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La stipe tributata alle divinità delle Acque Apollinari/De' vasi ed altri arnesi

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De’ vasi ed altri arnesi rinvenuti nelle Acque Apollinari

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De’ vasi ed altri arnesi rinvenuti nelle Acque Apollinari
Delle monete La stipe tributata alle divinità delle Acque Apollinari

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DE’ VASI ED ALTRI ARNESI RINVENUTI NELLE ACQUE APOLLINARI

1. È un picciol cippo di marmo maggiore d’un terzo di quel che appare in questo disegno. Non fu già tratto dalla fonte, ma dal sodo d’un muro dell’abitazione costrutta nel 1737, che ora per la nuova fabbrica è stata demolita. Sopra alzavasi un pernetto di metallo, che ancora si vede impiombato nel marmo, ed a cui era raccomandata una statuetta, un vasellino o un donario qualsiasi. D’onde tolgo argomento che alle terme vicina v’era una edicola, un delubro, o un tempietto, dove gl’infermi, oltre la stipe che gittavano entro l’acqua, consacrassero loro doni e sciogliessero loro voti ad Apollo ed a quegli altri iddii, da’ quali una vana superstizione loro dava ad intendere, essersi derivata la sanità che a queste terme venivano ricuperando.

Il cippo non ha alcun pregio d’arte nè nella base nè nella cimasa, ma è liscio al tutto nelle tre sue faccie, e presenta sulla fronte principale una greca epigrafe e nella epigrafe due nomi e la patria d’uno che dichiara di reggersi sui piedi suoi e di camminare, onde per avviso avutone in sogno consacra ad Apollo il dono che qui non vediamo. Forse il mastro valentissimo, che adoperollo a murare, scheggiollo nell’angolo dove mancan le lettere delle due prime linee.


СЄΞΤΙΛ
ΑΤΤΑΛ
ΟΒΑС
ΑΠΟΛΛωΝΙ
ΚΑΤΟΝΑΡ
ΑΦΡΟΔЄΙ
СΙΕΥС

La paleografia è molto più accurata che l’opera del marmorario, il qual diede al marmo la forma di cippo: contuttociò non pare si appalesi anteriore al secolo secondo dell’impero. Le parole e le lettere sono ordinate in perfetta simmetria, talchè i margini rimangono pari in amendue i lati. Sestilio [p. 16 modifica]è il primo nome romano del divoto, Attalo è il nome greco, Afrodisia ne è la patria, comunque forse per equivoco, o per dimenticanza del quadratario, sia posta nell’ultimo luogo. Il marmo nella prima riga ritiene la metà della Λ del nome Сεξτιλιος e non lascia quindi luogo se non al supplemento del ιος: così il mezzo O dell’Ατταλος lascia il luogo alla introduzione del C lunato e non ad altre lettere. La meschianza poi d’un nome latino con un nome greco parmi che abbastanza dichiari la stirpe libertina e non ingenua del divoto.

Non posso nell’Αφροδεισιευς riconoscere un uomo dedicatosi ad Afrodite, perchè universalmente trovo che questo s’intitolava Αφροδεισιος. Pertanto lo tengo per nome di patria, quantunque ignori quale sia delle Afrodisie, se quella di Tracia o non anzi quella di Caria o di Cilicia. Ignoro altresì il luogo, onde costui venne a cercar la salute in queste terme.

L’ΟΒΑС quando non ricorrasi alle relazioni del luogo, ove il cippo è stato ritrovato, si rimarrebbe un mistero. Non voglio farmi giudice della esattezza di questa espressione, sia essa propria e precisa, sia oscura o semibarbara come altri vorrebbe. Il certo è che in essa io veggo Sestilio, che rallegrasi seco stesso del reggersi che fa su proprj piedi, non sulle gruccie. Il quale rallegramento mi rappresenta lo stato di lui antecedente, che non sulle gambe proprie era qua venuto, ma sulle spalle altrui erasi fatto a queste terme trasportare.

Il Κατ’οναρ parmi che ci esprima la natura dell’uomo, in quanto ricevuto un solenne benefizio da una virtù che sembragli superiore alle comuni virtù naturali, sentesi tratto a professare quella gratitudine che alla divinità si conviene. E nel sogno meglio che in altro tempo ode quella voce, perchè la coscienza meglio che nello strepito e nel dissipamento delle ore della veglia, si fa sentire nella quiete e nella serenità della notte.

Maggiore è anche l’importanza di questo sasso rispetto al rivelare che fa il nome dell’iddio a cui il paganesimo attribuiva la virtù maravigliosa di queste acque. Egli è Apollo, e giusta è l’attribuzione, perchè in Apollo adorava il primo iddio della medicina e il padre di Esculapio. Nè potea questo nome venire più opportuno per riconoscere nelle terme di Vicarello quel titolo di Acque Apollinari, che none probabile al medesimo tempo convenire alle Acque di Cere, del Sasso, delle Allumiere, di Stigliano, mancandoci affatto i documenti per affermarlo. Le Acque Apollinari non in quattro luoghi diversi dell’Etruria, ma si trovan vicine alla Via Claudia, a trentaquattro miglia da Roma, ciò che a maraviglia si conviene a Vicarello. La differenza che v’è, sta nel luogo della mansione, la quale non potea certamente essere posta nel fondo di quel cratere, ma rimane molto più elevata ad occidente, dove metteva capo il diverticolo che alle Acque Apollinari conduceva. [p. 17 modifica]

2. 3. Astragali in bronzo, che con parecchi altri si sono trovati tra mezzo alla stipe, e disegnati in due delle quattro loro faccie. In numero di quattro si adoperavano ordinariamente ne’ giuochi dagli antichi in iscambio di tali, e perciò tali anche gli appellavano. Non saprei se come semplice stipe, o se per altra superstizione ancora sieno qui stati offerti alla divinità.

4. Crinale in argento con avanzi di doratura, eguale al vero. È il più solido e quindi il meglio conservato tra parecchi di minor conto che v’erano tra mezzo alla stipe.

