La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo XXIX

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Capitolo XXIX

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Capitolo XXIX.

Ove si mette per conto la fazione e maniera come fu preso il buon Santo Re.


Ora vi lascierò qui del dire ciò che ho io veduto, e vi metterò per conto la fazione e maniera come [p. 128 modifica]fu preso il Re, secondo ch’egli medesimo mi disse. Io gli udii dunque dire ch’egli avea lasciato le sue genti d’arme e la sua battaglia, e s’era messo Lui e Messer Gioffredo di Sergines nella battaglia di Messer Gualtieri di Castillione che faceva la retroguarda. Ed era il Re montato su un piccolo corsiero, e vestiva un sajone di seta; e non gli dimorò, siccome gli ho di poi udito dire, di tutte le sue genti d’arme, che il buon cavaliere Messer Gioffredo di Sergines, il quale lo scorse sino ad una piccola villa nomata Casel, là ove il Re fu preso1. Ma a tanto che i Turchi il potessono avere, gli udii contare che Messer Gioffredo di Sargines lo difendeva nella fazione che ’l buon sergente difende dalle mosche il nappo del suo Signore. Perchè tutte le fiate ch’e’ Saracini l’approcciavano, e Messer Gioffredo lo difendea a gran colpi di taglio e di punta, e ben sembrava che sua forza e suo pro ed ardito cuore gli si fussono addoppiati in corpo, sicchè a tutti li colpi li rincacciava dal venir sopra il Re. E così l’ammenò egli sino al luogo di Casel, e là fu disceso in grembo di una borghese ch’era di Parigi, e là pure pensavano vederlo passare il passo della morte, e non isperavano punto che giammai elli potesse valicare quel giorno senza morire.

Appresso poco arrivò verso il Re Messer Filippo di Monforte, e gli disse ch’egli veniva dal veder lo Ammiraglio del Soldano, a chi avea altre volte parlato della tregua, e che se ciò era suo buon piacere, egli ancora di ricapo gliene andrebbe parlare. E il [p. 129 modifica]Re lo pregò di farlo, e ch’egli voleala tenere e fare nella maniera ch’essi la vorrebbe. Adunque partì Monsignore di Monforte, e se ne andò verso i Saracini, li quali, cessando dalla caccia, avean già levate le tovaglie2 dalle lor teste. E consegnò il Sire di Monforte lo anello suo, ch’elli tirò del dito, allo Ammiraglio de’ Saracini, in assecuranza di tenere le tregue; e ciò sin che ne farebbono l’appuntamento tale ch’essi l’aveano domandato altra fiata, siccome è stato tocco qui sopra. Ora avvenne che appresso questo fatto, un traditore malvagio Usciere nomato Marcello, cominciò a gridare alle nostre genti ad alta voce: Signori Cavalieri, arrendetevi tutti, il Re lo vi manda per me, e non lo fate punto uccidere. A questi motti furono tutti atterrati e pensarono che ’l Re loro avesse così mandato, di che ciascuno, per la salvanza del Re, rese ai Saracini sue armi ed arnese. Quando l’Ammiraglio vide ch’e’ Saracini ammenavano le genti del Re, disse a Messer Filippo di Monforte, ch’egli non gli assicurava mica la tregua, poiché e’ potea ben vedere che tutte le genti sue erano prese dai Saracini. Il che veggendo in fatto Messer Filippo, e pensandosi che ’l Re fusse trapassato, fu molto isbaìto, perch’egli sapea bene, non ostante ch’egli fusse messaggiere di dimandar la tregua, che tantosto egli sarebbe preso altresì, e non sapeva a chi aver ricorso. Conciossiachè in Pagania ci ha una costuma molto malvagia, che quando in tra ’l Soldano ed alcuno dei Re di quel paese inviansi loro messaggeri [p. 130 modifica]l’uno a l’altro per avere o dimandar tregue, e l’uno de’ duo Principi si muore, il messaggere, s’egli è trovato, e che le tregue non sian donate, elli sarà fatto prigioniero da qualche parte che ciò sia, sia elli cioè messaggere del Re o del Soldano.

  1. Il 5 Aprile 1250.
  2. I Turbanti.