La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione undecima/Capitolo primo

Da Wikisource.
Sezione undecima - Capitolo primo - Della geografia poetica

../ ../Capitolo secondo IncludiIntestazione 23 gennaio 2022 75% Da definire

Libro secondo - Sezione undecima Libro secondo - Capitolo secondo
[p. 365 modifica]

[CAPITOLO PRIMO]

della geografia poetica

741Or ci rimane finalmente di purgare l’altro occhio della storia poetica, ch’è la poetica geografia, la quale, per quella propietá di natura umana, che noi noverammo tralle Degnitá, che «gli uomini le cose sconosciute e lontane, ov’essi non ne abbian avuto la vera idea o la debbano spiegar a chi non l’ha, le descrivono per somiglianze di cose conosciute e vicine», ella, nelle sue parti ed in tutto il suo corpo, nacque con picciol’idee dentro la medesima Grecia, e, coll’uscirne i greci poi per lo mondo, s’andò ampliando nell’ampia forma nella qual ora ci è rimasta descritta. E i geografi antichi convengono in questa veritá, ma poi non ne sepper far uso; i quali affermano che le antiche nazioni, portandosi in terre straniere e lontane, diedero i nomi natii alle cittá, a’ monti, a’ fiumi, colli di terra, stretti di mare, isole e promontori.

742Nacquero, adunque, entro Grecia la parte orientale, detta Asia o India; l’occidentale, detta Europa o Esperia; il settentrione, detto Tracia o Scizia; il mezzodí, detto Libia o Mauritania; e furono cosí appellate le parti del mondo co’ nomi delle parti del picciol mondo di Grecia per la somiglianza de’ siti, ch’osservaron i greci in quelle, a riguardo del mondo, simili a queste, a riguardo di Grecia. Pruova evidente di ciò [p. 366 modifica] sieno i venti cardinali, i quali, nella loro geografia, ritengono i nomi che dovettero certamente avere la prima volta dentro essa Grecia. Talché le giumente di Reso debbono ne’ lidi dell’Oceano (qual or or vedremo detto dapprima ogni mare d’interminato prospetto) essere state ingravidate da Zefiro, vento occidentale di Grecia; e pur ne’ lidi dell’Oceano (nella prima significazione, la quale testé si è detta) devon essere da Zefiro generati i cavalli d’Achille; come le giumente d’Erictonio dic’Enea ad Achille essere state ingravidate da Borea, dal vento settentrionale della Grecia medesima. Questa veritá de’ venti cardinali ci è confermata in un’immensa distesa: che le menti greche, in un’immensa distesa spiegandosi, dal loro monte Olimpo, dove a’ tempi d’Omero se ne stavano i dèi, diedero il nome al cielo stellato, che gli restò.

n743Posti questi principi, alla gran penisola situata nell’oriente di Grecia restò il nome d’Asia minore, poi che ne passò il nome d’«Asia» in quella gran parte orientale del mondo ch’Asia ci restò detta assolutamente. Per lo contrario, essa Grecia, ch’era occidente a riguardo dell’Asia, fu detta «Europa», che Giove, cangiato in toro, rapí: poi il nome d’«Europa» si stese in quest’altro gran continente fin all’oceano occidentale. Dissero «Esperia» la parte occidentale di Grecia, dove entro la quarta parte dell’orizzonte sorge la sera la stella Espero; poi videro l’Italia nel medesimo sito, ma molto maggiore di quella di Grecia, e la chiamaron «Esperia magna»; si stesero finalmente nella Spagna del medesimo sito, e la chiamaron «Esperia ultima ». I greci d’Italia, al contrario, dovettero chiamar «Ionia» la parte a lor riguardo orientale di Grecia oltramare, e restonne il nome, tra l’una e l’altra Grecia, di «mar Ionio»: poi, per la somiglianza del sito delle due Grecie, natia ed asiatica, i greci natii chiamaron «Ionio» la parte a lor riguardo orientale dell’Asia minore. E dalla prima Ionia è ragionevole che fusse in Italia venuto Pittagora da Samo, una dell’isole signoreggiate da Ulisse, non da Samo dell’Ionia seconda.