5. Palmetta in argento eguale al vero. Ve n’ha una seconda pari in grandezza, e due minori. Si vede chiaro che sono staccate da arnese di maggior conto, che non fu trovato.

6. Oenochoe o prefericolo senza becco. Nel disegno è d’un terzo minore del vero, ed è in quel metallo che dicesi di Corinto. La prima opera è di martello, ma è finito al tornio. La sua conservazione è perfetta relativamente ad alcuni altri che sonosi trovati in rame puro. La temperatura elevata nella quale mantiensi l’acqua costantemente, e qualche elemento corrosivo che v’è in essa, sono state le cagioni della perdita che è venuto facendo il rame, in confronto del metallo di Corinto. Le correnti elettriche nella diversità dei metalli vi hanno contribuito non poco.

7. Altro prefericolo in argento, disegnato ad un terzo meno del vero, preparato di martello e finito con opera di due tornj diversi. Mercechè quelle piccole e tortuose bacellature, che gli si aggirano tutto all’intorno, così sopra come sotto la membratura liscia, sono talmente eguali fra loro, che la machina sì, ma non la mano dell’artista avrebbe potuto in ciascuna riuscire pari a se stessa. Dal che appare l’uso che facevan del tornio, come noi chiamiamo, a sbalzo.

8. È questa la sola coppa d’un calice disegnata alla grandezza del vero. Doppio ne è il metallo, bronzo cioè ed argento, e fu tratto dalle acque delle terme così com’è, senza il suo piede. Ma che apodo non fosse, ne è prova certa la rottura antichissima: ed il molto suo peso ne dà ragione di sospettare, che nell’essere gittato dentro l’acque urtasse nelle pareti della vasca, e così perdesse il piede che fu forse ingojato dalle bocche della sorgente. Le ricerche fatte da noi sono state senza frutto; ma contuttociò ne sappiamo grado alla buona ventura, chè quella bocca era capevole anche della coppa, se per nostro danno fosse venuta a cadere sopra di essa.

È singolare la bellezza di questo vaso, perciò non sarà opera gittata il descrivere il magistero posto dall’artista nel lavorarlo. Lo fuse questi da prima in rame quasi puro, ed a tale ertezza che basta sentirne il peso per rimanere persuaso, che potè ben questo essere un vaso da servire di comparsa [p. 18 modifica]o di premio ad un chichesia, ma agli usi della vita non mai. Uscito ruvido e disuguale dal getto, fu ripulito al tornio, e recato in tutte le parti a rotondità. Le palmette che l’investono al di sotto, i grappoli e le foglie che più sentitamente distaccansi dal fondo, son tutte fuse in rame fuori d’opera, e tutte divisamente contornate ed apparecchiate, come vedesi allo staccarsi che hanno fatto in più d’un luogo dal fondo stando nelle acque. Dispose quindi l’artista tutte queste parti in quella giusta simmetria che l’occhio vede, e col saldatojo le fece aderire alle esterne pareti del vaso. Rivestillo quindi d’una sottile laminetta d’argento, e con sue ciappole forzolla ad attaccarsi tenacemente alle parti tutte del rilievo. Prese quindi co’ ceselli ciappolette e bulini a creare tutto il maraviglioso che l’opera dovunque presenta a vedere. I tralci e i viticci che sì leggermente quinci e quindi si svolgono, sono ricavati dalla sola lamina. Le cartilagini e i nervetti delle fogliarelle diverse son come modellati a finissimo bulino. Siccome poi l’artista era ad un tempo e l’inventore e l’esecutore della bellissima opera, così usò della mano motto abile a rappresentare quella varietà di concetto che nel cesellare gli si affacciava alla fantasia. Chi studia il vaso da vicino trova in tanta simmetria una curiosissima varietà: la mossa del grappoletto e della foglierella è ben eguale, ma diseguale ne è il garbo, e non perciò di men bell’effetto. Ne’ quattro cespi, da cui i tralci tutti si diramano, la forma di quelle grosse foglie e la vaga mutazione di que’ loro andamenti è anche più variata; e se in questo che presentasi di fronte nel disegno, le seconde foglie s’incurvano e s’incartocciano verso il loro bulbo, nei tre altri si protendono in fuori con capricciose piegature e con bellissimi contorni. Minore è la varietà delle palmette in quella parte del vaso, che è la più convessa, e che, come graziosissima, ho fatta svolgere dal disegnatore valentissimo, Cav. Francesco M. Tosi, anche ad istruzione degli uomini che professano l’arte.

E della provenienza di questo calice che potrà dirsi mai? Lo diremo d’arte Etrusca, d’arte Greca, o d’arte Greco-Romana? Ho veduto io qui in Roma molti saggi d’antiche opere di cesello, ma niuna ne ho veduta di questo nuovo artifizio. A me è sembrato molto antico, anche perchè non mi persuado, che un artista abbia qui voluto accumulare tante difficoltà, se erasi già trovato il modo d’alzare di piastra, o di ricavare da una semplice lamina liscia, o d’argento fosse o di rame e bronzo, un’opera qualsiasi.

Trovasi il vaso in paese Etrusco. Veduto che il lavoro, per quanto io conosca, è forse unico nel suo genere, e che accenna ad un’arte che non ritrovo in monumenti greci o romani, mi sento tentato di riconoscerlo di origine Etrusca. Nè varrebbe l’oppormi la singolare grandiosità dello stile, chè gli Etruschi in somiglianti lavori ornamentali seppero condurre nel metallo opere nulla meno grandiose e magnifiche che quelle del nostro calice. [p. 19 modifica]


1., 1. a., 1. b. Questo vasetto è in argento della grandezza in cui si presentano in piano le parti del bassorilievo. A cagione d’urti sofferti e per la bocca sempre aperta della sorgente, ha perduto una parte del collo, la bocca ed il manico: talchè non saprebbesi, se alla classe degli oenochoe o a quella dei lekytos o degli aryballos s’abbia a richiamare. Sotto il n.° 1.a. ho fatto sviluppare il bassorilievo che lo adorna, e sotto 1.b. la iscrizione.

