La galleria delle donne

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Augusto Bargiacchi

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Scherzo poetico bernesco Intestazione 18 giugno 2012 100% poesie

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LA


GALLERIA


DELLE DONNE


SCHERZO POETICO BERNESCO


DI


AUGUSTO BARGIACCHI


FIORENTINO






FIRENZE

TIPOGRAFIA ALLEGRINI E MAZZONI

NELLA BADIA FIORENTINA

1835.

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LA


GALLERIA


DELLE DONNE


SESTINE



 

I


Prenderlo non bisogna Donne care
    Un impegno, ma quando poi si è preso,
    Convien bene osservar di non mancare
    Onde il decoro non ne resti offeso,
    Io se do una parola la mantengo,
    E in faccia a tutto il mondo la sostengo.

II


Quando quei sei versacci messi fuori
    Col titolo di Musica segnai,
    Se ve ne rammentate o miei Signori,
    Una sestina, e ve la numerai,
    Dissi volervi, se permesso sia,
    Delle Donne mostrar la Galleria.

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III


Ma come van le cose in questo mondo!
    Fin per far quattro versi da melate
    Senza frase, criterio, e senza fondo,
    Che cosa van dicendo indovinate?
    Almen fossero belli salmisia
    Dicon non esser quella roba mia.

IV


Guardate voi che razza di persone,
    A un uom che per fuggire la dieta
    Per guadagnar almen la colazione,
    La coda taglierebbe a una Cometa;
    Perchè messe alla luce sei versacci,
    Chi fa la bocca torta, e chi gl’occhiacci.

V


Certi amici vi furono zelanti,
    Che dopo i manifesti aver firmati,
    Non dico per mancanza di contanti
    Hanno presi i libretti e non pagati,
    E in casa poi di una Signora tale
    Persi dir posso il frutto, e il capitale.

VI


Era la spesa sola sei crazine,
    E non mi par di avervi strapazzato;
    Eran sessantacinque le sestine
    Col manifesto sopra appiccicato,
    E per quel prezzo cosa vi ho da dare?
    La direi bella, ma lasciamo andare.

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VII


Sarà per confidenza d’amicizia,
    Ma questa confidenza ad un Poeta
    Qual’io mi son, sia detto con giustizia,
    Disperato, mi par cosa indiscreta,
    E mi par che una Lira in tasca mia,
    Stia meglio certo, che a Vosignoria.
  

VIII


Adesso si riduce una seccata
    Signor Poeta caro, io sento dire,
    La Galleria dove se n’è scappata?
    Oh! via parrebbe tempo di finire,
    Noi le sei crazie abbiamo date, e poi
    Non c’importa sapere i fatti suoi.
  

IX


Ragione avete amici, perdonate,
    D’ascoltar tante ciarle siete stracchi,
    Son certo se più seguito mandate
    Prima la Galleria, dopo il Bargiacchi,
    E faccio come quei, gli dia il malanno,
    Che chiaccherano molto e nulla fanno.
  

X


Dunque chiedo perdon Donne garbate
    Se bizzarra vi faccio una richiesta,
    Vi prego per pietà non vi sdegnate,
    Se questo grillo mi è saltato in testa,
    Vorrei, se il permettete in cortesia,
    Veder la vostra bella Galleria.

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XI


Mi guardate, e ridete di soppiatto,
    E scuotendo la testa fra voi dite,
    Che diavol vorrà dire questo matto
    Qualche cosa di nuovo? Oh bella! udite,
    E se un momento state zitte io spero,
    Di farvi tutte ridere davvero.
  

XII


Non temete però che da saccente
    Voglia farvi, e scoprirvi cose, che
    Dispiacer vi dovessero, eh per niente,
    Non si fan cose simili con me:
    Dirò quel che è notissimo nel mondo,
    La superficie non toccando il fondo.
  

