La zecca di Bologna/Capitolo I

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Bibliografia Capitolo II


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CAPITOLO I.


Il diploma di Enrico VI, 11 febbraio 1191, che concede ai bolognesi di batter moneta — Il denaro bolognese — Prime locazioni della zecca alle società dei mercanti e dei cambiatori — Patti tra Bologna ed altre città pel corso delle monete — Varii sistemi della moneta bolognese prima dei Pepoli — Taddeo Pepoli e la moneta pepolese — Giovanni e Giacomo Pepoli — Bologna sotto il governo visconteo e della Chiesa — Prima battitura del bolognino d'oro nel 1379 — Il luogo della zecca.


È noto che, parlando dell’origine della zecca di Bologna, alcuni storici la fanno risalire molto più addietro della data certa e ormai riconosciuta come la sola attendibile, e ricordano monete bolognesi, etrusche, romane, longobarde e carolingie e alcuni arrivano a stabilirne senz’altro le impronte. La critica moderna ha demolito, sull’esempio del Muratori, ad una ad una quelle facili asserzioni ed ha dimostrato che l’origine della zecca di Bologna, una delle più antiche d’Italia e delle più gloriose, rimonta al 11911. Enrico VI imperatore, acquetate le lotte intestine di Germania, venne in Italia per esservi incoronato dal pontefice. A Bologna, accolto magnificamente et honoratamente dal popolo e dai magistrati, donava al vescovo il titolo di principe e alla città il ben noto privilegio, con diploma ii febbraio 1191, di batter moneta2. L’imperatore vi aveva però apposta una [p. 440 modifica]clausola: che la nuova moneta bolognese non fosse uguale all’imperiale ne per la quantità, ne per la forma, ne pel valore («hoc excepto quod moneta ipsorum nostris Imperialibus nec quantitate nec forma nec valentia debet adequar! „).

Che il privilegio imperiale tornasse gradito ai bolognesi perchè rappresentante il rimedio a una necessità, lo prova il fatto che si pensò subito ad approfittarne, esempio raro allora e anche più tardi. La cronaca Ghiselli ci assicura che s’incominciò col deputare Ugone, Uguccione degli Oseletti, Bualello Bualelli e Marco (o Mario) Carbonesi a disporre, come consoli, perchè la prima coniazione avvenisse tosto e regolarmente. E la prima coniazione infatti ebbe luogo nello stesso anno come ci assicurano i documenti e il memoriale reggiano che ricorda esplicitamente: " eo anno fuit facta moneta Bononie3».

Il " denarium bononiense „ compare la prima volta nelle carte il 28 luglio 1191, in una cessione enfiteutica, fatta dal monastero di Santa Maria di Reno e di S. Salvatore ad un Attone di Verardo ed a Manno di terreno, a rogito di Tetacapra di Federico notaio4. L’importante documento5 ci mostra anche che correvano allora in Bologna nelle contrattazioni i denari veronesi, oltre le lire imperiali. Siam certi, da altre fonti, che oltre quelle servivano le monete di Lucca, e, se crediamo al cronista Tolomeo [p. 441 modifica]di quella città, fin dal 1180 venivan stretti patti giurati fra il Comune di Lucca ed i Bolognesi: questi si sarebbero obbligati a spendere nei loro commerci la moneta lucchese, tanto nella città di Bologna che nel suo territorio6.

La prima moneta coniata a Bologna fu dunque detta denaro bolognese: la prima denominazione fu scelta in omaggio al privilegio imperiale. È noto che appunto le monete imperiali chiamavansi denari. Solo in seguito, come vedremo, quella moneta bolognese prese il nome di bolognino e l’esempio fu seguito dalle altre città, dopo che fu tolta l’uniformità dei denari, che era stata introdotta da Carlo Magno.

Il denaro bolognese di cui rimangono numerosi esemplari, è una piccola moneta di lega, secondo l’uso di quei tempi7, portante da un lato il nome dell’imperatore concedente il privilegio HENRICVS e nel campo le lettere I · P · R · T · (imperator) in croce: dall’altro lato il motto BO · NO · NI · e nel mezzo A. Questo tipo, con leggere varianti di punti e crocette, rimase sulle monete di Bologna fino al tempo dei Pepoli: non è facile distinguere le più antiche dalle susseguenti, anche per mancanza di documenti che ci indichino il loro peso legale e la lega stabilita. Però, per induzioni molto attendibili essendoci noto il titolo e il peso della moneta bolognese del 1205 par cosa molto verosimile che quel titolo e quel peso, (come dimostrò il prof. Salvioni nel suo scritto veramente magistrale già citato) fossero gli stessi della moneta del 1191. È infatti inverosimile (e ciò è confermato da un documento) che si mutasse a così [p. 442 modifica]breve distanza di tempo un sistema monetario da poco introdotto di pianta.