Il tornio gli ha ricavato sopra il piede quattro cordelline tonde, ed altre che sono almeno sei nella parte rimasta lunghesso il collo. Sopra il ventre poi vedesi alzato leggermente di cesello un satiretto, e quinci e quindi due foglie e due pannocchie con giusta simmetria. Il giovine satiro con corna e gambe caprine, cintosi al collo un torque e attraversatosi sulla destra spalla un tirso fiorito in amendue le estremità, va di gran fretta sostenendo colla sinistra sul fianco un piccol paniere ricolmo d’uva. Il cesellatore ha forse tolto dal vero le foglie e le pannocchie, ed ha condotto il lavoro del satiro più col fervore d’un artista di genio, che colla pazienza e le finitezze dell’arte che sembra professasse. È bacchico l’uso a cui il vaso serviva, ed è opera che s’assomiglia a quelle del finire del primo secolo dell’impero.

Fra le due prime cordelline dalle quali il collo si leva verso la bocca, leggesi la epigrafe MEM . FVRIAE . ASCLEPIADIS. intagliata in lettere di doppia asta, la qual dichiara, essere il vaso una memoria della liberta Furia Asclepiade. Il MEM. equivale al MEMORIA, che Catullo con greco vocabolo appellò mnemosynon. L’interpretare il MEM. per MEMMIAE parmi cosa non verisimile in una semplice liberta. Se fosse vero che Furia avesse fatto incidere questa leggenda quando sperimentava il benefizio delle acque, allora il MEM. avrebbe la forza del pignus, onde lo terrei in conto di testimonianza di gratitudine donata alla divinità delle terme stesse. Ma quando fosse l’iscrizione intagliata altrove, come a me pare più probabile, per non esservi in essa menzione alcuna della divinità, direi che la persona a cui Furia avea fatto dono di questa sua memoria, la portasse seco alle terme, e in mancanza d’altro dono, questa tributasse alla divinità, con un nome che non era certamente il suo.

2., 2. a. Tazza d’argento d’un solo terzo maggiore di quel che è nel disegno. Rotondo è il piede e lavorato al tornio, rotondo il collo e la bocca, ma quasi quadrato ha il corpo in tal guisa, che dolcemente s’incurva in luogo di piegarsi reciso ad angolo retto. In mezzo poi alle quattro faccie, la tazza rientra in quattro seni di forma perfettamente ovale, ne’ quali le dita di chi la prende e alle labbra l’avvicina, comodamente alcun poco si addentrano, meglio che se quel ventre fosse cilindrico o convesso. [p. 20 modifica]

Fra le moltissime forme di vasi antichi egizj, greci, romani da me veduti, non mi rammenta la singolarità di questo. Per opposto ho qui sugli occhi alcune porcellane cinesi arcaiche, mandate al Collegio Romano da’ primi missionarj che portarono in quell’imperio la fede, e vi trovo precisamente la forma di questa tazza. Sarà per avventura un mio sogno; ma non parebbemi gran fatto inverisimile, che essa provenisse dalle provincie più orientali dell’Asia, dove Trajano giunse pure a farla da padrone; o da altra terra più prossima ai mari delle Indie, i cui popoli poteano comodamente avere commercio, se non diretto, almeno mediato coll’estremo oriente.

Preziosa ne è per me l’epigrafe di questo vaso, come quella che mi conferma, Apollo essere stato il principale iddio delle terme.

APOLLINI . ET . NYMPHIS . DOMITIANIS

Q . CASSIVS . IANVARIVS . D . D.

Rispetto alle tre Ninfe che qui ad Apollo, secondo mitologia, doveano essere compagne, tornerà certamente nuovo il vederle appellate Domiziane. Furono dette Auguste, relativamente ad altri imperatori: son qui dette Domiziane, e fuor d’ogni dubbio per relazione a Domiziano, la cui forsennatezza potea ben esser giunta fino ad imporre il proprio nome eziandio alle Ninfe. Ho io attentamente studiato sul luogo la costruzione di que’ pochi avanzi di antiche fabbriche, le quali erano in origine alle terme vicine, sperando trovare un avviso d’un tempio qualsiasi o d’una edicola quivi da Domiziano eretta o alle Ninfe o ad altro nume. Ma chi mai in tanta somiglianza di ruderi dell’epoca buona imperiale, oserà fissare l’anno d’un edifizio, o l’occorrenza per cui gli antichi lo costruirono, ove non veggasi segnato in marmo o in altro storico monumento? Non voglio tuttavia dissimulare che una gran parte degli antichi avanzi che circondano le terme spettano a quel tempo dell’impero, e che tra le monete imperiali delta stipe non vi ha forse imperatore, comechè abbia regnato anche più a lungo, che ne conti un numero eguale. Talchè appoggiati singolarmente a questa iscrizione, potrebbe congetturarsi, che per cura di lui le Acque Apollinari ottenessero un qualche miglioramento, e le Ninfe acquistassero una maggiore celebrità. La doppia asta delle lettere e la bellissima paleografia della iscrizione sono tutto quel meglio che recar si possa da noi per confermare che l’epigrafe non ripugni al tempo di Trajano; al quale rimonterebbero eziandio le due graziose fogliarelle adoperate a chiudere le righe in iscambio de’ punti.

3., 3.a, 3.b. Oenochoe o prefericolo in argento ai due terzi del vero, ma eguali al vero sono le parti 3. a, e 3. b. per le quali il manico si strin[p. 21 modifica]ge e congiunge al collo e al ventre del prefericolo. È vano il trattenerci a rilevare il semplice ed il bello di questo vaso; e convien pur dire che abbia l’occhio contaminato dalle baroccherie che oggi sono in fama, chiunque al primo sguardo non se ne innamora.