XIII


Ma voi, che delicate per natura,
    Ed anche un poco timidette siete,
    Che di tenerla ascosa è vostra cura,
    (Tal Galleria), e mostrarla non vorrete,
    Ma io che sono Astrologo, e nol niego
    Senza che la mostrate io ve la spiego.
  

XIV


Il nome in verità di Galleria
    Molti ha resi curiosi di sapere,
    Come sia fatta, e di che ornata sia,
    Se toccare si può, si può vedere,
    E non san questi sciocchi, e vi scommetto,
    Ch'essa è formata sol dell'Intelletto.

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XV


In questa non vi son quadri, ritratti
    De’ grandi Eroi dei secoli passati,
    Colossi non vi son di marmo fatti,
    Gemme, e cammei di fulgid’oro ornati,
    Non vi splende superba la pittura,
    Non vi è saggio di greca architettura.
 

XVI


Che corporea non è bene intendete,
    Da Intelletto è formata solamente,
    Nè vederla in materia voi potrete,
    Ma con me immaginarla destramente
    Perchè sì bene l’occhio mio la scerne,
    Come osservando magiche lanterne.
 

XVII


Dove si vede un Diavolo, un Leone,
    Il Cerbero, poi l’Idra a sette teste,
    Mill’altre belle cose in conclusione
    Che contandole tutte vi uggireste,
    E certo son che mandereste allora,
    Il Vate, i versi, e qualcos’altro ancora.
 

XVIII


Quando natura fe’ la prima Donna,
    Gli pose in testa un certo tal cervello
    Che mai non si riposa, e mai si assonna,
    E gira sempre come un mulinello
    Di così strana forma, è di mestieri,
    Che abbia stravagantissimi pensieri.

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XIX


Forse favole ciò si crederà
    Ma zitti, pensier mio questo non fù,
    Un Filosofo il disse, e ver sarà
    A un Uomo tal si crede sempre più,
    Se un Filosofo il disse non potrò
    Anch’io asserirlo? oh bella, e perchè no!
  

XX


Ma discorriamo un poco in sentimento
    Ne ce n’andiamo tanto in ciarle vane,
    Le meraviglie adesso vi presento
    D’ogni specie, sian belle, brutte, o strane,
    Ch’ornan la Galleria del gentil sesso,
    Zitti, ch’ora vi mostro il primo ingresso.
  

XXI


L’occhio a sinistra rivolgete, e a destra
    Quà le grazie, gl’incanti, ed il diletto,
    La finzion delle Donne gran maestra
    Risiede in mezzo, e presso lei il dispetto,
    Quà la menzogna con armata mano
    Caccia l’oppressa verità lontano.
  

XXII


Questi son gl’ornamenti dell’ingresso;
    Venite pure meco amici avanti,
    E troveremo nella stanza appresso
    L’equivoche parole, i mesti pianti,
    Le insidie allettatrici, i tradimenti,
    Le convulsioni, e finti svenimenti.

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XXIII


Vedrete pure i gemiti, i sospiri,
    I tronchi detti male espressi ad arte,
    Gli sguardi lusinghevoli, i deliri,
    E se l’occhio volgete in ogni parte
    Della gran Galleria, vedrete a onore,
    In mille guise trasformato Amore.
 

XXIV


V’è quell’amore, che da noi si appella
    Amore conciliato dà interesse,
    Che pur troppo di Danea la bella
    Il fatto a noi ben chiaramente espresse,
    Che sol perdette il verginal decoro
    Quando Giove cangiossi in pioggia d’oro.
 

XXV


Vi è l’amore de’ Nobili, che l’uso
    Vuole per saggio, e leggiadria s’appella,
    Galanteria, buon gusto, ma se il muso
    Benchè sia in veste ricamata e bella
    Vi pone il maledetto Diavolino,
    Diventa anch’esso amor da Contadino.
 

