La persuasione e la rettorica (1915)/La rettorica nella vita/Gli organi assimilatori/Come si costituisca la κολακεία sociale

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PARTE SECONDA
DELLA RETTORICA

III
LA RETTORICA NELLA VITA
II. Gli organi assimilatori

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PARTE SECONDA
DELLA RETTORICA

III
LA RETTORICA NELLA VITA
II. Gli organi assimilatori
La rettorica nella vita - Gli organi assimilatori La rettorica nella vita - Come la κολακεία sociale si diffonda: la δυσπαιδαγωγία


l°. Come si costituisca la κολακεία sociale


Se la volontà della natura di attuarsi tutta in un punto attraverso la serie delle cristallizzazioni individuali culmina nella coscienza d’un uomo vasta nel tempo e nello spazio – in cui per l’amore rivive quasi l’infinita varietà delle cose, – pur sotto questa forma, proiettata nel tempo e in qualche modo determinata, essa senza posa si toglie il possesso attuale di sé – e restando pur sempre infinita non giunge al cristallo: all’individuo assoluto – al dio. – Onde la vita in ogni forma chiede la vita, e le cristallizzazioni individuali curano la propria continuità.

In ogni grado la natura indifferente al singolo cura la continuità della razza e la salva dal νεῖκος con mezzi ogni volta diversi. Così anche l’umanità, dal cui seno sorge l’ultima forma della volontà, cura la propria continuità. L’umanità sfugge alla violenza colla società: ἡ φιλοψυχία τὴν κοινωνίαν συνέστησεν.


Quasi per ironia l’impulso a questo movimento del principio della debolezza è dato dai più forti. Certo fra gli uomini che l’ingiuria dell’intemperie, l’incertezza del cibo e del giaciglio, la minaccia delle fiere oltraggiavano, coloro che primi seppero trar dall’unione riparo e cibo e difesa, furon quelli, che più valenti e risoluti, per sé stessi meno avevano da temere: che se tali non fossero stati, come gli altri li avrebbero seguiti? Gli altri, che per debolezza fisica e mancanza d’iniziativa intellettuale erano senza risorsa in balìa degli eventi. L’iniziativa è sempre del più forte: e la «lega dei deboli» s’è fatta proprio a spese dei più forti; che per sola volontà di dominio o per amore ebbero sempre per campo naturale alla loro sovrabbondanza di vita, per dominarli o per amarli, i loro simili. Ma quanto meno pensarono a trar per sé dal dominio, sfruttando gli altri, i segni convenuti della potenza e «i beni» considerati tali dagli uomini – e più vollero la vita altrui amando nell’umanità e presupponendo in ognuno il valore che sentivano in sé, tanto meno abbagliati dalle cose cui gli altri attribuivano valore, meno aderirono alle vie convenute e più poterono farsi iniziatori di nuove vie. Essi non interrogarono la storia per fondare il loro regno, e il loro regno se non fu di questa terra, più forte si fondò nel cuore degli uomini.1

Per amore essi vollero eliminata la lotta (νεῖκος) di fra gli uomini e dettero loro una legge che questo amore – questa direzione verso l’assoluto, verso dio – presupponendo in ognuno, tutti li faceva fratelli e pel vicendevole rispetto li univa. Nel nome della φιλία «essi si trassero dietro e unirono vaste correnti umane: le moltitudini seguendoli, ognuno colla sua mente, volsero εἰς τὸν βίον ciò che nella mente dell’eroe andava εἰς τὸ ὄν: e imparando a dare alla loro misera vita i nomi che avevano il loro senso vitale in quella grande vita del profeta, del legislatore, del rivoluzionario: mangiarono e bevettero e prolificarono in nome di Buddha, in nome di Cristo. –

La beatitudine, che il profeta ha dato come fine sicura, ognuno a sé stesso raffigurando coi colori dei propri desideri e libera dei mali da cui ognuno è oppresso – ognuno prende come nuova scusa alla vita meschina, amore e tormento della sua piccola volontà. S’adattano alle nuove forme, persino al rifiuto d’alcune forme di vita, pur di vivere e di sperare – e sul leone abbattuto, riformicola con nuovo fervore la vita minuscola con le stesse gioie e gli stessi dolori e le stesse viltà. Poiché nel suo nome si trovano uniti e per l’unione più forti e più sicuri. Così che dal suo sogno della fratellanza dei buoni (ἀγαθῶν φιλία) ha incremento l’organizzazione delle volontà nemiche che delle sue forme simboliche incomprese – frutto della sua negazione – si servono per la sicurezza della loro qualunque affermazione di vita (affermazione della qualunque vita): la comunella dei malvagi: κοινωνία κακῶν.