4. Oenochoe in metallo di Corinto un terzo minore del vero.

5. Tazza d’argento d’un terzo minore del vero con baccellature a serpe, lavorata a doppio tornio.

6. Giglio in argento d’un terzo minore del vero. Quattro foglie ed altrettanti petali formano il fiore, il quale rimane stretto da un cerchiello ottagono, e reggesi su d’una pallina fermata sopra un sostegno o piedistallo esagono. Credo io che sia questo l’acroterio d’altro arnese di mole molto maggiore, il quale sia perito ne’ vortici, con cui comunica la sorgente delle Acque Apollinari.

1. Turacciolo in legno, il quale si è quasi perfettamente conservato entro le acque, forse per una certa patina che tutto il rivestiva. Il vasetto alla cui bocca era applicato non si è rinvenuto. Qui io lo riporto perchè si osservino le due branche che lo tenevano fermo alla bocca in guisa, che non poteva il vaso scoperchiarsi, se prima non si facea girare il turacciolo, la qual cosa erasi finora creduto che fosse un ritrovamento della moderna meccanica.

2. Tazzetta di bronzo disegnata ad un terzo del vero, lavorata al tornio, orribilmente corrosa dal calore e dalle correnti elettriche delle acque. Tre delle cinque lettere ci nascondono forse un qualche bel nome, le due altre sono la dedicazione C F H D D, senza nè un punto solo, come può vedersi nella incisione.

3., 3. a. Bellissimo è questo vasetto d’argento lavorato al tornio e disegnato ad un terzo meno del vero. Anche la leggenda è stata ridotta, che alla grandezza del vero non potea capire entro la medesima riga. Esprime questa una dedica ad Apollo, a Silvano e alle Ninfe: APOLLINI. SILVANO. NYMPHIS .Q. LICINIVS . NEPOS . DD. Dobbiamo noi credere che questo Quinto Licinio Nepote tenesse, che Silvano discendente da Saturno, semidio rusticano, preside dei boschi e delle valli, e compagno delle Ninfe, prendesse anch’esso con Apollo e con le Ninfe stesse una parte diretta nella sua guarigione. Perciò anche a lui tributa l’omaggio della sua gratitudine.

Ella è poi questa la terza volta che i nostri monumenti ricordano Apolline come divinità principale di questa fonte, talchè il titolo di Acque Apollinari non sia già un titolo vano, ma ad esse appropriato in virtù della divinità, a cui la loro fonte era solennemente consecrata. II cippo marmoreo di [p. 22 modifica]Sestilio Attalo, la leggenda del vaso di Quinto Cassio, e questo terzo di Quinto Licinio Nepote sono un forte argomento.

4. Tazza in rame lavorata al tornio di moltissima solidità e disegnata ai due terzi del vero. La leggenda NYMPHABVS MINVCIA.ZO.SI•ME DD ci dà a vedere, che cotesta liberta riconosce la salute ricuperata dalle sole Ninfe, e che non avendo forse con che pagare un migliore incisore, ebbe ricorso a questo, che sapea punteggiare una leggenda al modo che qui vedesi nel rame.

5. Lastrina di metallo cesellata, la quale riveste un cono tronco di piombo. Non è liscia, ma broccosa, come in verga che incomincia a vegetare.

6. Campanellino in rame.

7. Striscia metallica ripiegata ai margini superiore ed inferiore in angolo. Sembra servisse a rivestire un arnese di legno, di cui serba qualche avanzo. G. MVRDIVS è scritto su di essa; ma le altre piastrine, su cui vi dovea essere la continuazione della leggenda, non si sono trovate entro le acque.

8. Nocciuola che non v’è difficoltà di credere antica, chi ne vede la patina solidissima che la riveste.

9. 10. 11. È questa la forma del vaso milliario, o, a dirlo col nome che porta in fronte, dell’itinerario che abbiamo estratto dalle Acque Apollinari di Vicarello. Ognuno fa le meraviglie nel vedere il raffinamento della civiltà di cui è testimonio un itinerario maneggevole, scolpito nella tazza, che il viaggiatore porta seco nelle sue pellegrinazioni. Molto tardi noi siamo giunti ad avere gl’itinerarj nelle carte e ne’ libri.

La forma di tutti tre questi vasi è somigliantissima alla colonna milliare che era la prima dell’Appia e che ora conservasi in Campidoglio, in quanto è cilindrica al pari di quella, ed ha la sommità foggiata in una gola diritta e la estremità in una gola rovescia al pari di quella. Ma differisce in quanto all’acroterio, chè i nostri vasi non sono marmorei, ma sono d’argento, e non servono solo ad indicare la via, ma anche a contenere il liquore che vogliasi bere. Dovevano essere somiglianti altresì al milliario aureo, che Augusto avea fatto innalzare sull’ombelico di Roma, o in capo al foro romano, con la differenza che questi segnano il viaggio da Cadice a Roma, quello segnava, come generale, i viaggi tutti che intraprendere si potevano per l’orbe romano.

Di vasi milliari, come vasi che si adoperavano nelle mense, ne parla Ulpiano1. E se questi avevano qualche somiglianza co’ nostri, non la po[p. 23 modifica]tevano avere certamente con quelli che Seneca riconosce come opportunissimi al riscaldamento dell’acqua2, e che si è preteso di riconoscere in uno del Museo Borbonico3.

Quello del numero 1. è il maggiore, e secondo alcuni dati è fra i tre il più antico. Il do qui disegnato ai due terzi del vero, perchè se ne vegga la forma. Perchè poi i lettori se ne facciano una perfetta idea della scrittura, lo do alla grandezza del vero e svolto interamente nella Tavola IV che viene appresso. Il num. 2 è rappresentato come vedesi colla metà della sua scrittura, la quale non potendosi veder bene nella prospettiva del tondo perchè sfugge all’occhio, dalla doppia asta è stata portata all’asta semplice. Il num. 3., che conserva alcuni avanzi di doratura, è il più piccolo, ed è senza meno il più tardo di origine. Di questo terzo e del secondo, oltre la metà della scrittura che v’è incisa sul vaso, ne ho fatte segnare alcune righe in piano fuori di prospettiva alla grandezza del vero.

