La donna sola/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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La donna sola L'autore a chi legge
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ALL’EGREGIO ED ORNATISSIMO

Signor

AGOSTINO CONNIO.1


L’
AMORE, il rispetto e la gratitudine (Signor mio, e Suocero Amorosissimo) egualmente mi spronano a darvi una pubblica testimonianza della mia più sincera riconoscenza, acciocchè se un legame ci ha fatto essere uniti in vita, possiamo su questi fogli durar congiunti anche dopo morte. Grande è l’obbligo ch’io vi professo, poichè darmi non potevate maggior tesoro di quel che dato mi avete nella vostra esemplare Figliuola, amorosissima mia Consorte2. Meno non vi voleva della sua sofferenza per tollerare i difetti miei; e sì buona compagna mi è sempre stata, che in tutti gli anni non pochi che siamo insieme, mai m'è accaduto, nè per domestiche differenze, nè per fantasia riscaldata, l’avermene un momento solo a pentire. Ella ha saputo soffrir meco tranquilla gli avversi colpi della Fortuna, contenta d’ogni picciolo stato, desiderosa sol della pace, di cui ella fu sempre la promotrice, e la prudente custode. Ma se ho ammirato la sua Virtù nelle incomode situazioni, più plausibile è ancora la sua moderazione nella migliore Fortuna, lontana sempre da quelle immagini e da quei costumi, che sono incomodi alle Famiglie, e pericolosi ai Mariti. Ella è amantissima della civiltà e della pulizia, ed è nemica mortale del fasto e dell’ambizione. Sa unir sì bene in se stessa l’onesta liberalità e la sollecita economia, che senza irritare il genio mio troppo facile, mi ha procacciati de’ sensibili quotidiani vantaggi. Rarissima cosa parrà a taluno, che formisi da un Marito il panegirico alla propria Moglie. Alcuni l’hanno fatto dopo la di lei morte, tempo in cui si ricordano più [p. 100 modifica]facilmente le virtù che i difetti. Io lo faccio mentr’ella vive, e rendole quella giustizia che l’è dovuta, sicuro di non essere da chiunque la conosce di soverchia benevolenza tacciato, portando ella la bontà in volto, come l’ha scolpita nel cuore.

Benedico ancora què dì felici, ne’ quali ebb’io l’onore di conoscere in Genova la degnissima Persona vostra, e la vostra cara Famiglia3. La sorte mi ha fatto essere a voi vicino d’abitazione, mi fe’ con voi contrarre amicizia, ed ebbi campo di rilevare il merito di questa vostra Figliuola, per cui ho sentito prima la stima, e poi ne è derivato l’amore. Questa sorta d’amori nati dalla cognizione del merito della persona, e non già dal capriccio o dalla facilità del moderno costume, quelli sono che durano più lungamente, e promettono il maggior bene del matrimonio, che è la domestica tranquillità. Il sistema della vostra Famiglia è stato sempre esemplare. L’educazione che avete data alle vostre Figlie, è quella de’ buoni Padri, severi quanto bisogna, e docili quanto conviene. La saggia vostra Consorte, mia veneratissima Suocera, non aveva a far altro, per contribuire alla buona riescita delle Figliuole, che offerir loro se medesima per esempio, e condurle per quella strada, per cui ha ella sempre con gloria e decoro i di lei passi diretti. Tre Figliuole Dio vi ha lasciate in vita: una, data intieramente alla divozione, non ha Voluto perciò privare della dolce sua compagnia i Genitori, persuasa che possasi servire a Dio esattamente anche fralle domestiche mura, e menar vita penitente e contemplativa, senza ritirarsi nei Chiostri. L’altra è assai decentemente collocata in Ispagna, che forma anch’essa la delizia e il conforto di un onorato, comodo e assai civile Marito. A me è toccata la vostra prediletta amabile Nicolina, che meritava miglior fortuna, ma non poteva essere nè più amata, nè più stimata. So che con pena estrema ve la staccaste dal fianco, ma non dal cuore. Fu effetto della bontà che avevate per me l’accordarmela, e anche al giorno d’oggi non cesso di ringraziarvi e di benedirvi. Lo stato della vostra [p. 101 modifica]Famiglia non potea prometterle una ricca dote, ma la condizion degl’impieghi che sostenete, e l’onestà della vostra nascita, non le poteano far mancare in Genova de’ migliori partiti. Voi siete assai conosciuto e assai stimato costì. Sosteneste con merito e con decoro l’uffizio in Corsica di Cancelliere. Vi portaste con valore e con lode nel carico dell’appuntatura in San Giorgio, e meritaste poi vi appoggiassero il grave premurosissimo geloso impiego de’ Cartularj, che formano la ricchezza de’ pubblici e privati erarj di Genova, ne’ quali e necessaria l’abilità, la fede e la più esatta condotta. I vostri cinque Figliuoli maschi non fanno che rendere onore alla vostra Casa. Due nell’ordine militare servono il loro Principe naturale, il primo in grado di Capitano, e di Tenente il secondo. Il Primogenito vostro segue la traccia de’ vostri impieghi, e i due più giovani sono per onorate vie incamminati.

La Figlia che voi mi avete accordata, merita, com’io diceva, miglior fortuna; ma pure la sua bontà, la sua moderazione la fa esser contenta. Io non sono uomo ricco, ma il Signore mi dà del bene piucch’io non merito, e se non si vive in casa mia lautamente, per Provvidenza Divina non si penuria. Mi costa sudori il pane ch’io mi procaccio, ma dividendolo colla mia diletta compagna, dolci mi si rendono le fatiche. Vero è che la Provvidenza medesima mi ha caricato di un grave peso colla Famiglia di mio Fratello4; ma da ciò appunto risulta il merito grande di mia Consorte, che ama i Nipoti come Figliuoli, e soffre gli incomodi di una Madre, senza l’impulso e la ragione del sangue.

