Le Mille ed una Notti/Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù

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Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù
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NOTTE CCCXCIII


STORIA

DEL PRINCIPE AHMED
E DELLA FATA PARI-BANÙ


La sultana Scheherazade fe’ susseguire alla storia del cavallo incantato quella del principe Ahmed e della fata Pari Banù1

— Sire,» diss’ella, «un sultano, fra i predecessori di vostra maestà, che occupava pacificamente il trono delle Indie da vari anni, aveva in sua vecchiaia la soddisfazione di vedere che tre principi suoi figliuoli, degni imitatori delle di lui virtù, con una sua nipote, formavano l’ornamento della sua corte. Il primogenito dei principi chiamavasi Hussain, il secondo Ali, Ahmed il più giovane, e la nipote Nuronnihar2.

«La principessa Nuronnihar era figliuola d’un fratello minore del sultano, che questi avea dotato d’un appannaggio di grande rendita, ma ch’era morto poco dopo essersi ammogliato, lasciandola in tenerissima età. Il sultano, in considerazione che il fratello avesse sempre corrisposto alla sua amicizia con un attaccamento sincero alla di lui persona, erasi incaricato dell’educazione della fanciulla, e l’aveva fatta venire nel suo palazzo per allevarla coi tre principi. Dotata di singolare beltà, e di tutte le [p. 365 modifica] perfezioni del corpo che potevano renderla compita, quella principessa aveva inoltre molto spirito; e la sua virtù senza macchia la distingueva fra tutte le donzelle del suo tempo.

«Il sultano, zio della principessa, il quale si era proposto di maritarla appena fosse giunta all’età opportuna, e formare così con qualche principe suo vicino, dandogliela in isposa, una buona alleanza, vi pensava seriamente, quando si avvide che i tre suoi figliuoli l’amavano con immenso ardore. N’ebbe grandissimo duolo non tanto perchè la loro passione gli avrebbe impedito di contrarre l’alleanza meditata, quanto per la difficoltà, cui prevedeva, di ottenere da essi che si accordassero, o che i due minori almeno acconsentissero di cederla al maggiore. Parlò dunque a ciascuno di essi in particolare, e di mostrata loro l’impossibilità che una sola fanciulla divenisse sposa di tre, e le perturbazioni cui stavano per suscitare se persistessero in tale passione, non dimenticò nulla onde persuader loro, o di stare alla dichiarazione che la principessa farebbe in favore di uno dei tre, o desistere dalle loro pretese e pensare ad altre nozze, delle quali lasciava ad essi intiera la libertà della scelta, o convenire fra loro di permettere ch’ella fosse maritata ad un principe straniero. Ma trovata un’ostinazione insuperabile, se li fece venire tutti e tre davanti, e tenne loro questo discorso:

«— Figliuoli miei, poichè pel bene e riposo vostro non ho potuto riuscire a persuadervi di non aspirar più alla mano della principessa mia nipote e vostra cugina, siccome non voglio usare di mia autorità dandola ad uno di voi preferibilmente agli altri due, mi sembra aver trovato il mezzo acconcio a rendervi contenti e conservare l’unione che deve fra di voi esistere, se vorrete ascoltarmi, ed eseguire quello che sono per dirvi. Trovo dunque opportuno che [p. 366 modifica]andiate a viaggiare tutti separatamente in paesi diversi, di modo che non vi possiate incontrare; ed essendovi noto quant’io sia curioso di tutto ciò che passar possa per raro e singolare, prometto mia nipote in consorte a chi di voi mi porterà la rarità più straordinaria. In tal guisa, siccome il caso farà che voi medesimi giudichiate della singolarità delle cose che avrete portate, col paragone che sarete in grado d’istituirne, non troverete difficoltà a farvi giustizia, cedendo la preferenza a chi di voi se la sarà meritata.

Per le spese di viaggio e l’acquisto della rarità in discorso, darò a ciascheduno una somma eguale, conveniente alla vostra nascita, ma che però non impiegherete in ispese di comitiva, nè d’equipaggio, le quali, facendovi conoscere per quelli che siete, vi priverebbero della libertà di cui avete bisogno non solo per raggiungere lo scopo che vi proponete, ma eziandio per meglio osservare le cose che meriteranno la vostra attenzione, ed infine per ricavarne un profitto maggiore.»