In tutti tre il cilindro del vaso è diviso in un tetrastilo. Le quattro colonne hanno capitello composito con la sua base. Nel primo le colonnine s’innalzano da gola a gola. Nel secondo nè sopra nè sotto giungono a toccare la gola, e mancano del loro plinto. Nel terzo le colonne sono più basse, e fermansi sotto e sopra tra le due iscrizioni, delle quali l’una conserva il titolo, l’altra la somma generate dei passi.

Per comodo di chi voglia confrontare i nostri itinerarj tra loro si danno qui in tre colonne distinte. La prima è del primo, la seconda e terza del secondo e del terzo. Perchè poi possa eziandio farne i confronti cogl’itinerarj d’Antonino, e col Gerosolimitano o Burdigalese, pongo in una quarta e quinta colonna anche questi, segnandovi i luoghi e le distanze de’ luoghi come e dove mi si sono presentate.

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Quantunque non poche sieno le diversità dell’arte, con che i nostri itinerarj sono lavorati, e sieno anche maggiori le intrinseche diversità della scrittura che v’è sopra; contuttociò pajono sì somiglianti l’uno all’altro, che sentirebbesi tentazione di credergli un prodotto, se non della medesima mano, certamente almeno della medesima officina. A guardarli come vasi potorj, sembrar potrebbero il primo ed il secondo eccessivamente grandi; il terzo starebbe nelle giuste proporzioni: guardandoli invece come itinerarj, il primo e il secondo si direbbon meglio proporzionati a quelle più che cento mansioni che vi si trovan descritte intorno con le loro giuste distanze.

Il primo ha la iscrizione superiore ed inferiore scritta a doppia asta, sopra un fondo apparecchiato a ricevere il taglio della lettera da certi minutissimi puntini, i quali avevano prima del taglio la forma della lettera. Questa preparazione così punteggiata vedesi praticata in tutto il secondo. Così il maestro calligrafo, quando ci dava le prime lezioni di bel carattere, forzava noi a scrivere rettamente, obbligandoci a correre sopra i suoi punti colla penna.

Ma se nella foggia delle lettere non sappiamo trovare la vera diversità, v’ha certamente nella intrinseca forma della dicitura una troppo considerevole differenza, che ci mette in grado di discernere, quale debba essere anteriormente, quale posteriormente scritto. E con tutto questo a me sembra, non si possa ben fissare questa ultima differenza, se non ricorrasi al luogo dove sono stati scritti. In Cadice, e da argentieri Gaditani, alla distanza di parecchi anni l’uno dall’altro, ebbero la prima loro origine. Gli artisti che v’intagliarono la scrittura, non lavorarono a formare un monumento, il quale fosse in tutte le sue parti esatto, ma vi operarono per ragione di commercio, che su tante inesattezze chiude gli occhi. I tre viaggiatori che li portarono a Roma, e da Roma con essi andarono alle Acque Apollinari, ottenuto l’intento loro, che era senza meno la guarigione d’una qualsiasi loro infermità, per ragione di gratitudine fecero alla divinità l’offerta del loro bicchiere.

Vediamo adunque come dalla diversità della lezione giustamente si argomenti la diversità del tempo e dell’artefice. Quegli che una volta ha scritto ITINERARIVM A GADES ROMAM, non credo che una seconda volta voglia scrivere AB GADES VSQVE ROMA ITINERARE, ed una terza ITINERARE A GADES VSQ. ROMA. La voce ITINERARIVM, e quindi l’intero itinerario scritto nel caso accusativo, come vuole la natura del verbo che è tacciuto, è argomento di tempo molto diverso da quello che scrive l’ITINERARE in luogo d’ITINERARIVM, e muta col caso ablativo l’itinerario stesso, quasi servisse ad un verbo di quiete. Se poi questa diversità vale solo a distinguere il primo vasetto dagli altri due; vi sono nella enumerazione delle mansioni, che fanno gli altri, altre intrinseche varietà, dalle quali dobbiamo [p. 26 modifica]conchiudere, che il tempo in cui furono scritti, e ben posteriore nel terzo al tempo in cui fu scritto il secondo.

ITINERARIVM è voce latina, ma tra gli scrittori del buon tempo non trovasi usata. Vegezio che scrisse verso la fine del quarto secolo, la usa, e l’usan coloro che hanno a noi fatto pervenire gl’itinerarj di Antonino ed il Gerosolimitano. Il primo dei tre vasetti porta scritto ITINERARIVM, mentre i due altri adoperano l’ITINERARE, il quale è vero nome, per quanto si rimanga senza esempio, della terza declinazione; laddove l’ITINERARIVM è della seconda.

A GADES, AB GADES. Tutti tre congiungono alla preposizione a ed ab l’accusativo erroneamente. Vi volea ben poco a scrivere A GADIBVS; e se la scrittura fosse stata fatta in Roma, che dava le leggi e la norma del ben favellare e dello scrivere secondo grammatica, sarebbesi scritto A GADIBVS in una età, ove la lingua reggevasi a legge grammaticale, non ad arbitrio barbarico. Ma chi trovasi a Cadice, in quella isoletta che si rimane fuori, piuttosto che in capo al mondo antico, non sappiamo qual modo di grammatica fosse più in onore. Se abbiamo a fare ragione da questo saggio, non è che barbaro in quanto a lingua il concetto che dobbiamo formarci dei Gaditani.

ROMAM. VSQVE ROMA. VSQ. ROMA. Sono in tre che favellano, ed uno sopprime l’VSQVE, il secondo ed il terzo lo legano erroneamente con l’ablativo. Quindi il primo prosegue coll’accusativo, gli altri due con l’ablativo.

AD PORTVM è comune a tutti tre con la differenza, che il primo vi attiene per principio, avendo egli preso a indicare le mansioni, che sono il termine ove finisce il tragitto diurno, col caso di moto che è l’accusativo. Gli altri due l’adoperano in opposizione alla grammatica; perchè considerando essi la quiete nella mansione, dovevano in quella vece dire IN PORTV.

