La figlia obbediente/Atto III

Da Wikisource.
Atto III

../Atto II ../Nota storica IncludiIntestazione 24 febbraio 2020 100% Da definire

Atto II Nota storica

[p. 483 modifica]

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Strada

Florindo solo.

Ah Conte pusillanime e vile! Egli va accompagnato dagli sgherri, per timore di me. L’ha indovinata. L’avrei disteso sulla porta di Pantalone, se da quattro non foss’ei stato difeso. Contro quattro non posso solo azzardarmi; però, o non sarà sempre da cotal gente scortato, o lo assalirò con forze eguali per atterrarlo. Lo voglio estinto. Voglio levarmi dagli occhi un rivale, a costo di dover perder la vita. Eccolo; il mio sdegno non sa frenarsi. Se non temessi di essere soverchiato... Basta; tratterrò a più potere la collera, ma gli parlerò. [p. 484 modifica]

SCENA II.

Il Conte Ottavio, il Cameriere di locanda
e altri tre Uomini; e detto.

Ottavio. (Viene avanti, e gli uomini lo seguono; quando vede Florindo, si ferma; fa passare due uomini avanti, e si mette nel mezzo per esser difeso.

Florindo. Signor Conte, avrei necessità di parlarvi.

Ottavio. Ehi! (agli uomini, che stieno attenti, e li va disponendo per sua difesa

Cameriere. Non dubiti. Siamo con lei.

Florindo. Di che avete timore? Io non son qui per offendervi. Bramo solo di ragionarvi, ed il mio ragionamento sarà brevissimo. Signore, sono tre anni ch’io amo la signora Rosaura, e che sono da lei amato.

Ottavio. (Colla mano al mento fa segno che non gl' importa.

Florindo. Io non posso vivere senza di lei, e giacchè devo morire, sono disposto a intraprendere qualunque pazza risoluzione.

Ottavio. (Ammazzatelo). (agli uomini

Cameriere. (Per difenderla, siamo qui; ma per altro1...) (piano al Conte

Florindo. Mi maraviglio, come un uomo d’onore possa aspirare ad un simile matrimonio. La signora Rosaura vi aborrirà in eterno; e sin ch’io viva, non isperate mai d’aver pace.

Ottavio. (Dà delle monete al cameriere di locanda.

Cameriere. Obbligatissimo alle sue grazie.

Ottavio. (Ammazzatelo). (piano al cameriere

Cameriere. (Chi fosse pazzo!)2

Florindo. Voi non mi rispondete? Che modo di pensare è il vostro? Mi maraviglio di voi.

Cameriere. Signore, non si riscaldi tanto. (a Florindo

Florindo. Difendetelo finchè potete. Ma giuro al cielo, sarà vana [p. 485 modifica] la vostra scorta. Troverò io la maniera di deludere voi e lui. Voi siete schiavi dell’interesse: egli è uno stolido che non sa vivere, e non viverà lungo tempo. (parte

Ottavio. (Sta alquanto immobile3, va per seguire Florindo; poi si pente. Torna indietro, e parte dalla banda opposta.

Cameriere. Grande spirito! Gran bravura! (lo segue coi compagni

SCENA III.

Camera di Pantalone con tavolino, lumi e sedie.

Beatrice, poi Pantalone.

Beatrice. Io sono imbrogliatissima tra Rosaura, Pantalone, Florindo ed il conte Ottavio. Con tutta la mia franchezza, qualche volta mi perdo. Ma finalmente che cosa può accadere? Che Rosaura sposi l’uno, o sposi l’altro, per me è lo stesso.4

Pantalone. Ah pazenzia!

Beatrice. Che c’è, signor Pantalone?

Pantalone. Siora Beatrice, mi son l’omo più appassionà de sto mondo.

Beatrice. Ma perchè? La signora Rosaura non si è rassegnata al vostro volere? Non ha detto che sposerà il conte Ottavio? Non fa ella tutto quel che volete?

Pantalone. Siora sì, xe vero; ma la lo fa per forza.

Beatrice. E per questo?

Pantalone. E per questo, considero e penso che vago a rischio de volerla precipitada.

Beatrice. Adesso ci pensate?

Pantalone. Ghe penso adesso, che no ghe xe più remedio. Adesso ghe penso, che la vedo pianzer con tanto de lagreme, che la vedo tremar da capo a piè, ogni volta che sona le ore, perchè se avvicina quella delle so nozze. La m’ha dito diese parole che m’ha serra el cuor. La m’ha dito cosse [p. 486 modifica] che me cava le lagreme, e me farà suspirar per tutto el tempo de vita mia.

Beatrice. Non vi tormentate, signor Pantalone. Vi è ancora tempo. Il matrimonio non è ancora fatto. Troviamo un mezzo termine per non farlo.

Pantalone. Che mezzo termine? Semio putteli? Quanto ghe manca a tre ore? Adessadesso xe qua sior Conte. Cossa voravela che ghe disesse? Son galantomo, son omo d’onor, e non son capace de usar una mala azion.

Beatrice. Dunque seguiranno le nozze.

Pantalone. Le seguirà.

Beatrice. Se han da seguire, acquietatevi. Non occorre pensarci più.

Pantalone. Ah! se Rosaura se quietasse, se Rosaura se desponesse a torlo con un poco più de dolcezza, spereria col tempo de vederla contenta, e me consolerave anca mi.

Beatrice. Volete che le parli?

Pantalone. Parleghe. Diseghe che a tre ore ghe ne manca do; che ella xe orbada da un altro amor, e che el so povero pare xe desperà.

Beatrice. (Oggi mi tocca a fare la confortatrice. Con un poco di sì, e un poco di no, contento tutti). (parte

SCENA IV.

Pantalone, poi Rosaura.

Pantalone. Florindo xe causa de tutto. Florindo xe vegnù a tentarla... Ma poverazzo! Anca lu gh’ha rason. Ghe l’aveva quasi promessa. L’ha fatto sto viazzo co sta speranza, co sto amor... Confesso el vero, m’ha orbà l’interesse. Ah maledetto interesse! Ecco el bel frutto che son per cavar dalle to lusinghe! Povera putta sagrificada! Povera reputazion in pericolo! Povero Pantalon travaggià!5
(Siede al tavolino, sostenendo la fronte colle mani; in questo [p. 487 modifica]

Rosaura. (Povero padre! So che mi ama, ed è forzato a tormentarmi per solo punto d’onore. Merita di essere consolato). (da sè

Pantalone. Ah! morissio avanti tre ore.

