La giovinezza e studi hegeliani/La logica di Hegel (Dottrina dell'essere e dell'essenza)/Scienza dell'essere/Sezione prima: Determinazione (qualità)

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Scienza dell'essere - Sezione prima: Determinazione (qualità)

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La logica di Hegel (Dottrina dell'essere e dell'essenza) - Scienza dell'essere La logica di Hegel (Dottrina dell'essere e dell'essenza) - Sezione seconda: Grandezza o quantità
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SEZIONE PRIMA

DETERMINAZIONE (QUALITÀ)

quadro ii


Indeterminato. Essere come tale.

Indeterminato e determinato in opposizione: Esistere — essere determinato — finito.

Infinito rapporto dell’essere su di sé o essere determinato assoluto: Essere per sé.

Capitolo I

quadro iii: essere cominciamento della logica
(del pensiero come tale)


Essere (puro).

Uguale a sè — non disuguale all’altro — indifferenza estrinseca e intrinseca — vuota contemplazione, vuoto pensiero — indeterminato immediato — Niente. [p. 186 modifica]Niente (puro).

Uguaglianza con sè — vuoto compiuto di determinazione e di contenuto: vuoto contemplare, vuoto pensiero: indifferenza in sè — puro essere.

Diventare.

Toglimento dell’essere e del niente.

Risultato.

Il puro essere e il puro niente è lo stesso.

quadro iv: divisione


Unità dell’essere e del niente.

La verità è non l’essere, non il niente, ma che l’essere nel niente, e il niente nell’essere non passa, ma è passato. Indifferenza di essi. Ma la loro verità è a un tempo, che essi assolutamente differenti, ma indivisi e indivisibili, spariscono (sono passanti) ciascuno immediatamente nel suo opposto — Differenza di essi. Questa contraddizione si toglie, e la loro verità è questo movimento dell’immediato sparire dell’uno nell’altro, il Diventare — movimento, dove ambi son differenti, ma di una differenza immediatamente tolta.

Momenti del diventare (nascere e morire).

Il diventare è l’indivisibilità dell’essere e del niente — unità non astratta, ma determinata, in cui è tanto l’essere quanto il niente. Ma ciascuno è solo in quanto è l’altro (indivisi); quindi per se stesso non è. Perciò in questa unità sono, ma sparenti, solo come tolti — non più sostanziali, ma momenti, ancora differenti, ma tolti: ciascuno nella sua differenza è unità con l’altro. Il diventare contiene così due unità, di cui ciascuna è unità dell’essere e del niente: l’una è l’essere come immediato (cominciante) e rapporto al niente (passante nel niente), il nascere: l’altra è il niente [p. 187 modifica]cominciante, e rapporto all’essere o passante nell’essere, il morire. Ambi lo stesso: ciascuno è se stesso e il suo opposto, non l’uno estrinseco all’altro; ma ciascuno toglie sé in se stesso, ed è in se stesso l’opposto di se stesso. Essere e niente non sono più astratti; ma qui nascere e morire.

Toglimento del diventare.

Nel diventare l’essere e il niente sono unità e differenza: contraddizione che si dee togliere. Il loro sparire è perciò lo sparire del diventare (della contraddizione). Il diventare è una vaga inquietudine, che cade in un calmo risultato. Questo risultato, l’essere sparente, non è il puro niente, un semplice ritorno all’astratto, ma risultato dell’essere e del niente: unità di essi divenuta calma semplicità: essere non più astratto, ma determinazione del tutto — esistere.

Essere e niente non sono più nascere e morire, ma unità essente — esistere.

Nota. Il toglimento, o l’idealità, ha il doppio senso di conservare e terminare (aufheben). La differenza tolta non diventa niente. Il niente è l’immediato: il tolto è un mediato, un non essente, ma come risultato uscito dall’essere: esso dunque ha ancora in sé la determinazione.

Capitolo II

ESISTERE

Esistere come tale.

Qualcosa e Altro, il finito.

Il qualitativo infinito.

quadro v: esistere come tale)


Esistere immediato — Determinazione come tale.

Semplice essere uno dell’essere e del niente — forma dell’immediato. La sua mediazione, il diventare, si è tolta, e [p. 188 modifica]l’esistere apparisce come un primo — essere con un nientessere in semplice unità. (Che il Tutto, l’unità dell’essere e del niente, sia nella parziale determinazione dell’essere, è estrinseca riflessione, non ancora posta o data nella cosa stessa).

Il puro essere è qui unità essente, essere determinato, un concreto — esistere.