Se meno potenti – tanto più numerosi agirono e agiscono gli altri, che l’amor della fama muove o un’ambizione che più chiede un’immediata e facile e vicina soddisfazione e via più scende e agisce in sfere sempre minori: che, quanto più bisognosa della società degli uomini, questo bisogno prendendo per una ragione d’essere della società e delle sue cose e dei suoi bisogni, – tanto più concede alle vie convenute di quella: i piccoli riformatori, e gli uomini di stato, e i letterati, e gli storici, e i giornalisti, e i capi partito, e i demagoghi, e quelli nella cui piccola iniziativa culminano i minimi attriti... tutti che, più o meno gravati dal bagaglio dei preconcetti, delle superstizioni, delle cognizioni religiose politiche sociali del loro tempo – usurpano ai loro scopi i nomi dei maggiori e le forme e le parole d’effetto ormai acquisito, e, adulando più o meno ai bisogni attuali, «agitano» e iniziano o trasformano o sfruttano correnti di idee, partiti, comitati, gruppi, che concorrono tutti urtandosi, combattendosi, aggrovigliandosi, a spingere la società verso il progressivo adattamento, all’organizzazione delle forze nemiche.2

E non pur dagli altri son creduti persuasi – ché pel volgo «esser in buona fede» è sinonimo di «esser persuaso» – ma essi stessi – se si eccettuino i furbi, nella persuasione del voler vincere, il proprio bisogno per ragione prendendo, sono dalle loro stesse parole ingannati – e illudendosi di propugnare idee proprie – sono inconsci strumenti della società. Λανθάνουσι δουλωθέντες.


Ma la vera funzione organica della società è l’officina dei valori assoluti, la fornitrice dei «luoghi speciali» e «comuni»: la scienza. Che con l’«oggettività» che implica la rinuncia totale dell’individualità, prende i valori dei sensi, o i dati statistici dei bisogni materiali come ultimi valori, e fornisce alla società col suggello della saggezza assoluta ciò che per la sua vitale è utile le: macchine, e teorie d’ogni genere e per ogni uso – d’acciaio, di carta, di parole.3 Se è vero che fra gli scienziati – che percerto in quanto siano tali sono tutti inconsapevoli della finalità pratica del loro studio – e non se ne curano, ma fanno la scienza per la scienza – se è vero che ve ne sono di quelli che non hanno altra vita all’infuori della loro attività scientifica – e che compiono questa come a loro vitalmente, fisiologicamente necessaria, così da aver l’unica speranza e l’unica gioia negli esperimenti, e da arrischiar la vita per conquistar una notizia alla scienza –bisogna dire che essi sono un modello degli uominidell’avvenire – poiché di fatto la loro volontà è tutta informata alle necessità sociali e in loro vivono i sensidegli altri uomini e gli stomaci preoccupati dell’avvenire– mentre coll’individualità ridotta al meccanismo – essi compiono le funzioni della comunità ὡς ἰδίαν ἔχοντες γνώμαν. –


