La scienza nuova seconda/Libro quinto/Capitolo secondo

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Libro quinto - Capitolo secondo - Ricorso che fanno le nazioni sopra la natura eterna de' feudi

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Libro quinto - Capitolo secondo - Ricorso che fanno le nazioni sopra la natura eterna de' feudi
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[CAPITOLO SECONDO]

ricorso che fanno le nazioni sopra la natura eterna de’ feudi e quindi il ricorso del diritto romano antico fatto col diritto feudale.

1057A questi succedettero certi tempi eroici, per una certa distinzione ritornata di nature quasi diverse, eroica ed umana; da che esce la cagione di quell’effetto, di che si maraviglia Ottomano, ch’i vassalli rustici in lingua feudale si dicon «homines». Dalla qual voce deve venir l’origine di quelle due voci feudali «hominium» ed «homagium», che significano lo stesso; detto «hominium» quasi «hominis dominium», che Elmodio, all’osservar di Cuiacio, vuole che sia piú elegante che «homagium», detto quasi «hominis agium», menamento dell’uomo o vassallo dove voglia il barone. La qual voce barbara i feudisti eruditi, per lo vicendevole rapporto, con tutta latina eleganza, voltano «obsequium», che dapprima fu una prontezza di seguir l’uomo, ovunque il menasse, a coltivar i suoi terreni, l’eroe. La qual voce «obsequium» contiene eminentemente la fedeltá che si deve dal vassallo al barone: tanto che l’«ossequio» de’ latini significa unitamente e l’omaggio e la fedeltá che si debbono giurare nell’investiture de’ feudi; e l’ossequio appresso i romani antichi non si scompagnava da quella ch’a’ medesimi restò detta «opera militaris», e da’ nostri feudisti si dice «militare servitium», per la quale i plebei romani lunga etá a loro propie spese serviron a’ nobili nelle guerre, come ce n’ha accertato, sopra, essa storia romana. Il qual ossequio con l’opere restò finalmente a’ liberti ovvero affranchiti inverso i loro patroni, il quale aveva incominciato, come sopra osservammo sulla storia romana, da’ tempi che Romolo fondò Roma sopra le clientele, che truovammo protezioni di contadini giornalieri da esso ricevuti al suo asilo, le quali [p. 137 modifica] «clientele», come indicammo nelle Degnitá, non si possono sulla storia antica spiegare con piú propietá che per «feudi», siccome i feudisti eruditi con si fatta elegante voce latina «clientela» voltano questa barbara «feudum«.

1058E di tali principi di cose apertamente ci convincono l’origini di esse voci «opera» e «servitium». Perché «opera», nella sua significazione natia, è la fatiga d’un giorno d’un contadino, detto quindi da’ latini «operarius», che gl’italiani dicono «giornaliere»: qual operaio o giornaliere, che non aveva niun privilegio di cittadino, si duol essere stato Achille trattato da Agamennone, che gli aveva a torto tolta la sua Briseide. Quindi appo i medesimi latini restarono detti «greges operarum», siccome anco «greges servorum», perché tali operai prima, siccome gli schiavi dopo, erano dagli eroi riputati quali le bestie, che si dicono «pasci gregatim». [E dovettero prima essere tai greggi d’uomini, dipoi le greggi de’ bestiami;] e, con lo stesso vicendevol rapporto, dovettero prima essere i pastori di sí fatti uomini (come con tal aggiunto perpetuo di «pastori de’ popoli» sempre Omero appella gli eroi), e dopo essere stati i pastori degli armenti e de’ greggi. E cel conferma la voce νόμος, ch’a’ greci significa e «legge» e «pasco», come si è sopra osservato; perché con la prima legge agraria fu accordato a’ famoli sollevati il sostentamento in terreni assegnati lor dagli eroi, il quale fu detto «pasco», propio di tali bestie, coinè il cibo è propio degli uomini.

