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III. Pagine sparse - Il Darwinismo nella vita e nell'arte

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IL DARWINISMO NELLA VITA E NELL’ARTE


Quando ho letto le opere di Carlo Darwin, l’ammirazione per l’uomo è stata tanto grande, quanto quella per lo scienziato. Gli è che non ho ritrovato in lui né orgoglio, né vanitá, né invidia, nessuna di quelle piccolezze che offuscano l’anima di tanti uomini eccelsi. Di una modestia e di una temperanza singolare, egli ha sempre usato il massimo rispetto per i propri avversari; non ha cercato d’ingrandire il valore scientifico della legge di selezione, da lui scoperta; ha sempre citato largamente le fonti donde ricavava i suoi argomenti e ha finito l’opera sua con queste parole memorabili: «Le prove delle mie teorie scientifiche sono incontestabili, ma io sarò felice ove mi possa essere dimostrato il mio errore».

Ma è, oltre lo scienziato e l’uomo, il filosofo che ha destato in me ammirazione. Darwin è stato il direttore del pensiero scientifico di questa metá di secolo: è stato la forza dirigente dello spirito moderno. In quanto che una dottrina non si considera solo in sé, ma nella sua influenza sociale: molti possono ignorare la dottrina di Darwin, ma non si sottraggono alla sua influenza nella vita e nell’arte.

E questa influenza è benefica. Darwin ha ritirata la mente dell’uomo dai concetti astratti e l’ha portata al concetto effettuale del Machiavelli e del Galilei. Col metodo sperimentale, egli ha sostituito il laboratorio, dove tutto cammina alla veritá, alla solitudine del gabinetto di studio, dove l’uomo è indifeso contro [p. 322 modifica]le esagerazioni della propria fantasia. Il metodo si è allargato alla critica, alla filologia, alla giurisprudenza, combattendo lo sterile abuso delle facoltá ideali, e creando un’attivitá efficace, giusta, continua.

Il Darwinismo ha sviluppato, come metodo, il senso del reale, come vita, il senso della forza. Cosi al vecchio motto: — Le idee governano il mondo — , un altro viene sostituito: — Dove non è forza, ivi non è vita, né reale, né ideale — .

Nell’arte si è lungamente discusso che non fosse il Classicismo, che non fosse il Romanticismo. La patria, la virtú, l’ideale, l’idealitá, il sentimento, pareva che fossero arte; e non erano. Potevano essere ambiente, ma non arte. Poiché l’arte è la vita: e dove non è vita, non è arte. Sapete che cosa si domanda all’artista? Si chiede questo: — Hai tu, nel tuo cervello, la facoltá generativa? Hai tu la facoltá di restituire alla natura la vita che ti ha data? Puoi tu rendere nelle vibrazioni del pennello, della parola, della musica, le vibrazioni della vita? Ebbene, sei un artista — .

Prendiamo, per esempio, Nerone. Questo tipo di uomo perverso sgomentò Alfieri, che non osò delinearlo intiero, e ci dette solo la figura della sua infelice vittima, Ottavia.

Invece, vedete Pietro Cossa. In questo artista cominciava a spuntare l’uomo nuovo: forse lo preoccupavano per Nerone le stesse paure di Alfieri, ma immaginò di metterlo sotto la protezione dell’arte. E cosí venne fuori un Nerone vivo, vero, palpitante, che fa palpitare. Vi è la storia e vi è anche la vita: e questo fanciullo feroce è reso in tutta la sua sensualitá animale. Nerone non era veramente un artista, ma aveva le velleitá e la vanitá dell’arte, l’applauso, il circo plaudente, la turba prosternata. Se fosse stato un vero artista, avrebbe goduto l’incendio di Roma nella fantasia: ma egli aveva bisogno della materialitá nell’arte, dell’elemento sensuale. Nerone era un verista di quei tempi. Tale lo ha fatto Cossa.

Ma nell’arte moderna, quale il Darwinismo l’ha fatta, bisogna cogliere la vita nel movimento e nella continuitá: coglierla nell’attivitá sua, come espressione, come impressione. La forma [p. 323 modifica]fissa e cristallizzata, la vita immobile può avere scopo educativo o commerciale, ma non è arte, è fotografia, è industria. E la continuitá significa anche il distacco dell’artista: poiché egli non deve permettersi d’interrompere il movimento della vita con la propria personalitá, con riflessioni soggettive, lamentazioni, esclamazioni, digressioni. La personalitá deH’artista rappresenta la violazione della vita: essa è unica ed egli la frantuma. Sicché un grande principio viene a stabilirsi: autonomia della vita di fronte all’artista.

Ed è cogliere la vita nel suo movimento, osservare tutte le gradazioni di origine, di temperamento, di organismo, di condizioni speciali, cogliere tutto questo che si chiama anche ambiente e che dá origine ad una nuova forma d’arte, chiamata con una parola vecchia: il descrittivo. Trenta anni or sono, il descrittivo era un lusso, un accompagnamento superfluo, che stava di per sé, non avendo relazione con la vita: ora è tutto, è origine, è causa, è conseguenza, è influenza. La vita non è piú effetto del caso. Nuovo elemento dell’arte, è la fatalitá della vita. Tutto questo trasforma i nostri sentimenti. Noi non possiamo piú con Leopardi gridare:

O natura, o natura,
Perché non rendi poi
Quel che prometti allor?...
Noi ci siamo riconciliati con la vita, sentendola capace di miglioramento: i sentiamo riconciliati con la forza.

Non piú ci sorridono Otello, Agamennone, Fausto; ma ci attirano Egisto, Jago, Mefistofele, la massima intelligenza, la massima forza, e sia anche nella malvagitá!

Cosi l’arte moderna discende dove la veritá si manifesta piú nuda, piú chiara, senz’artificio: nelle classi popolari, ivi dove il metodo sperimentale può applicarsi piú largamente. E la lingua, lo stile acquistano a poco a poco la vivezza dialettale: vedete il progresso della lingua, da trent’anni a questa parte, come ha acquistato semplicitá, snellezza, vita! [p. 324 modifica]

Riassumendo, il Darwinismo ci ha dato nella vita e nell’arte il senso della forza, la pacatezza dell’immaginazione, la serenitá del sentimento, l’autonomia della vita, l’impersonalitá dell’artista.

Ma tutti questi vantaggi sono piú un presagio, una promessa per l’avvenire, che un benefizio del presente. Oggi la dottrina darviniana è nel suo stato di reazione e quindi di esagerazione. Lo stesso Darwin, cosí acuto nel notare le somiglianze fra l’uomo e l’animale, sorvola sulle differenze e le attenua. Cosi a lui è accaduto l’opposto di Hegel: Hegel, per schiantare lo scetticismo, inventò la filosofia dell’assoluto e umanizzò altamente la materia; Darwin, per nobilitare l’uomo, lo fa discendere sino all’animalitá.

È la evoluzione in senso inverso; cosí una quantitá di scienziati imberbi e d’artisti ostinati profittano dell’esagerazione della dottrina per inneggiare all’animalitá, per occuparsi solo di essa, per dichiarare la virtú una malattia e il genio un’allucinazione. Ripeto, è questa una tendenza transitoria. Sta a noi, sta a voi, porre freno a quest’influenza esagerata, studiando le differenze tra l’uomo e l’animale, quello ch’egli ha di proprio, di personale. Solo cosí’ il Darwinismo può fruttare nell’avvenire, all’arte e alla vita. Di che vi dirò nella prossima conferenza.