La determinazione come tale comprende e la qualità e la quantità (Bestimmtheit).

Qualità — realtà e negazione.

La determinazione (il niente) non si è ancora liberata dall’essere: nella sua immediata unitá con l’essere niuna differenza è posta ancora: l’essere non è il generale; la determinazione non il particolare. La determinazione isolata per sé, come essente determinazione, è Qualità — un tutto semplice immediato. Ma la determinazione solo come immediata ed essente è qualità parziale: resistere contiene anche il niente. La qualità come essente è realtà, un positivo, da cui è escluso ogni negativo (che essa contiene, ma solo in sé, non posto). La qualità affetta dal niente è negazione, non pura mancanza, puro niente; ma un esistere, una qualità determinata solo con un nientessere. L’Essere e il Niente sono qui realtà e negazione, ma realtà e negazione ancora astratte.

Prima negazione della negazione, o qualcosa.

La realtà, perché esistere, contiene la negazione. La negazione, perché esistere, contiene la realtà. La differenza è tolta, e l’esistere mediante il toglimento della differenza ritorna uguale a se stesso. Questo esistere dalla differenza riflesso in sé è essere in sé, esistente, qualcosa — negazione della negazione, concreta assoluta negatività. Qualcosa è essente, come negazione della negazione, perché questa è il semplice rapporto su di sé posto di nuovo. Qualcosa è così la mediazione di sé con sé, astratta mediazione nel diventare, qui posta nel qualcosa, determinato come semplice Identico, essere. Qualcosa è, e perciò è esistente. Esso è anche [p. 189 modifica]diventare, mutabile, ma solo in sé, nel suo concetto (non posto). I momenti del suo diventare sono l’essere non più puro, ma esistere ed esistente; il niente non più puro, ma un esistente, il negativo del qualcosa — un Altro. Un diventare diventato concreto, i cui momenti sono pure qualcosa, o esistenti. Il concreto è però ancora in sé. Il negativo del negativo è solo il cominciamento del subbietto, non ancora essere per sé, e concetto.

quadro vi: il finito


Qualcosa e altro.

Determinazione, creazione, limite.

Finito.

A)

QUALCOSA E ALTRO


Qualcosa e altro (immediato).

Nella estrinseca riflessione. Ambi qualcosa; ambi altro: lo stesso — indifferenti. Posto per sé, l’altro, non l’altro di qualcosa, ma di sé, l’astratto altro in se stesso, la fisica natura. Poiché lo spirito è il vero qualcosa, e la materia è quello che è solo in rispetto allo spirito; la sua qualità è di essere l’Altro in se stesso. Tessente fuori di sé (nelle determinazioni di spazio, tempo, materia). L’altro di se stesso è così l’altro dell’altro, il disuguale in sé, il negante sé, il mutantesi. Ma quello in cui si muta, è l’altro, che non ha altra determinazione che di essere altro: perciò in questo altro esso concorda solo con sé; posto come in sé riflesso col toglimento dell’altro: con sé identico qualcosa.

Essere in sé ed essere per altro (momenti).

La loro verità è il loro rapporto. L’esistere come chiudente in sé il non-essere, è determinato, annullato essere, e perciò altro; ma perché si ritiene nel suo annullamento, è [p. 190 modifica]essere per altro. E perché non essere astratto, ma rapporto su di sé rispetto al suo rapporto all’altro, uguaglianza con sé rispetto alla sua disuguaglianza, è essere in sé — rapporto su di sé, solo come non essere dell’essere altro (esistere in sé riflesso). Essere in sé i) ha l’altro fuori di lui, ed è opposto allo stesso, negativo rapporto allo stesso; ma 2) ha in sé il niente essere, o l’altro: perché esso stesso è il nientessere dell’essere per altro. Essere per altro i) è negazione del semplice rapporto dell’essere su di sé: in quanto qualcosa è in un altro o per un altro, manca del proprio essere; 2) ma non è l’astratto niente; ma il niente esistere indirizzato sull’essere in sé come sul suo essere in sé riflesso; come per contrario l’essere in sé non è il puro essere, ma indirizzato sul suo essere altro.

L’essere in sé è l’astrazione del concetto: l’essere posto appartiene alla sfera dell’essenza; il fondamento pone il fondato; la causa l’effetto ecc.

Identitá di essere in sé ed essere per altro.