Note

  1. «Haakon: Che cos’è che v’attrae? la corona regale, e il mantello di porpora, il diritto di seder di tre gradini sublime su tutti gli altri; quale miserial se esser re fosse questo – vi getterei il regno nel berretto, come getto l’elemosina al mendico
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Skule: ... Ma questo è impossibile. Questo è inaudito nella storia della Norvegia.
    Haakon: A voi è impossibile – che altro non potete se non ricalcare la storia: per me è facile come è facile al falco trapassare le nubi.
    ... Ho questo pensiero da Dio e non lo dimetterò...»
    IbsenI pretendenti alla corona – Atto 3° scena .
  2. Esempio classico la Chiesa che ha usurpato i simboli e le parole di Cristo a creare una potenza in terra. Esempio moderno il socialismo che mantenendo le forme, il nome, gli schemi delle argomentazioni, tutto il frasario di Marx – ha ridotta la sua negazione della società borghese a un elemento di riforma nella società borghese, volto a scopi più o meno particolari e materiali: più o meno mite, a seconda che più o meno i capi del partito avevano bisogno della società borghese e, approfittando della forza che loro concedeva il partito, ambivano a un posto in quella. Così che in Francia il socialismo è giunto al governo, in Germania ha creato una classe benestante più borghese dei borghesi, in Italia... dell’Italia è pietoso tacere.
  3. Per esempio la sociologia (economia politica) dai suoi dati statistici dei bisogni materiali presi come valori assoluti quasi fossero inerfenti all’idea dell’uomo «premacina» date astrazioni della vita con lo scopo (consapevole o no è indifferente) di render possibile la futura fabbrica di teorie di sistemi, di piani di riforma pel progressivo adattamento della società organizzata alle nuove necessità create dalla violenza di ciò che è o si pone fuori dell’organizzazione. – Oppure la medicina che (oltre alle tante altre sue virtù) ha creato le parole nervosità, nevrosi, neurastenia, neuropatia, ecc ecc colle quali ha concesso una persona quasi invidiabile a tutti quelli che nella loro impotenza non possono a meno di commettere atti pazzeschi di rabbia: onde il prossimo li rispetti come nervosi ed essi stessi pur negli spasimi della rabbia si compiacciano pensando: . eppure faccio impressione – «lo sapranno ora che son nervoso», o al caso dicano: «lo sai che son nervoso», come se vantassero una qualità rispettabile. Così è posto un conforto a questo male che la società ha reso endemico – e la rabbia stessa non è più impotente poiché può giungere a un fine. – Ma il più bel servizio l’ha reso alla società l’antropologia (a tacere del resto) con la teoria della pazzia del genio. Poiché fra le cose da spiegare dai segni vicini e portare alla lor causa sufficiente, certo la più difficile era l’organismo più alto: quello che meno è determinato da cause vicine – si ricorse all’irrazionale e si disse: quelli son pazzi. – Chi agisce per motivi diversi da quelli comuni, o resta inerte ai motivi comuni, è agli uomini oggetto di maraviglia e di paura e, – come cosa da non sapersi da che parte prendere – per la riluttanza degli uomini a supporre in un loro simile un motivo che trascenda la loro mentalità, – d’ingiurioso sospetto. Ed è la forma più comune di vendetta dell’illuso contro chi col suo agire gli turba la sua illusione e lo costringe – cosa odiosa – allo stupore (che è la confessione della propria insufficienza) la frase: quello è matto. E questo è sempre stato; tanto che esser diverso dalla norma comune, esser anormale significa esser pazzo (e persino in greco παράδοξος era usato con prevalenza in senso cattivo); è sempre stato da quando primi convennero 3 uomini a formare collegio, che certo volta a volta uno dei tre satà stato dichiarato pazzo dagli altri due. – Ma il servizio di consacrare la frase della mediocrità spaurita: «quello è un matto», con l’autorità assoluta della scienza traducendola nel dogma: «quando l’esperienza ‘oggettiva’ è insufficiente a ‘dar ragione’ d’un individuo, questo individuo è pazzo» – questo servizio non poteva renderlo alla comunità che quello che le è del tutto asservito: lo scienziato moderno. – La società che non può difendersi dalle verità enunciate da quelli, che per lei sono rivoluzionari e che minacciano la sua sicurezza, «onestamente» rispondendo con argomenti razionali agli argomenti, ma solo opponendo la violenza e materialità del suo esistere come dato di fatto – quando non li può imprigionare come delinquenti, può porre così la pregiudiziale della pazzia e non incaricarsene. – Se Cristo tornasse oggi, non troverebbe la croce ma il ben peggiore calvario d’un’indifferenza inerte e curiosa da parte della folla ora tutta borghese e sufficiente e sapiente – e avrebbe la soddisfazione di esser un bel caso pei frenologi e un gradito ospite dei manicomi. – Certo anche qui Aristotele in qualche modo τοῦ μάλιστα ἐνδόξου στοχάζεται quando si chiede nei Problemi (Sectio xxx): Διά τί πάντες ὅσοι περιττοί γεγόνασιν ἄνδρες ἢ κατά φιλοσοφίαν ἢ πολιτικὴν ἢ ποίησιν ἢ τέχνας φαίνονται μελαγχολικοὶ ὄντες καὶ οἱ μὲν οὕτως ὥστε καὶ λαμβάνεσθαι τοῖς ἀπὸ [μελαίνης] χολῆς ἀρρωστήμασιν; e cita ad esempio Ercole, e Lisandro, e Aiace e Bellerofonte; τῶν δὲ ὕστερον, Empedocle e Platone e Socrate: καὶ ἑτέρους συχνοὺς τῶν γνωρίμων. Ἔτι δὲ τῶν περί τὴν ποίησιν οἱ πλεῖστοι... Πάντες δ’ οὗν ὡς εἰπεῖν ἁπλῶς εἰσί, καθάπερ ἐλέχθη, τοιοῦτοι τὴν φύσιν. Δεῖ δὴ λαβεῖν τὴν αἰτίαν πρῶτον ἐπὶ παραδείγματος προχειρισαμένους. Parla dell’epilessia, dell’estasi. Esamina gli effetti del vino che fa gli uomini φιλανθρώπους, ἐλεήμονας, ἰταμούς – e in seguito ὑβριστὰς e μανικούς. Concludendo: οἷος γὰρ οὗτος μεθύων νῦν ἐστίν, ἄλλος τις τοιοῦτος φύσει ἐστίν.–