744Dalla Tracia natia venne Marte, che fu certamente deitá greca; e quindi dovette venir Orfeo, un de’ primi poeti greci teologi. [p. 367 modifica]

745Dalla Scizia greca venne Anacarsi, che lasciò in Grecia gli oracoli scitici, che dovetter esser simili agli oracoli di Zoroaste (che bisognò fusse stata dapprima una storia d’oracoli), onde Anacarsi è stato ricevuto tra gli antichissimi dèi fatidici. I quali oracoli dall’impostura poi furono trasportati in dogmi di filosofia; siccome gli Orfici ci furon supposti versi fatti da Orfeo, i quali, come gli oracoli di Zoroaste, nulla sanno di poetico e dánno troppo odore di scuola platonica e pittagorica. Perciò da questa Scizia, per gl’iperborei natii, dovettero venir in Grecia i due famosi oracoli delfico e dodoneo, come ne dubitammo nell’Annotazioni alla Tavola cronologica; per che Anacarsi nella Scizia, cioè tra questi iperborei natii di Grecia, volendo ordinare l’umanitá con le greche leggi, funne ucciso da Caduvido, suo fratello. Tanto egli profittò nella filosofia barbaresca dell’Ornio, che non seppe ritruovargliele dappersé! Per le quali ragioni, quindi, dovett’essere pur scita Abari, che si dice avere scritto gli oracoli scitici, che non poteron esser altri che gli detti testé d’Anacarsi; e gli scrisse nella Scizia, nella quale Idantura, molto tempo venuto dopo, scriveva con esse cose. Onde necessariamente è da credersi essere stati scritti da un qualche impostore de’ tempi dopo essere state introdutte le greche filosofie. E quindi gli oracoli d’Anacarsi dalla boria de’ dotti furono ricevuti per oracoli di sapienza riposta, i quali non ci sono pervenuti.

746Zamolsci fu Geta (come Gela fu Marte), il qual, al riferire d’Erodoto, portò a’ greci il dogma dell’immortalitá dell’anima.

747Cosí da alcun’India greca dovette Bacco venire dall’indico Oriente trionfatore (da alcuna greca terra ricca d’oro poetico), e Bacco ne trionfa sopra un carro d’oro (di frumento); onde lo stesso è domatore di serpenti e di tigri, qual Ercole d’idre e lioni, come si è sopra spiegato.

748Certamente il nome, che ’l Peloponneso serba fin a’ nostri dí, di «Morea» troppo ci appruova che Perseo, eroe certamente greco, fece le sue imprese nella Mauritania natia; perché ’l Peloponneso tal è per rapporto all’Acaia qual è l’Affrica per rapporto all’Europa. Quindi s’intenda quanto nulla Erodoto [p. 368 modifica] seppe delle sue propie antichitá (come gliene riprende Tucidide), il quale narra ch’i mori un tempo furono bianchi, quali certamente erano i mori della sua Grecia, la quale fin oggi si dice «Morea bianca».

749Cosí dev’esser avvenuto che dalla pestilenza di questa Mauritania avesse Eusculapio con la sua arte preservato la sua isola di Coo; ché, se la doveva preservare da quella de’ popoli di Marocco, egli l’arebbe dovuto preservare da tutte le pestilenze del mondo.

750In cotal Mauritania dovett’Ercole soccombere al peso del cielo, che ’l vecchio Atlante era giá stanco di sostenere: ché dovette dapprima dirsi cosí il monte Ato, che, per un collo di terra, che Serse dappoi forò, divide la Macedonia dalla Tracia, e vi restò pur quivi, tralla Grecia e la Tracia, un fiume appellato Atlante; poscia, nello stretto di Gibilterra, osservati i monti Abila e Calpe cosí per uno stretto di mare dividere l’Affrica dall’Europa, furono dette da Ercole ivi piantate colonne, che, come abbiamo sopra detto, sostenevano il cielo, e ’l monte nell’Affrica quivi vicino fu detto «Atlante». E ’n cotal guisa può farsi verisimile la risposta ch’appo Omero fa la madre Teti ad Achille: che non poteva portare la di lui querela a Giove, perch’era da Olimpo ito con gli altri dèi a banchettare in Atlante (sull’oppenione, che sopra abbiam osservato, che gli dèi se ne stassero sulle cime degli altissimi monti); ché, se fusse stato il monte Atlante nell’Affrica, era troppo difficile a credersi, quando il medesimo Omero dice che Mercurio, quantunque alato, difficilissimamente pervenne nell’isola di Calipso, posta nel mar fenicio, ch’era molto piú vicino alla Grecia che non lo regno ch’or dicesi di Marocco.

