La persuasione e la rettorica (1915)/L'illusione della persuasione

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PARTE PRIMA
DELLA PERSUASIONE

II
L'ILLUSIONE DELLA PERSUASIONE

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PARTE PRIMA
DELLA PERSUASIONE

II
L'ILLUSIONE DELLA PERSUASIONE
La persuasione L'illusione della persuasione - II

οἱ δὲ φορεῦνται
κωφοὶ ὁμῶς τυφλοί τε, τεθηπότες, ἄκριτα φῦλα,
οἷς τὸ πέλειν τε καὶ οὐκ εἶναι ταὐτὸν νενόμισται
κ' οὐ ταὐτόν.

(PARMENIDE)


Questa continua deficienza – per la quale ogni cosa che vive, muore ogni attimo continuando – ogni cosa che vive si persuade esser vita.


I


Per possedere sé stessa – per giungere all’essere attuale essa corre nel tempo: e il tempo è infinito poiché nel momento ch’essa riuscisse a possedersi, a consistere, cesserebbe d’essere volontà di vita (ἄπειρον οὗ ἀεί τι ἔξω); e infinito è lo spazio poiché non v’è cosa che non sia volontà di vita (ἄπειρον οὗ οὐδὲν ἔξω). La vita sarebbe se il tempo non le allontanasse l’essere costantemente nel prossimo istante. La vita sarebbe una, immobile, informe, se potesse consistere in un punto. La necessità della fuga nel tempo implica la necessità della dilatazione nello spazio: la perpetua mutazione: onde l’infinita varietà delle cose: ἡ φιλοψυχία παντοία γίγνεται πρὸς τὸν βίον. – Poiché in nessun punto la volontà è soddisfatta, ogni cosa si distrugge avvenendo e passando: πάντα ῥεῖ, per ciò che senza posa nel vario desiderare si trasmuta: e senza fine, senza mutamento sta in ogni tempo intero e mai finito l’indifferente trasmutar delle cose... τόδε δὴ βίοτον καλέουσι. –

Ma chi, chi καλεῖ? chi dice vita? chi ha coscienza?

Come, se la vita si raccogliesse in porto contenta in sé, e in sé consistesse ferma immutabile, cesserebbe la deficienza né ci sarebbe coscienza dell’essere assoluto – così nell’infinito infinitesimale fluttuare di variazioni non v’è cosa che di questo fluttuare possa aver coscienza.

1°. Ma la volontà è in ogni punto volontà di cose determinate.

E come in ogni punto il tempo le toglie di consistere, le toglie in ogni punto la persuasione, non v’è possesso d’alcuna cosa – ma solo mutarsi in riguardo a una cosa, entrare in relazione con una cosa. Ogni cosa ha in quanto è avuta.

2°. Determinazione è attribuzione di valore: coscienza.

Ogni cosa in ogni punto non possiede ma è volontà di possesso determinato: cioè una determinata attribuzione di valore: una determinata coscienza. Nel punto che nel presente essa entra in relazione con la data cosa, essa si crede nell’atto del possesso e non è che una determinata potenza: finita potestas denique cuique (Lucr., I, 70).1 Nell’ἄβιος βίος la potenza e l’atto sono la stessa cosa, poiché l’Atto trascendente, «l’eternità raccolta e intera», la persuasione, nega il tempo e la volontà in ogni tempo deficiente.

L’Attualità – ogni presente, quella che ogni volta, in ogni modo è detta vita, è l’infinitamente vario congiungersi della potenza localizzata determinatamente negli aspetti infinitamente vari: come coscienza, per la quale ogni volta nell’instabilità è stabile il suo correlato.

3°. Nessuna cosa è per sé, ma in riguardo a una coscienza.

Ἕως ἂν παρῇ μοι ἐλπίς τις – μένει μοί τι: fin quando io voglia ancora in qualche modo, attribuisco valore a qualche cosa – c’è qualcosa per me.

4°. La vita è un’infinita correlatività di coscienze.

Il senso della vita ἀλλοιοῦται ὅκωσπερ ὁκόταν συμμιγῆ θυώματα θυώμασιν2 (Eraclito).


