La fame del Globo/Cap. 12

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Ai piedi del Ruwenzori la speranza si chiama Sandra

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Il ripetersi di tumulti nei paesi africani ha un significato tragicamente evidente: come in tutti i tempi la folla insorge davanti allo spettro della morte per fame. Dal 1980 la pluralità delle nazioni ha abbandonato ogni impegno per lo sviluppo dell’agricoltura, i bisogni sono aumentati, la produzione è insufficiente, nei paesi poveri milioni di persone non possono più acquistare il riso o il sorgo per ricolmare la ciotola quotidiana.

In Africa, in una delle regioni dalle carenza più gravi, un’associazione umanitaria ha offerto, nel 2006, i fertilizzanti per gli agricoltori che non potevano acquistarli: obbedendo agli attivisti delle organizzazioni “biologiche” europee i contadini del Congo hanno minacciato di bruciare i raccolti ottenuti con i prodotti dell’orrore. Ha raccolto la sfida una donna, Sandra Kavira, agronomo, che ha convinto le contadine dei villaggi ai piedi del Ruwenzori a utilizzare i fertilizzanti offerti. E’ stato il prodigio: i suoli esauriti da millenni di sfruttamento hanno risposto con generosità: un ettaro di risaia, che produceva il riso per dieci persone, ha prodotto il cibo per cinquantacinque.

Mentre si moltiplicano le notizie di tumulti, in Africa, contro l’esplosione del prezzo degli alimenti, e la Fao è costretta ad aumentare il numero “ufficiale” degli affamati, ma i dati che fornisce suscitano il dubbio che le nuove potenze del Pianeta, la Cina e l’India, impediscano qualunque verifica sulle dimensioni della fame nelle proprie regioni periferiche, un agronomo operante in uno degli organismi di sviluppo agricolo che portano le insegne dell’Università di Wageningen, il centro mondiale che concentra le maggiori conoscenze sull’agricoltura ai Tropici, mi riferisce la vicenda che dimostra che è possibile salvare un Continente che pare destinato all’inedia, che la strada non è misteriosa, ma che per percorrerla bisogna rigettare, con fermezza, i pregiudizi che impediscono ai contadini africani di ricavare dalla propria terra quanto potrebbero ricavarne, per soddisfare i bisogni della famiglia, per fornire il cibo necessario agli abitanti delle città.

La vicenda ha inizio nel 2006, quando un’associazione filantropica belga, Vredes filande, Isole di pace, si propone di ricercare, in Congo, una regione la povertà dei cui terreni possa essere ovviata da apporti di fertilizzanti, per donare i concimi necessari ad accrescere i raccolti. Il proposito viene conosciuta dalle centrali dei movimenti “biologici” che hanno fatto dell’Africa la propria cavia fornendo aiuti a condizione che chi li riceve rinunci ad ogni impiego di fertilizzanti.

I propagandisti “biologici” hanno condotto le proprie campagne coloniali diffondendo lo slogan “i terreni africani possiedono una fertilità antica, utilizzatela senza intossicarli”, uno slogan contrario ad ogni cognizione della scienza del suolo, siccome è noto che, non avendo conosciuto le glaciazioni del Pleistocene, i suoli africani hanno età computabili in milioni di anni: su terreni tanto “vecchi” la vegetazione della foresta si è alimentata, per decine di millenni, utilizzando e restituendo al terreno quantità minime di elementi nutritivi. Convertendo la foresta in arativi, l’asportazione dei raccolti, seppure siano sempre stati raccolti modesti, ha impoverito i due decimetri di terreno fertile: i contadini dell’Africa coltivano i suoli più poveri del Pianeta.

Infiammati dagli attivisti bianchi del colonialismo “verde” i contadini inquieti del Congo proclamano che chi impiegasse i prodotti proibiti dagli stregoni del verbo “biologico” vedrebbe i propri campi incendiati prima del raccolto, il procedimento che i paladini delle fedi “biologiche” hanno sperimentato con successo nei paesi europei. Informato dall’associazione filantropica belga, l’Ifdc, un organismo di cooperazione agronomica operante, in Rwanda, in collegamento all’Università di Wageningen, verifica se la proposta possa essere accolta dagli agricoltori di un paese diverso. Accetta la sfida degli avversari della scienza una piccola donna nera, Sandra Kavira, trent’anni, agronomo, la capacità del grande agronomo di provare, sul campo, l’efficacia degli strumenti della scienza, per quella capacità circondata dalla considerazione universale nei distretti della Repubblica democratica del Congo che raggiungono il Ruwenzori, e in quelli, sul versante opposto, appartenenti all’Uganda.