751Cosí dall’Esperia greca dovett’Ercole portare le poma d’oro nell’Attica, ove furono pure le ninfe esperidi (ch’eran figliuole d’Atlante), che le serbavano.

752Cosí l’Eridano, dove cadde Fetonte, dev’essere stato, nella Tracia greca, il Danubio, che va a mettere nel mar Eusino: poi, osservato da’ greci il Po, che, come il Danubio, è l’altro fiume al mondo che corre da occidente verso oriente, fu da essi il Po [p. 369 modifica] detto «Eridano», e i mitologi fecero cader Fetonte in Italia. Ma le cose della storia eroica solamente greca, e non dell’altre nazioni, furono affisse alle stelle, traile quali è l’Eridano.

753Finalmente, usciti i greci nell’Oceano, vi distesero la brieve idea d’ogni mare che fosse d’interminato prospetto (onde Omero diceva l’isola Eolia esser cinta dall’Oceano) e, con l’idea, il nome, ch’or significa il mare che cinge tutta la terra, che si crede esser una grand’isola. E si ampliò all’eccesso la potestá di Nettunno, che dall’abisso dell’acque, che Platone pose nelle di lei viscere, egli col gran tridente faccia tremare la terra: i rozzi principi della qual fisica sono stati sopra da noi spiegati.

754Tali principi di geografia assolutamente possono giustificar Omero di gravissimi errori, che gli sono a torto imputati.

755I. Ch’i lotofagi d’Omero, che mangiavano cortecce d’una pianta ch’è detto «loto», fussero stati piú vicini, ove dice che Ulisse da Malea a’ lotofagi pose un viaggio di nove giorni. Ché, se sono i lotofagi, quali restaron detti, fuori dello stretto di Gibilterra, doveva in nove giorni far un viaggio impossibile, nonché difficile a credersi: il qual errore gli è notato da Eratostene.

756II. Ch’i lestrigoni, a’ tempi d’Omero, fussero stati popoli di essa Grecia, ch’ivi avessero i giorni piú lunghi, non quelli che l’avessero piú lunghi sopra tutti i popoli della terra; il qual luogo indusse Arato a porgli sotto il capo del Dragone. Certamente Tucidide, scrittore grave ed esatto, narra i lestrigoni in Sicilia, che dovetter esser i popoli piú settentrionali di quell’isola.

757III. Per quest’istesso, i cimmeri ebbero le notti piú lunghe sopra tutti i popoli della Grecia, perch’erano posti nel di lei piú alto settentrione, e perciò, per le loro lunghe notti, furono detti abitare presso l’inferno (de’ quali poi si portò lontanissimo il nome a’ popoli abitatori della palude Meotide); e quindi i cumani, perch’eran posti presso la grotta della Sibilla, che portava all’inferno, per la creduta somiglianza di sito dovettero dirsi «cimmeri». Perché non è credibile che Ulisse, mandato da Circe senz’alcun incantesimo (perché [p. 370 modifica] Mercurio gli aveva dato un segreto contro le stregonerie di Circe, com’abbiamo sopra osservato), in un giorno fusse andato da’ cimmeri i quali restarono cosí detti a vedere l’inferno, e nello stesso giorno fusse ritornato da quello in Circei, ora detto Monte Circello, che non è molto distante da Cuma.

758Con questi stessi principi della geografia poetica greca si possono solvere molte grandi difiicultá della storia antica dell’Oriente, ove son presi per lontanissimi popoli, particolarmente verso settentrione e mezzodí, quelli che dovettero dapprima esser posti dentro’ Oriente medesimo.

