La secchia rapita (1930)/Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita/Canto terzo

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Canto terzo

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Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita - Canto secondo Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita - Canto quarto
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CANTO TERZO

S. 4, v. 1: È promessa simile a quella che giá fece l’istessa dea a Paride; e accenna l’origine de’ signori Bentivogli, che tengono di esser discesi dal re Enzio.

S. 11, v. 8: Culagna è una rocca smerlata su le montagne di Reggio, famosa come a Roma Capodibove.

S. 13, v. 8: Le corna erano anticamente segno di corona, e oggidí ancora in Germania si portano sui cimieri in segno di nobiltá. Però niuno interpreti a sinistro il cimiero di questo eroe, che porta corna ch’ognuno le vede, e tal le porta che non se le crede.

S. 14, v. 1: Ad un cavaliero de’ Montecuccoli parve che questo fosse il suo ritratto: ma molte cose dette a caso paiono alle volte dette a posta.

S. 15, v. 7: Quando Balduino imperator di Costantinopoli venne in Italia, nel passar per Modana fece veramente alcuni cavalieri, tra’ quali furono Attolino e Guidotto Rodea, Forte Livizzano e Rainero de’ Denti di Balugola.

S. 18, v. 1: Camillo del Forno fu veramente uomo arrischiato e bravo: ma in ultimo essendosi fatto capo di banditi, la sua temeritá il precipitò.

S. 20, v. 2: Questo arciprete fu ribello del comune di Modana, e gli occupò la terra del Finale, e gli fece di molti danni. [p. 241 modifica]

S. 24, v. 12: Questa fu istoria vera: e chi desidera di saperla, legga quel che ne scrive il conte Giovan Paolo Caisotto nell’istorie di Nizza.

S. 30, v. 1: Corleto e Grevalcore furono detti a contraposizione Cor laetum et Grave cor, questo dai soldati di Pansa ucciso quivi; e quello dai soldati d’Ottaviano vittorioso in quel luogo, quando liberò Modana dall’assedio.

S. 30, v. 7: Quest’era un maestro di scuola famoso, a cui essendo venuto uno de’ suoi contadini a dargli nuova che gli era morta una vacca, il rimandò in villa e gl’insegnò che gli facesse un beverone, che sarebbe guarita.

S. 31, v. 1: Questo dottore si maritò con una giovinetta in etá matura; e morí subito. I vecchi, che si maritano a donne giovani, sono giubboni vecchi che s’attaccano a calzoni nuovi, che subito si schiantano.

S. 32, v. 1: Ebbe nome Bartolomeo, e fu appunto quale il poeta il descrive.

S. 33, v. 2: L’arma de’ signori Boschetti è una grattugia con certe sbarre; ma il poeta la finge una gradella, perché veramente i pittori la rappresentano piuttosto in forma di gradella che di grattugia.

S. 39, v. 1: Questo si chiama San Martino de’ Ruberti, famiglia nobile reggiana, che vanta la sua origine d’Africa; e per questo il poeta le dá per impresa un Saracino.

S. 40, v. 1: Questa fu antica e nobil famiglia oggidí estinta. Zaccaria fu signor di Carpi; ma da Manfredi Pio, ch’era allora vicario imperiale, gli ne fu levato il dominio.

S. 46, v. 1: Intende della famosa Accademia della Crusca di Firenze, che porta l’istessa impresa.

S. 46, v. 8: Gli finge unti, perché quivi nasce l’olio di sasso famoso, intorno al quale faticano.

S. 47, v. 2: I vini di Sassuolo sono perfettissimi.

S. 48, v. 1: Quei della Rosa furono in quel tempo signori di Sassuolo; e chiamavansi egualmente quei della Rosa e quei di Sassuolo. Oggi è famiglia estinta.

S. 49, v. 1: Scherza su ’l nome e su le bellezze della signora Laura Cesi contessa di Pompeiano. Sol che tramonta.

S. 30, v. 2: Il conte Ercole Cesi aveva assuefatte alcune giovani di quelle terre, che tiravano co’ moschetti a segno, come gli uomini. [p. 242 modifica]

S. 31, v. 1: Cioè avea il cognome e ’l dominio della terra di Cervarola e di Saltino e del Pigneto e di Morano paese vicino.

S. 34, v. 3: Rappresenta nell’insegna un uomo collerico.

S. 57, v. 2: Questo cavaliere aveva una sorella bellissima, che poi si fece monaca.

S. 57, v. 4: Settecento uomini che guardavano un passo stretto d’una montagna, veggendo apparire certi cavalli nella pianura, a quella vista sola tutti si misero in fuga, perché avevano per capo il conte di Culagna. È istoria antica che sente del moderno.

S. 59, v. 1: Allude al conte Fabio Scotti, conte di Miceno, detto corrottamente Muceno.

S. 64, v. 1: Niuna cosa vien istimata piú abile a muovere il riso che gli abiti contrafatti; e però il poeta arma questi popoli montagnuoli cosí alla scapigliata.

S. 63, v. 2: Alberto ebbe nome, e fu giovane valoroso nell’armi, che poi si fece frate cappuccino.

S. 63, vv. 3-4: Questi due versi si leggono guasti in alcuni testi, non so da chi, né perché, essendo rappresentazione d’un atto ridiculo che sogliono ordinariamente fare i putti cristiani in disprezzo del giudaismo. Ma alle volte taluno si fa scrupolo a sputare in chiesa, che poi ruberebbe la sagrestia.

S. 66, v. 2: Cioè Morovico signor di Ronchi, e di casa Ronchi.

S. 67, v. 8: Chiamasi la Torre dell’oche grande, non rispetto al luogo, ma al numero di quelli che hanno il cervello d’oca.

S. 73, v. 4: La bizzaria di queste insegne par fatta a caso; ma nelle piú di loro vi sono degli artifícii occulti, i quali si tacciono per non offendere.

S. 75, v. 1: Fu verissimo che in quella guerra i fiorentini anch’essi aiutarono i bolognesi: e il commessario loro fu messer Botticella degli Orciolini.