Prima dell’AD PORTVM l’itinerario di Antonino ha AD PONTEM, che era una mansione intermedia, 12 miglia distante da Cadice, da dove per altre 14 venivasi a questa del porto, che è ora il Porto di Santa Maria PORTVGADITANO. È questa tra gl’itinerarj nostri e l’Antoniniano una troppo considerevole differenza; perciò ne giova il trattenercisi per poco.

Gl’itinerarj erano nel mondo romano conosciuti fin da che Augusto aveva fatto erigere il suo milliario aureo nel foro romano. Ma questo milliario non poteva essere immutabile, perchè le vie dell’impero al tempo d’Augusto non erano certamente inemendabili. Troppi mutamenti e miglioramenti ricevettero dagl’imperatori che vennero dopo di lui. Questi miglioramenti, secondo mio avviso, rendono meno difficile l’accertarsi dell’anteriorità o posteriorità de’ tre nostri itinerarj, ponendoli a confronto tra loro. Come posso assicurare che il [p. 27 modifica]Gerosolimitano o il Burdigalese è posteriore all’Antoniniano per le mansioni e mutazioni che il Gerosolimitano aggiunge, anche con nomi d’imperatori posteriori a quelle dell’Antoniniano, così parmi poter affermare che i tre nostri sono anteriori all’Antoniniano. Non hanno i nostri questa prima mansione AD PONTEM, come non hanno, a cagione d’esempio, quella di TANNETVM tra Parma e Reggio, e quella di FIDENTIA tra Parma e Fiorenzola. D’onde appar chiaro, essere l’Antoniniano scritto più tardi.

Se noi sapessimo, avere per certo Trajano eretto il ponte di Cadice, potremmo insistere maggiormente sull’anteriorità degl’itinerarj nostri a quella data. V’è chi ha voluto attribuirlo a Lucio Cornelio Balbo, e all’anno quattordicesimo dell’era nostra4. Ma oltrechè e certo che questa opinione a niuno storico monumento è appoggiata, ella è cosa per noi molto poco verisimile, che chi intraprende un viaggio di terra da Cadice a Roma, voglia incominciarlo per acqua, per poi continuarlo per terra, quando siavi l’opportunità del ponte.

HASTAM è del primo, HASTA del secondo e del terzo. Questo allontanarsi dalle forme grammaticali, è per me un argomento, che l’esemplare degl’itinerarj venuto da Roma a Cadice perduta aveva la sua autorità, in quanto alla proprietà della favella, e che quei di Cadice, nel tempo in cui furono scritti il secondo ed il terzo, se l’accommodavano al depravato loro gusto, mentre ne’ tempi in cui fu scritto il primo ancora lo rispettavano.

Veggasi nella Tavola IV. come lo scrittore in questo luogo avea cominciato a scrivere VGIAM, ma avvedutosi dello scambio, si è tantosto ripreso, e vi ha scritto HASTAM, senza cancellare le due lettere VG che erano già incise. Troppo improba fatica sarebbe stata questa e di riuscimento non facile. Ma il lettore può di qui farsi ragione, come sia accaduta più oltre la ommissione anche d’una mansione intera.

HISPALIM dicono concordemente tutti tre, ma il secondo ed il terzo non ci dicono il perchè tra l’ORIPPO e il CARMONE ablativi pongano l’accusativo HISPALIM. Sembra che avessero innanzi agli occhi un esemplare, in cui la forma fosse tuttora buona.

ADX hanno il primo ed il terzo, ma con la differenza che il prima legge ad decumum, il terzo come il secondo aggiungono l’ablativo all’ad del decumo.

EPORAM XVII ha il primo, e ADLVCOS XVIII hanno il secondo ed il terzo, i quali dimentichi talora di quel loro ablativo ritornano all’accusativo. Ma qual è la ragione di questa EPORAM convertita in un ADLVCOS? [p. 28 modifica]A me pare una vera mutazion di mansione. Era EPORAM quando il primo intagliò il suo itinerario: era stata trasferita un miglio più innanzi ADLVCOS, quando gli altri due intagliarono i loro.

CASTVLONEM AD ARAS CASTVLONE. Ripeto ciò che ho detto dell’HISPALIM. Parmi che il secondo per inavvertenza ripetesse il nome della mansione che aveva scritto più sopra, e che non volendo perder tempo nel cancellare il suo fallo lasciasse qual era.

ĪISOLARIA ADSOLARIA ĪISOLARIA. Il secondo ha l’AD in luogo del II, ciò che non costituisce una gran differenza, giacchè potevasi la mansione chiamare nell’un modo o nell’altro.

LIBISOSA il secondo segna XXVIIII. mentre il primo ed il terzo non ne indicano che XXIII delle migliaja di passi. V’è più probabilità di errore nell’uno che ha aggiunto il V, che nei due.

PARIETINIS Così scrive anche il primo: ed è un equivoco da perdonarglisi, per la molta fedeltà serbata nel rimanente.

ADPALEM ADPALEN ADPALE Il primo è fedele al suo accusativo latino: il secondo erroneamente scrive ADPALEN, quasi l’accusativo fosse greco: il terzo coll’AD unisce l’ablativo PALE.

ADARAS ADARAS ATTVRRES È una mutazione accaduta nella mansione dopo scritti i primi. Il terzo si accorda coll’Antoniniano che ha pure ADTVRRES. L’ATTVRRES l’attribuiremo ad una oscitanza.

VAEENTIA Ha il secondo, e l’argento non era cera che convertendo lo stile facilmente si potesse correggere.

SAGYNTVM SAGTVNTO SAGVNTO La prima forma è l’ottima, come quella che meglio si avvicina alla prima origine della voce ΖΑΚΥΝΤΟΣ che è la vera radice di Sagunto. Anche la seconda sarebbe stata buona, perchè l’intagliatore ha scritto bensì SAGTVNTO, ma avvedutosi che il T non era Y, l’avea corretto aggiungendovi quelle due linee che sorgono in capo al T e che avvisano doversi leggere SAGYNTO. Il SAGVNTO è la forma meno antica, la quale è comune anche all’Antoniniano.

