Le Mille ed una Notti/Teveddud, ossia la Dotta Schiava

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Teveddud, ossia la Dotta Schiava

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Teveddud, ossia la Dotta Schiava
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NOTTE DCIV-DCXL

TEVEDDUD

OSSIA LA DOTTA SCHIAVA

— Era una volta a Bagdad un ricchissimo mercatante che faceva immenso commercio. Il cielo gli aveva concesso tutto, fuor d’un figlio, e giunto in età avanzata, si dedicò al digiuno ed alla preghiera per ottenere un erede, distribuendo ricche elemosine e visitando gli adoratori di Dio. Infine, le sue orazioni furono esaudite; sua moglie, rimasta incinta, [p. 318 modifica] mise alla luce un figlio, dal viso bello come la luna. Allora il padre, raddoppiando le elemosine, fece nutrire e vestire gli orfanelli per soddisfare ai voti fatti, ed il settimo giorno, il bambino ricevette il nome di Abul Hassan.

«Giunto all’età opportuna, gli si diede un maestro per insegnargli a leggere e scrivere. Studiò il Corano, la poesia e l’aritmetica, e si fece distinguere soprattutto nell’arte del trar d’arco. Il suo sapere, quelle guance di rose e la sua fronte, la cui candidezza superava l’avorio, lo resero in breve una delle piccole maraviglie del suo tempo, sicchè gli si poteano applicare queste parole d’un poeta:

««Vedi là quel tenero bottone che cerca di schiudersi?

««Passata è la primavera, ma la rosa fiorisce an«cora sulle sue gote.»»

«Egli formò la letizia del padre sinchè questi visse; ma quando fu prossimo al suo fine, lo fece chiamare al letto di morte, all’uopo di dargli per l’ultima volta i paterni consigli. — Figlio,» gli disse, «io sono, al punto di comparire dinanzi a Dio: tutto ciò ch’io posseggo, in terre, schiavi e verghe d’oro, ti appartiene; godine nel timor di Dio. —

«Abul Hassan fe’ celebrar le esequie del padre, ma i suoi compagni di piacere vennero a strapparlo al suo dolore. — Chi riproduce sè medesimo,» gli dicevano, «come vostro padre fece in voi, non muore altrimenti. Cercate dunque di dissipare la vostra tristezza nel commercio delle donne.» Il giovane, dimenticando i consigli paterni, lanciossi in mezzo al vortice de’ piaceri, e consumò in poco tempo le immense ricchezze ricevute in retaggio. Infine più non gli rimase, di tutti i beni paterni, se non una bellissima schiava. Era questa senza rivali per beltà ed intelligenza. Di mezzana statura, le due poma del [p. 319 modifica] suo seno stavano divise dal più seducente intervallo. La fronte, su cui ricadevano i bei capelli neri, brillava come la luna nel mese di sciaban, cioè, quando la festa del Beiram mette fine al tempo del digiuno; gli occhi somigliavano a quelli della gazella, ed il naso era dritto e brillante come una spada; parea che il suggello di Salomone fosse impresso sulla sua bocca per sigillare il tesoro di perle che racchiudeva: impossibile sarebbe seguire l’immaginazione nella pittura delle beltà avvolte ne’ veli del mistero. Finalmente, basta dire che superava in beltà tutte le figliuole d’Eva e de’ geni, talchè un poeta avrebbe detto di lei:

««Quand’ella comparisce, la sua presenza riempie tutti i cuori d’emozione, e se s’allontana, tutti i cuori piombano nel nulla.

«Regna il cielo nel suo volto; brilla dello splendore de’ giardini del paradiso, tra’ quali scorre il ruscello della vita.

«Il suo corpo offre un grato assieme di tutti i colori; il nero ed il bianco, il color delle rose e quello del legno di sandalo.

«Tutti i cuori ella incatena coll’incanto della beltà, l’elegauza della persona, il seducente sorriso.

«Slanciano dardi i suoi occhi, e le parole più inebbrianti escono dalla profumata bocca.»»