NOTTE CCCXCIV


— Siccome i tre principi erano sempre stati obbedienti ai voleri del padre, e ciascuno dal canto suo lusingavasi che la fortuna fosse per essergli favorevole, somministrandogli l’occasione di pervenire al possesso di Nuronnihar, gli dichiararono di essere pronti ad obbedire. Il sultano fe’ contare loro senza indugio la somma promessa, e nel medesimo giorno essi diedero mano ai preparativi del viaggio, prendendo inoltre commiato dal sultano per poter trovarsi [p. 367 modifica] in grado di partire la mattina seguente di buon’ora. Uscirono infatti per la porta stessa della città, ben montati e meglio equipaggiati, vestiti da mercatanti, ciascuno con un solo officiale di confidenza travestito da schiavo, e recaronsi insieme sino alla prima stazione, dove la strada dividevasi in tre, per le quali vie dovea ciascuno dal canto suo proseguire il viaggio. La sera, raccoltisi ad una cena ch’eransi fatta preparare, convennero che il viaggio durerebbe un anno, e si diedero convegno in quella medesima stazione, con incarico al primo che arrivasse di attendere gli altri due, ed i due primi il terzo, affinchè, come avevano preso tutti insieme congedo dal sultano, a lui si presentassero così al ritorno. La mattina appresso, allo spuntar dell’alba, dopo essersi abbracciati: ed augurato reciprocamente un felice viaggio, montarono a cavallo, e ciascuno prese una delle tre vie, senza deliberare sulla scelta.

«Hussain, primogenito de’ tre fratelli, avendo udito dir maraviglie della grandezza, delle forze e dello splendore del regno di Bisnagar, s’avviò verso il mare delle Indie, e dopo un viaggio di circa tre mesi, unendosi a diverse carovane, ora per deserti e sterili montagne, ora per paesi popolatissimi, i meglio coltivati e più fertili che vi fossero in alcun luogo della terra, giunse a Bisnagar, città che dà il nome a tutto il regno, di cui è la capitale, e residenza ordinaria de’ suoi re3. Preso alloggio in un khan destinato ai forastieri, avendo saputo esservi quattro quartieri principali, ne’ quali i mercatanti di ogni sorta di merci tenevano le loro botteghe, si recò, il dì dopo ad uno di questi rioni, in mezzo [p. 368 modifica] ai quali era situato il castello, o piuttosto palagio reale, che occupava un’area vastissima nel centro della città, munita di tre muraglie, e la quale aveva due leghe in tutti i sensi da una porta all’altra.

«Hussain non seppe mirare il quartiere in cui trovavasi senza maraviglia, vedendolo vasto ed attraversato da più strade, tutte ad archi per ripararsi dagli ardori del sole, e nonostante ben illuminate; le botteghe erano d’una medesima grandezza e simmetria, e quella dei mercanti d’una stessa sorta di cose, non qua e là disperse, ma raccolte in una medesima via, e così pure delle botteghe degli artigiani.

«La moltitudine dei magazzini pieni d’una medesima specie di mercanzie, come di tele finissime di varie parti delle Indie, di tele dipinte a colori vivacissimi che rappresentavano al naturale uomini, paesi, alberi, fiori; di stoffe di seta e broccati tanto di Persia che della China e d’altri luoghi; di porcellane del Giappone e della China; di tappeti di tutte le grandezze; destarono in lui tanta maraviglia, che ei non sapeva se dovesse credere ai propri occhi. Ma quando fu giunto alle botteghe degli orefici e gioiellieri(tali due professioni esercitavansi dai medesimi mercanti), rimase come rapito in estasi alla vista della quantità prodigiosa di stupendi lavori d’oro e d’argento, e quasi abbagliato dallo splendore delle perle, dei diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri ed altre pietre preziose che vi erano esposte in quantità. S’ei fu maravigliato di tante ricchezze adunate in un solo sito, lo fu viemaggiormente quando venne a giudicare della ricchezza del regno in generale, considerando che, ad eccezione dei bramini4 e dei [p. 369 modifica] ministri degl’idoli, i quali ostentavano vita lontana da ogni vanità del mondo, non eravi in tutta la sua estensione uomo o donna che non avesse collane, braccialetti ed ornamenti alle gambe ed ai piedi di perle o gemme, che scintillavano vie meglio, perchè gli abitanti erano tutti d’un nero da farne spiccare lo splendore.

«L’altra particolarità ammirata dal principe Hussain fa il gran numero di venditore di rose, che in quantità accalcavansi nelle vie; e comprese che gl’Indiani doveano essere grandi ammiratori di quel fiore, non essendovene uno che non ne portasse un mazzolino in mano, od una ghirlanda in testa, nè mercatante il quale non ne tenesse più vasi in bottega; di maniera che il quartiere, benchè assai ampio, erane tutto profumato.