Lo Zanetti8 argomenta come verosimile che il denaro bolognese di quel tempo equivalesse a 1/3 dell’imperiale perchè non dovendo esso, secondo il diploma, essere uguale al denaro imperiale, non poteva nemmeno rappresentarne la metà per non assomigliarsi ai mezzani né il quarto per non confondersi colle medaglie (vere monete di cui non si hanno notizie e i mezzani i denari nuovi di Milano)9. Ne sarebbe venuto di conseguenza che equivalessero a un terzo degli imperiali.

Del 1200, 14 maggio, abbiamo un atto importante per la tecnologia numismatica, con cui i consoli dei mercanti e dei cambiatori ricevono dai loro antecessori in ufficio gli utensili della zecca10. Riportiamo più avanti il documento con note illustrative ed osserviamo intanto che vi si rileva che i primi ad assumere l’officina monetaria bolognese furono, (come più tardi presso la repubblica fiorentina) le arti dei mercanti e dei cambiatori, le più consigliate infatti per dirigere un ramo così geloso della pubblica amministrazione. Il locale della zecca era in quel tempo in una casa privata dei figli di certo Scannabecco e la stima degli oggetti della zecca, fin d’allora molto ben provvista, fu fatta a denari imperiali, sopra un’estimazione anteriore.

Sei anni dopo, con patto datato del 1° febbraio, fra Bologna e Ferrara, i deputati ferraresi giuravano a nome della loro città di far osservare per un decennio i capitoli allora fissati: cioè che la moneta [p. 443 modifica]bolognese, sull’esempio di quella di Bologna, fosse tale che per ogni libbra di peso non vi fosse meno d’once 2 e 3/4 d’argento e once 9 1/4 di rame e se ne ricavassero soldi 46 1/2 o denari piccoli 558, che il peso da adoperare come criterio delle successive monetazioni fosse quello di Bologna e che finalmente non si potessero introdurre variazioni nelle monete delle due città senza l’unanime loro consenso11.

Frattanto il mercato bolognese era invaso da moneta parmigiana, per la legge della moneta peggiore, avendo la città di Parma addottato a base del proprio sistema la stessa lega dei denari di Bologna, ma in numero maggiore per ogni libbra12. Perciò i bolognesi sentirono il bisogno di allargare la loro lega monetaria e con patti del 19 settembre 1209, vi abbracciavano anche Parma13. A questa lega tra Bologna, Ferrara e Parma aderì in seguito probabilmente anche Reggio, come sembra dal contenuto della rubrica XXVI del libro VII degli Statuti di Bologna14.

Verso il 1216, la città incominciava a risentirsi della mancanza di moneta propria, causa [p. 444 modifica]l’esportazione che ne veniva fatta, con qualche vantaggio. A provvedere a una nuova coniazione il Comune, col mezzo di Viscontino Visconti podestà, dava in appalto la zecca, con atto 5 aprile 1216, alle stesse arti dei mercanti e dei cambiatori, che la tenevano15. Il termine della locazione fu fissato a due anni e si stabilì di conservare gli stessi pesi, bontà e lega precedenti. Il corrispettivo fu fissato in 85 lire di bolognini (it. L. 633.07) in due rate da pagarsi anche se non si battesse moneta. Come osserva il Salvioni qui apparisce per la prima volta che si ricavava qualche vantaggio dal coniar moneta, ma quale non sappiamo; certamente non piccolo a giudicare dal compenso rilevante dell’appalto anche tenuto conto che v’era compreso il fitto degli utensili dell’officina.