1059Tal propietá di pascere tali primi greggi del mondo dev’essere stata d’Apollo, che truovammo dio della luce civile, o sia della nobiltá, ove dalla storia favolosa ci è narrato pastore in Anfriso; come fu pastore Paride, il quale certamente era reale di Troia. E tal è ’l padre di famiglia (che Omero appella «re»), il quale con lo scettro comanda il bue arrosto dividersi a’ mietitori, descritto nello scudo d’Achille, dove sopra abbiamo fatto vedere la storia del mondo, e quivi esser fissa l’epoca delle famiglie. Perché de’ nostri pastori non è propio il pascere, ma il guidar e guardare gli armenti e i greggi, non avendosi potuto la pastoreccia introdurre che dopo alquanto assicurati [p. 138 modifica] i confini delle prime cittá, per gli ladronecci che si celebravano a’ tempi eroici. Che dev’essere la cagione perché la bucolica o pastoral poesia venne a’ tempi umanissimi egualmente tra’ greci con Teocrito, tra’ latini con Virgilio e tra gl’italiani con Sannazaro.

1060La voce «servitium» appruova queste cose istesse essere ricorse ne’ tempi barbari ultimi: per lo cui contrario rapporto il barone si disse «senior», nel senso nel qual s’intende «signore ». Talché questi servi nati in casa dovetter esser gli antichi franchi de’ quali si maraviglia il Rodino, e generalmente ritruovati, sopra, gli stessi che «vernae», li quali si chiamarono dagli antichi romani; da’ quali «vernaculae» si dissero le lingue volgari, introdutte dal volgo de’ popoli, che noi sopra truovammo essere state le plebi dell’eroiche cittá, siccome la lingua poetica era stata introdutta dagli eroi, ovvero nobili delle prime repubbliche.

1061Tal ossequio d’affranchiti — essendosi poi sparsa e quindi dispersa la potenza de’ baroni tra’ popoli nelle guerre civili, nelle qual’i potenti han da dipender da’ popoli, e quindi facilmente riunita essendosi nelle persone de’ re monarchi — passò in quello che si dice «obsequium principis», nel qual, all’avviso di Tacito, consiste tutto il dovere de’ soggetti alle monarchie. Al contrario, per la differenza creduta delle due nature, un’eroica, altra umana, i signori de’ feudi furon detti «baroni», nello stesso senso che noi qui sopra truovammo essere stati detti «eroi» da’ poeti greci e «viri» dagli antichi latini; lo che restò agli spagnuoli, da’ quali l’«uomo» è detto «baron», appresi tai vassalli, perché deboli, nel sentimento eroico, che sopra dimostrammo, di «femmine».

1062Ed oltre a ciò che testé abbiam ragionato, i baroni furon detti «signori», che non può altronde venire che dal latino «seniores», perché d’essi si dovettero comporre i primi pubblici parlamenti de’ nuovi reami d’Europa; appunto come Romolo il Consiglio pubblico, che naturalmente aveva dovuto comporre de’ piú vecchi della nobiltá, aveva detto «senatum». E, come da quelli, che perciò erano e si dicevano «patres», [p. 139 modifica] dovettero venire detti «patroni» coloro che danno agli schiavi la libertá; cosí, in italiano, da questi dovettero venir chiamati «padroni» in significazione di «protettori», i quali «padroni» ritengono nella loro voce tutta la propietá ed eleganza latina. A’ quali, per lo contrario, con altrettanta latina eleganza e propietá risponde la voce «clientes», in sentimento di «vassalli rustici», a’ quali Servio Tullio, con ordinar il censo, qual è stato sopra spiegato, permise sí fatti feudi, col piú corto passo col quale potè procedere sulle clientele di Romolo, come si è sopra pienamente pruovato. Che son appunto gli affranchiti, i quali poi diedero il nome alla nazione de’ franchi, come si è detto, nel libro precedente, al Bodino.