I due momenti sono determinazioni dello stesso qualcosa, indivisi in esso. Qualcosa è in sé, in quanto dal suo essere per altro è ritornato in sé. Qualcosa ha anche una determinazione o circostanza in sé, o se questa è estrinseca, un essere per altro; in lui. Lo stesso che qualcosa è in sé, ha ancora in lui: per contrario quello che qualcosa è come essere per altro, è ancora in sé. L’essere per altro nell’unità del qualcosa con sé è identico col suo in sé, ed è perciò nel qualcosa. La determinazione in sé riflessa è così di nuovo semplice essente, una qualità — die Bestimmung.

Nota. i) Cosa in sé astratta dal suo essere per altro è vuota astrazione — la sua verità è nel suo concetto, nel concreto. 2) Nella sfera dell’essere l’esistere esce fuori dal diventare, o col qualcosa è posto un altro, col finito l’infinito, ma immediatamente essenti, per sé fissi, il cui senso è compiuto anche senza l’altro: laddove nell’essenza il positivo, la causa ecc. isolate dal negativo, dall’effetto ecc. non hanno alcun senso: [p. 191 modifica]in ciascuno sussiste in se stesso l’apparenza del suo altro. Importa perciò distinguere essere in sé ed essere posto o essente per altro — differenza riguardante il dialettico sviluppo, non la metafisica, il cui obbietto è solo l’essente, e certo l’essente in sé o nel suo concetto.

B)

DETERMINAZIONE, CREAZIONE, LIMITE


Determinazione riflessa (Bestimmung).

Bestimmung è la qualità dell’essere in sé non pù astratto, ma riflesso in sé dal suo essere per altro, che è così suo momento — unità dell’essere in sé col suo altro momento, essere per altro o essere in lui, nel quale l’in sé si ritiene nella sua uguaglianza con sé. Bestimmung è cosí affermativa Bestimmtheit, riempiuta, perché essa contiene l’in sé e l’in lui del qualcosa. Pensiero è la semplice Bestimmtheit dell’uomo, per la quale egli è uomo, non animale: pensiero in sé è in quanto differisce dal suo essere per altro, p. es. dalla sensibilità. Ma il pensiero è ancora in lui (nell’altro, nell’uomo); l’uomo esiste, come pensante, il pensiero è la sua esistenza e realtà. Cosi il pensiero ha un contenuto e riempimento, è concreto, ragione pensante, Bestimmung.

Creazione.

Quello che qualcosa ha in lui (Bestimmtheit), parte appartiene all’in sé (Bestimmung), parte rimane solo essere per altro, estrinseco esistere del qualcosa, che è nel qualcosa, ma fuori dell’in sé — creazione. Che sia creato così o così è accidentale; ma la qualità del qualcosa è di avere un’estrinsechezza, una creazione, essendo esso mutabile: il mutamento è nel qualcosa quello che diventa un altro. Bestimmung e Beschaffenheit sono perciò differenti. Ma perché quello che qualcosa è in sé, è ancora in lui; qualcosa è affetto dall’essere per altro: Bestimmung è aperta al rapporto all’altro, e scende a creazione. L’essere per altro come creazione, per sé posto [p. 192 modifica]è l’Altro in sé — esistere rapportantesi su di sé, in sé con una determinazione, Bestimmung. Cosi la creazione appartiene all’in sé del qualcosa: colla sua creazione si muta il qualcosa: mutamento non più in sé, come il primo mutamento secondo l’essere per altro; ma posto nel qualcosa: la negazione è in esso immanente, il suo essere in sé sviluppato. Con questo passaggio di Bestimmung e Beschaffenheit l’uno nell’altro è posto il qualcosa mediante il toglimento della differenza o dell’altro. La qualità del qualcosa è la negazione dell’altro: qualcosa è per il toglimento dell’altro. Questo rapporto negativo, la cessazione di un altro in lui è il suo limite.

Limite — negazione della negazione.

Il limite è il non essere per altro: così qualcosa è per il suo limite o la cessazione dell’altro in lui: esso è mediante il suo non essere. Il limite è la mediazione, dove qualcosa e altro è, e non è. Essere e non essere sono momenti del qualcosa nel suo limite qualitativamente differenti. Qualcosa ha il suo esistere fuori del suo limite: così l’altro, che è pure qualcosa. Il limite come il non essere di ciascuno è l’altro di entrambi. Cosi l’immediato esistere (illimitato qualcosa) e il limite sono il negativo l’uno dell’altro. Ma questa differenza si toglie. La contraddizione di essere nel suo non essere produce l’inquietudine del qualcosa nel suo limite, in cui esso è immanente: il limitante diventa perciò principio o elemento del limitato: movimento, dialettica interiore, per cui p. es. dal punto nasce la linea, dalla linea la superficie ecc. Il qualcosa contraddicentesi scaccia sé da sé, e il punto così mediante il suo concetto passa nella linea, move sé in sé e la fa nascere.