Le cose erano bene incamminate e allo scadere del termine della locazione, il contratto fu rinnovato colle due arti che però questa volta ne addossarono il carico ad un Aldobrandino de’ Burigagni da Lucca del quale il Savioli pubblicò l’importante giuramento pel buon governo della zecca. Il zecchiere prometteva di conservare tutte le suppellettili dell’officina e di non introdurre robe sue o d’altri " in summa moneta Bononie, nisi illam mobiliam que mihi designata erit a consulibus mercatorum et campsorum. Et monetam bon. bonam et legalem faciam et facere faciam et alligabo et alligare faciam et tres untias minus uno quarterio arzenti mittam seu mitti faciam et viiij uncias et unum quarterium de ramo mittam vel seu mittere faciam et xlviiij sol. et vj den. de denaris modenatis (sic) per libr. bon. ponderatam faciam secundum consuetudinem monete facte tempore domini Vicecomitis olim potestatis Bononie „16. Il [p. 445 modifica]Burignani giurava inoltre di sottostare agli ordini dei soprastanti alla zecca. Questi pubblici uffiziali, come nelle altre città, sorvegliavano a nome del Comune, sul buon andamento della zecca, stendendo i contratti di locazione, nominando gli assistenti e gli assaggiatori (de’ quali però troviam notizie più tardi) e scegliendo il locale della zecca.

Di essi il Salvioni pubblicò il giuramento17. Questo documento è una interessante pittura dell’amministrazione, del regime interno, delle operazioni tecniche, del personale di una zecca medioevale. Vi troviamo l’acquisto del cambium o metallo da monetare, assistiamo alla alligazione dei metalli, vediamo formarsene i catii e trarsene i denari, in tondelli, nigri cioè ossidati dall’azione del fuoco: se ne vede sperimentare la perfetta uguaglianza, prima di imbianchirli colla liscivia o con acidi per essere affiorati e coniati. L’operazione finiva con un altro riscontro, collo scarto dei denari reprobi, colla registrazione dei denari compiuti e legittimi che uscivano di zecca. Quest’ultima cautela era raccomandata in modo speciale ai maestri di zecca in tutti i contratti, come vedremo. La parte metallurgica spettava a varie classi di operai fra i quali erano funditores, sazatores, incisores: il conio ai monetarii.

Dopo aver accennato alle convenzioni 15 novembre 1230 tra il Comune di Bologna e Bonsignore battitore di monete. Martino Grasso, Bonaventura Gonzaga da Verona, Buono da Vimercate ed altri, senza dati nuovi18 e ad un primo accenno a monete falsificate nel 123319, veniamo alla battitura del 1236.

[p. 446 modifica]In quest’anno, come narra la cronaca Bolognetti: " messer Ubaldo Sordo fu podestà di Bologna et in quale anno li Bolognixi comenzano a batere la moneda grossa d’argento „ non bastando più ai commerci la moneta minuta battuta fino allora. La notizia è confermata dal Ghirardacci e da tutti gli storici bolognesi, che però non riuscirono, (come non vi riuscimmo noi) a trovar notizie precise sul titolo e sul peso di questa moneta grossa. Se però crediamo al Zanetti e alle esperienze da lui fatte, i bolognini grossi di quel tempo avrebbero pesato circa 32 grani: siccome 240 erano i denari in una libbra, abbiamo 7680 grani ossia troviamo rinnovata in Bologna quella perfetta rispondenza fra la unità ponderale ed il peso monetario che Carlomagno aveva, ai suoi tempi, sapientemente instaurata e che s’era smarrita nelle età successive. Quanto al titolo, Zanetti riferisce da un codice Magliabecchiano la notizia che nel periodo 1250-1254 " la libbra di bolognini tiene oncie d’argento X20. „

Dal che il prof. Salvioni citato deduce che, se tutte queste induzioni sono esatte, si può ancora affermare che il terzo sistema monetario, che secondo le fonti del Savigny, data dal 1269, dovrebbe riportarsi al 1236. Infatti se i bolognini grossi d’argento si coniavano con dieci oncie di fino e ne andavano 240 per libbra, avremo oncie 10 = 6400 grani, da cui 6400/240 = 26 2/3 grani d’argento puro per ogni bolognino grosso, che rappresenta appunto il peso, come vedremo, prefisso ad esso bolognino nel 1269.

Anche su questo terzo sistema, ci convien seguire la dotta guida del Salvioni che ha trattato [p. 447 modifica]abbondantemente la parte di queste prime monetazioni, per quanto sotto un aspetto diverso dal nostro.

Avverte egli che a proposito di questo terzo sistema, definito espressamente nel 1269, vi si nota una novità, che il titolo delle nostre monete viene ragguagliato alla lega dei grossi veneziani, e prima di descriverlo egli rammenta un episodio che spiega questa innovazione, riferito e documentato dal Savioli, narrato anche dallo Zanetti, e che noi riassumeremo.

