La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo VII

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Libro primo
Capitolo VII

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Dicendomi queste parole, io lo pregavo che mi lasciassi disegnare tante ore del giorno, e tutto il resto io mi metterei a sonare, solo per contentarlo. A questo mi diceva: - Addunque tu non hai piacere di sonare? - Al quale io dicevo che no, perché mi pareva arte troppa vile a quello che io avevo in animo. Il mio buon padre, disperato di tal cosa, mi mise a bottega col padre del cavalieri Bandinello, il quale si domandava Michelagnolo, orefice da Pinzi di Monte, ed era molto valente in tale arte; non aveva lume di nissuna casata, ma era figliuolo d’un carbonaio: questo non è da biasimare il Bandinello, il quali ha dato principio alla casa sua, se da buona causa la fussi venuta. Quali lo sia, non mi occorre dir nulla di lui. Stato che io fui là alquanti giorni, mio padre mi levò dal ditto Michelognolo, come quello che non poteva vivere sanza vedermi di continuo. Cosí malcontento mi stetti a sonare insino alla età de’ quindici anni. Se io volessi descrivere le gran cose che mi venne fatto insino a questa età, e in gran pericoli della propria vita, farei maravigliare chi tal cosa leggessi, ma per non essere tanto lungo e per avere da dire assai, le lascierò indietro.

Giunto all’età de’ quindici anni, contro al volere di mio padre mi missi abbottega all’orefice con uno che si chiamò Antonio di Sandro orafo, per soprannome Marcone orafo. Questo era un bonissimo praticone, e molto uomo dabbene, altiero e libero in ogni cosa sua. Mio padre non volse che lui mi dessi salario, come si usa agli altri fattori, acciò che, da poi che volontaria io pigliavo a fare tale arte, io mi potessi cavar lo voglia di disegnare quanto mi piaceva. E io cosí facevo molto volentieri, e quel mio dabben maestro ne pigliava maraviglioso piacere. Aveva un suo unico figliuolo naturale, al quali lui molte volte gli comandava, per risparmiar me. Fu tanta la gran voglia o sí veramente inclinazione, e l’una e l’altra, che in pochi mesi io raggiunsi di quei buoni, anzi i migliori giovani dell’arte, e cominciai a trarre frutto delle mie fatiche. Per questo non mancavo alcune volte di compiacere al mio buon padre, or di flauto or di cornetto sonando; e sempre gli facevo cadere le lacrime con gran sospiri ogni volta che lui mi sentiva; e bene spesso per pietà lo contentavo, mostrando che ancora io ne cavavo assai piacere.