«Hussain infine, avendo percorso minutamente tutto il quartiere, colla mente piena di tante ricchezze offerte a’ suoi sguardi, ebbe d’uopo di riposo, e dimostratolo ad un mercante, questi cortesemente lo invitò ad entrare nella sua bottega, e sedervisi, come in fatti fece. Non era gran tempo che stava seduto, quando vide passare un banditore con un tappeto sul braccio, di circa sei piedi in quadrato, il quale ponevalo all’incanto per trenta borse5. Chiamato il banditore e chiesto di vedere il tappeto, gli parve d’un prezzo esorbitante, non per la picciolezza, ma anche per la qualità; e quando l’ebbe esaminato bene, disse a colui non comprendere come mai un tappeto si picciolo e di poca apparenza venisse posto a sì caro prezzo. [p. 370 modifica]

NOTTE CCCXCV


— Il banditore, il quale prendeva il principe Hussain per un mercatante, gli rispose: — Signore, se questo prezzo vi pare esorbitante, ben maggiore sarà la vostra maraviglia quando saprete che ho ordine di farlo salire sino a quaranta borse, e non rilasciarlo se non a chi mi conterà tal somma. — Bisogna dunque,» soggiunse Hussain, «che sia prezioso per qualche lato a me ignoto. — Avete indovinato, o signore,» ripigliò l’altro, «e ne converrete anche voi, quando vi dirò che, sedendo su questo tappeto, si viene subito con esso trasportati ove si desidera andare, trovandovi colà quasi nel medesimo istante, senza essere trattenuti da ostacolo qualunque. —

«Il discorso del banditore fece che il principe delle Indie, considerando essere motivo principale del suo viaggio il riportare al sultano suo padre qualche rarità singolare di cui non avesse mai inteso parlare stimò non poterne acquistar alcuna, di cui il genitore dovesse rimaner meglio soddisfatto.

«— Se il tappeto,» disse al banditore, «avesse la virtù che gli attribuisci, non solo non crederei pagarlo troppo caro dandone le quaranta borse che domandi, ma potrei anche risolvermi ad accomodarmi del prezzo, e farti inoltre un regalo di cui ti troveresti contento.

«— Signore,» rispose il banditore, «vi ho detto il vero, e vi sarà facile convincervene quando avrete conchiuso il contratto a quaranta borse, mettendovi la [p. 371 modifica] condizione che ve ne debba far vedere l’esperienza. Allora, siccome non avete qui le quaranta borse, e bisognerà che, per riceverle, vi accompagni sino al khan dove siete alloggiato come forastiero, entreremo, col permesso del padrone, nella stanza di dietro, distenderò il tappeto, e quando vi saremo seduti amendue, e voi avrete esternato il desiderio d’essere con me trasferito nella vostra dimora, se non vi saremo sul momento trasportati, il mercato sarà rotto, e voi non sarete a nulla obbligato. Quanto al regalo, siccome tocca al venditore a pagarmi del mio incomodo, lo riceverò come una grazia che avrete valuto farmi, e per la quale vi sarò riconoscente. —

«Sulla buona fede del banditore, il principe accettò il partito, e conchiuso il negozio colla proposta condizione, entrò nella stanza del mercatante, col di lui permesso. Là il banditore distese il tappeto; vi si accomodarono amendue, ed appena il principe ebbe formato il desiderio di trasferirsi nel khan al proprio appartamento, vi si trovò col banditore nella medesima situazione. Or come non avea bisogno d’altra certezza sulla virtù del tappeto, contò al banditore la somma delle quaranta borse, e vi aggiunse la mancia di venti pezze d’oro, qual gratificazione pel mediatore.

«Per tal modo, il principe Hussain rimase possessore del tappeto con immensa allegrezza di avere, al suo arrivo a Bisnagar, fatto acquisto d’un oggetto si raro, che dovea, com’ei non dubitava, valergli la mano di Nuronnihar. In fatti, stimava impossibile che i fratelli minori riportassero alcuna cosa dal loro, viaggio che entrar potesse in paragone con quanto egli aveva si avventurosamente trovato. Senza fare più lunga dimora in Bisnagar, ei poteva, sedendo sul tappeto, recarsi nello stesso giorno al luogo del [p. 372 modifica] convegno; ma sarebbe stato costretto ad attenderli troppo tempo, e ciò fece che, curioso di vedere il re di Bisnagar e conoscere le forze, le leggi, i costumi, la religione e lo stato di tutto il regno, risolse di trascorrere alcuni mesi ad appagare la propria curiosità.