Qualcosa posto col suo immanente limite come contraddizione di se stesso, per la quale esso internamente è stimolato a scacciarsi da sé, è il Finito. [p. 193 modifica]

C)

IL FINITO


L’immediato del Finito.

Il finito è la qualitativa negazione spinta al suo estremo. Il niente è un’astrazione; la negazione, la creazione, il limite stanno insieme col loro altro, l’esistere; ma il Finito è la più stabile categoria dell’intelletto, la negazione in sé fissata, che sta di rincontro alla sua affermazione, con la quale ricusa di legarsi. Il non essere produce la sua natura, il suo essere. La sua determinazione è il suo fine. Esso è eterno: la sua qualità è assoluta e immutabile, non passante nel suo altro, nel suo affermativo. Esso non solo finisce, ma è impossibile che non finisca. Ma il suo finire non è il suo ultimo: così si risolverebbe nell’astratto niente. Il suo passare, il niente, non è l’ultimo, ma passa. Qualcosa è finito, o il finito (il non essere) è: contraddizione del qualcosa astratto, che nel qualcosa finito si dee porre e risolvere.

Limitazione e dovere: momenti del finito.

Il finito qualcosa è non l’astratto, ma in sé riflesso, e sviluppato come in sé, avente determinazione essente in sé e creazione, limite immanente in sé e producente la sua qualità. Il suo limite immanente posto nella unità del qualcosa con sé come il suo non essere, ma esistente in lui, la qualità del suo in sé, è non solo limite come tale, ma limite posto, un negativo differente dal qualcosa, ma essenzialmente essente — limitazione. Ma l’in sé identico con sé si rapporta su questo suo non essere, negandolo, penetrando sul limite, sul non essente; e poiché questo è se stesso, negando, penetrando, togliendo se stesso: questa negazione della negazione è il dovere. Il finito è il rapporto della sua determinazione essente in sé (dovere) al suo limite (limitazione). La limitazione è posta come finito: il dovere è posto come l’essere in sé: esso per il suo rapporto negativo al limite suo cioè a se stesso è limitato, ma solo in sé, per noi solo: la sua limitazione è velata nel suo in sé. [p. 194 modifica]

La limitazione del finito non è un estrinseco, ma la sua stessa determinazione essente: questa è insieme limitazione e dovere: il comune, dove ambi sono identici: la negazione è essa stessa il tolto, l’in sé: il suo limite è ancora non il suo limite.

Nota. Il limite è limitazione, in quanto è in opposizione col suo altro, 1 ’illimitato, il dovere. La pietra non penetra sul suo limite, perché questo per lei non è limitazione. Il non pensare non è per lei limitazione, perché in lei non vi è una negazione, un altro (il dovere) dal pensiero, che essa non ha. Lo star fisso in un luogo è limite per la pianta, limitazione per l’uomo. Dice Leibnitz: se il magnete avesse coscienza, crederebbe la sua direzione al nord una legge della sua volontà. Anzi se il magnete avesse coscienza, volontà e libertà, e pensiero, sentirebbe questa sua direzione come una limitazione della sua libertà, ed essendo per esso lo spazio la totalità delle direzioni, penetrerebbe sulla sua limitazione. Il dovere però è solo un finito penetrare.

Passaggio del finito nell’infinito.

Il finito contenendo in sé due momenti, qualitativamente opposti, negativi l’uno dell’altro, è la contraddizione di sé in sé: esso si toglie: passa. Ma questo risultato i) è se stesso, la sua propria determinazione essente in sé; poiché l’altro in cui si muta è pure finito, e così via via all’infinito. 2) Ma nel suo passare il finito raggiunge il suo in sé, concorda con se stesso, ed è così identità con sé, affermativo essere, l’altro del finito, l’infinito.

quadro vii: l’infinito


L’infinito come tale.

L’infinito, negazione della negazione (del finito) è l’affermativo, l’essere, non l’immediato, ma il vero essere, l’innalzamento sulla limitazione. Il finito si innalza all’infinito non per estrinseco potere, ma perché la sua natura è di rapportarsi negativamente alla sua limitazione, di negarla, penetrando su di [p. 195 modifica]essa, e di salire all’affermazione. La sua affermativa determinazione, quello che esso è veramente in sé, è l’infinito, in cui sparisce.

