La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXXXII

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo LXXXII

../Capitolo LXXXI ../Capitolo LXXXIII IncludiIntestazione 14 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo LXXXI Libro primo - Capitolo LXXXIII

Me ne andai a Roma, e meco ne portai quel bellissimo archibuso a ruota che mi aveva donato il Duca, e con grandissimo mio piacere molte volte lo adoperai per via, faccendo con esso pruove inistimabile. Giunsi a Roma; e perché io tenevo una casetta in istrada Iulia, la quale non essendo in ordine, io andai a scavalcare a casa di messer Giovanni Gaddi cherico di Camera, al quale io avevo lasciato in guardia al mio partir di Roma molte mie belle arme e molte altre cose che io avevo molte care. Però io non volsi scavalcare alla bottega mia; e mandai per quel Filice mio compagno, e fècesi mettere in ordine subito quella mia casina benissimo. Dipoi l’altro giorno vi andai a dormir drento, per essermi molto bene messo in ordine di panni e di tutto quello che mi faceva mestiero, volendo la mattina seguente andare a visitare il Papa per ringraziarlo. Avevo dua servitori fanciulletti, e sotto alla casa mia ci era una lavandara, la quale pulitissimamente mi cucinava. Avendo la sera dato cena a parecchi mia amici, con grandissimo piacere passato quella cena, me ne andai a dormire; e non fu sí tosto apena passato la notte, che la mattina piú d’un’ora avanti il giorno io senti’ con grandissimo furore battere la porta della casa mia, ché l’un colpo non aspettava l’altro. Per la qual cosa io chiamai quel mio servitor maggiore, che aveva nome Cencio: era quello che io menai nel cerchio di negromanzia: dissi che andassi a vedere chi era quel pazzo che a quell’ora cosí bestialmente picchiava. In mentre che Cencio andava, io acceso un altro lume, che continuamente uno sempre ne tengo la notte, subito mi missi adosso sopra la camicia una mirabil camicia di maglia, e sopra essa un poco di vestaccia a caso. Tornato Cencio, disse: - Oimè! padrone mio, egli è il bargello con tutta la corte, e dice, che se voi non fate presto, che getterà l’uscio in terra; e hanno torchi e mille cose con loro -. Al quale io dissi: - Di’ loro che io mi metto un poco di vestaccia addosso, e cosí in camicia ne vengo -. Immaginatomi che e’ fussi uno assassinamento, sí come già fattomi dal signor Pierluigi, con la mano destra presi una mirabil daga che io avevo, con la sinistra il salvo condotto; di poi corsi alla finestra di drieto, che rispondeva sopra certi orti, e quivi viddi piú di trenta birri: per la qual cosa io cognobbi da quella banda non poter fuggire. Messomi que’ dua fanciulletti inanzi, dissi loro, che aprissino la porta quando io lo direi loro apunto. Messomi in ordine, la daga nella ritta e ’l salvo condotto nella manca, in atto veramente di difesa, dissi a que’ dua fanciulletti: - Non abbiate paura, aprite -. Saltato subito Vittorio bargello con du’ altri drento, pensando facilmente di poter mettermi le mani addosso, vedutomi in quel modo in ordine, si ritirorno indrieto e dissono: - Qui bisogna altro che baie -. Allora io dissi, gittato loro il salvo condotto: - Leggete quello e, non mi possendo pigliare, manco voglio che mi tocchiate -. Il bargello allora disse a parecchi di quelli, che mi pigliassimo, e che il salvo condotto si vedria da poi. A questo, ardito spinsi inanzi l’arme e dissi: - Idio sia per la ragione; o vivo fuggo, o morto preso -. La stanza si era istretta: lor fecion segno di venire a me con forza, e io grande atto di difesa; per la qual cosa il bargello cognobbe di non mi poter avere in altro modo che quel che io avevo detto. Chiamato il cancelliere, in mentre che faceva leggere il salvo condotto, fece segno dua o tre volte di farmi mettere le mani adosso; onde io non mi mossi mai da quella resoluzione fatta. Toltosi dalla impresa, mi gittorno il salvo condotto in terra, e senza me se ne andarono.