«Questa bella schiava, come già dicemmo, era il solo tesoro che ancor possedesse Abul Hassan. Erano già trascorsi tre giorni senza ch’ei prendesse alcun cibo, e la schiava allora gli disse: — Presentatemi al Commendatore de’ credenti, al grande Aaron-al-Raschild, e domandategli diecimila zecchini di me. S’ei trova troppo alto tal prezzo, ditegli ch’io valgo ancora di più, e che, riguardo ai talenti concessimi dal cielo, non ho rivali.» Abul Hassan, non essendo in grado d’apprezzare abbastanza il merito della schiava, ne seguì [p. 320 modifica] il consiglio, e ripetè al califfo le di lei parole.— Come ti chiami?» chiese il principe alla schiava. — Teveddud,» rispose quella. — Fammi vedere ciò che sai;» riprese Aaron. — Sire,» disse la schiava, «ho studiato l’astronomia, la poesia, la grammatica, il diritto civile ed il canonico. Conosco pure la musica, l’aritmetica, la geometria e l’arte di decifrare le iscrizioni antiche. Leggo in sette maniere diverse il Corano; so appuntino quanti capitoli, versetti, consonanti e vocali racchiude; so quali capitoli ordinino l’abolizione di certe cose, e tutte le cose che vi sono vietate; so quali capitoli furono scritti alla Mecca, e quali a Medina. Conosco le tradizioni ossia le leggi del Profeta, e so, secondo la loro origine, distinguerne i diversi gradi d’autenticità. Nè sono ignara della logica, nè di tutte l’altre scienze filosofiche. Canto, ballo, suono il liuto ed il flauto. Grazie alla mia felice memoria, conosco tutti i migliori nostri poemi, e posseggo anch’io il talento dei versi. —

«Rimase il califfo sbalordito di tanta fecondità. — Farò venire,» disse ad Abul Hassan, «i dottori e maestri in tutte le scienze per mettere la tua schiava alla prova, ed assicurarmi sè realmente sia istruita quanto pretende. In tal caso vi darò i diecimila zecchini; diversamente, potrete tenervela e ricondurla a casa. —

«Il califfo scrisse immediatamente al governatore di Basra di mandargli Ibrahim figlio di Nazim, il maggior dotto del suo tempo, profondo in tutte le conoscenze umane, e fece in pari tempo chiamare i lettori del Corano, i grammatici, i poeti, i geometri, i filosofi, i giureconsulti, i dottori di filosofia e teologia, i quali, tutti insieme, erano ancora lungi dal saperne quanto Ibrahim figlio di Nazim. Recatisi tutti al palazzo del califfo, senza sapere per qual motivo li avesse convocati, il principe, andato loro incontro, comandò [p. 321 modifica] che sedessero, e quindi fece entrare Teveddud. Erasi preparato per lei un seggio d’oro, su cui ella sedè con molta grazia e dignità. — Commendatore de’ credenti,» disse poi, «ordinate ora a questi dotti teologi, grammatici, poeti, geometri e giureconsulti, d’interrogarmi.»