1063In cotal guisa ritornarono i feudi, uscendo dalla lor eterna sorgiva additata nelle Degnitá, dove indicammo i benefizi che si possono sperare in civil natura; onde i feudi, con tutta propietá ed eleganza latina, da’ feudisti eruditi si dicono «beneficia ». Ch’è quello ch’osserva, ma senza farne uso, Ottomano: che i vincitori tenevano per sé i campi colti delle conquiste e davano a’ poveri vinti i campi incolti per sostentarvisi. E si ritornarono i feudi del primo mondo che nel secondo libro si son truovati, rincominciando però (come dovett’essere per natura, quale sopra abbiam ragionato) da feudi rustici personali, che truovammo essere state dapprima le clientele di Romolo, delle quali osservammo nelle Degnitá essere stato sparso tutto l’antico mondo de’ popoli. Le quali clientele eroiche, nello splendore della romana libertá popolare, passarono in quel costume col qual i plebei con le toghe si portavano la mattina a far la corte a’ grandi signori, e davano loro il titolo degli antichi eroi: «Ave, rex», gli menavano nel fòro e gli rimenavano la sera in casa; e i signori (conforme gli antichi eroi furon detti «pastori de’ popoli») davano loro la cena.

1064Tai vassalli personali devon essere stati appo gli antichi romani i primi «vades», che poi restarono cosí detti i rei obbligati nella persona di seguir i lor attori in giudizio: la qual obbligazione dicesi «vadimonium». I quali vades, per le nostre Origini della lingua latina, debbon esser derivati dal retto [p. 140 modifica] «ras», che da’greci fu detto βᾶς; e da’ barbari «was», onde fu poi «wassus» e finalmente «vassallus». Della quale spezie di vassalli abbondano oggi tuttavia i regni del piú freddo Settentrione, che ritengono ancor troppo della barbarie, e sopra tutti quel di Polonia, ove si dicono «kmetos», e son una spezie di schiavi, de’ quali que’ palatini sogliono giucarsi l’intiere famiglie, le quali debbono passare a servir ad altri nuovi padroni; che debbon essere gl’incatenati per gli orecchi, che, con catene d’oro poetico (cioè del frumento) che gli escono di bocca, gli si mena, dove vuol, dietro l’Ercole gallico.

1065Quindi si passò a’ feudi rustici di spezie reali, a’ quali [si giunse] con la prima legge agraria delle nazioni, che truovammo essere stata tra’ romani quella con la quale Servio Tullio ordinò il primo censo, per lo quale permise, come ritruovammo, a’ plebei il dominio bonitario de’ campi loro assegnati da’ nobili sotto certi non, come innanzi, sol personali ma anco reali pesi; che dovetter esser i primi «mancipes», che poi restaron detti coloro i quali in robe stabili son obbligati all’erario. Della qual spezie debbon essere stati i vinti, a’ quali Ottomano disse poc’anzi ch’i vincitori davano i campi incolti delle conquiste per sostentarvisi col coltivargli; e si ritornarono gli Antei annodati alle terre da Ercole greco e i nessi del dio Fidio, ovvero Ercole romano (qual sopra truovammo), sciolti finalmente dalla legge petelia.

1066Tali nessi della legge petelia, per le cose le quali sopra ne ragionammo, con tutta loro propietá cadon a livello per ispiegar i vassalli, che dapprima si dovettero dire «ligi», [perché] da cotal nodo legati; i quali ora da’ feudisti son diffiniti coloro i quali debbono riconoscere per amici o nimici tutti gli amici o nimici del lor signore; ch’è appunto il giuramento ch’i vassalli germani antichi, appo Tacito, come altra volta l’udimmo, davano a’ loro principi di servire alla loro gloria. Tali vassalli ligi, poscia, isplendidendosi tali feudi fin a sovrani civili, furono gli re vinti, a’ quali il popolo romano, con la formola solenne con cui la storia romana il racconta, «regna dono dabat», ch’era tanto dire quanto «beneficio dabat»; e ne [p. 141 modifica] divenivano alleati del popolo romano, di quella spezie d’alleanza che i latini dicevano «foedus inaequale», e se n’appellavano «re amici del popolo romano», nel sentimento che dagl’imperadori si dicevano «amici» i loro nobili cortegiani. La qual alleanza ineguale non era altro ch’un’investitura di feudo sovrano, la quale si concepiva con quella formola che ci lasciò stesa Livio: che tal re alleato «servaret maiestatem populi romani »; appunto come Paolo giureconsulto dice che’l pretore rende ragione «servata maiestate populi romani», cioè che rende ragione a chi le leggi la danno, la niega a chi le leggi la niegano. Talché tali re alleati erano signori di feudi sovrani soggetti a maggiore sovranitá: di che ritornò un senso comune all’Europa, che per lo piú non vi hanno il titolo di «Maestá» che grandi re, signori di grandi regni e di numerose provincie.