Determinazione reciproca del finito e dell’infinito.
L’infinito nel suo immediato è essente, e non essere dell’altro: il finito gli sta incontro come reale esistere: cosí permanenti, in qualitativo rapporto l’uno fuori dell’altro. Amendue sono inoltre determinati nel qualitativo reciproco rapporto di altri: amendue qualcosa, amendue altri. L’infinito affetto così dall’opposizione verso il finito, è il Nonfinito — essere nella determinazione della Negazione: rispetto al cerchio della realtà (al finito) il di là, l’indeterminato vuoto. Esso è così il semplice infinito dell’intelletto, che crede appagarsi nella riconciliazione del vero, mentre si trova in irriconciliata contraddizione: due mondi, in cui l’infinito è solo limite del finito (non finito), è così limitato, esso stesso finito. La negazione è l’essere in sé di ciascuno; ciascuno ha il limite in sé; è in quanto non è l’altro, e separato dall’altro. Ma ciascuno rapportantesi su di sé scaccia immediatamente il suo limite, e lo pone come un altro essere fuori di lui; e in quanto ciascuno in se stesso è il porre del suo altro, sono indivisibili: unità però nascosta, intrinseca, ancora in sé. Questa unità si mostra nell’esistere col passaggio dall’uno nell’altro: dall’infinito esce il finito, e questo da quello; ciascuno è un proprio immediato nascere nell’altro. L’infinito è così un perenne dovere, che non si può liberare dal finito, dal quale rimane affetto e limitato: vuota inquietudine dell’infinito progresso, in cui alla penetrazione succede sempre un nuovo limite: un fisso di là irraggiungibile, che ha il finito come un di qua incapace di innalzarsi in esso: dualismo in cui è rimaso Kant e Fichte. Ciascuno perde così la sua qualitativa natura, essendo quello che è in quanto è differente dall’altro. Il finito è infinito, e l’infinito è finito. [p. 196 modifica]
L’affermativo infinito o il vero infinito.

Questa unita di due sostanziali, essenti, in sé divisi ed opposti, legati estrinsecamente, è il non vero. Il vero è non il finito, non l’infinito, ma il loro diventare, una idealità, in cui il finito e l’infinito sono momenti. Ciascuno è in sé questa unità, solo come togli mento di se stesso, dove niuno è più che l’altro essere in. sé ed affermativo. Il finito è un penetrare su di sé: così in lui è l’infinito, l’altro di se stesso. L’infinito è solo come penetrare sul finito: così contiene il suo altro: esso è l’altro di sé. Il finito non è tolto da una forza a lui estrinseca; ma la sua infinità o idealità è di toglier se stesso. Ciò che sussiste in entrambi è la stessa negazione della negazione. Ciascuno sparisce nell’altro e ritorna in sé mediante la negazione dell’altro. Il risultato è sempre se stesso. Ciascuno ha un doppio senso: di essere prima se stesso in opposizione all’altro; indi di essere se stesso e il suo opposto. Il che non è formale, astratta, immota unità; ma diventare, i cui momenti sono non gli astratti essere e niente, né qualcosa e altro, ma come infinito, il finito e l’infinito diventanti. L’infinito così è essere, non l’astratto, ma posto come negante la negazione. È esistere, perché contiene in sé la negazione. Esso è, od esiste. Ma il semplice infinito è il di là, solo negazione del finito posto come reale — astratta, prima negazione, negativo che non contiene in sé l’affermazione dell’esister e. Come solo negativo, l’irraggiungibilità è la sua mancanza.

Capitolo III

quadro viii: essere per sè


Passaggio — Come toglimento del finito come tale, e dell’infinito solo negativo che gli sta incontro, è questo ritorno in sé. Rapporto su di sé. Essere. Poiché in questo essere è negazione, esso è esistere; ma poiché questa è negazione [p. 197 modifica]della negazione, negazione assoluta rapportantesi su di sé, è essa l’Esistere, che sarà detto Essere per sé.

A)

ESSERE PER SÉ COME TALE


Esistere ed essere per sé.

Nell’essere per sé il qualitativo essere è compiuto: esso è infinito essere. L’essere del cominciamento è senza determinazione. L’esistere è l’essere tolto immediatamente — prima negazione, in cui l’essere e il niente in sé disuguali e differenti sono congiunti in semplice unità, cioè non mediata, non posta. Nell’essere per sé la differenza è posta ed uguagliata: posta negazione della negazione. La determinazione che nell’esistere è relativa, ancora come tale, qui è assoluta. L’esistere è momento dell’essere per sé: la determinazione che nell’esistere è un altro, ed essere per altro, qui ricondotta nell’infinita unità, come momento dell’essere per sé è essere per uno.