XXVI


C’è l’Amore vestito da villano,
    Cioè che tratta senza convenienza,
    Col gomito, col pugno, e colla mano;
    Vi è rivestito a mezza confidenza,
    Che a taluni fa perder la ragione,
    E termina ben spesso col bastone.

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XXVII


Se non fosse l’amore in questo mondo,
    Non si vedrebber tante belle cose,
    Il viver non sarebbe più giocondo,
    Nè si vedrebber tante, e tante spose,
    Che sentono pietà nel gentil cuore
    Per questo, e quello, e cosa è questo? è amore.
  

XXVIII


D’amor si contan mille, e mille fatti
    Non solo antichi, ma de’ più moderni,
    Tanti ne ho visti quasi venir matti,
    Mostrar d’esserlo almen nei moti esterni,
    Anche talun che avea mediocre fisico,
    Divenir magro, macilento, e tisico.
  

XXIX


Anch’io pur troppo i mali suoi provai,
    E la ragion perduta avevo affatto,
    Nè pace, o posa non trovando mai,
    Mi avrian mandato allo spedal per matto,
    Se il ciel non mi toglieva in un momento
    La funesta cagion del mio tormento.
  

XXX


Il nome lascio di colei che il cuore
    Ferimmi un giorno, e tanto, oh Dio! penai
    Poichè non vi è nessun maggior dolore,
    Che ricordarsi il bene in mezzo ai guai,
    Pur nonostante in pochi versi esatto,
    Se mi udrete farovvi il suo ritratto.

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XXXI


Era un braccio, e due sesti di statura,
    Sorpassava in età gli anni quaranta,
    E muta, cieca, e sorda di natura
    (Virtù cui donna ben dirado vanta.)
    Ed era zoppa mi rammento, e nana,
    Baffuta, ed un’idea del tutto strana.
 

XXXII


Or qualche bell’umore riderà,
    E in accenti satirici indiscreti,
    Senza far reflessione mi dirà,
    È roba veramente da Poeti
    Ed io, (sarebbe meglio) gli rispondo,
    Che di tai donne fosse pieno il mondo.
 

XXXIII


Se alcuno mi domanda ora il perchè,
    Su tal punto quietissimo starò
    Cosa saggia non sembrami, e non è
    Che anderei troppo in là; dunque dirò
    Che se le donne fossero così,
    Meglio saria, perchè? ma perchè sì.
 

XXXIV


Se alla conversazione siete assiso,
    Ecco, vi sorte fuor da qualche parte
    Amor, col serrar d’occhio, o col sorriso
    O sotto un tavolin giocando a carte,
    Signor sì dico sotto il tavolino
    Col mezzo d’una mano, o di un piedino.

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XXXV


V’è pur la gelosia che è tal malanno
    Spesse volte molesta anche i mariti,
    Non che gli amanti, che a pascer sen vanno
    In un mar senza fondo, e senza liti,
    E col suo troppo invigilare intorno
    Sen vanno in traccia a guadagnarsi un corno.
 

XXXVI


Sapete a chi non rompe gli stivali
    Questo mal che fa perder la ragione?
    Esempi grazia ai Medici ai Curiali
    A gente di gran testa in conclusione,
    Perchè chi ha molto sale nella zucca
    Badare a certe inezie è cosa stucca.
 

XXXVII


Ma osserviam questo mal chi mai tormenta
    Se non ragazzi che non han giudizio?
    A un uomo saggio non vi si presenta,
    Un grand’uomo non ha tal pregiudizio
    Se mai l’avesse, per cacciarlo via
    Sapete che ci vuol? Filosofia.
 

XXXVIII


Già questi son discorsi senza fondo
    Dubitar nelle Donne l’onestà,
    Chi asserir lo volesse gli rispondo,
    Che questo non va fatto e ben non stà,
    Eh! non si puole con le donne belle
    Sempre badare a queste bagattelle.