Rosaura. Signor padre.

Pantalone. Ah!6 son desperà.

Rosaura. Perchè, signore? Consolatevi, per amor del cielo.

Pantalone. Che motivo gh’oggio de consolazion?

Rosaura. Non vi basta una figlia umile e rassegnata?

Pantalone. No, non me basta.

Rosaura. Che volete di più?

Pantalone. Vorave aver una fia contenta.

Rosaura. L’avrete, signore, subito che sarete7 rasserenato.

Pantalone. Ti me par un pochetto più allegra. Gh’è qualche novità?

Rosaura. Volete che io pianga sempre? Il mio dolor l’ho sfogato. Ora non penso ad altro che a voi. Comandatemi, signor padre, vi obbedirò senza pena.

Pantalone. Distu da senno, anema mia?

Rosaura. Non mentirei per tutto l’oro del mondo.

Pantalone. Ti sposerà sior Conte?

Rosaura. Lo sposerò.

Pantalone. Ma perchè lo sposerastu?

Rosaura. Perchè voi me lo comandate.

Pantalone. Ma ti lo sposerà contra genio, ti lo sposerà per forza, e te vederò tormentada, piena de lagrime e de dolor.

Rosaura. No, signor padre, non dubitate. Fino che me lo avete comandato con austerità, vi ho obbedito con pena; ora che me lo incaricate con tenerezza, farò il possibile per obbedirvi con giubbilo e con prontezza.

Pantalone. Oh Dio! Muoro dalla consolazion. Rosaura, non te tradir.

Rosaura. Non è possibile ch’io mi tradisca, seguendo le disposposizioni del genitore. Il vostro amore non può che disporre di me con profitto, ed io ciecamente mi sottoscrivo. [p. 488 modifica]

Pantalone. Cara Rosaura, vederastu de bon occhio el novizzo?

Rosaura. Farò il mio dovere.

Pantalone. Ghe vorrastu ben?

Rosaura. Non lascerò di dargli testimonianze d’affetto.

Pantalone. Penserastu più a sior Florindo?

Rosaura. Come ci entra Florindo in questo ragionamento? Da che voi me lo avete vietato, i labbri miei non lo hanno più nominato. Anche il mio cuore ha preso impegno di non rammentarlo, e voi siete il primo che me lo ha suggerito... (con calore

Pantalone. Tasi, fia mia, che no te lo nomino mai più.

Rosaura. (Che violenze son queste! Che angustie ad un povero cuore afflitto! Come si può resistere a tanta pena? ) (da sè

Pantalone. Coss’è, fia? Cossa gh’astu? Tornistu da capo?

Rosaura. Non mi crediate così volubile. Quel che ho detto, l’ho detto per mantenerlo.

Pantalone. Tre ore no le xe tanto lontane.

Rosaura. Bene.

Pantalone. Tremistu?

Rosaura. Perchè ho da tremare?

Pantalone. Co no ti tremi più, xe bon segno.

Rosaura. (Tremo, ma non si vede). (da sè

Pantalone. Adessadesso vegnirà el novizzo.

Rosaura. Venga, col nome del cielo.

Pantalone. Ti ghe darà la man?

Rosaura. Certamente.

Pantalone. Senza pianto?

Rosaura. Ci s’intende.

Pantalone. Ti sarà so muggier?

Rosaura. Così spero.

Pantalone. Ti speri, cara, ti speri? Siestu benedetta! Te vedo el cuor: ti lo fa per mi. El mio dolor t’ha mosso; la mia desperazion t’ha fatto mover a compassion. Ah! sangue mio, ti me fa pianzer dalla consolazion. (piange

Rosaura. (Povero il mio cuore!) (da sè; piange [p. 489 modifica]

Pantalone. Ti pianzi?

Rosaura. Piangete voi, non volete che pianga ancor io?

Pantalone. Ti gh’ha rason; no pianzemo più. Cara la mia fia: allegramente. Rassegnete al voler del cielo, e assicurete che la carità, che ti gh’ha per to pare,8 sarà dal cielo recompensada.

SCENA V.

Beatrice e detti.

Beatrice. Come va, signor Pantalone?

Pantalone. Ah! siora Beatrice, son in t’un mar d’allegrezza.9 Rosaura xe rassegnada de cuor. La sposerà sior Ottavio, la lo farà volentiera. No la me vol veder a morir desperà...10

Beatrice. Brava Rosaura, me ne rallegro.

Rosaura. Sì, rallegratevi, che ne avete ragione.

Beatrice. Come! Non è forse vero?...

Pantalone. Siora sì, che xe vero. Cossa diseu?

Rosaura. Vero, verissimo. Caro signor padre, non vi tormentate. Son allegra, son contenta, brillo, giubbilo. Son fuor di me stessa. (Oh Dio! Se non vado a piangere, mi sento soffogar dal dolore). (da sè; parte

Pantalone. Vegnì qua, dove andeu?

Beatrice. Lasciatela andare, poverina; datele un poco di libertà.

Pantalone. Mo la gran bona putta! Mo la gran creatura ubbidiente!

Beatrice. Vedete s’io sono una donna di garbo? Io l’ho ridotta a questa bella rassegnazione.

Pantalone. Ela l’ha ridotta?

Beatrice. Sì, io le ho detto che, per amor di suo padre, si sforzi almeno a mostrarsi allegra e contenta.

Pantalone. Donca la s’ha sforzà? Non la l’ha fatto de cuor? Adesso mo... (vuol andar da Rosaura

Beatrice. Fermatevi; farete qualche sproposito. [p. 490 modifica]

Pantalone. Voi saver se la finze, o se la parla da senno.

Beatrice. Non finge assolutamente, dice davvero.

Pantalone. Mo se la dise ela, che la l’ha conseggiada a sforzarse.

Beatrice. Sì, a sforzarsi a superar la passione. L’ha superata; cosa volete di più? È rassegnata, è contenta; se anderete a stuzzicarla, farete peggio.

Pantalone. Cara siora Beatrice, xe un pezzo che ve cognosso, e gnancora no ve capisso.

Beatrice. E pur son facile a farmi capire. Quel che ho in cuore, ho in bocca.

Pantalone. Sarò mi un allocco, che no la intende. Non ghe vôi più pensar; l’ora se va avanzando. Vago a dar i mi ordeni, e sta sera se farà tutto. Oh! Giove, Giove, dame grazia che mia fia sia contenta, che la diga la verità. (parte

Beatrice. Il signor Pantalone vorrebbe che Rosaura fosse contenta. Non è facile che sia contenta11, quando perde un amante. (parte

SCENA VI.