«A ogni cosa è dato il suo tempo e il suo momento è dato a ogni volontà sotto il cielo»... «E vidi che ha dato il dio ai figli dell’uomo perché ne siano occupati. – ogni cosa egli ha fatta conveniente nel suo tempo – e d’altronde ha posto il mondo nel loro cuore perché l’uomo non giunga3 l’opera che dio ha fatto da capo a piedi (nella sua totalità)» (Ecclesiaste, III C.).


Noi isoliamo una sola determinazione della volontà, per esempio in un corpo lo stomaco come vivesse per sé stesso: lo stomaco è tutto fame, esso è l’attribuzione di valore al cibo, esso è la coscienza del mondo in quanto mangiabile. Ma vivendo per sé, prima di mangiare esso avrà il dolore della morte, e nutrendosi s’ammazzerà. Così quando due sostanze si congiungono chimicamente, ognuna saziando la determinazione dell’altra cessano entrambe dalla loro natura, mutate nel vicendevole assorbimento. La loro vita è il suicidio. Per esempio il cloro è sempre stato così ingordo che è tutto morto, ma se noi lo facciamo rinascere e lo mettiamo in vicinanza dell’idrogeno, esso non vivrà che per l’idrogeno. L’idrogeno sarà per lui l’unico valore nel mondo: il mondo; la sua vita sarà unirsi all’idrogeno.4 E questo sarà luce a ognuno degli atomi del cloro nella loro breve vita alla vicina via della compenetrazione. Ma soddisfatto l’amore, la luce anche essa sarà spenta, e il mondo sarà finito per l’atomo di cloro. Poiché la presenza dell’atomo d’idrogeno avrà fatto palpebra all’occhio dell’atomo del cloro, che non vedeva che idrogeno, e gli avrà chiuso l’orizzonte, che era tutto idrogeno. Il loro amore non è per la vita soddisfatta, per l’essere persuaso, bensì pel vicendevole bisogno che ignora la vita altrui. I loro due mondi erano diversi ma correlativi così che dall’amplesso mortale avesse d’attender poi e soffrir la sua vita: l’acido cloridrico.

S’afferma l’una determinazione nell’affermarsi dell’altra, ché ognuna vedeva nell’altra solo il proprio affermarsi. Il loro amore è odio come la loro vita è morte.

L’acido cloridrico era prima del loro amplesso predeterminato nella coscienza del cloro e dell’idrogeno, e il cloro e l’idrogeno sono ancora dopo l’amplesso nella coscienza dell’acido cloridrico, ch’essi hanno determinata; e l’idrogeno e il cloro e l’acido cloridrico – determinati così come sono e dove sono ad affermarsi o non affermarsi – nella coscienza di tutte le altre cose. Se mai avvenga e quando avvenga l’affermazione (l’amplesso), è indifferente. La correlatività è sempre ugualmente intera e infinita nell’attualità che corre nel tempo; il passato e il futuro sono in lei, l’avvenire e il non avvenire sono indifferenti.

Ὁ Ἡράκλειτος γάρ φησιν, ὅτι καὶ τὸ ζῆν καὶ τὸ ἀποθανεῖν καὶ ἐν τῷ ζῆν ἡμᾶς ἐστι καὶ ἐν τῷ τεθνάναι.


Ma per quella data quantità di cloro è questione di vita e di morte. Da quando, in qualunque modo avvenuta alla vita mortale, ebbe coscienza clorosa, nella sua deficienza continua essa ha sperato disperatamente poiché il suo occhio guardava la tenebra e non vedeva cosa che fosse per lei: la sua vita è stata un dolore mortale. Se noi ora le avviciniamo l’idrogeno, nell’oscurità le apparirà una luce lontana, indistinta, ed essa si risveglierà nel crepuscolo ad una più precisa speranza finché giunto l’idrogeno nella data vicinanza, essa vedrà tutto chiaro l’orizzonte, ed affermerà la sua vita ormai certa – nel piacere mortale dell’amplesso.