«Era uso del re di Bisnagar di dar udienza, una volta la settimana, ai mercanti stranieri. Fu dunque sotto questo titolo che il principe Hussain, il quale non volea manifestarsi per quello ch’era, lo vide parecchie volte; e siccome il giovane, oltre il bell’aspetto, possedeva infinito spirito ed era d’una squisita gentilezza (doti appunto per le quali distinguevasi dai mercanti con cui si presentava al re) a lui preferibilmente più che agli altri questi rivolgeva il discorso per informarsi della persona del sultano delle Indie, delle forze, delle ricchezze e del governo del suo impero.

«Il principe impiegava gli altri giorni a visitare gli oggetti più notabili della città e dei contorni. Fra le altre cose degne d’ammirazione, vide un tempio d’idoli, di particolare struttura perchè tutto di bronzo; aveva dieci cubiti in quadrato d’area, e quindici di altezza; e ciò che ne formava la maggior bellezza, era un idolo d’oro massiccio, alto un uomo, i cui occhi consistevano in due rubini, incastonati con tanta arte, che parea ai riguardanti tenesse gli occhi fitti su loro, da qualunque parte si volgessero per vederlo. Ed un altro ne vide non meno mirabile, in un villaggio: c’era una pianura di circa mille tese, formante un solo giardino delizioso, sparso di rose ed altri fiori gratissimi alla vista, e tutto quello spazio vedeasi circondato da un muricciuolo a mezza vita, per impedire che gli animali vi si accostassero. In mezzo alla pianura sorgeva una piattaforma alta un uomo, rivestita di pietre congiunte insieme con tanta cura ed industria, che sembravano formarne [p. 373 modifica] una sola. Il tempio ergevasi a cupola in mezzo alla terrazza, alto cinquanta cubiti, talchè lo si scorgeva da varie leghe all’intorno. La lunghezza n’era di trenta, di venti la larghezza, ed il marmo rosso, ond’era fabbricato, appariva levigatissimo. La volta della cupola andava ornata di tre ordini di pitture vivacissime e di buon gusto; e tutto il tempio era generalmente pieno di tante altre pitture, bassirilievi ed idoli, da non esservi luogo in cui non se ne scorgessero dall’alto sino al basso.

«Sera e mattina praticavansi in quel tempio cerimonie superstiziose, le quali erano seguite da giuochi, da concerti d’istrumenti, danze, canti e banchetti; ed i ministri del tempio, al pari degli abitanti del luogo, non sussistevano se non delle offerte che i pellegrini in folla vi recavano dai luoghi più lontani del regno, per soddisfare ai loro voti.»

L’aurora che tingeva l’orizzonte de’ vividi suoi colori, costrinse la sultana al silenzio.


NOTTE CCCXCVI


— Sire,» continuò la domane Scheherazade, «noi lasciammo il principe Hussain che istruivasi negli usi e costumi degli abitanti di Bisnagar: questo principe fu eziandio spettatore d’una festa solenne che ogni anno si celebra alla corte di quel regno, alla quale i governatori delle province, i comandanti delle piazze forti, i governatori ed i giudici delle città, ed i bramini più celebri per dottrina, hanno obbligo di trovarsi, benchè ve ne siano di tanto lontani, che non mettono meno di quattro mesi a recarvisi. [p. 374 modifica] L’assemblea, composta d’una moltitudine innumerevole d’Indiani, tiensi in una pianura di vasta estensione, offrendo alla vista, per quanto essa può stendersi, maraviglioso spettacolo. Nel centro della pianura eravi una piazza assai lunga e vastissima, chiusa da un lato da un superbo edificio in forma di palco a nove piani, sostenuto da quaranta colonne, e destinato al re, alla sua corte ed agli stranieri cui egli onorava della sua udienza una volta alla settimana, ornato al di dentro ed addobbato magnificamente, e di fuori dipinto a paesaggi, in cui vedevansi ogni sorta d’animali, d’uccelli, d’insetti, e persino di mosche e moscerini, tutti al naturale; altri palchi, alti per lo meno quattro o cinque piani, e dipinti tutti all’incirca alla stessa foggia, formavano i tre altri lati, ed avevano di particolare, che d’ora in ora facevansi girare, e cangiar faccia e decorazione.

«Da ciascun lato della piazza, a breve distanza l’un dall’altro, stavano schierati mille elefanti, con sontuose bardature, ciascuno carico d’una torre quadrata di legno dorato con suonatori e giocolieri. La proboscide di quegli elefanti, le orecchie ed il resto del corpo erano dipinti di cinabro e d’altri colori rappresentanti grottesche figure.