Camera di locanda con lumi.

Il Cameriere di locanda ed Arlecchino.

Arlecchino. Se poderia parlar co sior Brighella?

Cameriere. Il signor Brighella non è in casa. È andato alla barca di Padova a fermare il posto, perchè vuol partir questa sera.

Arlecchino. Così presto el vol andar via?

Cameriere. È tornato a casa tutto arrabbiato: ha fatto i bauli in fretta, e dice che vuol partir questa sera, e non so perchè.

Arlecchino. Gh’è sta qualche radego in casa dei me patroni, per causa de una corniola.

Cameriere. Ho piacere che vadano via; sono superbi insoffribili.

Arlecchino. Me maraveggio, che signori de quella sorte se degna de andar in barca de Padova. [p. 491 modifica]

Cameriere. Finalmente operano da quel che sono. Basta dire che il signor Brighella, con la parrucca inanellata, mette da sè colle sue mani le candele di sevo sui candelieri.

Arlecchino. Siora Olivetta dov’ela? Vôi saludarla, avanti che la vada via.

Cameriere. La signora Olivetta è in camera del conte Ottavio, che fa i complimenti della partenza.

Arlecchino. Col conte Ottavio? Se i era in collera.

Cameriere. Sì, erano in collera, e hanno fatto la pace.

Arlecchino. Bravi; i se giusta presto.

Cameriere. Eccolo qui il signor Brighella, vestito da viaggio.

Arlecchino. Me despiase solamente no poderghe dar del ti.

SCENA VII.

Brighella e detti.

Brighella. Diseghe al mio staffier, che adessadesso anderemo via. (al cameriere

Cameriere. Sarà servita.

Brighella. Siora Olivetta dov’ela?

Cameriere. E dal signor Conte. Comanda ch’io la chiami?

Brighella. No no, no l’incomodè. Avvisè el staffier.

Cameriere. Subito. (E poi mi darà di mancia due soldi), (da sè, parte

Arlecchino. Sior Brighella, la reverisco.

Brighella. Schiavo.

Arlecchino. La vol andar via cussì presto?

Brighella. Cossa voleu che fazza in sti paesi? Io sono avvezzo a star alle corti.

Arlecchino. E la vol andar in barca de Padova?

Brighella. Chi v’ha dito sta cossa?

Arlecchino. El camerier.

Brighella. Ho preso un bucintoro.

Arlecchino. Un bucintoro? El l’averà fatto far a posta.

Brighella. Un bucintoro, siorsì; via de qua ai burchielli se ghe dis bucintori. Cosa savì voi altri papagalli? [p. 492 modifica]

Arlecchino. Ma perchè sta ressoluzion cussì serpentina?12

Brighella. In sti paesi no se stima la virtù; no se respetta le persone de merito. Aveu visto il13 bel accoglimento, che avemo recevudo da quella canaglia? Poveri peocchiosi! I vede una putta civil; vestia con tanta proprietà; con un zoggiello al collo che li compra quanti che i zè, e i la tratta in quella maniera?

Arlecchino. Certo che i ha mancà al so dover.

Brighella. Appena i la saluda?

Arlecchino. No i sa le creanze.

Brighella. E mi cossa songio? Cussì se parla con un omo, che è stado in conversazion con tanti sovrani?

Arlecchino. Caro Brighella, ti gh’ha rason.

Brighella. Bisogna veder via de qua, quando parla mia figlia. Tutti stanno colla bocca aperta a sentirla. E qua i la strapazza? I ghe perde el respetto? No i è degni de zolarghe14 le scarpe alla mia creatura.

Arlecchino. Crédime... la me creda, che me despiase.

Brighella. Lumaga no se vede? Che diavolo ha costui?

Arlecchino. Ti parli toscano?

Brighella. E tu parli da villano, quale sei originato.

SCENA VIII.

Olivetta, il Conte Ottavio e detti.

Olivetta. Tant’è, Conte, voglio partire.

Ottavio. Partirete poi.

Arlecchino. Siora Olivetta, ghe son servitor.

Olivetta. Va, di’ alla tua padrona, e a quell’altra sudicia di Beatrice, che quando sarò in Germania, scriverò loro i miei sentimenti, (ad Arlecchino

Brighella. E la nostra lettera la faremo stampare. [p. 493 modifica]

Arlecchino. Non dubiti: ghe lo dirò in stampa de rame.

Ottavio. Partirete poi.

Brighella. Il bucintoro è fermato.

Ottavio. Pagherò io.

Brighella. E pò, per dirghela, su sta locanda se spende troppo. I vole un felippo al zorno.

Ottavio. Pagherò io.

Olivetta. Che dite voi, papà?

Brighella. Cossa voleu che diga, cara fia? Sior Conte l’è tanto zentil, che no saverave dirghe de no.

Olivetta. Via, per compiacervi, resterò qualche giorno.

Brighella. Arlecchin, feme un servizio. Andè da parte mia a licenziar la barca.

Arlecchino. El bucintoro dov’elo?

Brighella. Disilo a quei della barca da Padova, che tanto basta; loro intenderanno.

Arlecchino. (Ho inteso anca mi. El bucintoro! La va via, la va via, la va via15). (parte

Olivetta. Ma, signore, non vorrei che la sua sposa avesse di me gelosia.

Ottavio. Andate a disfar i bauli.

Brighella. Andè, fia, tirè fora le vostre zoggie, che mi po tirerò fora l’arzentaria.

Olivetta. (Sì, voglio restare per far disperare Rosaura). (da sè, parte

Ottavio. (Quel Livornese mi fa paura). (da sè

Brighella. Alo po risolto de far ste nozze?

Ottavio. Ci penso.

Brighella. La me compatissa, sior Conte: quella no l’è zente da par suo.

Ottavio. (Tira fuori la tabacchiera, e prende tabacco.

Brighella. Una fia d’un mercante mezzo fallìo. (vuol prender tabacco dal Conte [p. 494 modifica]

Ottavio. (Ripone la tabacchiera.

Brighella. No gh’ho miga la rogna. Ho tolto tabacco in te la scatola del gran Marescalco di S. M....

SCENA IX.

Olivetta e detti; poi il Cameriere.

Olivetta. Papà, dove sono i bauli?

Brighella. Oh bella! In camera.

Olivetta. Io non li vedo.