Il califfo fece loro conoscere la sua intenzione, e tutti risposero: — Siamo pronti ad eseguire gli ordini vostri per gli occhi e pei capelli nostri!» Sì dicendo, si misero le mani sugli occhi e sulla fronte in segno d’obbedienza. — Or bene,» chiese Teveddud, dopo essere rimasta alcuni istanti colla testa bassa, «qual è il lettore più dotto e versato nella lettura del Corano e nelle tradizioni del Profeta? — Io!» rispose, alzandosi, un dottore dell’assemblea, e voltosi poscia a Teveddud: «Avete dunque,» le disse, «studiato a fondo il Corano? Conoscete il numero de’ capitoli, delle parole e delle lettere che contiene? Conoscete senza dubbio anche i precetti e le dottrine della nostra santa religione? Per cominciare il mio esame, ditemi qual è il vostro Dio ed il vostro Profeta? quale la vostra regola di condotta? la vostra setta, la vostra Kibla1 ed il vostro imam?... — Dio è il [p. 322 modifica] mio Signore; Maometto il mio profeta; il suo esempio e la sua bontà sono la mia regola di vita e la mia setta; la mia Kibla, è la Kaaba, ed il Corano il mio imam. — Come sapete voi esservi un Dio? — Per la ragione. — Cos’è la ragione? — Convien distinguere, essendovi una ragione innata ed una ragione acquisita. Dio fece nascere la prima nel cuore de’ suoi fedeli, affinchè procedessero nella via della verità. La seconda è il frutto dell’educazione, e di sforzi ostinati e costanti. — Ma dov’è la sede della ragione? — Nel cuore, d’onde le sue ispirazioni sollevansi al cervello. — Come imparaste a conoscere il Profeta? — Colla lettura delle sante scritture, colle prove e testimonianze della divina sua missione, dalle sentenze del Corano e pe’ suoi miracoli. — Bene! quanti doveri indispensabili della religione v’hanno, e quali sono i due spazi del tempo? — I doveri indispensabili della religione sono cinque. Il primo consiste nella professione di fede: Non v’ha altro Dio che Dio, e Maometto è il suo Profeta; il secondo è la preghiera; l’elemosina, il terzo; il quarto, il digiuno; il quinto, il pellegrinaggio alla Mecca. I due spazi del tempo sono il giorno e la notte, distinti dal sole e dalla luna. Questi astri illuminano gli uomini, e sono perituri com’essi. — Quali sono le buone opere più meritorie? — La preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio e la guerra santa. — A qual fine pregate voi? — Per offerire a Dio il sagrifizio della mia sommissione e celebrare le sue laudi. — Quali sono le condizioni indispensabili per la preghiera? — Una purificazione intera del corpo e del luogo. — Con qual intenzione andate alla moschea? — Per adorare Iddio. — Qual è la sorte di chi trascura la preghiera? — Non può sperar salute. — E quali sono i frutti della preghiera? — Illumina il cuore, purifica il viso, calma lo sdegno del Signore, sperde il furore del demonio, allontana ogni avversità, ne protegge [p. 323 modifica] contro le imprese de’ nostri nemici, ed attrae su di noi la misericordia di Dio. — Ben risposto! poichè tutti questi vantaggi vennero già annunziati nelle sante scritture, e sono la base della fede. Ma qual è la chiave della preghiera? — L’abluzione. — Quale la chiave dell’abluzione?— La formola: In nome di Dio clemente e misericordioso. — E la chiave di questa formola? — La fiducia in Dio. — Quali sono le condizioni necessarie per l’abluzione e quante ve n’hanno? — Secondo l’iman Sciafig Mohammed, figlio d’Edris, avvene cinque. L’intenzione di purificarsi per esser grato a Dio; l’abluzione del volto (propriamente detta d’una parte della barba); l’abluzione delle mani sino al gomito; il fregamento d’una parte della testa, e l’abluzione dei piedi sino alla caviglia. Arrogi ancora ciò che si è osservato nella pratica del Profeta, e lo condizioni per conformarvisi sono in numero di dodici. Primieramente deesi pronunziare la formola In nome di Dio; in secondo luogo, lavarsi le mani prima d’immergerle nel vaso; terzo, sciaquarsi la bocca; quarto, lavarsi le nari prendendo l’acqua nel cavo della mano; in quinto luogo, fregarsi la testa; sesto, pettinarsi colle dita la barba; settimo, torcersi le mani; ottavo, battere i piedi l’un coll’altro; nono, porre sempre il piè dritto prima del sinistro; decimo, ripetere tre volte l’abluzione; undecimo, pronunziare dopo l’abluzione la formola: Non v’ha