«Ciò che in tale spettacolo fece al principe Hussain viemaggiormente ammirare l’industria, l’abilità ed il genio inventivo degl’Indiani, fu il vedere il più robusto e gigantesco di tutti quegli elefanti ballare, coi quattro piedi posti sulla cima d’un palo confitto perpendicolarmente, e sporgente da terra circa due braccia, battendo colla proboscide la musica, alla cadenza degli strumenti. Nè ammirò meno un altro elefante, altrettanto grosso, che stava all’estremità d’una trave posta di traverso sur un palo all’altezza di dieci piedi, con una pietra di prodigiosa grossezza attaccata e sospesa all’altro capo, la quale gli [p. 375 modifica] serviva di contrappeso, pel cui mezzo, ora in alto, ora abbasso, alla presenza del re e della sua corte, batteva coi movimenti del corpo e della proboscide la cadenza degli stromenti, al pari del primo elefante.

«Gl’Indiani, dopo aver attaccata la pietra di contrappeso, avevano, a forza di uomini, tirato a terra l’altro capo, facendovi salire l’elefante.

«Il principe Hussain avrebbe potuto fare un più lungo soggiorno alla corte e nel regno di Bisnagar; un’infinità d’altre maraviglie ve lo avrebbero potuto gradevolmente trattenere sin all’ultimo giorno dell’anno, compito il quale aveva convenuto di riunirsi ai fratelli; ma pienamente soddisfatto delle cose vedute, e dopo il prezioso acquisto continuamente occupato nell’oggetto dell’amor suo, la beltà e lo attrattive della principessa Nuronnihar accrescevano di giorno in giorno la violenza della sua passione, talchè gli parve che più tranquillo avrebbe lo spirito, e più vicino sarebbe alla sua felicità quando si fosse avvicinato a lei. Pagato adunque il custode del khan per la pigione dell’appartamento occupato, e dettagli l’ora in cui avrebbe potuto venire a prenderne la chiave ch’ei lascerebbe nella porta, senza specificargli in qual maniera sarebbe partito, entrò, chiudendosi dietro l’uscio e lasciandovi entro la chiave, e disteso il suo tappeto, vi sedè coll’officiale seco lui condotto.

Allora, raccolto in sè stesso, e concepito seriamente il desiderio di venir trasferito nel luogo dove i principi suoi fratelli dovevano recarsi al par di lui, si avvide in breve d’esservi giunto; fermatosi colà, e spacciandosi per un semplice mercante, stette ad aspettarli.

«Il principe Ali, fratello secondogenito di Hussain, progettando di viaggiare in Persia, per conformarsi all’intenzione del sultano delle Indie, ne aveva presa la via con una carovana, alla quale erasi unito il [p. 376 modifica] terzo giorno della sua separazione dai germani. Dopo un viaggio di quasi quattro mesi, ei giunse finalmente a Sciraz, allora capitale del regno di Persia, ed avendo per istrada contratta amicizia e società con alcuni mercanti, senza farsi conoscere per altro che per negoziante di gioie anch’egli, alloggiò con loro nel medesimo khan.

«Alla domane, mentre quei mercanti aprivano le loro balle, Ali, il quale viaggiava sol per diletto, non essendosi imbarazzato se non delle cose necessarie per farlo agiatamente, dopo aver cangiato abito, si fe’ guidare al quartiere dove vendeansi le gioie, i lavori d’oro e d’argento, broccati, stoffe di seta, tele fine, e le altre merci più rare e preziose. Questo luogo, spazioso e solidamente fabbricato, era fatto a vòlta, sostenuto da grossi pilastri, intorno ai quali stavano le botteghe, costruite eziandio lungo i muri, tanto di dentro come di fuori, ed era comunemente conosciuto a Sciraz sotto il nome di bezestin. Dapprincipio Ali percorse il bezestin in lungo ed in largo da tutti i lati, e dalla quantità prodigiosa delle preziose merci che vi vide spiegate, giudicò con ammirazione delle immense ricchezze che racchiudeva. Fra i tanti banditori che andavano e venivano, incaricati di vari oggetti, gridandoli all’incanto, maravigliò egli non poco vedendone uno che teneva in mano un tubo d’avorio, lungo circa un piede, e grosso poco più d’un pollice, che colui gridava per trenta borse. Immaginò egli sulle prime che il banditore vaneggiasse, e per chiarirsene, accostatosi alla bottega d’un mercatante:

«— Signore,» gli disse, indicandogli il banditore, «ditemi, ve ne prego, se non m’inganno: quell’uomo che mette a trenta borse un piccolo tubo d’avorio, ha egli la mente sana? — Signore,» rispose il mercatante, «a meno che non l’abbia guasta da ieri in poi, posso accertarvi ch’è il più savio di tutti i [p. 377 modifica] nostri banditori, e quello che viene impiegato di più, avendosi in lui la maggior fiducia quando si tratta della vendita di qualche cosa di valore; circa poi al tubo ch’ei mette a trenta borse, bisogna che le valga, ed anche di più, per qualche particolarità non apparente. Fra poco ripasserà; lo chiameremo, e ve ne informerete da per voi; sedete intanto qui sul mio sofà, e riposate. —

«Non ricusò Ali la cortese offerta; e poco dopo che si fu posto a sedere, ripassò il banditore il quale, appena il mercante l’ebbe chiamato, si accostò. Allora, mostrandogli il giovine, il mercante gli disse: — Rispondete a questo signore, il quale domanda se avete perduto il cervello mettendo a trenta borse un tubo d’avorio che sembra di sì poco valore. Ne sarei maravigliato anch’io, se non sapessi la vostra assennatezza. —

«Il banditore, volgendosi al principe, così rispose: — Signore, non siete il solo che mi tratti da pazzo per questo tubo; ma giudicherete voi stesso se io lo sia, quando ve ne avrò spiegata la particolarità, e spero che allora vi metterete un aumento, come fecero quelli cui l’ho già mostrato, i quali aveano la stessa vostra cattiva opinione di me.

«Primieramente, o signore,» continuò il banditore, presentando il tubo al principe, «notate che questo tubo è guarnito a ciascuna estremità d’un vetro, e considerate che, guardando da uno di essi, si vede subito qualunque cosa si possa mai desiderar di vedere. — Son pronto a farvi riparazione d’onore,» rispose Ali, «se mi fate conoscere la verità di quanto asserite.» E siccome aveva in mano il tubo, osservatine prima i due vetri: «Spiegatemi,» proseguì, «per dove debbo guardare onde chiarirmene. —

«Il banditore glielo insegnò, ed il principe, [p. 378 modifica] guardando, col desiderio di scorgere il sultano delle Indie suo padre, lo vide in perfetta salute, seduto sul suo trono in mezzo al consiglio. Poi, non avendo, dopo il sultano, oggetto più caro al mondo della principessa Nuronnihar, desiderò di vederla, e la scorse assisa alla sua toletta, circondata dalle sue donne e di lieto umore. Non ebbe quindi Ali bisogno d’altra prova per convincersi essere quel tubo la cosa più preziosa che allora esistesse non solo nella città di Sciraz, ma ben anche in tutto l’universo: e credette che, trascurando d’acquistarlo, mai più non incontrerebbe una rarità consimile da riportare dal suo viaggio nè a Sciraz, quando pur vi rimanesse dieci anni, nè altrove. Disse dunque al banditore: — Mi ritraggo dal giudizio irragionevole da me formato del poco vostro buon senso, e credo rimarrete pienamente soddisfatto della riparazione che son pronto a farvi, comprando il tubo. Siccome sarei dolente che un altro fuor di me lo possedesse, ditemi al giusto a qual prezzo il venditore lo destina: senza darvi il disturbo di gridare più oltre, e stancarvi andando e tornando, non avrete che a seguirmi, ed io ve ne conterò la somma.—

«Assicurollo il banditore con giuramento di aver ordine di portarlo a quaranta borse, e per poco che ne dubitasse, d’essere pronto a condurlo dal proprietario in persona. Il principe indiano prestò fede alla sua parola, lo condusse seco, e giunti al khan dove albergava, gli numerò le quaranta borse in belle monete d’oro, rimanendo per tal guisa possessore del tubo d’avorio.

«Fatto ch’ebbe Ali quell’acquisto, immenso ne fu il giubilo pensando che i fratelli, com’egli persuadevasi, non avrebbero incontrato nulla di sì raro e degno d’ammirazione, e che così la cugina sarebbe la ricompensa delle fatiche del suo viaggio. Più non pensò quindi che a prender cognizione della corte di [p. 379 modifica] Persia, senza farsi conoscere, e visitare le cose notabili di Sciraz e de’ dintorni, attendendo che la carovana, colla quale era venuto, riprendesse la strada delle Indie. Aveva finito di soddisfare alla propria curiosità, quando la carovana fu in grado di ripartire; non mancò il giovine di riunirvisi, e dessa si pose in cammino. Nessun accidente ne turbò od interruppe il corso; e, senz’altro incomodo fuor della lunghezza ordinaria delle giornate e fatiche del viaggio, giunse felicemente al luogo di convegno, dov’era già arrivato Hussain. Il principe ve lo trovò, e rimase con lui aspettando il terzo fratello Ahmed.»