1067Con tali feudi rustici, da’ qual’incominciarono queste cose, ritornarono l’enfiteusi, con le quali era stata coltivata la gran selva antica della terra; onde il laudemio restò a significar egualmente ciò che paga il vassallo al signore e l’enfiteuticario al padrone diretto.

1068Ritornarono l’antiche clientele romane, che furono dette «commende», le quali poco piú sopra abbiamo fatto vedere; onde i vassalli, con latina eleganza e propietá, da’ feudisti eruditi ne sono detti «clientes», ed essi feudi si dicono «clientelae».

1069Ritornarono i censi, della spezie del censo ordinato da Servio Tullio, per lo quale i plebei romani dovettero lungo tempo servir a’ nobili nelle guerre a lor propie spese; talché i vassalli detti ora «angarii» e «perangarii» furono gli antichi assidui romani, che, come truovammo sopra, «suis assibus militabant»; e i nobili fino alla legge petelia, che sciolse alla plebe romana il diritto feudale del nodo, ebbero la ragione del carcere privato sopra i plebei debitori.

1079Ritornarono le precarie, che dovettero dapprima essere di terreni dati da’ signori alle preghiere de’ poveri per potervisi sostentare col coltivargli; ché tali sono le possessioni appunto, le quali non mai conobbe la legge delle XII Tavole, come sopra si è dimostrato. [p. 142 modifica]

1071E perché la barbarie con le violenze rompe la fede de’ commerzi, né lascia altro curar a’ popoli ch’appena le cose le quali alla natural vita fanno bisogno, e perché tutte le rendite dovetter esser in frutti che si dicono «naturali», perciò a’ medesimi tempi vennero anco i livelli come permutazioni di beni stabili. De’quali si dovett’intender l’utilitá, com’altra voltasi è detto, ch’altri abbondasse di campi che dassero una spezie di frutti de’ quali altri avesse scarsezza, e cosí a vicenda, e perciò gli scambiassero tra di loro.

1072Ritornarono le mancipazioni, con le quali il vassallo poneva le mani entro le mani del suo signore, per significare fede e suggezione; onde i vassalli rustici, per lo censo di Servio Tullio, poco sopra abbiam detto essere stati i primi mancipes de’ romani. E, con la mancipazione, ritornò la divisione delle cose mancipi e nec mancipi, perché i corpi feudali sono nec mancipi, ovvero innalienabili dal vassallo, e sono mancipi del signore; appunto come i fondi delle romane provincie furono nec mancipi de’ provinciali e mancípi de’ romani. Nell’atto delle mancipazioni, ritornarono le stipulazioni, con le infestucazioni o investiture, che noi sopra dimostrammo essere state l’istesse. Con le stipulazioni, ritornarono quelle che dall’antica giurisprudenza romana osservammo sopra propiamente essere state dapprima dette «cavissae», che poi in accorcio restarono dette «caussae», che da’ tempi barbari secondi dalla stessa latina origine furon dette «cautele»; e ’l solennizzare con quelle i patti e i contratti si disse «homologare», da quelli «uomini» da’ quali qui sopra vedemmo detti «hominium» ed «homagium»: perocché tutti i contratti di quelli tempi dovetter esser feudali. Cosí, con le cautele, ritornarono i patti cautelati nell’atto della mancipazione, che «stipulati» si dissero da’ giureconsulti romani, che sopra truovammo detti da «stipula» che veste il grano; e si nello stesso senso ch’i dottori barbari, da esse investiture, dette anco «infestucazioni», dissero «patti vestiti». E i patti non cautelati, con la stessa significazione e voce, da entrambi si dissero «patti nudi».