Bisogna risalire al 1262, in cui venne per la prima volta podestà a Bologna Andrea Zeno veneziano. Già da qualche anno negli Statuti bolognesi esisteva una rubrica " De moneta facienda «ma nel 1262 la rubrica fu mutata: «Quod potestas teneatur dare operam quod moneta grossa batetur» e vi si aggiunse questo periodo, sfuggito al Savioli e allo Zanetti: «Addimus huic statuto quod medalie menute ques sint medalie valimenti medietatis unius denarii parvi battantur, et etiam bononini grossi aurei, qui sint quilibet bononinus aureus valimenti XX soldorum bononinorum et hec omnia sint precisa et precise debeant observari per Potestatem et ançianos et consules, et si aliquis ançianus sive consul poneret ad conscilium populi quod hoc fieri non deberet, vel concionaretur in conscilio comunis Bononie quod predicta non fierent vel quod differetur, condempnetur per potestatem quilibet ançianus sive consul in XXV libris bononinorum et have condempnationem Potestas precise facere teneatur jnfra XV dies postquam contra hoc factum fuerit vel dictum. „ Ma per allora non se ne fece nulla, cosicché, tornato due anni dopo Andrea Zeno podestà a Bologna, riprese l’idea di quella coniazione. Chiamò da Venezia un Guido Megano (non " Megatio „ come lesse il Savioli) coi fratelli Damiano e Pietro e creatolo zecchiere, con contratto 24 aprile 1264, gli impose una complicata [p. 448 modifica]monetazione di medagliole, denari piccoli e grossi, e bolognini d’oro. Ma il progetto abortì e questo episodio non ha per noi altra importanza che storica.

Il locatario della battitura progettata nel 1269 fu cercato a Firenze nella persona di Betto Tornaquinci che, con contratto del febbraio 1269, che il lettore troverà in appendice21, si obbligava a batter monete d’argento in modo che da ogni oncia si dovessero ricavare d. 52 1/4 di piccoli (colla tolleranza da piccoli, 49 1/4 a 55 1/4): i grossi rispondevano al soldo dei piccoli dunque a grani 26 2/3, per modo che il soldo di grossi conteneva grani 320 o mezz’oncia, la libbra grossa grani 6400 o dieci once di fino.

Anche questa volta la battitura non ebbe luogo a giudicare dal fatto che l’anno successivo la zecca fu affidata per un quinquennio a un Nicolò di Guglielmo bolognese. Nel 1284 nuova locazione ad Opizzino dei Lamandini e a Matteo Culforato, ma non ne rimangono particolari: le notizie sono date così dai Memoriali dei notai Geremia Angelelli (1270) e Giovanni Barbarossa (1284)22.

Ed ora passiamo al quarto sistema della moneta bolognese, del 1289, ricordata anche dal Ghirardacci23. Riassumiamo dalle lunghe provvigioni la parte che ci interessa. Sembra che i bolognesi stentassero a trovare un zecchiere, causa lo scarso profitto offerto, mentre cresceva il bisogno di moneta minuta il cui pregio era causa della sua esportazione al di fuori. È noto infatti che fin d’allora i bolognini avevano tal fama nei mercati che erano scelti e sparsi dovunque. Si bandì un invito che cadde a [p. 449 modifica]vuoto;, cosichè il Comune nel novembre del 1289 dovette affidare la zecca ai banchieri e ai mercanti.

Quello che è notevole è che una commissione appositamente scelta, suggerì una leggera riforma del sistema monetario, che fu accolta dal Consiglio quasi all’unanimità. I denari grossi si sarebbero coniati, come pel passato, in ragione di 13 e 4 d. per libbra, ma dei piccoli ne sarebbero ricavati 53 per oncia, ossia 53 × 12 = 636 in luogo di 627 per libbra24.

A coniare bolognini grossi e piccoli fu chiamato nel 1291 un tal Giacomino di Carlino maestro in quell’arte (Provvigioni F, c. 152, 153): egli, come risulta da una memoria vista dallo Zanetti, fu della famiglia Truffi ed in origine era stato bandito perchè seguace dei Lambertazzi.

