sono di scalini in muratura, ricoperti di lastre di lavagna. Sulla parete di mezzo una finestra vuota guarda da una rampata all’altra; e affacciandovisi, il poeta, fanciullo, ebbe forse le prime sensazioni di un’arte introspettiva quale fu la sua.

— Questo il pianerottolo fra la sua camera da letto e il suo studio: gli serviva anche da [p. 83 modifica]spogliatoio. I suoi vestiti stavano attaccati dentro questo armadio a muro.

Fu il visitatore a sollevare una tenda di stoffa gialla che nascondeva l’armadio; e sul fondo polveroso della parete gli attaccapanni di ferro arrugginito parvero spaventarsi per la luce improvvisa: era invece un ragno che risaliva rapido un filo invisibile della sua tela, e spariva come sciogliendosi nella luce stessa che lo aveva disturbato.

*

Prima dello studio, al contrario degli altri visitatori, questo volle vedere la camera da letto.

Qui non parlò, ed anzi parve piegarsi e raccogliersi riverente, quasi in atto di preghiera: e il proprietario stesso ebbe voglia di interrogarlo. Non lo fece, per risparmiarsi di nuovo una troppo cattiva figura; ma guardò con occhi nuovi, scrutatori e profondi, la grande camera triste per sè stessa, come le altre però rallegrata dalla sinfonia del giardino. Poichè le cime degli alberi raggiungevano le finestre, adesso su un chiarore azzurro e roseo di cielo già vespertino, il cui riflesso dava alle pareti giallastre toni dorati e caldi.

La banalità provinciale dei mobili vecchi [p. 84 modifica]svaniva in questa atmosfera di poesia; e per la prima volta il proprietario vide sul letto di ferro, coperto da una coltre di seta canarina scolorita, il poeta che sognava, il poeta che moriva.

Il visitatore riprese a parlare quando finalmente furono nella stanza di fronte alla camera da letto: ampia, anche questa, con le finestre che ripetevano il quadro, la luce, i colori del tramonto sul giardino.

— E questo era il suo studio: e qui resta davvero l’alito della sua vita. Poichè non è nella cucina o nella sala da pranzo, e neppure nella camera da letto, vi sia pur egli nato e morto, che l’artista vive e muore: è nella stanza dove egli ha creato le sue opere.

— Gli scaffali sono ancora quelli, — disse poi, toccandone le mensole, come per assicurarsi che non s’ingannava; — legno solido, di rovere: lo scrittoio è lo stesso, semplice e nudo, coi quattro cassetti dove egli riponeva i suoi manoscritti. L’ordine più perfetto regnava intorno; l’ordine, segno del vero genio. E quando egli lavorava, il poeta, voleva il silenzio nella sua casa: forse per questo non si è creato una famiglia. Solo, con la sua arte. Eppure, — aggiunse il visitatore, che si era seduto davanti allo scrittoio e appoggiandovi i gomiti reclinava il viso fra le mani, — l’amore riempì la sua vita, dal primo all’ultimo giorno: amore per tutto e per tutti, [p. 85 modifica]dall’amante all’amico, dall’ultima foglia di questi suoi alberi alla stella che, ecco, adesso vi spunta sopra e ancora riflette gli occhi di lui. La potenza di questa passione è rimasta nei suoi libri; per questo, dopo averli letti, ci si muove di lontano e si viene qui in pellegrinaggio, come si va ad un santuario o verso una fonte miracolosa, per ritrovare qui, dove egli è stato uomo mortale come noi, la salute dello spirito malato.

Lentamente, come si era seduto, il visitatore si alzò: rimase un momento con le mani appoggiate allo scrittoio, gli occhi rivolti al mirabile sfondo della finestra: e le sue labbra parvero mosse da una preghiera silenziosa.

Tremavano invece, come quelle dell’uomo che sta per dare e ricevere il primo bacio d’amore.

Il proprietario della casa si sentì preso anche lui da una suggestione di rispetto, quasi di rimorso. Gli parve di esser lui davvero il visitatore, di conoscere solo allora la grandezza del luogo che abitava. E, sia pure per un momento, anche nel suo vecchio cuore succhiato da una lunga vita inutile, si compì il miracolo del quale parlava l’altro.