1073Ritornarono le due spezie di dominio diretto ed utile, ch’a [p. 143 modifica] livello rispondono al quiritario e bonitario degli antichi romani. E nacque il dominio diretto come tra’ romani era nato prima il dominio quiritario, che noi truovammo nel suo incominciamento essere stato dominio de’ terreni dati a’ plebei da’ nobili; dalla possessione de’ quali se questi fussero caduti, dovevano sperimentare la revindicazione con la formola «Aio hunc fundum meum esse ex iure quiritium», in tal senso (come abbiamo sopra dimostro) ch’essa revindicazione non altro fusse ch’una laudazione di tutto l’ordine de’ nobili (che nell’aristocrazia romana aveva fatto essa cittá) in autori, da’ quali essi plebei avevano la cagione del dominio civile, per lo quale potevano vindicar essi fondi. Il qual dominio dalla legge delle XII Tavole fu sempre appellato «autoritas», dall’autoritá di dominio ch’aveva esso senato regnante sul largo fondo romano, nel quale il popolo poi, con la libertá popolare, ebbe il sovrano imperio, come sopra si è ragionato.

1074Della qual «autoritá» della barbarie seconda, alla quale, come ad innumerabili altre cose, noi in quest’opera facciam luce con le antichitá della prima (tanto ci sono riusciti piú oscuri de’ tempi della barbarie prima questi della seconda!), sono rimasti tre assai evidenti vestigi in queste tre voci feudali. Prima nella voce «diretto», la qual conferma che tal azione dapprima era autorizzata dal diretto padrone. Dipoi nella voce «laudemio», che fu detto pagarsi eziandio per lo feudo che si fusse dovuto per cotal laudazione in autore che noi diciamo. Finalmente nella voce «laudo», che dovette dapprima significare sentenza di giudice in tali spezie di cause, che poi restò a’ giudizi che si dicono «compromessi»; perché tali giudizi sembravano terminarsi amichevolmente a petto de’ giudizi che si agitavano d’intorno agli allodi (che Budeo oppina essere stati cosí detti quasi «allaudi», come appo gl’italiani da «laude» si è fatto «lode»), per gli quali prima i signori in duello la si avevan dovuto veder con l’armi, come sopra si è dimostrato. Il qual costume ha durato infino alla mia etá nel nostro Reame di Napoli, dove i baroni, non coi giudizi civili, ma co’ duelli vendicavano gli attentati fatti da altri baroni dentro i [p. 144 modifica] territori de’ loro feudi. E come il dominio quiritario degli antichi romani, cosí il diretto degli antichi barbari restarono finalmente a significare il dominio che produce azione civile reale.

1075E qui si dá un assai luminoso luogo di contemplare nel ricorso che fanno le nazioni anco il ricorso che fece la sorte de’ giureconsulti romani ultimi con quella de’ dottori barbari ultimi; ché, siccome quelli avevano giá a’ tempi loro perduto di vista il diritto romano antico, com’abbiamo a mille pruove sopra fatto vedere, cosí questi negli ultimi loro tempi perderono di veduta l’antico diritto feudale. Perciò gl’interpetri eruditi della romana ragione risolutamente niegano queste due spezie barbare di dominio essere state conosciute dal diritto romano, attendendo al diverso suono delle parole, nulla intendendo essa identitá delle cose.