Brighella. Seu orba? (va in camera, e torna

Ottavio. Voglio vedervi ballare.

Olivetta. Sarà difficile.

Ottavio. Farò un’opera io.

Olivetta. Se sarà un’opera eroica, ballerò.

Brighella. Dov’eli i bauli?

Olivetta. Dove sono?

Brighella. Lumaga dov’elo?

Olivetta. Io non l’ho veduto.

Brighella. Oh! poveretto mi! Camerier.

Cameriere. Comandi.

Brighella. Dov’è Lumaga?

Cameriere. Il suo staffiere?

Brighella. Sì.

Cameriere. Ha messi i bauli in gondola, ed è andato via.

Brighella. In che gondola!

Cameriere. In una gondola a quattro remi.

Brighella. A quattro remi? Poveretti nu! Presto, mandeghe drio.

Cameriere. Subito. (parte

Olivetta. Che è stato?

Brighella. I bauli... la roba... l’arzentaria... Poveretti nu.

Olivetta. Ma come?

Brighella. Ho paura che Lumaga ne l’abbia fatta.

Olivetta. Sarà andato alla barca. [p. 495 modifica]

Brighella. Con una gondola a quattro remi? Perchè no seu stada in camera?

Olivetta. Sono stata dal signor Conte. (da sè

Brighella. Sia maledetto16 el sior Conte. Se no trovo i bauli, semo rovinai. (part)

Ottavio. (Guarda dietro a Brighella con ammirazione.

Olivetta. Povera me! Avete sentito?

Ottavio. (Prende tabacco, e non risponde.

Olivetta. Possibile che Lumaca mi abbia assassinata?

Ottavio. (Seguita a prender tabacco.

Olivetta. Povera me! La mia roba!

SCENA X.

Arlecchino e detti; poi il Cameriere.

Arlecchino. El bucintoro dai trenta soldi l’è licenzià.

Olivetta. E la roba?

Arlecchino. Che roba?

Olivetta. E Lumaca?17 Oimè! Lumaca?... Non ha portati i bauli?

Arlecchino. Niente affatto.

Olivetta. Signor Conte, aiutatemi. E così? (al cameriere

Cameriere. La roba è andata.

Olivetta. Come?

Cameriere. Lumaca con la gondola a quattro remi è andato verso Fusina.

Olivetta. Oimè! sono rovinata.

Ottavio. (Passeggia senza parlare.

Arlecchino. (Quel che vien de tinche tanche, se ne va de ninche nanche18). (da sè

Olivetta. Signor Conte.

Ottavio. (Passeggia come sopra. [p. 496 modifica]

SCENA XI.

Brighella e detti.

Brighella. Semo assassinadi.

Olivetta. Oimè! Mi sento mancare.

Brighella. Presto l’acqua de melissa.

Olivetta. Non l’ho.

Brighella. La bozzetta d’oro.

Olivetta. L’ho messa nel baule.

Brighella. Anca i reloggi, anca le scatole?

Olivetta. Tutto.

Brighella. Deme quei diese zecchini del lotto, che ghe manda drio.

Olivetta. Anche la borsa l’ho messa nel baule.

Brighella. Oh poveretti nu19! Sior Conte, per carità.

Olivetta. Aiutateci. Prestateci un poco di denaro.

Brighella. Per mandarghe drio.

Ottavio. (Va verso la camera.

Brighella. Sior Conte...

Ottavio. Sia maledetto il Conte. (entra, e gli serra la porta in faccia

Brighella. Amigo, cossa avemio da far? (al cameriere

Cameriere. Pensare a pagarmi, e andare a buon viaggio. (parte

Brighella. Arlecchin, son desperà.

Arlecchino. Caro sior Brighella, la se consola.

Brighella. Caro camerada, aiuteme.

Arlecchino. Oh camerada! la me onora troppo.

Olivetta. Soccorreteci, per amor del cielo.

Arlecchino. Lustrissima, no la se confonda.

Brighella. Cossa avemio da far?

Olivetta. Cosa sarà di noi?

Arlecchino. Una parola in grazia. (a Brighella

Brighella. Disè20, camerada.

Arlecchino. La senta. (a Olivetta, andando in mezzo [p. 497 modifica]

Olivetta. Dite, amico.

Arlecchino. Baroni, come prima. (parte

Brighella. Ti gh’ha rason.

Olivetta. Non ho camicia da mutarmi.

Brighella. Se una donna senza giudizio.

Olivetta. Causa voi. Colla vostra maledetta superbia. Volere andar via a precipizio.

Brighella. Causa vu, colle vostre frascherie. Far pase col sior Conte.

Olivetta. Voi tornerete a far il servitore.

Brighella. E voi tornerete a filar.

Olivetta. Io mi guadagnerò il pane colle mie gambe. (partono

SCENA XII.

Camera in casa di Pantalone, senza lumi.

Florindo ed il Servitore di Beatrice.

Florindo. Dov’è la signora Beatrice?

Servitore. La mia padrona è di sopra col signor Pantalone e colla signora Rosaura.

Florindo. Caro amico, fatemi il piacere: andate su dalla vostra padrona, tiratela in disparte, ditele ch’io son qui per una premura grandissima di parlarle, che la supplico di ascoltare una sola parola, che anderò via subito, s’ella viene; ma che aspettandola soverchiamente, potrei venire scoperto. M’avete capito?

Servitore. Sì, signore, ho capito e la servirò. Ma la prego di non dire alla mia padrona, che io ho introdotto a quest’ora vossignoria all’oscuro.

Florindo. Non dubitate; dirò che ho ritrovato l’uscio di strada aperto. Anzi tenete intanto questo zecchino, e poi domani ci rivedremo.

Servitore. Obbligatissimo.21 (parte [p. 498 modifica]

Florindo. Sì, voglio assicurarmi, se questa sera hanno a seguir le nozze; se ciò fia vero, intraprenderò la più violenta risoluzione per impedirle. Io sono un disperato, che cerca la vendetta o la morte.22 Morirà il mio rivale; e tutti quei pericoli e quei disagi, ai quali mi soggetterà forse il mio disperato amore, saranno effetti della crudeltà di Rosaura, mascherata sotto il titolo dell’obbedienza.

SCENA XIII.

Beatrice ed il Servitore con lume, e detto.

Beatrice. Che diavolo fate qui? (correndo verso Florindo

Florindo. Permettetemi, signora...

Beatrice. Andate via, che ora viene il signor Pantalone.