Essere per uno.

L’essere per sé ha in lui la negazione non come determinazione, limite, né rapporto ad altro esistere. Essere per sé e per uno non sono determinazioni opposte. L’ideale è per uno, ma non per un altro: l’uno, per il quale esso è, è esso stesso. Essere per sé e per uno sono così essenziali indivisibili momenti della idealità. Per sé è esso stesso quello che è per lui.

Nota. L’ideale di Parmenide è l’astratta negazione di ogni determinazione, senza che in lei fosse posta l’idealità. L’ideale di Spinoza è l’infinita ed assoluta affermazione di una cosa, così immola unità; la sostanza non giunge alla determinazione dell’essere per sé, molto meno a quella del subbietto e dello spirito. L’assoluto ideale di Malebranche è determinato come Cognizione o Scienza. In Dio è ogni verità ed essenza delle cose, sicché esse sono solo le sue, e noi le vediamo in lui: il loro esistere è non reale, ma ideale in esso. Le nostre sensazioni [p. 198 modifica]sono destate in noi dall’azione divina, che non ha niente di sensibile. La Monade rappresentativa di Leibnitz è un Essere per sé, in cui le determinazioni sono non limiti, non esistere, ma momenti. Le Monadi non sono altri, limitantisi, penetrantisi, ciascuna è solo rapportata su di sé, il vario v’è ideale ed intrinseco: i mutamenti si sviluppano dentro di essa, e sono senza rapporto. Il rapporto reciproco delle monadi è un indipendente solo simultaneo diventare, rinchiuso nell’essere per sé di ciascuna. Un terzo pone e toglie il loro essere altro: ma questo totale movimento cade fuori di loro. L’idealità o rappresentazione è alcun che di formale: forma permanente estrinseca alla moltiplicità. L’armonia del loro rapporto non cade nel loro esistere, ma è prestabilita: il loro esistere è solo astratta (vuota di rapporto) moltiplicità, nella quale non è immanente l’idealità e l’armonia. Nella Monadologia perciò l’Essere per sé è mantenuto puro senza avere allato un esistere. Ma allato all’essere per sé sussiste un finito esistere sostanziale, giacché il momento del per uno, rapporto dell’ideale su di sé come ideale, dee essere posto (non astratto, come in Parmenide). Del resto la coscienza nella differenza di sé e di un altro distingue la sua idealità, in cui essa è rappresentativa, e la sua realtà, in cui la rappresentazione ha un contenuto, saputo come il Negativo non tolto, come esistere. Ma reale e ideale è tutt’uno: le due determinazioni sono e valgono solo per uno: una idealità che è indifferente realtà. Per nominare Dio o il Pensiero il solo Ideale, bisogna supporre l’ideale non la totalità, ma una delle parti, e cadere nell’infinito negativo e limitato e parziale.

Uno, o l’Essente per sé.

L’essere per sé è la semplice unità di sé e dell’essere per uno — Uno. I suoi momenti sono caduti nella Indifferenza, immediato, o essere, ma fondato sulla negazione che è posta come sua determinazoine. L’Essere per sé è così Essente per sé, in cui penetra la forma dell’immediato. Per questo Immediato, ciascun momento sarà posto come una propria [p. 199 modifica]essente determinazione: e non ostante sono indivisibili. Contraddizione che sarà risoluta.

B)

UNO E MOLTI

L’idealità dell’Essere per sé come totalità esce dapprima nella Realtà, e certo nella più fissa ed astratta, come Uno. Nell’Uno è esso la posta unità dell’essere e dell’esistere, assoluta congiunzione del rapporto all’altro, e su di sé; ma ivi penetra anche la determinazione dell’essere rispetto alla determinazione dell’infinita negazione — rapporto su di sé, ma del negativo. Ciò che si mostra come differente, è però la propria determinazione di sé: la sua unità con sé come differente da sé, è calata a rapporto: negativa unità, negazione di sé come di un altro.

Uno in se stesso.

L’Uno è: vuoto di esistere, di rapporto all’altro, di creazione — incapace di diventare altro: immutabile. La sua indeterminazione non è però astratta, ma determinazione rapportata su di sé, assoluta: posto essere in sé. In questo semplice immediato è sparita la mediazione dell’esistere e della stessa idealità: così ogni differenza o varietà. La sua qualità è il Niente, come Vuoto. Posto nell’Uno, esso è identico con l’Uno, ma differente dalla sua determinazione.