Il giorno che allora comparve, mise fine al racconto della sultana, la quale lo ripigliò la domane nel modo seguente:


NOTTE CCCXCVII


— Sire, il principe Ahmed aveva presa la via di Samarcanda, ed imitò subito alla domane del suo arrivo i due suoi fratelli, recandosi al bezestin, ove, appena entrato, gli si presentò un banditore con un pomo artificiale in mano, cui gridava a trentacinque borse. Fermò egli il banditore, dicendogli:

«— Mostratemi questo pomo, e ditemi qual virtù o proprietà straordinaria possa esso avere, perchè lo dobbiate mettere a sì caro prezzo. —

«Dandoglielo in mano affinchè lo esaminasse: — Signore,» disse il banditore, «questo pomo, guardandolo sol dall’esterno, è veramente assai poca cosa; ma ove sene considerino le proprietà, le virtù e l’uso mirabile che può farsene pel bene degli uomini, puossi [p. 380 modifica] veramente dire che non abbia prezzo, ed è certo che chi lo possiede, possiede un tesoro. In fatti, non v’ha infermo afflitto da qualunque malattia mortale esser possa, come da febbre continua, febbre scarlattina, pleurisia, peste ed altri mali di tal natura, che, anche moribondo, esso non guarisca, ed a cui non faccia sol momento racquistare la salute tanto perfettamente come se mai non fosse stato malato in vita sua; e ciò si fa pel mezzo più facile del mondo, bastando semplicemente a darlo da fiutare al l’infermo.

«— Se vi si dovesse credere,» riprese Ahmed, «desso è un pomo di virtù maravigliosa, e si può dire appunto che non abbia prezzo; ma su cosa può fondarsi un galantuomo par mio, che avesse voglia di comprarlo, onde persuadersi che non vi sia inganno, nè esagerazione nell’elogio che voi ne fate?

«— Signore,» il banditore rispose, «la cosa è notoria ed avverata in tutta la città di Samarcanda; e senza andar più innanzi, interrogate tutti i mercatanti che stanno qui raccolti; udrete ciò ch’essi vene diranno, e ne troverete di quelli che non vivrebbero, com’essi medesimi ponno attestare, se non si fossero serviti di questo stupendo antidoto. Per farvi meglio comprendere cosa esso sia, dovete sapere ch’è il frutto dello studio e delle veglie d’un filosofo celeberrimo di questa città, il quale, consacratosi per tutto il corso della vita alla conoscenza delle virtù delle piante e de’ minerali, pervenne finalmente a formarne la composizione che vedete, pel cui mezzo ha fatte in questa città cure sì maravigliose, che la memoria mai non ne cadrà in obblio. Una morte istantanea, che non gli diè il tempo d’usare egli medesimo del suo sovrano rimedio, lo rapì non ha guari; e la sua vedova, cui lasciò con iscarsi beni di fortuna e carica di buon numero [p. 381 modifica] di teneri figliuoletti, si è finalmente risolta a porlo all’incanto, per mettere in maggior agio se e la sua famiglia. —

«Mentre il gridatore informava il giovane delle virtù del pomo artifiziale, parecchie persone, fermatesi e circondandoli, confermarono per la maggior parte tutto il bene ch’ei ne diceva; ed, avendo uno di coloro dichiarato d’avere un amico si pericolosamente infermo che disperavasi della sua vita, ed esser quella un’occasione favorevole per mostrarne al principe la prova, questi soggiunse al banditore che ne avrebbe date quaranta borse se, facendoglielo annasare, guariva l’infermo.

«Il sensale, avendo ordine di venderlo appunto a tal prezzo: — Signore,» disse ad Ahmed, «andiamo a fare l’esperienza, ed il pomo sarà vostro; lo dico con tanta maggior fiducia, ch’è indubitabile esso non farà meno questa volta il suo effetto di tutte le altre in cui venne adoperato per far retrocedere dalle porte della morte tanti ammalati della cui vita omai disperavasi. —

«L’esperimento riuscì felicemente, ed il principe, pagate le quaranta borse al banditore che gli consegnò il pomo artificiale, aspettò impaziente la partenza, della prima carovana per tornare alle Indie, passando frattanto il tempo a vedere in Samarcanda e nei contorni tutte le cose degne di curiosità, ed in ispecial guisa la valle di Sogda, così chiamata dal fiume dello stesso nome che la bagna, e che gli Arabi riconoscono per uno de’ quattro paradisi dell’universo, per la bellezza delle campagne e de’ giardini, adorni di palagi, per la sua fertilità in ogni sorta di frutti, e le delizie onde vi si gode nella bella stagione.