Florindo. È vero che questa sera si abbiano a concludere le nozze col conte Ottavio?

Beatrice. È verissimo. Andate via, che non vi è più rimedio.

Florindo. Possibile che Rosaura...

Beatrice. Presto, che il signor Pantalone scende le scale.

Florindo. Deh! nascondetemi...

Beatrice. Siete pazzo? Andate via. Presto, fagli lume. (al servitore

Servitore. Signora, in sala vi è gente. (guardando alla scena

Beatrice. E chi sarà mai?

Servitore. È Brighella, il padre della ballerina. (guardando bene

Beatrice. Maledetto quando siete venuto qui. (a Florindo

Florindo. Nascondetemi23.

Beatrice. Venite qui in questo camerino. (apre una porta

Florindo. (Sarò a portata di sentir tutto, e di vendicarmi sul fatto).24 (da sè; entra nel camerino

Beatrice. (Parte col servitore. [p. 499 modifica]

SCENA XIV.

Pantalone e Rosaura col lume; poi Beatrice.

Pantalone. Perchè, fia mia, no t’astu messo le zoggie che t’ha manda sior Conte? Ti gh’averessi fatta una finezza a comparirghe davanti col so bel regalo.

Rosaura. Non mancherà tempo.

Pantalone. Col vien, vaghe incontra. Faghe veder che ti ghe vol ben. No ti gh’ha mai dà un segno d’amor.

Rosaura. Sì, signore, farò tutto quel che volete.

Pantalone. Càvete quei vanti.

Rosaura. Me li caverò, quando sarà tempo.

Pantalone. Ti sa che nol li pol veder quei vanti.

Rosaura. Veramente è pieno di stravaganze.

Pantalone. Ma el xe pien de bezzi.

Beatrice. Signor Pantalone, signora Rosaura, ridete.

Pantalone. Coss’è sta?

Beatrice. Monsù Brighella è in sala, che si dispera. Il suo servitore gli ha portato via ogni cosa. È restato miserabile, ed è là che fa rider tutti.

Pantalone. Chi è che ride del mal dei altri? Ste cosse no le posso soffrir: semo tutti soggetti a delle disgrazie, e no bisogna metter in redicolo chi le prova. Povero Brighella, vôi sentir come che la xe. Rosaura, adesso torno. Cara fia, quanto che ti me consoli, vedendote allegra e contenta. (parte

Rosaura. (Se mai la finzione è stata virtù, credo certamente che la sia questa volta). (da sè

Beatrice. Ehi! Sapete chi è in quel camerino?

Rosaura. Chi?

Beatrice. Zitto. Quel pazzo di Florindo.

Rosaura. Oh Dio! Come? [p. 500 modifica]

SCENA XV.

Florindo sulla porta, e dette; poi Pantalone e Brighella.

Florindo. Sì che ci sono, ingrata.

Rosaura. Che temerità è la vostra?

Beatrice. Presto. Torna il signor Pantalone. (a Florindo

Florindo. Perfida! Mi vendicherò. (entra e chiude

Rosaura. Voi siete una traditrice.

Beatrice. Io?

Rosaura. Sì, me n’anderò. (s’avvia per partire

Beatrice. Io faccio per far bene, e mi strapazzano.

Pantalone. Dove andeu? (a Rosaura

Rosaura. Nella mia camera, signore.

Pantalone. Stè qua, cara fia.

Rosaura. Permettetemi...

Pantalone. Via, voggio che stè qua.

Rosaura. Obbedisco.

Pantalone. (Poverazza! La xe quaccia co fa un polesin25). E cussì, contème la vostra desgrazia. (a Brighella

Brighella. Ma! Cossa vorla che ghe diga! I m’averà porta via el valsente de vinti o trenta mille ducati.

Beatrice. Cala, cala.

Brighella. Cala, cala? Ghe giera diamanti de sta posta26.

Beatrice. Ma come diavolo li ha fatti questi diamanti?

Brighella. Come? Col so ballar, colla so virtù. Care le mie vissere! Ogni volta che la faceva el ballo della pellegrina, la gente a gara ghe buttava dai palchi zecchini, diamanti, scatole, relogi, de tutto.

Beatrice. Gli orologi si saranno rotti.

Brighella. Cara ela, la tasa, che no la sa gnente.

Pantalone. Basta... Adesso, come sarala?

Brighella. Adesso... No so cossa dir; caro sior patron, me raccomando alla so protezion. [p. 501 modifica]

Beatrice. Eh! a vostra figlia non mancheranno protettori.

Brighella. Oh! no la ghe ne vol, patrona. Fora del teatro no la tratta nissun.

Beatrice. Ha pur pranzato col signor Conte alla locanda.

Brighella. Gh’avemo fatto sta finezza de tegnirlo a tola con nu.

Beatrice. E i dieci zecchini della corniola, si può dire che il signor Conte glieli ha donati.

Brighella. Veramente una gran cossa! Cossa xe diese zecchini? Nu tanto li stimemo, come diese soldi.

Pantalone. Ma perchè no ghe mandeu drio a sto ladro?

Brighella. Ghe dirò, signor, voleva mandar, ma senza bezzi, no gh’è nissun che se voggia mover.

Pantalone. Mo se i zecchini li stimè co fa i soldi, sarè pien de bezzi.

Brighella. Tutto in baul, signor. Lisbonine27 grande co fa piatti da tola.

Pantalone. Ma cossa possio far per vu?

Brighella. Voggio mi andarghe drio a sto baron, e intanto, fino che torno, la supplico de recever in casa e de custodirme la mia creatura.

Pantalone. Volentiera.

Beatrice. Oibo, oibò.

Pantalone. Cossa gh’intrela ela? Vu cossa diseu, Rosaura?

Rosaura. Siete voi il padrone; io mi rimetto.

Pantalone. Fela vegnir; ma diseghe che la sia un pochetto più umile.

Brighella. Mia fia no i pol dir che la sia superba. La saluda tutti con cortesia. La se ferma a parlar colla povera zente. Basta a dir, che co vien la lavandara, la la fa sentar.

Beatrice. Capperi! È degnevole davvero!

Brighella. Un’altra che gh’avesse quel boccon de vertù, che la gh'ha ela, no se degneria de nissun. Mia fia fa finezze a Tutti. [p. 502 modifica]

Pantalone. Via, andela a tor e no perde tempo, se volè trovar la vostra roba.

Brighella. Vago subito. E no la se toga suggizion, sala? Mia fìa xe avvezza a star al ben e al mal.