Uno e Vuoto: momenti dell’Uno.

L’Uno è il Vuoto, come l’astratto rapporto della negazione su di sé. Come il Niente, è differente dal semplice immediato o affermativo essere dell’Uno; e perché ambi sono nell’Uno in rapporto, la loro differenza è posta: diverso dall’Essente, il Vuoto è fuori di esso. L’Essere per sé determinato come Uno e Vuoto ha di nuovo un esistere. La determinazione dell’essere per la semplice unità de’ momenti uno e vuoto, pone sé da un canto, come esistere, e si pone di rincontro la sua [p. 200 modifica]altra determinazione, la negazione, come esistere del niente, o il Vuoto.

Nota. L’Uno e il Vuoto degli Atomisti è il più alto qualitativo essere in sé disceso a compiuta estrinsechezza. Più. L’Uno e il Vuoto non sono due determinazioni che stanno accanto e indifferenti; ma il Vuoto è l’origine del movimento: non condizione o supposizione del movimento, verità triviale, ma fondamento di esso, negativo rapporto dell’Uno sul suo Negativo, sull’Uno, su di se stesso, posto non ostante come esistente.

Molti Uni-ripulsione.

Ciascuno de’ due momenti. Uno e Vuoto, ha per sua determinazione la negazione — rapporto della negazione sulla negazione come di un altro sul suo altro: l’Uno è la negazione nella determinazione dell’essere, il Vuoto la negazione nella determinazione del non-essere. L’Uno come negazione rapportantesi su di sé è esso stesso quello che dee essere il Vuoto fuori di lui. Ma ambi sono ancora posti come affermativo esistere: l’Uno Essere per sé come tale, il Vuoto come indeterminato esistere, e si rapportano ciascuno all’altro come su di un altro esistere. L’essere per sé dell’Uno come Idealità dell’esistere e dell’altro, si rapporta non su di un altro, ma solo su di sé; ma fissato come essente per sé, come immediato sussistente, il suo negativo rapporto su di sé è ancora rapporto su di un Essente; così quello, dove si rapporta, è determinato come esistere, ed altro: l’altro come essenziale rapporto su di sé è non l’indeterminata Negazione, il Vuoto, ma è Uno. Onde il diventare di molti uni. Ma questo diventare sparisce immediatamente — l’Uno non diventa, ma è: esso scaccia sé da sé: il ripulso è parimente Uno, Essente: ripulsione secondo il concetto, o essente in sé, in cui niuna differenza è tra il repellere e il diventar repulso. Ma gli Uni posti per la Ripulsione dell’Uno da sé sono supposti come non posti: il loro essere posto è tolto: essi si stanno incontro come Essenti, rapportantisi ciascuno su di sé, indifferente agli altri. In fatti se il moltiplice [p. 201 modifica] fosse un rapporto dell’Uno all’altro, sarebbero essi limitati, ed avrebbero in sé un essere altro affermativo. Il loro rapporto è il Vuoto — il non rapporto — limite loro estrinseco, in cui non debbono essere l’uno per l’altro. Il moltiplice dell’Uno è il proprio porre dell’Uno, l’esplicazione di quello che l’Uno è in sé — il negativo rapporto dell’Uno su di sé, e questo stesso rapporto, così l’Uno è i molti Uni. Ma non ostante la moltiplicità è estrinseca all’Uno, il quale è il toglimento dell’essere altro: la ripulsione è il suo rapporto su di sé, uguaglianza con sé. La moltiplicità è l’Infinito uscito fuori di sé — l’Infinito posto nell’immediato dell’essere — contraddizione.

C)

RIPULSIONE E ATTRAZIONE

L’Uno escludente.

I molti Uni sono essenti: il loro esistere o rapporto è Non-rapporto, un estrinseco — il Vuoto. Ma essi stessi sono questo negativo rapporto. Il loro limite è il vuoto, dove essi non sono; ma essi sono nel limite, o nel vuoto. La loro ripulsione è il loro comune rapporto. Nell’essere per sé l’Uno è per uno, ma l’uno per cui è, è se stesso. Ma nell’esistere o nel moltiplice ogni uno ha un essere: l’essere per uno è quindi essere per altro: ciascuno è non per sé, ma per un altro uno. Il loro essere per sé qui consiste nel respingere questa idealità di essere cioè per un altro, e così di porre se stesso. Perciò i) nel loro rapporto è supposto che essi sono. 2) Essi sono in quanto si negano o si escludono reciprocamente: l’uno è in quanto è escludente. 3) Essi negano di negarsi reciprocamente, e per questa negazione della negazione ritornano in sé: questo loro ritorno è la loro conservazione ed essere per sé. L’Uno escludente l’Uno si rapporta così su di sé, e concorda con sé, si pone. Questa identità in cui passa la ripulsione, è il toglimento della differenza e della estrinsechezza — attrazione.