Nel 1295, 21 novembre nuova locazione della officina alla società dei cambiatori per sei anni per coniare bolognini grossi e piccoli25 e l’anno dopo [p. 450 modifica]cessione della zecca dai cambiatori ad un Andrea di Bonino (Mem. di Gioannino di fra Deulay de Sala, I sem. 1296, 16 marzo). Dopo questo sembra non avvenissero mutamenti nella nostra moneta prima del governo dei Pepoli e il Ghirardacci e le scarse riformagioni di quel perìodo ci ricordano solamente che nell’anno 1300, visti gli Statuti della città, si coniò altra moneta dal solito tipo e qualità26; che nel 1301 si bandì da Bologna la moneta imperiale perchè deficente di valore27; che nel 1305 fu ritirata dalla circolazione la moneta rasa e con essa se ne fabbricò altra28; finalmente che nel 1313 si battè ancora moneta29.

La nomina di Taddeo Pepoli a signore della città, il 28 agosto 1337, fu salutata dal popolo come il principio di un’era di pace per la città. Egli ricusò il titolo di " signore „, nome che suonava male in un comune che aveva tanto lottato per la libertà, preferì quello di capitano generale e datosi alle riforme che i nuovi tempi reclamavano, seppe presto conquistare buon nome presso il popolo30.

Tra queste riforme ci interessa la nuova battitura di monete, di cui è fatto cenno in una provvigione del 20 febbraio 1338. La nuova moneta pepolese fu battuta a somiglianza degli agontani (corruzione di " anconitani „) che equivalevano a due grossi l’uno o 23 denari ad Ancona e 24 a Bologna31. Ne [p. 451 modifica]rimangono prodotti: portano da un lato la leggenda TADEVS DE PEPVLIS all’ingiro e una croce greca nel mezzo (allusiva probabilmente all’impresa guelfa del Comune) e dall’altro lato la figura intera di S. Pietro nimbato colle parole all’ingiro S. P. (Petrus) DE BONONIA, allora venerato protettore della città. Di tal coniazione ci parla anche la cronaca Villola di quel secolo32 e una grida dello stesso anno della battitura, che prescrisse che la nuova moneta non potesse spendersi che in città, comminando pene agli asportatori come ai contraffatori33; ma non sappiamo con precisione quale ne fosse il titolo ed il peso. Lo Zanetti assicura che le pepolesi da lui possedute pesavano 57 grani e quindi, da nuove, 58.

Un documento visconteo del 1350 che prescrive che gli zecchieri milanesi dovessero battere bolognini grossi alla lega dei pepoleschi, coniati al tempo di Taddeo, ammette come grado di bontà oncie 9 e denari 22, ma lo Zanetti nei suoi saggi trovò invece 10, 14. Sopra alcune diversità di notizie relative al valore e alle leggende di questa moneta coniata da Taddeo non crediamo necessario intrattenerci, essendo già stato notata da altri la loro poca attendibilità, comprovata dalla mancanza di altre monete pepolesi di quel periodo nelle collezioni italiane34.

Anche i figli di Taddeo Pepoli, Giovanni e Giacomo, subentrati al padre nel governo della città, coniarono nel 1349 nuovi bolognini col loro nome, che descriveremo a suo luogo, ed il Gherardacci ricorda inoltre che furono messi in circolazione sulla [p. 452 modifica]fine di quell’anno e che con quelli furono distribuite le mancie del Natale.

L’anno susseguente i due figli di Taddeo, degeneri dal padre che aveva avuto a cuore la grandezza della città, vendevano Bologna all’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, dando uno di quegli esempi di cui non è penuria nella storia del medioevo. Sotto il nuovo dominio si coniarono bolognini grossi e piccoli.

Da Milano l’arcivescovo mandava a Bologna i fratelli Maffiolo e Lorenzino de’ Frotti per coniarvi monete, ordinando loro di provvedere l’argento e, nel caso, esonerandoli dal dazio. Radunatisi il 21 novembre gli Anziani, i Consoli e otto sapienti per quartiere chiamati dal Vicario, concordemente stabilirono che le nuove monete dovessero portar scritto, secondo l’ordine dell’Arcivescovo nel diritto la parola IOHES VICEC-OMES colle ultime quattro lettere nell’area disposte in croce e nel rovescio il nome della città BO · NO · NI · e l’A finale nel campo, per seguire l’uso fino allora invalso nella zecca bolognese. La lega sarebbe stata la medesima dei pepolesi " zoè che la livra de l’ariento peso contegna unze diexe meno de dui d’argento fine almeno de liga de peso sieno vintidui bolognini grosi per onze e non plue, si che ne vadano ne la livra peso de romano bolognini doxento sexanta quattro e non plue, cum questa zunta che se gl’avignise che al deliberare la moneda se trovasero dinari uno e mezo de liga, meglo o peso ch’el pato sovrascripto, la livra a peso che la sia intera bona e fina „35.