Pantalone. La starà come che la poderà. Se el letto sarà duretto, la gh’averà pazenzia.

Brighella. La farà conto d’esser per viazzo. No se pol aver sempre le trabacche de damasco. A Vienna la gh’aveva le coverte de recamo. E a Berlin l’è stada in t’un letto de ganzo d’oro. (parte

SCENA XVI.

Pantalone, Rosaura, Beatrice, poi Arlecchino, poi il Cameriere.

Pantalone. Oh che matto glorioso!

Beatrice. Anche nelle miserie conserva la sua albagia.

Pantalone. E vu no ridè de ste cosse? (a Rosaura

Rosaura. Le scioccherie non mi fanno ridere.

Pantalone. No vorria che ve tornasse la malinconia.

Rosaura. Non vi è pericolo.

Arlecchino. L’è qua el camerier della locanda, che vorria vegnir avanti.

Pantalone. Che el vegna.

Arlecchino. No la sa, sior patron?

Pantalone. Cossa?

Arlecchino. A Brighella gh’ho dà del ti, e no l’è andà in collera.

Pantalone. Cossa vustu dir per questo?

Arlecchino. Vôi dir, che quando cresse la fame, cala la superbia. (parte

Beatrice. Dovrebbe esser così; ma colui ha la testa ancora piena di grandezze.

Pantalone. Se nol trova la roba, ghe calerà tutto el fumo.

Cameriere. Signore, mi manda il signor conte Ottavio.

Pantalone. Oh bravo! Xe debotto tre ore. El xe pontual. Presto, zente, parecchiè luse, caffè, careghe. Aveu sentìo? (a Rosaura [p. 503 modifica]

Rosaura. (Ah! mi sento morire!) (da sè

Cameriere. Mi manda il signor Conte...

Pantalone. Dove xelo?

Cameriere. In gondola.

Pantalone. Sentìu! El xe in gondola, l’è qua che el vien. Rosaura, adesso xe el tempo de portarse ben. Cara fia, no me fè restar in vergogna.

Cameriere. Favorisca...

Pantalone. Aspettè. (al cameriere) Lo tiostu volentiera? (a Rosaura

Rosaura. Ma se v’ho detto di sì.

Pantalone. Ti me par malinconica.

Rosaura. Non è vero.

Pantalone. Ridi, novizzetta, ridi.

Rosaura. Sì, rido.

Pantalone. Siestu benedetta, ti me consoli28. E cussì? Cossa me diseu? (al cameriere

Cameriere. Lo dirò una volta. Il signor Conte mi manda a riverirla, e darle questo viglietto.

Pantalone. Un biglietto? Perchè no vienlo elo?

Cameriere. Io non so altro. Devo andare, perchè son aspettato. Servitore di lor signori. (parte

Beatrice. (Qualche novità). (da sè

Rosaura. (Mi palpita il cuore). (da sè

Pantalone. Sentimo cossa che el scrive.. Signor Pantalone de’ Bisognosi. Per donne non voglio impegni. Se ammazzo, è male; se vengo ammazzato, è peggio. (Cossa diavolo vorlo dir?) So quel che dico. Vi mando la scrittura matrimoniale. (Come? xelo matto?) Non voglio più maritarmi. Coss’è sta cossa?

Beatrice. Oh bella!

Rosaura. (Respiro). (da sè

Pantalone. Dono le gioje. (Fin qua no gh’è mal). Darò li dieci mila ducati, se Rosaura non si marita per causa mia. (El [p. 504 modifica] xe un gran cavalier). Se prende Fiorindo, niente. (Adesso intendo, el la gh’ha con Florindo). Vado a Roma. Son galantuomo. Addio. Vado a Roma? Son galantomo? Non voglio più maritarmi? El scrive laconico, come che el parla. Cossa diseu?29 Questa xe la polizza, che avè sentìo. (a Rosaura

Rosaura. Non so che dire: io sto alle disposizioni del cielo.

Pantalone. Sta novità ve dala gusto, o desgusto?

Beatrice. Io credo le darà piacere.

Pantalone. La lassa parlar a ela. Respondeme. (a Rosaura

Rosaura. Il mio piacere vien regolato dal vostro. Voi, signor padre, come la ricevete?

Pantalone. Dirò la verità. Sul dubbio che no fussi abbastanza contenta, gh’ho squasi gusto de véderme sciolto con reputazion da sto impegno; ma me rincresse che abbiè da perder una fortuna, che difficilmente se pol trovar.

Beatrice. Non vi sarebbe altro caso per ricompensare un tal danno, se non che la sposasse il signor Florindo. Egli è ricco niente meno forse del signor Conte.

Pantalone. No sentela, che se la sposa Florindo, nol ghe dà i diesemille ducati?

Beatrice. Glieli darebbe il signor Florindo.

Rosaura. Caro signor padre, i diecimila ducati che mi esibisce il signor Conte, mi fanno ingiuria. Ho io perduta la riputazione, per temere di non maritarmi?30

Pantalone. Donca, cossa penseu de far?

Rosaura. Ci penseremo.

Beatrice. Giacchè siamo preparati a far nozze, nel luogo del conte Ottavio, mettiamoci il signor Florindo.

Pantalone. Dove xelo sior Florindo?

Beatrice. Lo troverò io. (andando verso lo stanzin)

Rosaura. Fermatevi. [p. 505 modifica]

Pantalone. No ti lo tioressi sior Fiorindo?

Rosaura. Caro signor padre, per ora lasciatemi in pace, per carità.

Beatrice. Basterebbe ch’egli fosse qui, e vedreste s’ella direbbe di sì.

Pantalone. Se el ghe fusse, magari!

Beatrice. Aspettate. (va verso lo stanzino, e apre

Rosaura. Oh cielo! (vuol partire

Pantalone. Dove vastu?

Rosaura. Lasciatemi andare.

Pantalone. Vien qua, digo. (la tira per un braccio

Rosaura. Deh! lasciatemi.

Pantalone. Coss’è sta cossa? (tirandola

SCENA XVII.

Beatrice tirando per un braccio Florindo; e detti.

Beatrice. Eh! venite qui.

Florindo. No, vi dico. (si lascia tirare

Pantalone. Estu matta? Vien qua. (tirando Rosaura

Beatrice. Accostatevi.31 (tirando Florindo

Pantalone. Olà! (s’avvede di Florindo) Qua sior Florindo? Come?

Florindo. Ah! La disperazione qui mi condusse...