759Perché questo, che noi diciamo della geografia poetica greca, si truova lo stesso nell’antica geografia de’ latini. Il Lazio dovette dapprima essere ristrettissimo, ché, per dugencinquanta anni di regno, Roma manomise ben venti popoli e non distese piú che venti miglia, come sopra abbiam detto, l’imperio. L’Italia fu certamente circoscritta da’ confini della Gallia cisalpina e da quelli di Magna Grecia: poi, con le romane conquiste, ne distese il nome nell’ampiezza nella quale tuttavia dura. Cosí il mar toscano dovett’esser assai picciolo nel tempo che Orazio Coclite solo sostenne tutta Toscana sul ponte: poi, con le vittorie romane, si è disteso quanto è lunga questa inferior costa d’Italia.

760Alla stessa fatta e non altamente, il primo Ponto, dove fece la sua spedizione navale Giasone, dovett’essere la terra piú vicina all’Europa, da cui la divide lo stretto di mare detto Propontide; la qual terra dovette dar il nome al mar pontico, che poi si distese dove piú s’addentra nell’Asia, ove fu poi il regno di Mitridate. Perché Eeta, padre di Medea, da questa stessa favola ci si narra esser nato in Calcide, cittá d’Eubea, isola posta dentro essa Grecia, la qual ora chiamasi Negroponto, che dovette dare il primo nome a quel mare, il quale certamente Mar Nero ci restò detto. La prima Creta dovett’esser un’isola dentro esso Arcipelago, dov’è il labirinto dell’isole ch’abbiamo sopra spiegato, e quindi dovette Minosse celebrare i corseggi sopra gli ateniesi: poi Creta uscí nel Mediterraneo, che ci restò. [p. 371 modifica]

761Or, cosí da’ latini avendoci richiamati i greci, essi, con uscir per lo mondo (gli uomini boriosi!), sparsero dappertutto la fama della guerra troiana e degli error degli eroi, cosí troiani, quali d’Antenore, di Capi, d’Enea, come greci, quali di Menelao, di Diomede, d’Ulisse. Osservarono per lo mondo sparso un carattere di fondatori di nazioni simigliarne a quello del lor Ercole che fu detto tebano, e vi sparsero il nome del loro Ercole, de’ quali Varrone per le nazioni antiche noverò ben quaranta, de’ quali il latino afferma essere stato detto «dio Fidio». Cosí avvenne che, per la stessa boria degli egizi (che dicevano il loro Giove Ammone essere lo piú antico di tutti gli altri del mondo, e tutti gli Ercoli dell’altre nazioni aver preso il nome dal lor Ercole egizio, per due degnitá che se ne sono sopra proposte, siccome quelli che con errore credevano essere la nazione piú antica di tutte l’altre del mondo), i greci fecero andar il lor Ercole per tutte le parti della terra, purgandola de’ mostri, per riportarne solamente la gloria in casa.

762Osservarono esservi stato un carattere poetico di pastori che parlavano in versi, ch’appo essi era stato Evandro arcade; e cosí Evandro venne da Arcadia nel Lazio, e vi ricevette ad albergo l’Ercole suo natio, e vi prese Carmenta in moglie, detta da’ «carmi», da’ versi, la qual a’ latini truovò le lettere, cioè le forme de’ suoni che si dicono «articolati», che sono la materia de’ versi. E finalmente, in confermazione di tutte le cose qui dette, osservarono tai caratteri poetici dentro del Lazio, alla stessa fatta, come sopra abbiam veduto, che truovarono i loro cureti sparsi in Saturnia (o sia nell’antica Italia), in Creta ed in Asia.