[p. 453 modifica]A far cessare del tutto l’ultimo ricordo della signoria dei Pepoli, un bando del 12 febbraio 1353, mentre era governatore pei Visconti, l’Oleggio, stabilì che entro otto giorni si spendessero o si portassero al banco di Ligo cambiatore (che ne avrebbe dato un fiorino d’oro di soldi 35, sebbene il ducato si spendesse per soli soldi 30) i bolognini grossi coniati da Taddeo che correvano per la città.

Conseguenza di tal bando fu che nel susseguente anno 1351 si coniarono nuovi bolognini grossi, dello stesso tipo di quelli dell’anno precedente come ci assicura una provvisione del 23 settembre: furono coniati dallo stesso zecchiere Maffiolo de’ Frotti, della stessa lega dei precedenti, ma di soli ducento sessantatre alla libbra " cum dimidio. „ V’è ricordato che la officina era allora in capella di Santa Maria di Porta Ravennate36.

Il cronista Bartolomeo della Pugliola aveva attribuito all’Oleggio anche la coniazione di bolognini piccoli di cui v’era penuria in città perchè anche durante la signoria dei Pepoli non se n’eran battuti e aggiungeva che s’erano sparsi sul mercato nell’ottobre del 1351. Non si conosce alcun esemplare di questo piccolo che dev’essere rarissimo. Il Zanetti ne possedette uno, ora perduto e ne dà la descrizione. Aveva le stesse leggende del bolognino grosso visconteo sopra descritto con alcune stellette in luogo dei punti fra le lettere: non pesava che grammi io e forse doveva pesarne 11 appena uscito di zecca: sembrava contenere poco più di un’oncia e mezzo di fino per libbra e per conseguenza il suo valore, secondo il Zanetti, era di un denaro o sia bolognino piccolo, dodici dei quali formavano il grosso.

Non abbiamo notizie importanti della zecca [p. 454 modifica]bolognese sotto i successivi governi di Innocenzo VI (1352-1362), di Urbano V (1362-1372) del quale ci rimane un bolognino d’argento col suo nome e ritratto e di Gregorio XI (1372-1378) anche per mancanza di carte di quel tempo negli archivi pubblici.

Importantissima invece è la innovazione creata nel 1379, ed attuata dopo il 1° gennaio dell’anno susseguente, sotto la signoria della Chiesa, cioè l’introduzione per la prima volta del fiorino d’oro. La nuova moneta fu chiamata bolognino d’oro, cosicché da allora il bolognino fu completamente introdotto nelle tre materie ormai adottate negli scambi: oro, argento e rame. Ne assunsero la coniazione Bernardo di Domenico Nardo e Zenobio di Paolo de Jaceto, fiorentini, e il nuovo bolognino fu battuto ad imitazione del ducato veneziano (mantenutosi più fedele al tipo originario del fiorino di Firenze) e quindi d’oro purissimo in ragione di 102 fiorini per libbra d’oro, ossia del peso di grani 75 15/51 per cadauno (7680/102) che sono grammi metrici 3,5471. Il fiorino venne valutato a 34 grossi d’argento, cioè a 2 s. 10 d. di grossi, corrispondenti, secondo l’ultimo ragguaglio del 1289, a 906 grani di puro argento: e si ricaverebbe per il 1379: 75: 90 = I: 12.8, come ragguaglio fra i due metalli37. Bologna che, come vedemmo, non aveva accolto molto tempo prima le proposte del podestà Andrea Zeno, ebbe così soltanto allora il fiorino quando questo era già stato accolto in molte parti d’Europa.

Porta nel diritto il motto BONOMIA DOCET (che fu introdotto per la prima volta a ricordare al mondo civile la gloria dello Studio) e il leone rampante collo [p. 455 modifica]stendardo dalla croce comunale38 e nel rovescio il S. Pietro in piedi colle parole all’ingiro S. PETRVS APOSTOLVS. Ai bolognini d’argento fu lasciato il motto MATER STVDIORVM, come si vedrà nelle descrizioni delle monete che riporteremo a suo luogo.

