La zecca di Bologna/Capitolo III
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LA ZECCA DI BOLOGNA
CAPITOLO III.
Succedeva nel soglio pontificio ad Alessandro VI Pio III, di cui rimane un raro ducato d’oro, e subito dopo Giulio II (1503-1513). Primo pensiero di papa Giulio fu di ricuperare alla Chiesa le città che, governate da varii principi, si erano a poco a poco staccate dal dominio diretto di Roma. Fra queste era Bologna sulla quale Giulio II vantava diritti speciali e che dopo la lunga signoria di Giovanni II, si era volta del tutto al ghibellinismo. Ma il Bentivoglio era caduto in discredito negli ultimi anni e il suo partito aveva assottigliato le file perchè molti bentivoleschi erano passati al popolo, che odiava Giovanni dopo il suo nuovo regime basato sulla violenza e sulla crudeltà. Ad assediare la città il papa mandò il Chaumont con seicento lance francesi, tremila Svizzeri e molta artiglieria. La città si armò, fortificò la cinta, ma stretta dal forte nemico dovette cedere, non senza dare un’estrema prova di valore respingendo gli attacchi del fiore dei cavalieri di Francia e allagando il campo nemico colle acque fangose del Reno (1506)1. Giovanni II dovette cedere la città al Chaumont che gli garantiva salva la vita e le ricchezze e sicuro asilo a Milano.
Poco dopo a render più solenne l’unione della città allo stato della Chiesa, Giulio II fece una visita ai bolognesi. Il corteo per la sua entrata trionfale, durante il quale furono sparse al popolo le note monete già attribuite al Francia, era formato di una lunghissima cavalcata di senatori, di magistrati, di rappresentanti delle varie classi cittadine, di vescovi e prelati, di ambasciatori dei varii stati, di cardinali: dietro questi venivano il tesoriere del papa e il datario Giuseppe Gozzadini, che spargevano al popolo monete d’oro e d’argento: seguiva finalmente il papa in sedia gestatoria e dietro lui tutti i fuorusciti bolognesi2.
Le monete gettate al popolo, di cui rimangono tuttora esemplari, sono di due sorta. Il cerimoniere Paride Grassi che le fece coniare, non parla nel suo Diario che di due sole, de utroque numismate e ci toglie il dubbio che ne fossero state sparse altre. Le une in oro, del valore di un ducato, del peso di gr. 3.40 portano nel diritto l’arme del papa (Della Rovere) sormontata dalle chiavi decussate e dalla tiara e intorno la leggenda JVLIVS · II · PONT · MAX ·, e nel rovescio la figura di S. Pietro in piedi, di prospetto, colle chiavi nella destra e il libro nella sinistra e intorno le parole: BON · .P · JVL · A · TIRANO · LIBERAT · (Bononia per Julium a tyranno liberata). Le altre, in argento, del valore di un bolognino e del peso di gr. 1.30 portano le stesse impronte, meno una piccola variante: lo stemma pontificio non vi è incorniciato dal comparto polilobo a più righe come in quelle d’oro.
L’asserzione del Vasari che attribuiva queste monete, invero mediocri, al Francia, fu già ritenuta erronea dal Cavedoni3, dal Giordani4, dal Friedlaender5: ad appoggiare le loro asserzioni il dott. L. Frati6 riportò un partito da cui risulta che realmente il Francia non lavorò per la zecca prima del novembre 1508. Un mandato di pagamento di cinquanta ducati al Francia che aggiungiamo ai nostri documenti e che era sfuggito fin qui agli studiosi appoggia quei risultati e toglie ogni dubbio in proposito notando che quella mercede fu data all’artista "pro duarum stamparum S.mi D. N. pro stampandis monetis.... tam pro dictis stampis quam pro alijs stampis quas ipse promittit et se obbligai facturis prout erit necessarium„7. Si tratta dunque di un vero contratto concluso allora col Comune, nel quale il Francia si obbligava a incidere i conii per la zecca incominciando da allora. Le monete a cui alludono i due documenti sono quelle bellissime col ritratto del papa e lo stemma del Comune.