ADNOVLAS hanno il primo ed il secondo, mentre il terzo ha SEBELACI e l’Antoniniano SEPELACI. Il numero delle miglia ci è buon testimonio della mansione che dopo la prima scrittura era stata trasferita.

ILDVM Perchè il secondo ed il terzo non adoperino qui l’ablativo, non cel dicono.

INTIBILIM INTIBILI IMTILIBI Il terzo coll’antiporre il LI al BI ubbidisce al costume, che ora è tanto frequente, di scambiar tra loro queste sillabe che sono tra loro tanto somiglianti.

TRIACAPITA È questa una mansione del solo terzo, quantunque il pri[p. 29 modifica]mo ed il secondo abbiano le XXXVII miglia fra DERTOSAM e SVBSALTVM, che eguagliano quelle della nuova mansione. Anche l’Antoniniano lo ha colla brutta differenza del TRAIACAPITA.

TARRACONE XXI Ha il secondo, mentre il primo e il terzo hanno XXV. Errore vi dev’essere, e più che del primo e nel terzo, è nel secondo.

ANTISTIANA XVI segna il secondo, laddove il primo e il terzo non segnano che tredici.

ARRAGONEM ARRAGONE ARRAGONE Perfettismo è l’accordo dei tre in questo nome, che è qui, come vuole l’Antoniniano e come vuole la giusta geografia, in luogo di BARCENONEM e BARCENONE. Ne ho cercata ragione, e non l’ho trovata. Il nome Barcenone è Cartaginese senza meno; quello d’Arragone è spagnuolo anche ora in una provincia di quel gran regno, ed in un fiume. Stiamo aspettando quanto ci diranno gli spagnuoli, che bene conoscono il proprio paese.

SEMPRONIANA VIII. PRAETORIO XVII. Forse ad equiparare in qualche modo le distanze, fu qui mutata la mansione dopo che il primo ebbe compiuta la sua opera.

SETERRAS SITERAS SAETERRAS La lezione del primo si accorda coll’Antoniniano: ma è pur cosa difficile a concepirsi tanta varietà di lezione in tre che copiano il medesimo testo.

AQVISVOCONTIS AQVISVOCONI AQVISVOCONIS La lezione del primo non è certamente la migliore. Un individuo della gente Voconia, celebre tra le Aricine, può aver dato il nome alle Caldas de Malavella, che è il nome moderno delle Acque Voconie, come un individuo della gente Sempronia al SEMPRONIANA, che quasi immediatamente le precede.

CILMANAM CILNIANA CINNIANA Il terzo muta la L in N, e legge coll’Antoniniano CINNIANA. Noi lo teniamo per un arbitrio troppo grave.

INPYRAENEVM INPYRENEO INPYRENAEO Il primo antipone il dittongo, il secondo l’omette affatto, il terzo solo coglie nel segno.

RVSCINONEM RVSCINNE Il secondo ha dimenticato d’interporre l’O tra i due NN.

COMBVSTA scrivono tutti concordemente, ma il primo intende scrivere un accusativo neutro plurale, e se gli altri due non intendessero altrettanto, avrebbero dovuto scrivere COMBVSTIS.

BAETERRAS BAETERRAS BETERRA Il secondo non volendo ha scritto l’accusativo plurale anch’esso. Il terzo volendo scrivere l’ablativo, ha errato non scrivendo BAETERRIS in plurale.

AMBRVSSVM hanno anche il secondo ed il terzo con una incostanza di qui non si saprebbe trovar ragione. [p. 30 modifica]

ARELATA così il primo ed il terzo: il secondo l’ha in tutto dimenticata. Ma e il primo ed il terzo cadono in errore, perchè nè accusativo nè ablativo può questo essere. ARELATE scrive l’Antoniniano, e questo è l’ablativo di Arelas o Arelate. Il primo quindi doveva scrivere ARELATEM.

ERNAGINVM VI. ERNAGINI VIII. ERNAGINO VII. Sono in discordia, quantunque non gravissima, rispetto al numero delle miglia. Il secondo scrive il genitivo di quiete, e sarebbe meritevole di qualche lode, se il genitivo avesse adoperato da per tutto ove doveva. II terzo erroneamente trova la quiete nell’ablativo.

CLANV CABELLION. Il terzo non ha più le finali di questi due nomi per cagione d’un urto nel quale quella parte del metallo andò perduta.

ADFINES hanno il secondo ed il terzo; se il primo non l’ha è per una evidente ommissione. Nel segnare però le miglia ha posto il XII dell’ADFINES non il X dell’APTAM IVLIAM.

SEGVSTERONEM SEQVSTERONE Il Q che il secondo adopera, è erroneo in buona ortografia.

VAPPINCVM VAPPINQVO Qui pure vuole il secondo il Q nel VAPPINQVO, ed erra per ragione del Q, si per quella dell’ablativo che dovrebb’essere genitivo.

CATVRIGOMAGVM CATVRIGOMAGI CATVRIGOMAG Il secondo ha ben capito che doveva adoperare quivi il genitivo a significare la quiete. II terzo non ha potuta compire la parola per mancanza dello spazio.

GRVENTIA SVMMASALPES Manca il GRVENTIA al primo, perchè a mio parere, fu scritto prima che la mansione fosse colà stabilita, e manca al terzo, perchè era già stata trasferita da GRVENTIA al SVMMASALPES.

DRVANTIVM COESAO CAESAEONE. Siam nelle gole dell’Alpi; perciò ci dà meno maraviglia il cambiamento di nome nelle mansioni. DRVANTIVM era ad undici miglia da BRIGANTIO, com’era COESAO che vi aveva interposta la mansione di GRVENTIA, e CAESAEONE, che è una cosa stessa con COESAO, che vi aveva di mezzo la mansione delle SVMMASALPES, ed era sulla via che conduceva a SEGVSIONEM. Non è poi difficile a comprendere come il COESAO sia la mansione stessa che CAESAEONE. Cambiato il dittongo OE in AE, e nel luogo del secondo dittongo AE ritenutovi il solo A si forma il CAESAO che è il nominativo da cui deriva l’ablativo CAESAONE.