In questo tempo però andavano diminuendo di qualità i piccioli, dei quali se ne ricavavano 768 per libbra e l’argento essendo ridotto a grani 1226 2/3, ogni denaro non conteneva più di grani 1 43/72 di fino: di qui il deprezzamento dei danni piccoli e la necessità di una moneta spicciola più grossa nei quattrini coniati, come vedremo, nel 1404 e che equivalevano a due soli dei nostri denari39.

Del 1385 ci rimane l’indicazione precisa del luogo in cui era la zecca in un atto dell’8 novembre, da cui risulta che presenti all’estrazione delle monete erano i rappresentanti del Comune, i cambiatori e una rappresentanza della società degli orefici come interessata a conoscere il saggio delle monete coniate: vi è detto che teneva l’officina Tommaso di ser Gerardo de la Lana, cessionario di Rodolfo dei Sabatini e che l’officina era posta in capella sancta Tecle de Portanova ossia circa nella località dell’attuale palazzo degli Anziani. Nel XIII secolo invece era stata presso (forse dentro) il palazzo del Podestà. Trovammo che, nel 1433 non era più nel luogo sopradetto. Vedremo che più tardi fu situata al pian terreno di una delle case Bentivoglio e che solamente verso la fine del XVI secolo fu costrutto espressamente il palazzo della zecca che rimane tuttora.

Nel 1398 22 aprile, nuova provvigione per coniar [p. 456 modifica]moneta d’ogni metallo in Bologna, ma senza nuovi particolari40.

Così si chiude la serie delle notizie di questo periodo, di non poco interesse per il monetografo, che se non trova in quei primi prodotti la bellezza di quelli che seguirono, in compenso può studiarne meglio la varietà ed assistere ai progressivi risultati a cui fin d’allora seppe arrivare quel ramo importante della pubblica amministrazione.