Al Francia quindi appartengono tutte le monete bolognesi del tempo di Giulio II e parecchie di quelle di Leone X, perchè il grande artista prestò probabilmente l’opera sua per la zecca bolognese, fino all’epoca della sua morte, avvenuta nel 15178.
La zecca era stata messa all’incanto il 10 novembre del 1508 e Giannantonio Saraceni e alcuni soci si erano presentati, ma avendo sentito che il termine della locazione era portato a dieci anni, termine per essi troppo lungo, viste le condizioni politiche poco stabili della città, essi si ritirarono. L’officina invece fu assunta da Antonio Maria Legnani, gonfaloniere di giustizia, che promise di far coniare ducati d’oro in ragione di lire 3 e soldi 10 l’uno, nonchè grossoni o gabellotti in ragione di 130 per ogni libbra d’argento equivalenti a giulii 819. Furon poi battuti dei giulii da soldi 7, come si rileva da un bando, ma furono ritirati dalla circolazione perchè di non giusto peso.
I prodotti del Francia sono realmente bellissimi. Sopratutto le monete d’oro e d’argento, i ducati e i giulii, rappresentano le migliori cose della zecca bolognese. La testa rubiconda e caratteristica di papa Giulio vi è riprodotta con finezza grandissima: le occhiaie vi sono profondamente scolpite, la bocca è tagliata rudemente (come nel bel medaglione col ritratto e le parole Julius ligur papa secundus MCCCCCVI)10. Nel rovescio il S. Petronio seduto è bello e maestosamente modellato: le pieghe sono parche, ben disposte: ai lati, a guisa di bracciuoli della sedia vescovile salgono due fregi a forma di S con foglioline, terminanti con due rosettine, che rivelano, come il sottile giro di perline e i piccoli dettagli sparsi qua e là, l’amorosa diligenza dell’orefice.
Incominciò in quel tempo l’ufficio stabile e spesso a vita del celator o incisore dei conii presso l’officina monetaria. Veniva assegnato dal Comune ad incisori di grido e pratici del difficile lavoro della fabbricazione dei punzoni. Gli appaltatori dovevano quindi assoggettarsi alla volontà del Comune, che sceglieva gl’incisori. Solamente quando il locatario sapeva fabbricarsi da sè i conii egli riuniva le due qualità, realizzando un’economia notevole pel Comune. Se la scelta del maestro dei conii, che sorvegliava anche la fabbricazione delle monete, aveva importanza pel Comune a cui stava a cuore (specialmente in tempo così eminentemente raffinato come il rinascimento) che le monete del luogo fossero belle ed apprezzate negli scambi, non importava invece gran fatto ai maestri di zecca, che nell’appalto dell’officina non vedevano che una sorgente di lucro. Oltre l’incisore dipendevano di regola dal Comune, (quando i contratti non disponevano diversamente) anche gli assaggiatori, due pel solito, persone di fiducia e pratiche, i garzoni e il custode, tutti stipendiati dalla Camera.
Quando avremo ricordato il bando 28 febbraio 1509 che tolse dalla circolazione i giulii da soldi 711, la riconferma della riduzione del ducato a lire 3 e soldi 212, l’aggregazione di un nuovo locatario Giulio Pasi al Legnani, cogli stessi patti13, un nuovo decreto che stabiliva che il ducato potesse spendersi a lire 3 e soldi IO (7 settembre 1509)14, avremo aggiunto quanto può interessare sul breve periodo di signoria in Bologna di Giulio II.
Frattanto, le condizioni della città si facevano sempre più tristi per le lotte intestine provocate dai bentivoleschi che non s’erano ancor dati per vinti e dalle feroci repressioni dell’Alidosi, legato pontificio. Sappiamo dai contratti che in casi di guerre o di condizioni difficili i maestri di zecca potevano rompere il legame, e infatti nel 1510 rinunciavano all’ufficio. Nuovo incanto della zecca, coll’obbligo di coniare giulii in ragione di 82 o 83 per libbra. Ai malanni s’aggiunse la peste e l’appalto andò per quella volta deserto15.
I Bentivoglio, coll’aiuto di Francia, nel 1511 rientravano in città, per l’ultima volta. Il papa, fu sollecito ad allestire nuove truppe, sotto il comando di Marcantonio Colonna, per riconquistare la città.