Beatrice. Poverino! Voleva cacciarsi dalla finestra, ed io l’ho serrato in quello stanzino. 32Orsù, tutti sanno che vi volete bene, ed il signor Pantalone sarà contentissimo che segua33 un tal matrimonio.34

Pantalone. No so cossa dir. Sto sconderse in casa... [p. 506 modifica]

SCENA XVIII.

Brighella, Olivetta e detti.

Brighella. Signori, ecco qua la mia putta, che li vuol riverire. Via, feghe una bella reverenza a ste zentildone.

Olivetta. M’inchino a lor signore; permetta ch’io le baci la mano. (a Rosaura

Rosaura. No, no, non v’incomodate.

Brighella. Cossa disele? Xela umile mia fia? Gh’ala gnente della vertuosa? Gnente affatto.

Beatrice. (È umiliata la signora virtuosa). (da s)

Pantalone. Poverazza! Pol esser che recuperè.

Olivetta. Il cielo lo voglia.

Brighella. Me despiase della porzellana, che in Italia no se ne trova.

Beatrice. Se volete ballare nell’opera buffa, parlerei all’impresario.

Olivetta. Che dite, papà?

Brighella. Cara fia, lasso far a vu.

Olivetta. Accetterò, per non istar in ozio.

Brighella. Intanto ve farè cognosser anca in sti paesi. I poderà dir anca qua, che i v’ha visto a ballar.

Beatrice. E se non vi fosse altro posto che di figurante?

Olivetta. Oh! questo poi...

Brighella. Eh! che mia fia l’è umile, la farà de tutto. Io intanto anderò a Padova, anderò drio de sto furbazzo. Caro signor Pantalon, me impresteravela do zecchini?

Pantalone. Per rendermeli quando?

Brighella. Quando mia fia ballerà.

Pantalone. Pol esser anca che no i se giusta, e che no la balla.

Brighella. E po credela che mia fia da qua do o tre zorni no la gh’averà dei bezzi? L’aspetta che se sappia che l’è in Venezia, e la vederà.35 [p. 507 modifica]

Beatrice. Via, signor Pantalone, giacchè la sorte è propizia, consolate questi poveri innamorati.

Pantalone. Sì, sposeve, che el cielo ve benediga.

Florindo. Cara signora Rosaura, abbiate pietà di me.

Beatrice. Via, che farebbe muovere i sassi.36(a Rosaura

Rosaura. Non vorrei si credesse...

Brighella. Povera signora, l’è modesta e ritrosa giusto come mia fia.

Pantalone. Animo, fia mia37. Degne la man, che ve lo comando.

Rosaura. Ah! lo farò per obbedirvi.

Florindo. Solamente per obbedire il padre?

Rosaura. Sì: lo faccio per obbedirlo. Bastivi però di sapere, che in tutte le circostanze della mia obbedienza, a niun comando mi sono con maggior piacere rassegnata.

Beatrice. Brava! Oh che belle parole!38

Florindo. Mi consolano le vostre voci, ed accettando la vostra mano...

SCENA XIX.

Arlecchino e detti, poi il Cameriere.

Arlecchino. Siori...

Pantalone. Cossa gh’è?

Arlecchino. L’è qua el conte Ottavio.

Pantalone. Oh diavolo!

Rosaura. Me infelice!

Florindo. Cosa vuole costui?

Pantalone. Cossa vorlo?

Arlecchino. Brighella, siora Olivetta, allegramente.

Brighella. Coss’è sta?

Arlecchino. I ha fermà el lader. La roba l’è trovada.

Olivetta. Davvero?

Brighella. Eh! che no ve credo. [p. 508 modifica]

Arlecchino. L’è così da galantomo.39

Brighella. Vôi andar a sentir... (volendo partire, incontra il cameriere

Cameriere. Signor Brighella, me ne rallegro.

Brighella. È la verità?

Cameriere. Sì, signore, hanno fermato il ladro.

Olivetta. Oh cielo! Dove?

Cameriere. Nella laguna, prima che arrivasse a Fusina.

Brighella. Com’ela stada? Chi gh’è andà drio?

Cameriere. Il signor conte Ottavio ha dato alcuni denari; ha mandato dietro al ladro, e l’hanno fermato.

Brighella. Bravo Conte, da galantomo. (con aria

Cameriere. Mi dà la mancia?

Brighella. Se vederemo. (con ari)

Cameriere. Si ricordi.

Brighella. Andè vecchio. Se vederemo.

Cameriere. È tornato in superbia. (parte

Pantalone. Sto sior Ottavio no se vede. Bisogna che no sia vero.

Florindo. Giuro al cielo, lo ammazzerò.

Rosaura. Ah! no, Florindo.

Pantalone. No femo susurri.

Beatrice. Signora Olivetta, me ne consolo. Ora respirerete.

Olivetta. Eh! nè anche per questo mi sarei ammalata.

Beatrice. Ballerete più nell’opera buffa?

Olivetta. Signora no, e mi vergogno d’averci ancora pensato.

Brighella. Eh! le xe cosse che le se dise, ma po se ghe pensa a farle. Figurarse, una donna de sta sorte!

SCENA ULTIMA.

Il Conte Ottavio e detti.

Pantalone. Eccolo.

Florindo. Fremo in vederlo.

Pantalone. Cossa comandela, patron? [p. 509 modifica]

Ottavio. Avete letto?

Pantalone. Ho letto.

Ottavio. E bene?

Pantalone. Ela xe in libertà, e Rosaura sposerà sior Fiorindo.

Ottavio. Non occorr’altro. Vado a Roma; schiavo.

Olivetta. Caro signor Conte, mi avete voi favorito?

Ottavio. Zitto.

Brighella. Ghe saremo obbligadi...

Ottavio. Zitto. L’ho fatto, perchè hanno rubato, essendo costei in camera mia. Son cavaliere. Son galantuomo.

Olivetta. Ed io...

Ottavio. Siete... una superba40.

Brighella. Ma come?

Ottavio. E voi un birbante41. (parte

Brighella. Oh, che caro sior Conte! Sempre el gh’ha in bocca delle barzellette.

Beatrice. Presto; avanti che torni, datevi la mano.

Florindo. Sì, cara, eccola. (si danno la mano

Beatrice. Bravi, bravi.42

Brighella. Se le comanda, co le fa el disnar, co le fa l’invido, che impresteremo la nostra arzentaria.

Olivetta. Andiamo; sono stanca; sempre in piedi? In questa casa non ci vengo mai più.