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XXXIX


Ma chi vincer vi può Donne giammai,
    Se un tal cervello voi portate in testa,
    Che gira sempre, nè si ferma mai
    Or ci rende piacer, or ci molesta,
    Ed al vostro lunatico pensiero,
    Sottoponete il Gemino Emisfero.
 

LX


Se girasi pel mondo in ogni parte,
    Per visitar le amene Gallerie
    Costrutte dall’ingegno, e insiem dall’arte,
    Al par di queste son corbellerie,
    Nè ritrovasi in queste o in altre sponde
    Tante memorie, quante Donne asconde.
 

XLI


Se alla moderna, od alla antica storia
    Un sol momento noi volgiamo il ciglio,
    Si dà alle donne per virtù la gloria
    Anche in ogni più solido consiglio,
    E rigirando in questa parte, e in quella,
    Non si ritrova galleria più bella.
 

XLII


Eccoci al camerin d’abbigliamento
    Qui vi son molte cose da mirare,
    Soffermiamoci amici un sol momento
    Prima di tutto vi farò osservare
    Quei che fa sentinella qui è l’Inganno
    Di cui le donne gran commercio fanno.

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XLIII


Mostrar quel che non hanno è lor diletto,
    E mascherar con finto cor la frode,
    Coprir con finto cor l’odio il dispetto,
    Con l’arte dei colori, e delle mode,
    Dal giallo, e nero far il bianco e rosso,
    E far carne apparir dove vi è l’osso.
 

XLIV


Dunque attenti con me tutti osservate
    Creste, Nastri, Pennini, Maniconi,
    Cappellini con tese traforate
    Con molte staffe, e fiocchi ciondoloni,
    Di quà il nodo d’amore, e qua la coda
    Eccovi pure il Messagger di moda.
 

XLV


Ecco la conciatura della testa,
    Fiori, spilli, spilloni, a centinaja,
    Gran pettini da por sotto la cresta,
    Di fintini e di trecce almen sei paja,
    Pomate, odori, e in quantità profumi
    Questi della stagion sono i costumi.
 

XLVI


Per chi ha difetti niuna si sgomenti
    Poichè v’è l’arte in questa galleria,
    E s’operano in essa gran portenti
    Si fa dovizia dove è carestia,
    Di profumi pienissima è ogni coppa,
    E vi si trova un magazzin di stoppa.

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XLVII


Onde la bella femmina svanisce,
    Levata l’arte, e resa alla natura
    La vaga forma subito sparisce,
    E si riduce tutta in nettatura,
    Il fianco ben formato se ne va,
    E ritorna qual prima un baccalà.

XLVIII


Eppure benchè noto a questi, e quelli
    L’arte l’inganno delle donne astute,
    Si ritrovan però dei pazzerelli
    Come molte riprove abbiamo avute,
    Ch’hanno fatto la fine dei Castrati
    Vivon cornuti, e muoiono scannati.

IL


Ma veramente questa è villania
    Signor Poeta degno di sassate
    Di porre in derision la Galleria
    Delle Donne, meglio che a voi badate,
    Io mi sento ripetere all’orecchio
    Ma forse in casa non avete specchio?

L


E in ciò non dite mal Donne mie care,
    Poichè ragiono con la febbre addosso,
    Ma rimedio non c’è che ci ho da fare?
    Ritirarmi dal detto ora non posso,
    Un’altra volta non la farò più,
    Per questa volta ormai fù qualche fù.

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LI


Ch’io mi osservi allo specchio ora volete
    Perchè brutto vi sembro? ebben lo sono,
    Però farmi tacer voi non potrete,
    Comunque io sia del ciel rispetto il dono,
    Nè mai sperate, che in caricatura
    Alterar voglia ciò che fe’ natura.

LII


Non mi vedrete mai con la fascetta
    Come taluni, o l’abito attillato,
    Che soffrono per far la vita stretta,
    La cravatta, o il solino inamidato,
    Che per non sguarcirsi fa mestieri
    Se alcun chiama, il voltarsi tutti intieri.