Sandra è la consulente più ascoltata di Lefapoco, la lega delle associazioni di donne coltivatrici del Congo: in Africa l’agricoltura significa usare la zappa, e nella ripartizione dei compiti familiari la zappa è, sistematicamente, impegno della donna. Essendo loro a impugnare la zappa, negli anni recenti le donne africane hanno acquisito un potere considerevole nelle decisioni su cosa si debba zappare: cosa seminare, se concimare, se irrigare. Essendo il Congo terra proibita all’agronomia Sandra conduce la sua campagna per la fertilizzazione tra i villaggi delle prime pendici del Ruwenzori in Uganda, nella valle di Kyatenga: le donne l’ascoltano e accettano: se porterà i fertilizzanti li impiegheranno come insegnerà Sandra.

Mentre Sandra convince le donne di Kyatenga, a Kingali, in Rwanda, alla sede dell’Ifcd, il dott. Henk Breman, responsabile del programma Catalist (Catalize Accelerated Agricultural Intensification for Social and Environmental Stability) mette a punto il piano di concimazione da impiegare nei terreni ai piedi del Ruwenzori per ottenere dalla minore quantità possibile di fertilizzanti il massimo effetto produttivo.

Nei villaggi di Kyatenga non esistono reti di irrigazione, ma la stagione delle piogge è generalmente generosa, ed il riso è pianta tradizionale. Il progetto di Sandra comporta dei rischi: mentre sui terreni irrigui l’impiego dei fertilizzanti è sistematicamente fruttuoso, su terreni che debbono contare sulla regolarità delle piogge l’irregolarità dell’annata può determinare l’insuccesso della fertilizzazione.

Evitando il Congo, proibito ai fertilizzanti, il dono dell’organismo belga sbarca in un porto del Kenia. Le contadine di Kyatenga seminano il riso, attendono le piogge, le piogge sono regolari. Sandra segue le colture giorno per giorno: a ogni pioggia una piccola distribuzione di fertilizzanti. I primi coltivatori che eseguono la trebbiatura dei covoni portati al villaggio e contano il numero delle statia raccolte non credono alla misura di quanto hanno prodotto.

E l’estate 2007: nei tre anni successivi Sandra perfeziona il piano agronomico, i fertilizzanti donati migliorano la fertilità dei terreni di Kyatenga, al quarto anno il raccolto straordinario si converte in prodigio: la media produttiva di tutte le famiglie tocca le sei tonnellate per ettaro, nei campi più fertili, o dove gli agricoltori sono stati più abili, si raggiungono le otto tonnellate, senza irrigazione una produzione che sfida i saggi sperimentali nelle parcelle degli istituti di ricerca.

La produzione tradizionale delle risaie di Kyatenga è di quindici quintali per ettaro: una famiglia di quattro persone che non disponga di risorse diverse ne consuma, in un anno, dieci, ne può vendere cinque. Grazie ai fertilizzanti dell’organismo belga, al piano di fertilizzazione del dott. Breman, al piano di campagna dell’agronomo Sandra Kavira, la stessa famiglia può vendere, da quell’anno, 55 quintali di riso, chi dispone dei terreni più fertili ne venderà 65. Nessuno, nel villaggio, aveva disposto di tanta ricchezza.

Se l’opera di Sandra Kavira si diffondesse in tutta l’Africa i contadini africani disporrebbero del cibo per la famiglia, potrebbero vendere riso alle famiglie delle città, l’Africa non dovrebbe insorgere, come sta insorgendo, per la mancanza di cibo, non dovrebbe attendere, siccome i tumulti di piazza non producono il riso che producono le piogge e l’azoto, la morte dei milioni di uomini e donne che l’alterazione degli equilibri alimentari mondiali determinata dal primo benessere di un continente diverso condanna a morte. Ma i governanti dell’Asia hanno perseguito mete che i governanti africani sono stati incapaci di perseguire, hanno creato il primo benessere, e il primo benessere di tre miliardi di uomini significa la domanda, una domanda reale, gli economisti dicono solvibile, di quantità di cibo che il Pianeta non ha mai prodotto. Milioni di cinesi lavorano in nuove fabbriche, percepiscono il primo salario, chiedono carne e latticini, che sono in grado di pagare ai produttori degli Stati Uniti e del Brasile: per l’Africa, come era tragicamente facile prevedere, non c’è più cibo. Ma il cibo l’Africa può produrlo: è sufficiente seguire l’esempio di Sandra Kavira, per tutti i contadini delle pendici del Ruwenzori Madame huit tonnes.

Antonio Saltini