Nella lontananza dell’idrogeno essa mancava di tutto e non vedeva di che mancasse, voleva e non sapeva cosa volesse. Quando è messa in contatto con l’idrogeno, quando l’idrogeno le continge, allora lo vuole. Questa contingenza è nella vita d’altre cose che al cloro sono oscure. Esso non ha via per andare all’idrogeno, non può procurarsi quella vicinanza – non ha in sé la sicurezza dell’affermazione; ma attende inerte: il tempo gli preterita sempre il suo volere, non vuole ma vorrebbe,5 poiché la condizione necessaria pel suo determinato volere non è in lui, ma in ciò che è per lui mistero, infinita oscurità, contingenza delle cose, caso: è nella coscienza d’altre cose. – Per questo sentimento del tempo inutile il cloro nella lontananza dell’idrogeno s’annoia.


Ma la volontà non sopporta la noia, e da questa attesa inerte della vicinanza si muove, allargandosi la coscienza dalla determinazione puntuale attraverso l’infinita varietà delle forme: le determinazioni si collegano così a complessi, da procurarsi previdenti ogni volta la vicinanza per la quale via via ogni determinazione s’affermi e non resti morta, ma per la forza del complesso si continui per poter altra volta affermarsi. Lo stomaco non ha fame per sé ma per il corpo.

Lo stomaco solo è assorbito dal mangiare – il corpo per esser assorto nel mangiare, non ne è assorbito; quello esaurisce insieme il cibo e sé stesso in ciò che è tutto fame, – questo esaurendo col mangiare la fame – ha più buona speranza di continuare. – La soddisfazione della determinata deficienza dà modo al complesso delle determinazioni di deficere ancora. Il complesso si dice sazio in quel riguardo senz’esser sazio del tutto: poiché nell’affermarsi di quella determinazione c’è come criterio la previsione delle altre: il complesso delle determinazioni non è un caos ma un organismo.

Nella nebbia indifferente delle cose il dio fa brillare la cosa che all’organismo è utile; e l’organismo vi contende come in quella avesse a saziar tutta la sua fame, come quella gli dovesse dar tutta la vita: l’assoluta persuasione; ma il dio sapiente spegne la luce quando l’abuso toglierebbe l’uso; e l’animale sazio solo in riguardo a quella cosa, si volge dove gli appaia un’altra luce che il dio benevolo gli accenda; ed a questa contende con tutta la sua speranza; finché ancora la luce si spenga per riaccendersi in un altro punto... Non anche l’animale sente ogni volta deluso, interrotto il filo della sua esistenza, che senza tregua la luce riappare come il lampeggiar d’una notte d’estate; e in quella luce brilla tutto il futuro dell’animale: nell’inseguire un altro animale, la possibilità del mangiare, del dormire, del bere, del giacere; nel mangiare la possibilità del correre, del riposare ecc.

Per tal modo adulando l’animale ogni volta con argomenti della sua stessa vita, il saggio dio lo conduce attraverso l’oscurità delle cose con la sua scia luminosa perch’egli possa continuare e non esser persuaso mai, – finché un inciampo non faccia cessare il triste gioco. –

Questo benevolo e prudente dio è il dio della φιλοψυχία6 e la luce è il piacere.


Per questo ogni animale viene determinatamente in contatto con le cose del suo amore determinato, e mentre queste sono per lui nel futuro, egli non vede tutta l’opera che il dio ha fatto. Ché s’egli vedesse

«... il ghiaccio e lì presso la rosa,
quasi in un punto il gran freddo e il gran caldo»,

la sua anima non farebbe ingombra

«dianzi, adesso, ier, diman, mattino e sera»,

egli non si continuerebbe nel tempo poiché, come dice il popolo, «chi vede Iddio muore».

Ma la sua volontà di essere è così volta a continuare, in ciò che nell’affermarsi presente essa crea la prossima vicinanza per l’affermarsi d’un’altra determinazione: in ognuna c’è la previsione delle altre. Essa si nutre del futuro in ogni vuoto presente, e mentre pei segni in questo manifesti si fa sicura di quello – affermandosi ora fiduciosa provvede sine cura all’avvenire.