Beatrice. Signora Olivetta, potete ringraziare il conte Ottavio.

Florindo. Uomo veramente stravagantissimo.

Pantalone. Tanto stravagante lu, quanto ubbidiente mia fia.

Rosaura. Ecco, signori miei, l’effetto della43 obbedienza. Ho conseguito dal cielo per mezzo di questa quel bene che per [p. 510 modifica]      altra via o non avrei ottenuto, o costato mi sarebbe mille rimorsi. Perciò non falla mai chi obbedisce; e siccome fra tutte le virtù dell’animo, è la più lodevole l’umiltà, così fra le figliuole adorabili di questa madre feconda, la più pregievole è l’obbedienza.

Fine della Commedia.



Note

  1. Pap. aggiunge: abbiamo paura della galera.
  2. Pap. aggiunge: «Ehi! mostra li denari ai tuoi compagni».
  3. Pap. aggiunge: poi mette mano alla spada, e va ecc.
  4. Pap. aggiunge: Mi dispiace che non sono io nel suo caso. Mio marito non crepa mai.
  5. Pap. aggiunge: Son vecchio, son vesin alla morte, e morirò desperà. Sì, morirò desperà.
  6. Pap.: Ah Rosaura!
  7. Pap.: vi sarete.
  8. Pap. aggiunge: che ti me usi.
  9. Segue in Pap.: «Beatr. Che vuol dire? Pant. Rosaura xe ecc.».
  10. Pap. aggiunge: «No posso trattegnirme de pianzer. piange».
  11. Segue nell’ed. Pap.: se perde un amante. Non è facile che dica la verità, quando fingere le torna conto. Anch’io son donna, e so tutte le buone regole del nostro sesso.
  12. Sproposito; vuol dir repentina. [nota originale]
  13. Così il testo.
  14. Allacciare.
  15. Così si grida, quando parte la barca che conduce a Padova tutti quelli che vogliono spender poco. [nota originale]
  16. Pap. aggiunge: anca.
  17. Segue nell’ed. Pap.: «Arl. E el baule? Oliv. In barca?... Lumaca?... Non ha portati ecc.».
  18. Proverbio che significa: La roba male acquistata, malamente si perde. [nota originale]
  19. Pap.: nui.
  20. Pap.: Disè, mo.
  21. Pap. aggiunge: «(Non vorrei che fosse un soldo, invece di un zecchino!) Flor. Via, andate. Serv. Vado subito, via all’oscuro. Flor. Sì, voglio ecc.».
  22. Segue nell’ed. Pap.: Se non mi è possibile avere il conte Ottavio a solo, a solo, l’attenderò al varco, l’ucciderò in questa casa. Morirà il ecc.
  23. Pap. aggiunge: per carità.
  24. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Sta pur lì, e goditi il buon odore. Son curiosa di sentire che cosa voglia quel mammalucco di Brighella, parte col servitore, poi torna».
  25. Si mette a terra, come un pulcino. [nota originale]
  26. Di esorbitante grandezza. [nota originale]
  27. Lisbonina, moneta portoghese equivalente a 6400 reis, o sia a 4 zecchini. Era in uso anche la doppia lisbonina. V. Carli, Opere, Milano, 1784, t. VI, 187.
  28. Segue nell’ed. Pap.: «si rasciuga gli occhi. Ros. Anche lei si asciuga. Pant. E cussì? ecc.».
  29. Segue nell’ed. Pap.: Questa xe la scrittura che el me manda indrìo, e questa xe ecc.
  30. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. Dite bene. Ma le gioje si possono ritenere. Pant. Certo. El dise in tel viglietto: dono le gioje. Beatr. Li ha pagati bene i dispiaceri che vi ha cagionati, a Ros. Ros. E voi siete stata ricompensata de’ buoni uffizi che avete fatti per lui. Beatr. (Ha invidia della scatola d’oro). Pant. Donca cossa ecc.».
  31. Segue nell’ed. Pap.: «Flor. Ingrata! Ros. Ardito, vedendosi più da vicino. Pant. Olà! s’avvede di Flor. Beatr. (Mi paiono due gatti. Fanno all’amore e brontolano). Pant. Qua sior Florindo? Come? ecc.».
  32. Segue nell’ed. Pap.: «ove dalla finestra, che è piccola, non si poteva gettare. Pant. El podeva ben cazzarze in qualch’altro liogo. Flor. Perfida! a Ros. Ros. A me questo? Voi mi amate. Flor. Qual ragione avete di dirlo? Ros. Se mi amaste, non avreste posto a rischio la mia riputazione. Flor. Dovevo dunque lasciare... Beatr. A monte, a monte. Tutti sanno che vi volete ecc.».
  33. Pap. aggiunge: ora.
  34. Segue nell’ed. Pap.: «Pant. Sior sì, son contento, e trattandose de un zovene, no m’importa de contradota. Flor. Rosaura sarà padrona di tutto. Pant. Donca animo, Rosaura, deghe la man. Ros. Perchè, signore, con tanta sollecitudine? Beatr. (Vuol tormentarvi un poco). a Flor. Pant. Ho gusto de no averghe più da pensar. (No vorria che me scampasse anca questo). In mia presenza deghe la man. a Ros. Ros. È presto; ci penseremo. Flor. Ma questo È troppo, Rosaura; voi mi fate credere che Veramente mi odiate». Segue sc. XVIII.
  35. Segue nell’ed. Pap.: «Pant. Ma no in casa mia la ghe ne farà. Brigh. Mi intendo onoratamente. Per andar a ballar. Pant. Oh via, putti, destrigheve e deve la man. Flor. Cara signora Rosaura ecc.».
  36. Segue nell’ed. Pap.: «Ros. No, non lo meritate. Brigh. Povera signora ecc.».
  37. Pap.: Animo, no me fe andar in collera.
  38. Pap. aggiunge: «Pant. Sì ben, la sa dir pulito.
  39. Pap. aggiunge: «E po el proverbi no falla: Tutti i muli i è fortunadi. parte».
  40. Pap.: una ingrata.
  41. Pap. «Ott. Siete... un asino».
  42. Pap. aggiunge: «voglio la senseria. Ros. Io vi darò la senseria: sentite. le parla all’orecchio. (In casa mia mi farete piacere, se non ci verrete mai più. Siete finta, siete pericolosa). Beatr. Eh ragazzate! Ros. (Non la pratico più assolutamente). Brigh. Se le comanda ecc.».
  43. Pap. aggiunge: mia.