II moltiplice è Uno: tesi della riflessione estrinseca. La [p. 202 modifica]verità, dell’Uno e del moltiplice è a comprendere non come essere in calma unità (come nella tesi) ma come un diventare, un processo, ripulsione e attrazione.

Nota 2). L’Uno escludente è l’estremo dell’essente per sé — astratta, formale sostanzialità, che annulla se stessa — astratta libertà, puro io, che apparisce indi come il male (Dieu c’est le mal). Libertà che pone l’essenza sua in quest’astrazione, e in questo essere presso di sé si lusinga di guadagnare la sua purezza — negativo rapporto su di sé, che in quanto vuol guadagnare il suo proprio essere. Io annulla. La sua essenza al contrario è l’uscire dalla negativitá del suo essere per sé in luogo di fissarvisi.

L’Uno degli Uni dell’Attrazione.

La ripulsione è la Realtà degli uni, l’attrazione la loro posta idealità. La prima passa nella seconda: i molti uni nell’Uno degli Uni. L’attrazione ha per sua materia e supposizione la ripulsione: eterna vicenda di ambe. Dagl’immediati Uni esce per la loro posta negazione l’Uno dell’attrazione, l’Uno posto come Uno — l’idealità realizzata, posta nell’Uno — attraente col mezzo della ripulsione, mediazione che contiene in sé come sua determinazione — contiene perciò in sé gli uni come moltiplici, e guadagna un contenuto: in quest’Uno è l’unità della ripulsione ed attrazione.

Rapporto della ripulsione ed attrazione.

La differenza di uno e molti si è determinata per differenza di rapporto divisa in due rapporti, ripulsione e attrazione, di cui ciascuno come sostanziale sta fuori dell’altro, e non ostante essenzialmente concordano: unità che resta a determinare. La ripulsione immediata, astratta, per sé è indifferente rispetto all’attrazione che le viene dal di fuori: essa nega il rapportarsi de’ molti l’uno all’altro — non rapporto, non escludente — essente solo su di sé. Ma la ripulsione non è il Vuoto, e ancorché negativa, è essenzialmente rapporto: l’escludente sta in legame con l’escluso: il qual momento è l’attrazione nella ripulsione [p. 203 modifica]

il negare della ripulsione astratta; esse sono come limitazione e dovere; indivisibili e supponentisi; ciascuna è per mezzo dell’altra: la ripulsione come il porre de’ molti, l’attrazione come il porre dell’uno, questa negazione de’ molti, quella negazione della loro idealità nell’Uno. Ma questa loro mediazione per l’altro è negata, e ciascuna è mediazione di sé con sé. La Ripulsione non è un relativo ad altro esistere, ma si rapporta solo su di sé: il repellere è quello dove gli Uni si manifestano e ritengono come tali, dove sono; il loro essere, rapporto su di sé, è la stessa ripulsione. L’attrazione è l’idealità essente in sé degli uni, che come uni indifferenti fra loro sono lo stesso. Di qui l’unità del loro concetto. Ciascuna contiene in sé l’altra come momento, e suppone se stessa: l’uno si pone come il negativo di sé o ripulsione, ma questo supposto è lo stesso che il supponente, l’attrazione. Poiché ciascuno è in sé solo momento, gli Uni passano gli uni negli altri, si negano e si pongono come l’altro di sé: l’Uno come il moltiplice, e questo come l’uno; ma nel porsi ciascuno si rapporta su di sé, si continua nel suo altro: e l’uscir fuori di sé (ripulsione) e il porsi come Uno (attrazione) sussiste indiviso. Cosi l’Uno come infinito, posta negazione della negazione rapportantesi su di sé, è la mediazione, ond’esso scaccia da sé il suo assoluto o astratto essere altro, i Molti (se stesso), e in quanto si rapporta negativamente a questo suo non-essere, e lo toglie, è esso solo rapporto su di sé. L’Uno è perciò solo questo Diventare, in cui tali determinazioni sono tolte, sparenti, momenti (immediato ed esistente); e il risultato, l’essere, che nella instabilità do’ suoi momenti concorda con sé nel semplice immediato, è l’Essere per sé tolto, la Quantità.