Il territorio bolognese fu invaso dalle truppe pontificie e spagnuole alleate e il condottiero Armaciotto dei Ramazzotti, al soldo del papa, occupò la forte posizione di S. Michele in Bosco, sovrastante alla città. Per quella volta ancora la fortuna arrise ai Bentivoglio, che costrinsero le truppe alleate a levare l’assedio. Ma nel giugno del 1512 il papa ritentava l’impresa, e Bologna, questa volta abbandonata dalla Francia che aveva richiamate le sue milizie, ricadde in potere del papa: il 10 giugno i Bentivoglio abbandonarono per sempre la città16. Il popolo acclamò i nuovi signori e i Riformatori, con quello spirito di opportunità che è una caratteristica di quel tempo, imprecavano all’antico signore e professavano devozione al nuovo17.
Da allora in poi Bologna, incastonata nello Stato pontificio, non ebbe più vita autonoma e seguì le vicende di un più vasto corpo sociale. Però (ripetiamo le belle parole dell’Albicini) assoggettata che fu, non si accasciò e seppe tenere in rispetto i despoti, che qui non osarono neppur tentare ciò che altrove facevano a tutto agio. A ciò valsero in parte le mostre di governo libero che serbò: i Quaranta, il Gonfaloniere di Giustizia, l’ambasciatore alla corte di Roma, tutto il vecchio apparecchio insomma che rappresentava e proteggeva l’autonomia amministrativa; valsero gli usi, i costumi, lo special modo di vivere cui si attenne tenacemente; valsero le belle tradizioni letterarie ed artistiche e sopra tutto " lo Studio. „
Note
- ↑ G. Gozzadini, Op. cit., Di alcuni avvenimenti in Bologna dal 1506 al 1511 (Atti e Mem. delle Dep. di S. P. per le Rom. S. III, Vol. VII).
- ↑ G. Gozzadini, Op. cit., pag. 220 e segg.
- ↑ Memorie di relig. di mor., ecc., tomo XII, pag. 73.
- ↑ Almanacco statistico bolognese. Anno XII, pag. 271.
- ↑ Die Italienischen Schaumünzen, ecc., pag. 174.
- ↑ Op. cit., V. pure la tavola.
- ↑ V. doc. X - a) e b).
- ↑ Alcuni scrittori, tra i quali l’Heiss, mettono alcuni esemplari che secondo noi hanno caratteri di monete (tra i quali quelli di Giulio II col motto Bononia a tyranno liberata) tra le medaglie. L’Heiss attribuisce al Francia cinque sole medaglie, il Friedlaender circa 16: il primo mette però tra le attribuite al Francia quelle con Leo X pontifex maximus e Bononia mater studiorum.
- ↑ Partiti, 10, 12 e 29 novembre 1508. Voi.. XIII, e. 152, 153, 155.
- ↑ È tale la somiglianza tra questo medaglione e le monete di due anni dopo col ritratto del papa, che non esitiamo ad attribuirlo al Francia, che lo presentò forse in occasione dell’ingresso di Giulio II a Bologna appunto nel 1506.
- ↑ Zecca, B.° i, (Decreti).
- ↑ Partiti, 10 marzo 1509 e Zecca B.° 1, 28 marzo 1509.
- ↑ Partiti, 15 marzo 1509.
- ↑ Zecca, B.° I, (Decreti).
- ↑ Partiti, Vol. XIV, e. 65, r.
- ↑ Gozzadini, Op. Cit.
- ↑ Registri delle lettere, 19 luglio 1511, 8 giugno 1512, 10 giugno 1512.
- Testi in cui è citato Papa Alessandro VI
- Testi in cui è citato Papa Pio III
- Testi in cui è citato Papa Giulio II
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato Giorgio Vasari
- Testi in cui è citato Celestino Cavedoni
- Testi in cui è citato Gaetano Giordani
- Testi in cui è citato Luigi Frati
- Testi in cui è citato Papa Leone X
- Testi in cui è citato Giovanni Gozzadini
- Testi in cui è citato il testo Sull’erronea attribuzione al Francia delle monete gettate al popolo
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