LIII


Lo sò vi piacciono quei con l’occhialetto,
    Col frustino, gli sproni, ch’ognor fanno
    Giochetti, e scioccherie col fazzoletto,
    E voglia il ciel se leggere poi sanno,
    Ma questo non fa niente alla buon’ora,
    Che sia galante basta alla Signora.

LIV


Quanti mai ve ne son di questi sciocchi
    Che vedere si fan tutti galanti,
    E in tasca poi non hanno tre bajocchi,
    E per sembrare Cavalieri erranti
    Portano ad arte una Viola in petto,
    E non han desinato, e vi scommetto.

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)( 17 )(

 

LV


Ma in altre forme ho i miei difetti anch’io
    Son giallo qual Rigogolo, son secco,
    Son due fusti le gambe, a danno mio,
    Ho la fronte, e l’idea proprio di un Becco,
    Quelchè mi dà tormento da per tutto,
    È che son sempre di denari asciutto.
 

LVI


Se l’abito guardate sembra un vaglio,
    Vi son più fori che nel cielo stelle,
    Alle tarme è servito di Bersaglio
    E fra le cose prelibate, e belle
    Son ragnati i Calzoni e sono stracchi,
    Ed alle scarpe mancan sola, e tacchi,
 

LVII


Ma per questo però non mi confondo,
    Se avversa sempre a me fù la fortuna,
    E se perseguitommi in questo mondo
    Fin da Fanciullo nella umil mia cuna,
    Basta sol di acquistarmi in Elicona,
    Pei miei versi, d’ortica la corona.
 

LVIII


Sebbene sono stato sempre un bue,
    Ne sò che sia Properzio, nè Catullo,
    Appena mi rammento il due via due
    Hic Poeta, o Puer di fanciullo;
    Che val se più d’ogni letteratura,
    Si stiman quattro dramme d’impostura.

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LIX


I Genitori miei colpa non hanno,
    E so che un patrimonio nel salario
    Delle scuole hanno speso, e più d’un’anno
    Mi mantenner di Prato al Seminario,
    Ma tutto fecer senza conclusione,
    E gittarono via ranno, e sapone.

LX


Dunque inutile è adesso il farmi guerra
    Son bue? pazienza tutto danno mio;
    Tanti somari sono sù in questa terra,
    Fra tanti dunque posso starvi anch’io,
    E perchè non ho il titol di Dottore
    Sarò forse fra gl’asini il peggiore?

LXI


Ma non mi rammentavo che il talento,
    E l’uomo grande stimasi al vestito,
    A chi ha in tasca dell’oro, e dell’argento
    Gli si dà del Dottor dell’Erudito,
    Ed in oggi volar vedon in sù
    Gli asini d’oro; ma non parlo più.

LXII


Avendo quasi tutto visitato
    Ditemi un poco se lo permettete,
    Fra tante belle cose che ho trovato,
    Non quelle che mostrar voi non volete
    Ancor non ho veduto in niuna stanza
    La rara deità della Costanza.

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LXIII


Penelope mostratemi.... ma come!
    Vi ritirate sdegnosette, e mute
    L’occhio volgete altrove a cotal nome,
    Nè mostra fate di cotal virtute.
    Altrove, ah troppo è ver! costanza e fede
    Portò sicuro dalle insidie il piede.
  

LXIV


Sogni e fantasmi son tai nomi invitti,
    Che dal mondo, che il vizio fe’ perverso
    Furon cacciati, e furono proscritti,
    E nel gran giro omai dell’universo
    Affumicate vedonsi l’insegne
    Delle Eroine, in tal virtù ben degne.
  

LXV


Dunque leggiadre femmine vezzose,
    Se vi è costanza, se vi è fede in cuore,
    Se cortesi sarete ed amorose,
    Noi serberemo a voi costante amore;
    Da tal virtù se avrete l’alma nuda
    Lungi da Voi = La Galleria si chiuda.


FINE.