1076Ritornarono i beni ex iure optimo, qual’i feudisti eruditi diffiniscono i beni allodiali, liberi d’ogni peso pubblico nonché privato, e ’l confrontano con quelle poche case che Cicerone osserva ex iure optimo a’ suoi tempi essere restate in Roma. Però, come di tal sorta di beni si perdé la notizia entro le leggi romane ultime, cosí di tali allodi non si truova a’ nostri tempi pur uno affatto. E, come i predi ex iure optimo de’ romani innanzi, cosí dopoi gli allodi ritornarono ad essere beni stabili liberi d’ogni peso reale privato, ma soggetti a’ pesi reali pubblici; perché ritornò la guisa con la quale dal censo ordinato da Servio Tullio si formò il censo che fu il fondo dell’erario romano: la qual guisa sopra si è ritruovata. Talché gli allodi e i feudi, ch’empiono la somma divisione delle cose in diritto feudale, si distinguettero tra loro dapprima: ch’i beni feudali portavano di séguito la laudazione del signore, gli allodi non giá. Dove, senza questi principi, si debbono perdere tutt’i feudisti eruditi, come gli allodi, ch’essi, con Cicerone, voltano in latino «bona ex iure optimo», ci vennero detti «beni del fuso», i quali, nel propio loro significato, come sopra si è detto, erano beni di un diritto fortissimo, non infievolito da niuno peso straniero, anche pubblico; che, come pure sopra abbiam detto, furono i beni de’ padri nello stato [p. 145 modifica] delle famiglie, e durarono molto tempo in quello delle prime cittá, i quali beni essi avevano acquistato con le fatighe d’Ercole. La qual difficultá, per questi stessi principi, facilmente si scioglie con quel medesimo Ercole il quale poi filava, divenuto servo di Ioie e d’Onfale: cioè che gli eroi s’effeminarono e cedettero le loro ragioni eroiche a’ plebei, ch’essi avevano tenuti per femmine (a petto de’ quali essi si tenevano e si chiamavano «viri», come si è sopra spiegato), e soffersero assoggettirsi i loro beni all’erario col censo, il quale prima fu pianta delle repubbliche popolari e poi si truovò acconcio a starvi sopra le monarchie.

1077Cosí, per tal diritto feudale antico, che ne’ tempi appresso si era perduto di vista, ritornarono i fondi ex iure quiritium, che spiegammo «diritto de’ romani in pubblica ragunanza, armati di lancie», che dicevano «quires»; de’ quali si concepí la formola della revindicazione: «Aio hunc fundum meum esse ex iure quiritium», ch’era, come si è detto, una laudazione in autore della cittá eroica romana; — come dalla barbarie seconda certamente i feudi si dissero «beni della lancia», i quali portavano la laudazione de’ signori in autori, a differenza degli allodi ultimi, detti «beni del fuso» (col qual Ercole, invilito, fila, fatto servo di femmine): onde sopra diemmo l’origine eroica al motto dell’arme reale di Francia, iscritto «Lilia non nent», ché ’n quel regno non succedon le donne. Perché ritornarono le successioni gentilizie della legge delle XII Tavole, che truovammo essere «ius gentium romanorum», quale da Baldo udimmo la legge salica dirsi «ius gentiun Gallorum»; la qual fu celebrata certamente per la Germania, e cosí dovette osservarsi per tutte l’altre prime barbare nazioni d’Europa, ma poi si ristrinse nella Francia e nella Savoia.

1078Ritornarono finalmente le corti armate, quali sopra truo vammo essere state, le ragunanze eroiche che si tenevano sotto l’armi, dette di cureti greci e di quiriti romani; e i primi parlamenti de’reami d’Europa dovetter essere di baroni, come quel di Francia certamente lo fu di pari. Del quale la storia francese apertamente ci narra essere stati capi sul principio [p. 146 modifica] essi re, i quali in qualitá di commessari criavano i pari della curia, i quali giudicasser le cause; onde poi restaron detti i «duchi e pari» di Francia. Appunto come il primo giudizio, che Ciceron dice essersi agitato della vita d’un cittadino romano, fu quello in cui il re Tulio Ostilio criò i duumviri in qualitá di commessari, i quali, per dirla con essa formola che Tito Livio n’arreca, «in Horatium perduellionem dicerent», il qual aveva ucciso la sua sorella.

