La dama prudente/L'autore a chi legge

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L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE.


S
E noi leggiamo le Opere degli antichi, vedremo nelle Tragedie gli Eroi dipinti, i Re, i Principi, i Capitani, o biasimati, o esaltati; e nelle Commedie loro i schiavi, i servi, la bassa plebe, o al più qualche mercantuzzo, o al più qualche povero cittadino introdotti. Quel rango di personaggi, che in ogni tempo tenuto ha il luogo fra l’ordine della sovranità e quello del volgo, vale a dire quelle persone che nobili noi chiamiamo, o per nascita, o per dignità, o per fortuna, non avevano parte sopra le scene antiche, ed Aristofane, che contro il Filosofo Socrate e contro il Tragico Poeta Euripide nelle sue Commedie satirizzava, facevalo con allegorie e con misteri.1

Moliere è stato il primo, che tratto abbia il ridicolo dai Marchesi, dai Cortigiani, dalle persone di qualità, e il suo novello ardire, spalleggiato dalla protezione di un Re, che lo eccitava non solo, ma fra i soggetti della sua Corte gli additava i più comici e i più originali, produsse de’ buoni effetti, e furono le sue Commedie ottime e fortunate lezioni. Correva nel passato secolo in Parigi un fanatismo di letteratura ridicola, fra le donne2 principalmente; e gli uomini le secondavano, adulandole per compiacenza, onde le conversazioni loro erano accademie d’errori, i quali si estendevano sino agli articoli di Religione. Le Donne sapienti, e le Preziose ridicole, furono le due Commedie che un tale abuso corressero. Vidersi così al vivo dipinte le donne di tal carattere, e tanto il ridicolo del costume loro compresero, che in poco tempo abbandonarono la vanità de’ studiati ragionamenti, conobbero il loro inganno, e cambiarono in più adattati trattenimenti le Tesi, le Poesie [p. 14 modifica] ed i Sofismi. Con un sì bell’esempio dinanzi agli occhi, altri comici scrittori si fecer lecito di far lo stesso; in fatti, sendo la Commedia un’immagine della vita comune, il fine suo dev’essere di far veder sul Teatro i difetti de’ particolari, per guarire i difetti del pubblico, e di correggere le persone col timore di esser poste in ridicolo. Di un sì gran benefizio devono tutti gli ordini essere a parte, e siccome nel fare altrui una correzione, dee l’uomo saggio servirsi delle ragioni e dei termini al grado ed alla condizione delle persone più convenevoli, difficilmente avverrà che si corregga il nobile di quel vizio, che vede essere in un plebeo deriso, o perchè i modi della derisione non sieno alla delicatezza sua convenienti, o perchè in sè creda esser lecito ciò che nell’inferior si condanna.

Necessario è, al parer mio, che uno scrittor di Commedie tragga da tutti gli ordini delle opere sue gli argomenti, e niuno può di ciò lagnarsi, quando la critica sia generale, e non arrivi la temerità dell’Autore a dipingere una persona in modo che possa essere riconosciuta.

Molto meno di me, spero, si lagneranno le genti, poichè non solo cerco di porre i vizj generalmente in ridicolo; ma studio mio particolare si è di esaltar le virtù, e queste nelle persone nobili spezialmente, siccome quelle che, per la nascita e per la educazione, le fanno maggiormente risplendere.

Nella presente Commedia mia piacemi di porre in veduta la prudenza di una consorte nobile, angustiata da un marito geloso. La gelosia è una passione comune a tutti gli ordini delle persone3, ma opera diversamente. L’uomo di basso rango, se ha gelosia della moglie, non trovasi da soggezione stimolato a celare la sua debolezza. Comanda con libertà alla sua sposa, le vieta francamente di conversare, e se in occasione ritrovisi di aver sospetto, non cerca dissimularlo, e non ha difficoltà di sfogare la sua passione anche con uno schiaffo alla moglie. Non così pensano i mariti di [p. 15 modifica] condizione. Devono alla convenienza, alla civiltà, al costume sagrificare moltissimo; ed un povero geloso, che si vergogni d’esserlo4, è in uno stato che merita di essere consigliato e soccorso. Ma siccome a pochi, e forse a nessuno, confida egli la sua passione, e niuno ardisce favellargli della sua debolezza; qual altro miglior mezzo potrebbe egli avere per ispecchiarsi e correggersi, oltre quello d’una Commedia? Voglia Dio che ciò segua in alcuno dei spettatori, che bisogno ne avesse; ma voglia Dio altresì, che nella Dama Prudente si specchino tante mogli, che non potendo soffrir in pace le gelosie del marito, mantengono una perpetua guerra domestica, e per vendetta de’ suoi sospetti, gliene recano de’ più violenti.

A questo fine non ho io intitolata questa Commedia: Il Marito geloso, ma La Dama prudente, acciò più del ridicolo di un Marito, spiccasse la virtù d’una Moglie, e servisse ella di specchio, di consiglio e di norma a chi nel di lei caso per sua fatalità si trovasse.

  1. Segue nell’ed. Paperini, dove questa prefazione fu stampata la prima volta (t. VII, 1 754): Don Lopez de Vega, don Pietro Calderone, Spagnuoli, hanno persone nobili nelle Commedie introdotte, ma queste unicamente all’intreccio servir facevano, nulla delle loro virtù e dei loro vizj trattando, limitato ai servi il ridicolo, ed al loro Grazioso principalmente, che corrisponde all’Arlecchino degli Italiani.
  2. Pap.: fra le Donne nobili.
  3. Segue nell’ed. Pap.: siccome è comune a tutti l’amore. Ma quest’amore violentato, sospettoso, inquieto, varia gli effetti suoi, secondo la varietà delle persone che amano. L’uomo di basso ecc.
  4. Pap. aggiunge: parmi un carattere assai ridicolo sulle scene, ed è in uno stato ecc.