La poesia cavalleresca e scritti vari/La poesia cavalleresca/V. L'Orlando Furioso/13. Olimpia abbandonata

Da Wikisource.
V. L'Orlando Furioso - 13. Olimpia abbandonata

../12. Zerbino ../../La poesia cavalleresca/VI. I continuatori dell' Ariosto IncludiIntestazione 18 agosto 2022 75% Da definire

V. L'Orlando Furioso - 12. Zerbino La poesia cavalleresca - VI. I continuatori dell' Ariosto

[p. 166 modifica]

i3. — Olimpia abbandonata.


La situazione esaminata l’ultima volta è originale, unica fino all’Ariosto, perché drammatica, ed è la prima e l’unica tale in Ariosto. Bradamante si duole di Ruggiero, Fiordiligi di Brandimarte morto: ma sono soliloqui, scene liriche. Ne’ tanti romanzi di Cavalleria non vi è nulla di drammatico, ma scene liriche in quantità. Quelle concezioni del Boiardo sono dimenticate. Ma ne’ poeti antichi vi sono spesso scene drammatiche o liriche: per esempio, il lamento della madre di Eurialo, che attrae per la sua eleganza e tenerezza virgiliana: eleganza e tenerezza che fanno giudicar Virgilio da Lamartine pel primo poeta del mondo. E per esempio il pianto di Arianna abbandonata da Teseo, in Ovidio, poeta non tenero né elegante come Virgilio, ma che gli è stato spesso preferito pel lusso dell’immaginazione. Ma egli è come il ragazzo nella mascherata di Goethe; la sua immaginazione sta piú nella forma che nelle idee.I pedanti rimproverano il furto di questo episodio ad Ariosto. Ma leggete Ovidio ed Ariosto. Non c’è un pensiero rubato.

Olimpia, abbandonata da Bireno, è un misto d’immaginazione, tenerezza e grazia. Quest’episodio ha per soggetto il dolore d’una donna abbandonata. D’una donna, non d’un uomo, che si rialza, che sfida, che provoca a guerra: dolore cupo, che finisce con la disperazione e nel sublime. La donna non ha volontà: il suo dolore è bello, è tenero. Il dolore virile è il patetico, il femminile è il commovente, il tenero, das Rührend.

La bellezza propria del dolore femminile è il grazioso. Poeta nato per esser tenero e grazioso è il Petrarca, natura femminile. II legame fra il grazioso e il commovente è formato dall’immaginazione. L’uomo dispera o pensa all’azione, non si abbandona all’immaginazione. Le donne, al contrario.

Tre scene: prima, Bireno abbandona Olimpia; seconda, risveglio; terza, dolore di Olimpia.

Donde nasce il commovente? Dall’interesse per Olimpia. L’autore fa come i compositori: comincia con un magnifico [p. 167 modifica]prologo, composto di pensieri comuni (quattro ottave). Olimpia è fedele: merita d’essere amata; vi voglio raccontare che ha fatto Bireno. L’interesse sta nella musica, nella melodia: analizza questi pensieri.

     Fra quanti amor, fra quante fedi al mondo
Mai si trovár, fra quanti cor costanti.
Fra quante, o per dolente o per giocondo
Stato, fèr prove mai famosi amanti;
Piuttosto il primo loco, ch’il secondo
Darò ad Olimpia; e se pur non va innanti,
Ben voglio dir che, fra gli antiqui e novi,
Maggior dell’amor suo non si ritrovi.

Questo è il prologo della situazione, accanto al quale v’è un prologo arbitrario, che tempera il tenero che deve seguire. L’Ariosto fa un’ammonizione alle donne per esortarle a non credere agli amanti: ed è bellàá dell’argomento. Ride di ciò che dice. Se la piglia con tutti i giovani; e, sviluppata questa seconda parte, viene la buffoneria; le esorta a contentarsi degli uomini di quarant’anni:

     Guardatevi da questi che sul fiore
De’ lor begli anni il viso han si polito;
Ché presto nasce in loro e presto muore.
Quasi un foco di paglia, ogni appetito.

Cominciano i legni ad uscir nel mare. L’Ariosto accenna le parti prosaiche e descrive i punti poetici: vi mostra la velocità de’ legni nel numero. Giungono nell’isola: Olimpia e Bireno si ritirano in un padiglione. Ariosto vuol mostrare la plebeità di Bireno: la mostra raccontando:

Ma a dire il vero, esso v’avea la gola,
Ché vivanda era troppo delicata:
E riputato avria cortesia sciocca.
Per darla altrui, levarsela di bocca.
[p. 168 modifica]
Olimpia dorme, Bireno no, affastella i suoi panni e fugge. Per mostrare la lunghezza di questo sonno di Olimpia lo svolge in una ottava


     Il travaglio del mare e la paura.
Che tenuta alcun di l’aveano desta;
Il ritrovarsi al lito ora sicura,
Lontana da rumor nella foresta,
E che nessun pensier, nessuna cura.
Poiché il suo amante ha seco, la molesta;
Fu cagion ch’ebbe Olimpia si gran sonno
Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno.


Accanto a quest’ottava cosí lenta, vedete la precipitazione dell’amante


     Il falso amante, che i pensati inganni
Vegghiar facean, come dormir lei sente,
Pian piano esce del letto; e de’ suoi panni
Fatto un fastel, non si veste altrimente;
E lascia il padiglione; e, come i vanni
Nati gli sian, rivola alla sua gente,
E li risveglia; e senza udirsi un grido,
Fa entrar nell’alto, e abbandonare il lido.


Sentite questo incalzarsi d’e. Queste due ottave sono due capolavori.
Bireno se ne va. Succede un gemito.


     Rimase addietro il lito e la meschina
Olimpia...


Olimpia si sveglia e pensa a Bireno


Né desta né dormendo, ella la mano
Per Bireno abbracciar stese, ma invano...


Si sveglia in tutto e corre al mare. Qui viene la seconda parte della situazione. Il primo atto di Olimpia è il correre verso il lido, guardando e gridando:
[p. 169 modifica]
E va guardando (ché splendea la Luna)
Se veder cosa, fuor eh ’l lito, puote;
Né, fuor che ’l lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama; e al nome di Bireno
Rispondean gli antri, che pietá n’avieno.


Quest’ultima idea così gentile vi fa precipitare nel tenero. Sale sopra un sasso:
E di lontano le gonfiate vele
Vide fuggir del suo signor crudele.

Queste sono le illusioni d’un dolore femminile. Perde ogni speranza, ritorna al letto e si abbandona ai suoi ultimi lamenti. Impreca a Bireno: poi si spaventa e teme: delle belve, de’ corsari

Cosi dicendo, le mani si caccia
Ne’ capei d’oro, e a chiocca a chiocca straccia.


Succede la furia: e poi la spossatezza: si siede sopra un sasso:


Né men d’un vero sasso, un sasso pare.