1079Perché, nella severitá di tai tempi eroici, ogn’ammazzamento di cittadino (quando le cittá si componevano di soli eroi, come sopra pienamente si è dimostrato) era riputato un’ostilitá fatta contro la patria, ch’è appunto «perduellio»; ed ogni tal ammazzamento era detto «parricidium», perch’era fatto d’un padre, o sia d’un nobile, siccome sopra vedemmo in tali tempi Roma dividersi in padri e plebe. Perciò da Romolo infin a Tulio Ostilio non vi fu accusa d’alcun nobile ucciso, perché i nobili dovevan esser attenti a non commettere tali offese, praticandosi tra loro i duelli, de’ quali sopra si è ragionato; e, perché, nel caso di Orazio, non v’era chi con duello avesse vindicato privatamente l’ammazzamento d’Orazia, perciò da Tulio Ostilio ne fu la prima volta ordinato un giudizio. Altronde, gli ammazzamenti de’ plebei o eran fatti da’ loro padroni medesimi, e niuno li poteva accusare, o erano fatti da altri, e, come di servi altrui, si rifaceva al padrone il danno, come ancor si costuma nella Polonia, Littuania, Svezia, Danimarca, Norvegia. Ma gl’interpetri eruditi della romana ragione non videro questa difficultá, perché riposarono sulla vana oppenione dell’innocenza del secol d’oro, siccome i politici, per la stessa cagione, riposarono su quel detto d’Aristotile: che nell’antiche repubbliche non erano leggi d’intorno a’ privati torti ed offese; onde Tacito, Sallustio ed altri per altro acutissimi autori, ove narrano dell’origine delle repubbliche e delle leggi, raccontano, del primo stato innanzi delle cittá, che gli uomini da principio menarono una vita come tanti Adami nello stato dell’innocenza. Ma, poi che entrarono nella cittá quelli «homínes» de’ quali si maraviglia Ottomano e da’ quali viene [p. 147 modifica] il diritto naturale delle genti che Ulpiano dice «humanarum’». indi in poi l’ammazzamento d’ogni uomo fu detto «homicidium».

1080Or in sí fatti parlamenti dovettero discettarsi cause feudali d’intorno o diritti o successioni o devoluzioni de’ feudi per cagione di fellonia o di caducazione; le quali cause, confermate piú volte con tali giudicature, fecero le consuetudini feudali, le quali sono le piú antiche di tutte l’altre d’Europa, che ci attestano il diritto natural delle genti esser nato con tali umani costumi de’ feudi, come sopra si è pienamente pruovato.

1081Finalmente, come dalla sentenza, con la qual era stato condennato Orazio, permise il re Tulio al reo l’appellagione al popolo, ch’allor era di soli nobili, come sopra si è dimostrato, perché da un senato regnante non vi è altro rimedio a’ rei che ’l ricorso al senato medesimo; cosí e non altrimente dovettero praticar i nobili de’ tempi barbari ritornati di richiamarsi ad essi re ne’ di lor parlamenti, come per esemplo agli re di Francia, che dapprima ne furon capi.

1082De’quali parlamenti eroici serba un gran vestigio il Sagro Consiglio napoletano, al cui presidente si dá titolo di «Sagra Regal Maestá», i consiglieri s’appellano «milites» e vi tengono luogo di commessari (perché ne’ tempi barbari secondi i soli nobili eran soldati, e i plebei servivano lor nelle guerre, come de’ tempi barbari primi l’osservammo in Omero e nella storia romana antica), e dalle di lui sentenze non v’è appellagione ad altro giudice, ma solamente il richiamo al medesimo tribunale.

1083Dalle quali cose tutte sopra qui noverate hassi a conchiudere che furono dappertutto reami, non diciamo di Stato, ma di governo aristocratici; come ancora nel freddo Settentrione or è la Polonia (come, da cencinquant’anni fa, lo erano la Suezia e la Danimarca), che, col tempo, senonsé le impediscano il natural corso straordinarie cagioni, verrá a perfettissima monarchia.