SEGVSIONEM SEGVSIO SEGVSIONE Quivi pure il secondo vuole usare il nominativo.

OCELVM XXVII. OCELO XX. A render conto di questa differenza di miglia, o convien dire, che qui il primo segna erroneamente XXVII, o che [p. 31 modifica]nell’intervallo che corse tra la sua scrittura e quella degli altri due, tale si fosse trovata una via, la quale fosse di sette miglia più breve.

TAVRINIS lo ha anche il primo in luogo di TAVRINOS. Crediamolo sbadataggine.

QVADRATA XX. QVADRATIS XXIIII. QVADRATA XXIII. II terzo forse sopra pensiero ritorna col QVADRATA. Il prolungamento delle quattro o tre miglia può avere sua origine nel miglioramento della via, la quale tante volte si migliora col prolungarla, scansando un’erta o una palude.

RICOMAGVM RICOMAGI RICOMAGO Il secondo s’attiene anche qui al vero caso di quiete.

CVTTIAS XV. CVTTIAE XXIIII. CVTTIAE XXIIII. Il secondo e il terzo se n’escono col nominativo plurale. Il primo nell’indicare le miglia dimentica un X.

LAVMELLVM LAVMELLVM)(LAVMELLO. Il secondo, il terzo avrebbero correttamente scritto, se avessero usato il genitivo LAVMELLI, sempre però nel sistema del caso di quiete.

TICINVM TICINVM TICINO. Di bel nuovo lo stesso errore nel secondo.

LEPIDVMREGIVM REGIOLEPIDI LEPIDOREGIO. REGIILEPIDI doveva scrivere il secondo, se voleva usare un intero genitivo. Vedesi essere indifferente il preporre o il posporre il REGIVM.

ADCALEM CALE ADCALE. Con la preposizione AD, che il secondo tralascia, il terzo congiunge il caso ablativo.

HESIM HAESIM HESIM. Tutti tre fanno uso del caso medesimo. Il dittongo del secondo vien rifiutato anche dal Gerosolimitano. Questo HESIM era una mansione che veniva a riuscire o a Cantiano o nelle vicinanze.

HELVILLVM X. HELVILIVM XV. HELVILLV X. Vicus è chiamato dall’Antoniniano, e non ha la desinenza che gli dà il secondo, se non perchè chi lo incise non fece la traversa al piede dell’I. Costui v’aggiunse del suo anche il V. al numero delle miglia. Il luogo è Sigillo, o è in quello vicinanze.

MEVANIAM MEVANIA MAEVANIA Neppur l’Antoniniano ha quel dittongo che ha qui il terzo.

NARNIAM XVIII. NARNIA XII NARNIA XVIII. Il secondo ha qui dimenticato un VI. nel numero delle miglia.

OCRICLO OCRICVLO OCRICOLO Era nell’arbitrio di chi scriveva il primo di usare o non usare della sincope; ma in lui è un errore non scrivere OCRICLVM.

ADXX. ADVICESVMO ADXX primo omette la lineetta sopra il XX; il secondo come aveva scritto l’ADDECVMO così scrive ADVICESVMO per intero. D’onde può raccogliersi qual era la pronuncia più comune in Cadice [p. 32 modifica]quando scrivevasi quest’itinerario. Mutasi questa mansione in quella della Villa Rostrata nel tempo in cui scriveasi l’Antoniniano.

SVM P. |X|DCCCXXXX(X) Il |X| chiuso entro le tre linee indica il valore di un millione: in conseguenza l’DCCC XXXX debbonsi intendere per ottocentoquaranta mila. Chiude la somma con un altro X, non chiuso tra le tre linee disposte ad angolo retto, ma tra due che segnano due mezzi cerchi. È preziosa questa cifra, perchè ci spiega l’origine di quel segno tanto somigliante all’8 degli Arabi, posto orizzontalmente. Sembra poi qui aggiunto a significare che il calcolo non è delle miglia, ma delle migliaja di passi.

SVMMA MILLIA PASSVS XDCCCXXXXII Quivi pure interpretiamo il X per un millione, quantunque il X non sia chiuso dalle tre lineette, leggendovi octodecim centena quadragintaduo millia.

SVM. M. P. X.DCCC.XXXX (X) È questa somma in tutto eguale alla prima.

Questi itinerarj sono la miglior prova che desiderare si possa della celebrità a cui erano salite le Acque Apollinari nell’epoca imperiale, le quali dovevano avere una vera efficacia contro certi morbi, se fin da un millione ottocento quaranta mila passi di distanza chiamavano a se gl’infermi.

Poichè poi nulla i rimanga in Vicarello di non pubblicato, diamo qui i sigilli principali delle figuline trovate nella demolizione della fabbrica, che ha ceduto il luogo alla nuova. I primi tre sono in una targa rettilinea gli altri in una circolare.


1.
PRIMIGENIDVO
DIOMITIORSERF
2.
CVIBIDONA
FELIXSER
3.
M . PVBLICI
SFDIEO.TON
4.
DOMITIO FORTVNATI
5.
CNDOMITARIGNOT
6.
LLVRIVSPROCVL
FECIT

Il primo di questi sigilli ha legate in nesso le sole lettere MI ed NI nella voce PRIMIGENI.



IMPRIMATUR

Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag.

IMPRIMATUR

F. A. Ligi Archiep. Icon. Vicesg.


Note

  1. Ulpian. Dig. 34. 2, 19. §. 12.
  2. Senec. 3. Quaest. Natur. 24, e 4. 9.
  3. Tom. III. T. LXIII.
  4. Florian de Ocampo Lib. I. cap. 17,