La scienza nuova seconda/Appendice/II - Ragionamento secondo/Capitolo secondo

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II - Ragionamento secondo - Capitolo secondo - Corollari

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CAPITOLO SECONDO

COROLLARI

1460Da questo Ragionamento escon i seguenti corollari, i quali contengono veritá le piú importanti di tutte l’altre, che si son intese in quest’opera.

I

1461Confutato il grande comun errore de’ dottori, i quali ragionano del gius pubblico con le regole del gius privato.

II

1462Che l’imperio delle leggi va di séguito all’imperio dell’armi, non, come volgarmente si è oppinato, al rovescio.

III

1463Che perciò con un comun senso umano tutte le nazioni conferiscono maggior onori alla milizia armata ch’alla milizia palatina.

IV

1464Che ’l gius civile si celebra tra’ cittadini, perché sono soggetti ad un sommo imperio d’armi comune, e perciò non resta loro altro che contendere di ragione.

V

1485Che ’l diritto natural delle genti è un diritto della forza pubblica, il quale corre tra le civili potestá, le quali non hanno un diritto civile comune. [p. 304 modifica]

VI

14656 Ch’i trattati de’ principi tra essoloro sono materia del diritto natural delle genti, perché sono sostenuti dalla forza ch’essi principi esercitano tra loro, ed altre potenze non se ne risentono; e molto piú se vi convengon anch’esse, e piú di tutto se esse li garantiscono.

VII

1467Che i regni e gl’imperi non, come le private servitú, s’introducono con la pazienza de’ sudditi, ma che essi sudditi, co’ loro costumi (i quali sono segni della nostra volontá piú deliberati e gravi che non sono le parole e le loro forimole, perché sono tanto volontari che niuna cosa piace piú che celebrare i propi costumi), essi vi convengono e gli stabiliscono; e quello: «pauci bona libertatis in cassium disserere» sono velleitá, perché la volontá efficace è quella con la quale, per celebrar i loro costumi, vivono soggetti al monarca.

VIII

1468Che non si può far forza ad un intiero popolo libero (il quale non è intiero se non sono tutti o la maggior parte di tutti), il qual ha quella magnanima disgiontiva spiegata con quella sublime espressione: «aut vivere aut occumbere liberos»; come il mostrano quattromila numantini, non piú, d’una picciola cittá smurata, i quali disfecero piú romani eserciti, e rendettero il loro nome si spaventoso a’ romani ch’in udir «numantino» fuggivano; talché fu di bisogno d’uno Scipione affricano (ch’aveva in Cartagine vinta stabilito a Roma l’imperio del mondo) per vincerla, e pure non ne riportò altro in trionfo ch’un mucchio di ceneri inzuppato del sangue di quelli eroi.

IX

1469Che l’eroismo de’ primi padri sulle famiglie de’ famoli nello stato di natura e poi de’ nobili sulle plebi de’ primi popoli nello stato delle cittá (che perciò nacquero aristocratiche), egli, nelle [p. 305 modifica] repubbliche popolari conservato col comandare le buone leggi (ch’Aristotile ci disse essere volontá di eroi scevere di passioni), dissipato poi e disperso con le guerre civili, si riunisce nella persona de’ principi ch’indi provengono, i quali perciò son i soli distinti in civil natura, che con le leggi tengono tutti i soggetti uguagliati.

X

1470Esser falso che nella setta de’ tempi umani il diritto naturale tenga in dovere le nazioni col pudore; ma che tal setta solamente gliele fa intendere per esserne obbligate, perché, se gli uomini non l’adempiono, si costringono con le leggi giudiziarie. Ma i sovrani principi sono soli quelli che, non potendo esser costretti dentro da niuna umana forza, sono menati dal lor pudore ad osservare le leggi, perchè essi soli sono tenuti dal diritto natural delle genti, fuori con la forza dell’armi, e dentro col pudor naturale. Lo che Tacito, sappientissimo di cotal diritto, ben avverti ove, trattandosi in senato di moderare con le leggi suntuarie il lusso profusissimo delle cene, Tiberio rispose che non abbisognavano, con quel motto pieno d’una elegantissima sapienza civile: «Pauperes necessitas, divites satietas, nos pudor in melius vertet». Che è la profonda e finor nascosta ragione della legge «Digna vox».

XI

1471Perciò esser falso quello:

Regis ad exemplum totus componitur orbis,

ma esser vero tutto il contrario; perché i sovrani principi, che per lo corollario precedente sono per natura civile gentilissimi, si vergognano di vivere diversamente dalla maniera con la quale vivon i popoli: onde in un luogo di questi libri dicemmo che i pubblici e veri (e, perché pubblici, veri) maestri de’ principi son essi popoli. Nerone ed altri cattivi imperadori vennero dissolutissimi e fierissimi, perché nacquero in tempi ch’eran all’eccesso dissoluti e fieri i romani, i quali gli agi, le dilicatezze, i lussi avevano renduto vilissimi; e quindi, codardi, con volti finti di traditori ed assassini, simulavano l’amicizie per farsi la fortuna sopra le teste mozze e le case rovinate de’ lor amici. I quali scellerati costumi, perché uscivano da nature affatto guaste e corrotte, le [p. 306 modifica] quali co’ pravi esempli si formavano loro dalla fanciullezza e si fermavano con l’etá, i principi buoni con gli esempli buoni loro non emmendavano, ma, quasi corrente di furioso fiume, riprimevano a gran pena per lo lor tempo. Lo che è tanto vero che, se continovarono piú di questi, quelli piú violentemente proruppero, onde uscirono principi piú cattivi: come, dopo i buoni Vespasiano e Tito, videsi rinnato Nerone in Domiziano; da’ buoni Nerva, Traiano, Antonino Pio, Marc’Aurelio filosofo venne il brutto di Commodo; tramò alla vita del bellicoso Pertinace un «sacerdote della santa giustizia» (per dirlo con la frase di Ulpiano), qual egli fu il giureconsulto Didio Giuliano, il quale con immense ricchezze porta a vilissimo mercato e si compera il romano imperio; al conquistatore Severo affricano succede Caracalla, fratricida del fratello Geta; e finalmente venne Elagabalo dall’effeminata mollissima Siria, che fu l’orrore del gener umano.

XII

1472Che la fortuna degli auspici, i quali sono tanto propi de’ principi, che, per lo diritto natural delle genti, come sta in quest’opera pienamente pruovato, non posson essi trasferirgli nella persona de’ lor medesimi capitani generali (i quali perciò si dicono guerreggiare con la loro condotta e comando, ma vincere con la fortuna de’ loro sovrani, onde ad essi naturalmente ritorna la gloria delle conquiste); — tal fortuna degli auspíci, diciamo, legittima le guerre ingiuste e i principati sopra i popoli liberi, ch’è ’l principio della giustizia esterna delle guerre e de’ regni che dice Grozio. La qual Tacito, sappientissimo di tal diritto, pone in bocca d’Otone, c’ha volte l’armi de’ soldati pretoriani contro il suo e loro imperadore Galba, e ’l suo infame attentato pubblicamente nell’adunanza de’ soldati medesimi chiama «consiliunt quod non potest laudare nisi peractum», cioè se la provvedenza divina noi prospera con l’evento; onde Niccolò Macchiavelli, nelle Lezioni di Livio, ove tratta delle congiure, dice che le piú sono state infelici, pochissime prosperate, niuna onesta.


nvnc dimittis servvm tvvm, domine