1084Lo che è tanto vero, ch’esso Bodino giugne a dire del suo regno di Francia che fu, non giá di governo (come diciam noi), ma di Stato aristocratico duranti le due linee merovinga [p. 148 modifica] e carlovinga. Ora qui domandiamo il Bodino: — Come il regno di Francia diventò, qual ora è, perfettamente monarchico? Forse per una qualche legge regia, con la quale i paladini di Francia si spogliarono della loro potenza e la conferirono negli re della linea capetinga? — Se egli ricorre alla favola della legge regia finta da Triboniano, con la quale il popolo romano si spogliò del suo sovrano libero imperio e ’l conferí in Ottavio Augusto, per ravvisarla una favola, basta leggere le prime pagine degli Annali di Tacito, nelle quali narra l’ultime cose d’Augusto, con le quali legittima nella di lui persona aver incominciato la monarchia de’ romani, la qual sentirono tutte le nazioni aver incominciato da Augusto. — Forse perché la Francia da alcuno de’ capetingi fu conquistata con forza d’armi? — Ma di tal infelicitá la tengono lontana tutte le storie. Adunque e Bodino, e con lui tutti gli altri politici e tutti i giureconsulti c’hanno scritto de iure publico, devono riconoscere questa eterna natural legge regia, per la quale la potenza libera d’uno Stato, perché libera, deve attuarsi: talché, di quanto ne rallentano gli ottimati, di tanto vi debbano invigorire i popoli, finché vi divengano liberi; di quanto ne rallentano i popoli liberi, di tanto vi debbano invigorire gli re, fintanto che vi divengalm monarchi. Per lo che, come quel de’ filosofi (o sia de’ morali teologi) è della ragione, cosí questo delle genti è diritto naturale dell’utilitá e della forza; il quale, com’i giureconsulti dicono, «usu exigente humanisque necestatibus expostulantibus», dalle nazioni vien celebrato.

1065Da tante sí belle e sí eleganti espressioni della giurisprudenza romana antica, con le quali i feudisti eruditi mitigano di fatto e possono mitigare vieppiú la barbarie della dottrina feudale (sulle quali si è qui dimostrato convenirvi l’idee con somma propietá), intenda Oldendorpio (e tutti gli altri con lui) se ’l diritto feudale è nato dalle scintille dell’incendio dato da’ barbari al diritto romano; ché ’l diritto romano è nato dalle scintille de’ feudi, celebrati dalla prima barbarie del Lazio, sopra i quali nacquero tutte le repubbliche al mondo. Lo che, siccome in un particolar ragionamento sopra (ove ragionammo [p. 149 modifica] della Politica poetica delle prime) si è dimostrato, cosí in questo libro (conforme nell’Idea dell’opera avevamo promesso di dimostrare) si è veduto dentro la natura eterna de’ feudi ritrovarsi l’origini de’nuovi reami d’Europa.

1066Ma finalmente, con gli studi aperti nell’universitá d’Italia, insegnandosi le leggi romane comprese ne’ libri di Giustiniano, le quali vi stanno concepute sul diritto naturale delle genti umane, le menti, giá piú spiegate e fattesi piú intelligenti, si diedero a coltivare la giurisprudenza della natural equitá, la qual adegua gl’ignobili co’ nobili in civile ragione, come lo son eguali in natura umana. E appunto come, da che Tiberio Coruncanio cominciò in Roma ad insegnare pubblicamente le leggi, n’incominciò ad uscire l’arcano di mano a’ nobili, e a poco a poco se n’infievolí la potenza; cosí avvenne a’ nobili de’ reami d’Europa, che si erano regolati con governi aristocratici, e si venne alle repubbliche libere e alle perfettissime monarchie.

1067Le quali forme di Stati, perché entrambe portano governi umani, comportevolmente si scambiano l’una con l’altra; ma richiamarsi a Stati aristocratici egli è quasi impossibile in natura civile. Tanto che Dione siragosano, quantunque della real casa, ed aveva cacciato un mostro de’ principi, qual fu Dionigio tiranno, da Siragosa, ed era tanto adorno di belle civili virtú che ’l resero degno dell’amicizia del divino Platone, perché tentò riordinarvi lo stato aristocratico, funne barbaramente ucciso; e i pittagorici (cioè, come sopra abbiamo spiegato, i nobili della Magna Grecia), per lo stesso attentato, furono tutti tagliati a pezzi, e pochi, che s’erano in luoghi forti salvati, furono dalla moltitudine bruciati vivi. Perché gli uomini plebei, una volta che si riconoscono essere d’ugual natura co’ nobili, naturalmente non sopportano di non esser loro uguagliati in civil ragione; lo che consieguono o nelle repubbliche libere o sotto le monarchie. Laonde, nella presente umanitá delle nazioni, le repubbliche aristocratiche, le quali ci sono rimaste pochissime, con mille solecite cure e accorti e saggi provvedimenti, vi tengon, insiem insieme, e in dovere e contenta la moltitudine.