763Ma come tali greche voci e idee sieno pervenute a’ latini in tempi sommamente selvaggi, ne’ quali le nazioni erano chiuse a’ m stranieri, quando Livio niega ch’a’tempi di Servio Tullio, nonché esso Pittagora, il di lui famosissimo nome, per mezzo a tante nazioni, di lingue e di costumi diverse, avesse da Cotrone potuto giugner a Roma; per questa difficultá appunto noi sopra domandammo in un postulato, perché ne portavamo [p. 372 modifica] necessaria congettura, che vi fusse stata alcuna cittá greca nel lido del Lazio, e che poi si fusse seppellita nelle tenebre dell’antichitá, la qual avesse insegnato a’ latini le lettere, le quali, come narra Tacito, furono dapprima somiglianti alle piú antiche de’ greci. Lo che è forte argomento ch’i latini ricevettero le lettere greche da questi greci del Lazio, non da quelli di Magna Grecia, e molto meno della Grecia oltramare, co’ quali non si conobbero che dal tempo della guerra di Taranto, che portò appresso quella di Pirro: perché, altrimente, i latini arebbono usato le lettere ultime de’ greci, e non ritenute le prime, che furono l’antichissime greche.

764Cosi i nomi d’Ercole, d’Evandro, d’Enea, da Grecia entrarono nel Lazio per questi seguenti costumi delle nazioni:

765Prima, perché, siccome, nella loro barbarie, amano i costumi loro natii, cosí, da che incominciano a ingentilirsi, come delle mercatanzie e delle fogge straniere, cosí si dilettano degli stranieri parlari; e perciò scambiarono il loro dio Fidio con l’Ercole de’ greci, e, per lo giuramento natio «medius fidius», introdussero «mehercule», «edepol», «mecastor».

766Dipoi, per quella boria, tante volte detta, c’hanno le nazioni di vantar origini romorose straniere, particolarmente ove ne abbian avuto da’ loro tempi barbari alcun motivo di crederle (siccome, nella barbarie ritornata, Gian Villani narra Fiesole essere stata fondata da Atlante, e che in Germania regnò un re Priamo troiano), perciò i latini volontieri sconobbero Fidio, vero lor fondatore, per Ercole, vero fondatore de’ greci, e scambiarono il carattere de’ loro pastori poeti con Evandro d’Arcadia.

767In terzo luogo, le nazioni, ov’osservano cose straniere, che non possono certamente spiegare con voci loro natie, delle straniere necessariamente si servono.

768Quarto e finalmente, s’aggiugne la propietá de’ primi popoli, che sopra nella Logica poetica si è ragionata, di non saper astrarre le qualitá da’ subbietti, e, non sappiendole astrarre, per appellare le qualitá appellavan essi subbietti. Di che abbiamo ne’ favellari latini troppo certi argomenti. [p. 373 modifica]

769Non sapevano i romani cosa fusse lusso: poi che l’osservarono ne’ tarantini, dissero «tarantino» per «profumato». Non sapevano cosa fussero stratagemmi militari: poi che l’osservarono ne’ cartaginesi, gli dissero «punicas artes». Non sapevano cosa fusse fasto: poi che l’osservarono ne’ capovani, dissero «supercilium campanicum» per dire «fastoso» o «superbo». Cosí Numa ed Anco furon «sabini», perché non sapevano dire «religioso», nel qual costume eran insigni i sabini. Cosí Servio Tullio fu «greco», perché non sapevano dir «astuto», la qual idea dovettero mutoli conservare finché poi conobbero i greci della cittá da essi vinta ch’or noi diciamo; e fu detto anco «servo», perché non sapevano dir «debole», ché rillasciò il dominio bonitario de’ campi a’ plebei con portar loro la prima legge agraria, come sopra si è dimostrato, onde forse funne fatto uccider da’ padri. Perché l’astuzia è propietá che siegue alla debolezza, i quali costumi erano sconosciuti alla romana apertezza e virtú. Ché, invero, è una gran vergogna che fanno alla romana origine, e di troppo offendono la sapienza di Romolo fondatore, [coloro che affermano] non aver avuto Roma dal suo corpo eroi da crearvi re, infino che dovette sopportare il regno d’uno vil schiavo. Onore che gli han fatto i critici occupati sugli scrittori, somigliante all’altro, che seguí appresso, che, dopo aver fondato un potente imperio nel Lazio e difesolo da tutta la toscana potenza, han fatto andar i romani come barbari eslegi per l’Italia, per la Magna Grecia e per la Grecia oltramare, cercando leggi da ordinare la loro libertá, per sostenere la riputazione alla favola della legge delle XII Tavole venuta in Roma da Atene.