Note

  1. Muratori, Antichità italiane II. 260 ediz. milanese MDCCCXXXVI. Egli (e sul suo esempio gli storici bolognesi) confutò il preteso diploma di Desiderio su cui si appoggiavano le asserzioni antiche sull’esistenza di moneta bolognese longobarda.
  2. V. doc. I in appendice. Fu già pubblicato dal Muratori, dall’Argelati e da altri. Lo riportiamo dal Savioli, Annali bolognesi II. 167, doc. CCXCVIII, dopo averlo collazionato sulla lezione della copia del sec. XIII, nel Registro Nuovo, c. 14. v. presso il R. Archivio di Stato di Bologna — Sezione Comunale.
  3. Nel Rerum it. scriptores, Vol. VIII. MCXCI.
  4. Arch. cit. Demaniale. Busta - 25/2472 n. 21 S. Salvatore. — Avvertiamo fin d’ora che tutti i documenti che richiameremo s’intendono tratti dall’Archivio di Stato di Bologna, quando non vi sia diversa indicazione. Fino al 1512 appartengono alla Sezione Comunale: dopo quell’anno alla Pontificia.
  5. Pubblicato dal prof. G. B. Salvioni, La moneta bolognese e la traduzione italiana del Savigny (Atti e Mem. della R. Deputaz. di Storia Patria per la Romagna, III Serie, Vol. XII) da cui scegliamo le notizie relative ai valori delle prime monete bolognesi.
  6. Muratori, Annales Ptolomaei Lucensis nei Rerum it. script., t. XI, col. 1272.
  7. V. descrizione di queste come delle monete che verremo ricordando, in Appendice.
  8. Biblioteca Comunale di Bologna. Ms. 8384, v. bibliografia.
  9. Sulle monete di Milano v. l’opera dei sigg. Gnecchi Francesco ed Ercole, Le monete di Milano da Carlo Magno a Vittorio Emanuele. Milano, Dumolard, 1884.
  10. V. doc. II.
  11. Si avverta la debolezza della lega che risponde al 229 %, ma, nota il prof. Salvioni (op. cit.), quanto più tornava necessario coniare monete di poco valore, altrettanto era impossibile attenersi al sistema antico del metallo puro, perchè tali monete sarebbero sfuggite all’occhio ed alla mano. Né si poteva pensare al conio di moneta di rame: perchè il concetto della moneta non poteva allora esser chiaro, come fu poi; perchè non si sarebbe saputo come mantenere il ragguaglio fra la moneta maggiore più antica e le nuove spicciole; perchè finalmente quanto più si torna addietro nel tempo, tanto più la mente, non so dire se più rozza o meno scaltrita, esige di avere nella moneta un pegno del valore che rappresenta.
  12. P. Ireneo Affò, Della zecca e moneta parmigiana illustrata, libri III (nel Vol. V, dello Zanetti, Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia. Bologna, Lelio della Volpe, 1775-1789).
  13. Registro nuovo, c. 132 " De licentia bononie data a Ferrarla quod cum parmensibus monetam faciant. „
  14. Ediz. Frati, II, p. 35 e Salvioni, Op. cit.
  15. V. doc. IV.
  16. Savioli, Op. cit., Vol. II, P. II, p. 399, doc. CCCLXII dal Registro grosso, lib. I, p. 347.
  17. Op. cit. Lo riportiamo (V. doc. III) perchè di molto interesse per la nostra illustrazione.
  18. Registro grosso, l. I, c. 500, r.° in Archivio di Stato di Bologna.
  19. Registro grosso, c. 517, v.
  20. Salvioni, Op. cit.
  21. V. doc. V.
  22. Arch. cit. Com.
  23. Historia di Bologna. Bologna, Rossi, MDCV, 1, 290.
  24. Provvigioni, lett. H, e. 262, r. 272, r. e v.
  25. 1295, 21 novembre, c. 64, v. Nella locazione della zecca al sindaco della società dei cambiatori è prescritto di coniare " ad suficentiam ita quod habundancia sit in civitate Bononie et districtu de bononinis parvis et medaglolis scilicet quod due medagle valeant unum bononinum parvum bine ad sex annos proximos venturos monetam novam silicei de bononinis grossis et bononinis parvis erri boni argenti ponderis et lighe prout atenus in civitate Bononie fieri consuevit videlicet quod bononini grossi qui fieri debebunt sint et esse debeant ad decem ungias et terciam argenti veneti grossi vel erri boni et duas ungias minus terciam rammi et duodecim unzias bononinorum grossorum tali modo quod forciores minus sint ponderis tredecim soldorum et duorum bononenorum in marcha at flebiores non possint intrare plus quam tredecim soldos et sex denarios bononinorum in marcha ita quod comunales asendant tredecim soldos et quatuor denarios in marcha bon. scampita albos et rotundos. Ita quod bononini parvi qui fieri debebunt debeant fieri et esse ponderis duodecim unciarum bononinorum parvorum et due uncie et dimidij quarterij argenti veneti grossi vel erri boni et novem ungiarum et trium quarteriorum et dimidij rami et quod debeant asendere in uncia quinquaginta trium bononini parvi quod tali modo quod forciores non possint esse minus quinquaginta sex in unzia, ecc. „
        Memoriale di Bonifacio qd. Bonazunta da Savignano II semestre, 1295, e. 64.
  26. Provvigioni, lett. D, c. 14.
  27. Ghirardacci, Op. cit. I, pag. 428 (dalle Riform. cit.).
  28. id. Op. cit. I, pag. 563. V. i doc. e illustrazione nel recente scritto di G. B. Salvioni, Sul valore della lira bolognese, in Terza serie, Vol. XIV, fasc. IV- VI degli Atti e M. d. R. Deput. di Storia patria per la Romagna.
  29. Ghirardacci, Op. cit., I, pag. 563.
  30. id. Op. cit.
  31. Provvigioni di Taddeo Pepoli, 1338.
  32. Biblioteca Universitaria di Bologna.
  33. Provvigioni cit.
  34. Taddeo Pepoli eletto signore di Bologna. Moneta battuta sotto il suo governo. Domenico Sugana per nozze Isolani. — Tattini. Bologna, R. Tip. 1864.
  35. V. Lodovico Frati, Documenti per la storia del governo visconteo in Bologna nel sec. XIV. (Arch. Storico Lombardo, Anno XVI, fasc. III, 30 settembre 1889).
  36. Frati, ibid.
  37. Salvioni, Op. cit.
  38. Si noti che la croce rossa in campo bianco è lo stemma del Comune e il motto libertas quello del Popolo. Nel sec. XIV incominciarono ad essere uniti insieme.
  39. Salvioni, Op. cit.
  40. Provv. in capreto G 1394-1400, c. 18, 2a numerata.