«Finalmente Ahmed, non perdendo l’occasione della prima carovana che prese la via dell’Indie, partì, e ad onta degl’incomodi inevitabili d’un lungo [p. 382 modifica] viaggio, arrivò in perfetta salute al ritrovo ove già i frateli Hussain ed Alì lo attendevano.

«Alì, giunto alcun tempo prima del principe Ahmed, avea dimandato ad Hussain, venuto prima di tutti quanto tempo fosse che là si trovava; e sentito che già erano quasi tre mesi:

«— Bisogna dunque,» gli disse, «che non siate andato molto lontano.

«— Non vi dirò nulla adesso,» rispose Hussain, «del luogo ove sono stato; ma posso assicurarvi di non aver messo più di tre mesi a recarmi qui. — Se così è,» replicò Alì, «è d’uopo che vi abbiate fatto breve dimora.

«— V’ingannate, fratello,» disse Hussain; «il soggiorno che vi feci, fu di quattro in cinque mesi, e non istette che in me di trattenermivi più a lungo.

«— A meno che non siate tornato volando,» tornò a dire Alì, «non comprendo come possano essere trascorsi tre mesi dal vostro ritorno, come vorreste darmi ad intendere.

«— V’ho detto il vero,» soggiunse Hussain: «ma è un enimma del quale non vi darò la spiegazione se non all’arrivo del principe Ahmed, nostro fratello, dichiarando ad un tempo qual sia la rarità da me riportata dal mio viaggio. Quanto a voi, non so cosa ne abbiate recato; deve però essere ben piccola cosa: non veggo, in fatti, che i vostri effetti siano cresciuti.

«— E voi, principe,» riprese Ali, «tranne un tappeto di meschinissima apparenza, di cui vedo guarnito il vostro sofà, e del quale pare abbiate fatto acquisto, mi sembra ch’io possa rendervi pan per focaccia. Ma siccome pare che vogliate far mistero della rarità che portaste, non vi dispiacerà che usi altrettanto, rispetto a quella di cui ho anch’io fatto l’acquisto. — [p. 383 modifica]

«Io stimo la rarità da me riportata,» il principe ripigliò, «tanto superiore ad ogn’altra, qualunque esser possa, che non avrò difficoltà di mostracela e vene convinto, dichiarandovi perchè la tengo tale, senza temere che quella che voi portate, come suppongo, possa esserle preferita. Ma val meglio attendere l’arrivo del principe Ahmed nostro fratello; allora, con maggior riguardo e convenienza scambievole, potremo parteciparci reciprocamente la buona ventura che n’è toccata. —

«Non volle Alì disputare più a lungo con Hussain sulla preferenza ch’ei dava alla rarità da lui portata; contentò d’essere ben persuaso che se il tubo, cui aveva da mostrargli, non fosse da preferirsi, non era almeno possibile che le fosse inferiore, e convenne con lui di aspettare a produrlo all’arrivo di Ahmed.»

Scheherazade cessando di parlare, — Confesso,» disse il sultano alzandosi, «esser difficile indovinare qual sia il più prezioso di questi tre rari oggetti; con molta pena potrei aggiudicare il premio pel quale i principi intrapresero si lunghi viaggi.» Ciò dicendo, Schahriar uscì per far la solita preghiera e recarsi alle consuete occupazioni.


  1. Sono due voci persiane significanti la medesima cosa, cioè genio femmina, o fata.
  2. Parola araba che vale luce del giorno.
  3. Bisnagar, grande città dell’Asia nelle Indie, capitale del regno dello stesso nome, chiamato anche regno di Carnate. È ora in potere degl’Inglesi, che vi fanno esteso commercio.
  4. Bramini o brami, sacerdoti e dottori degl’Indiani, che pretendonsi discesi da Brama. La loro tribù è la prima e più nobile di tutte quelle in cui dividonsi i popoli dell’India, e niuno può entrare nella loro casta se non per diritto di nascita. Le funzioni loro consistono nell’istruire il popolo nelle cose concernenti la religione e la morale.
  5. 45,000 lire. La borsa vale 1500 lire di nostra valuta.