A me il Signore non ha concesso Figliuoli, nè per ciò ho avuto mai in animo di dolermi. Che cosa avrei io potuto lasciare al mondo a pro loro? Comodi, fortune, ricchezze, no certamente; poco non è che io mi regga decentemente alle spese del povero mio talento, assai limitato e già vicino a stancarsi. Potrebbe forse giovare ad essi quel poco di buon concetto, che mi ho acquistato nel Mondo? Questo è un inganno: se i Figli hanno del merito [p. 102 modifica]per farsi amare e stimare, poco hanno bisogno della Fama del Padre loro; ed all’incontro, se riescono malamente, la memoria del Padre è un rimprovero alla dappocaggine loro, e sono più conosciuti per essere più disprezzati.

Il mio mestiere non può passare per eredità. Non v’è esempio, non v’è istruzione che vaglia, per fare una testa comica, quand’ ella non sia per ciò lavorata dalla Natura. Guai s’io avessi Figliuoli, e s’invogliassero di quest’arte senza conoscerne il peso, e per la sola apparenza d’un’arte lusinghiera e gioconda.

Non saprei dire io medesimo quale spirito, qual talento sia necessario per tal mestiere. Un grave, melanconico, ottuso, mal si adatta ai vezzi, al brio, alla giovialità della comica. Uno spiritoso, vivace, allegro, non è suscettibile per ordinario delle riflessioni serie, succose e morali, che vi abbisognano. Vuol essere un cervello misto, una mediocrità fra gli estremi, un’inclinazione presso che universale, insomma una testa lavorata apposta dalla Natura. S’io abbia o no simil testa, non lo so dire; so che ho principiato senz’animo di continuare, e che ho continuato senza poter più finire. So che ho principiato colle sole regole della Natura, e ho proseguito a piacere, con questo solo ragionevole ed universale principio. Credo che tutti gli Autori Comici più rinomati abbiano fatto come ho fatt’io, più felicemente di me perchè avranno avuto miglior talento, ma tutti collo specchio della Natura, colla osservazione dei costumi e del Mondo, e colla pratica del Teatro; ma coll’incertezza altresì in qualunque opera di piacere, essendo l’esito sempre incerto, quando si tratta di compiacere l’universale. Una prova dar si può alle Commedie, leggendole in casa prima di darle al pubblico. Fama è che Molière le leggesse alla propria serva, per iscorgere in essa l’effetto della semplice Natura. L’avrà fatto però soltanto di quelle opere, che poteano interessare lo spirito di una serva. Io le opere mie di costume, di buon carattere, d’onesta critica, le leggo e le comunico alla mia cara Moglie. L’ho veduta ridere e piangere parecchie volte, ed ho veduto che al suo pianto e al suo riso hanno corrisposto in Teatro i movimenti del pubblico, e gli occhi e le [p. 103 modifica]labbra de’ spettatori. Io non voglio, Signore, che fra di noi ci aduliamo; non intendo far passare la vostra Figlia, la mia Compagna, per donna erudita, saccente, o romanziera e sputasentenze; ma ha il cuor ben fatto e la mente illuminata, quanto a donna conviene, e basta ciò, perch’Ella sappia discernere la verità del costume, e la forza del sentimento e della vera passione. Volete una certa prova del suo prudente discernimento? Eccola. Ella conosce perfettamente quando ha da parlarmi, e quando desidero ch’ella taccia. L’estro, la fatica, l’impegno mi rendono talora inquieto, intollerante, fantastico; ella lo conosce perfettamente, e tace, e soffre, e non mi molesta. Sparito il pensiero torbido dalla mia mente, è prontissima a rallegrarmi con qualche detto giocoso, e mi fa scordare ogni noia passata. Noi formiamo tuttavia tra noi due una piacevole conversazione, come ne’ primi dì delle nozze, e ad essa comunicando tutti i miei disegni ed i miei pensieri, ne ho riportato mai sempre buoni consigli e salutevoli previsioni. Manca alla nostra felicità il piacere di poter essere con Voi e colla Vostra degna Famiglia. Il destino ci vuol lontani, e due sole volte, dacché ho l’onore di essere vostro genero, ci siam veduti. Spero e desidero di rivedervi, e di passare con Voi delle ore gioconde e tranquille. Voi sapete occuparvi assai piacevolmente negli ozj vostri. Le amicizie poi, che Voi coltivate, sono tutte onorifiche, esemplari, costumatissime. Col mezzo vostro contratta ho pure costì servitù profittevole con Cavalieri illustri5, con persone di merito, con Religiosi degnissimi. Voi siete uomo d’intelligenza e d’amenissima conversazione. Dio vi mantenga sano e felice, e prosperi gli affari vostri e la vostra Famiglia, e mi conceda la grazia di rivedervi, e di dare una simile consolazione alla cara Vostra Figliuola. Frattanto degnatevi di ricevere cortesemente questa Commedia che io vi spedisco, e che al vostro Nome consacro e dedico, con quell'amore e con quel rispetto con cui umilmente mi sottoscrivo

Vostro Devotiss. Obbligatiss. Servidore e Genero
Carlo Goldoni.


  1. Questa lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia l’anno 1761, nel t. VII del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G., ed. Pitteri di Venezia.
  2. Di Nicolina Connio e del signor Agostino parla il Goldoni nelle prefazioni dell’ed. Pasquali, già stampate nel vol. I della presente edizione (pp. 121-123).
  3. Primavera del 1736.
  4. Fin dal principio, pare, del 1754: cfr. Mémoires, II, ch. XXII.
  5. Vedasi, per esempio, la lettera di dedica del Contrattempo, nel vol. IX.