Un bue non becca mai grano ma rumina sempre fieno, né del fieno si prende mai un’indigestione: così lo guida il piacere. Il grano non gli piace, il fieno invece gli è dolce, ma gli è dolce finché gli conviene, e conveniente gli è ciò che gli piace finché gli piace. Nella dolcezza parla la voce di tutte le altre determinazioni che dicono quella cosa in quella misura necessaria alla sua continuazione. Nel sapore presente del fieno c’è la dolce promessa del suo futuro, vivono le determinazioni delle altre cose, la previsione del dato avvenire. Pel sapore esso sa ciò che è per lui buono,7 ciò che rende possibile la sua continuazione, che avvicina via via l’effettuazione del giro continuo delle sue necessità. Nel sapore è la presenza di tutta la sua persona. Questo sapore accompagna ogni atto della vita organica. Per cui dice l’Ecclesiaste (III, 12): «E vidi che non v’è bene per loro (secondo loro) se non in quanto ne godano e faccia loro bene nella loro vita; ed anche se nel mangiare, se nel bere e in ogni sua attività l’uomo vede il bene, è dato questo a lui da dio».

Così muovendosi nel giro delle cose che gli fanno piacere, l’uomo si gira sul pernio che dal dio gli è dato (προϋπάρχει) e cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il futuro per lui.

Ogni cosa ha per lui questo dolce sapore, ch’egli la sente sua perché utile alla sua continuazione, e in ognuna con la sua potenza affermandosi egli ne ritrae sempre l’adulazione «tu sei».

Così che volta per volta nell’attualità della sua affermazione egli si sente superiore l’attimo presente e alla relazione che a quell’attimo appartiene; e se egli ora fa questo e poi farà quello, ora è qui poi andrà là; egli si sente sempre uguale in tempi e cose diverse: egli dice «io sono».

E nello stesso tempo le sue cose che lo attorniano e aspettano il suo futuro, sono l’unica realtà assoluta indiscutibile – col suo bene e il suo male, il meglio e il peggio. Egli non dice: «questo è per me», ma «questo è»; non dice: «questo mi piace», ma «è buono»: perché appunto l’io per cui la cosa è od è buona, è la sua coscienza, il suo piacere, la sua attualità, che per lui è ferma assoluta fuori del tempo. È lui ed è il mondo. E le cose del mondo sono buone o cattive, utili o dannose; egli sa «rifiutar le cattive e sceglier le buone» (Isaia), poiché la sua attualità ha nel piacere (o dispiacere) organizzata la previsione di ciò che conviene alla continuazione dell’organismo, che crea da lontano la futura vicinanza necessaria alla futura affermazione. – Perciò le cose non gli sono indifferenti ma giudicabili in riguardo a un fine. Questo fine che è nella sua coscienza gli è indiscutibile, fermo, luminoso fra le cose indifferenti; quello che egli ogni volta fa, non è fatto a caso, ma certo e ragionevolmente subordinato al fine. Come egli dice «io sono», così dice «io so quello che fo perché lo fo; non agisco a caso ma con piena coscienza e persuasione». -È cosi che ciò che vive si persuade esser vita la qualunque vita che vive. –

Note

  1. Errore dell’autografo, in realtà è Lucr., De Re. Na. I, 76, n.d.r.
  2. Il θυώματα è aggiunto dal Mullachius. Forse non è opportuno, perché Eraclito dice come le cose variano instabili all’occhio, se si guardino attraverso il fumo; mentre una colonna di fumo o due commiste offrono all’occhio sempre la stessa figura. Ma ad ogni modo il Mullachius ne sa molto più di me.
  3. Ne inveniat.
  4. I chimici chiamano la disposizione d’una sostanza a congiungersi con un’altra: «valenza». È ben detto; la valenza è il correlato del valore (sapore – sapienza; sentore – sentenza). Che la valenza del cloro sia anche per altre sostanze, questo cambia poco alla cosa. Facciamo forza alla nostra erudizione e ammettiamo (si tratta di 5 minuti!) che esso non voglia saper d’altro che dell’idrogeno: oppure per tacitare la nostra troppo scrupolosa coscienza addottrinata chiamiamo tutte le cose che valgono pel cloro: idrogeno.
  5. Difatti: indicativo: voglio; condizionale: ebbi a volere – vorrebbi – vorrei.
  6. Amore alla vita, viltà.
  7. Sapio = ho sapore = so.