altro Dio che Dio, e Maometto è il suo Profeta; e in duodecimo luogo recitare anche la formola: O mio Dio! collocami nel novero dei penitenti, dei giusti, e de’ fedeli e virtuosi servitori. Lode a Dio! Confesso non esservi altro Dio che Dio. Egli è il mio rifugio; è da lui che, pieno di pentimento, invoco il perdono de’ miei peccati! — Che cosa fanno gli angeli ed i demoni presso all’uomo, il quale fa le sue abluzioni? — Gli angeli tengonsi alla sua destra, i demoni alla sinistra; ma appena ei pronunzia il [p. 324 modifica] nome di Dio, i diavoli si danno alla fuga. Gli angeli gli spiegano sulla testa un padiglione di luce, cantano le lodi di Dio, ed implorano il perdono de’ peccati di quell’uomo. Cessa egli di pronunziare il nome di Dio? i demoni ritornano, e fanno tutti gli sforzi per insinuare il dubbio ed il turbamento nell’anima di chi fa le abluzioni. Ma quando ha religiosamente adempito a quei doveri, è al sicuro da tutte le tentazioni infernali, dalle ingiustizie del principe e dai rovesci della fortuna. — Quali sono le pratiche d’obbligazione divina (farz) e gli usi conformi alla pratica (sunnet) del Profeta, nella purificazione coll’arena e la polvere (teyemum)? — Ve ne sono quattro: l'ingresso del tempo prescritto dell’anno, la mancanza d’acqua, la buona intenzione, il fregamento del volto, e finalmente la fregazione delle mani sino al cubito. Quanto a ciò che concerne le pratiche imitative del Profeta, devesi prima pronunziare la formola: In nome di Dio, e poi volgersi al lato destro, e quindi al sinistro. — Benissimo! Veniamo ora alla preghiera ed alle condizioni obbligatorie. — Vi sono quattro condizioni: la prima consiste nella purità delle membra; la seconda d’aver cura di nascondere le membra che il pudore comanda di coprire; il terzo, di starsene in luogo puro; ed il quarto di voltarsi verso la Kibla. Le colonne della preghiera sono ciò che segue: Primieramente la buona intenzione; in secondo luogo il Tekbir, cioè la formola che comincia da queste parole: Dio altissimo; terzo, recitare il Fatiha, vale a dire la prima surate del Corano; in quarto luogo, l’atto di prosternarsi (sugiud); quinto, l’atto di rialzarsi; sesto, la professione di fede; settimo, restare seduto sui talloni; ottavo, i voti del Profeta (salat e teslim); nono, la buona intenzione. Per conformarsi al costume del Profeta, bisogna fare quanto segue: Prima si recita la preghiera (ezan); poi pronunziasi [p. 325 modifica] il principio della preghiera; in terzo luogo si lavano le mani; quarto, si recita il Fatiha ed un’altra surate; quinto, pronunziaci le formole tekbir teavuz, iftitah, temin e tesmi. — Ditemi ora in quante maniere si può soddisfare la decima delle elemosine? — In dieci maniere: cioè in oro, argento, vacche, pecore, capre, camelli, frumento, orzo, miglio, fava, uva ed altri frutti. — Qual è la quantità della decima in oro e in argento? — Per una somma inferiore a venti dirhem d’oro della Mecca, non si paga decima; per venti dirhem d’oro della Mecca, si paga il tre per cento. Così pure per una somma di sotto a duecento dirhem d’argento, non esigesi decima; di duecento, se ne pagano cinque per la decima, cioè tre per cento. — E in camelli? - Chi possiede cinque camelli, paga un montone, e seguendo questa proporzione, chi ha venticinque camelli, ne dà uno come decima. — Ed in agnelli? — Se ne dà uno su quaranta. — Quali sono le condizioni da osservarsi per un digiuno regolare? — L’astinenza dal mangiare, dal bere e dai godimenti amorosi, appena sorge la nuova luna del mese. Per conformarsi all’uso del Profeta, bisogna far attenzione d’astenersi da ogni discorso inutile, e non leggere che il Corano. — Quali cose rendono inefficace il digiuno? — Il cibo, la polvere del viaggio, gli sguardi volti su cose proibite, il salasso e le ventose. — In che consiste la preghiera nelle due feste del Beyram? — In due rikaat, ed allorchè chiamano alla preghiera (ezan), è d’uopo recitare le prime parole dell’orazione (ikamet). — Di quante rikaat componesi la preghiera durante l’ecclissi del sole e della luna, ed allorchè v’è siccità e mancanza d’acqua? — D’una sola, colle formole delle quali si deve servirsi per implorare la misericordia di Dio e domandargli il perdono de’ nostri peccati. — In che cosa [p. 326 modifica] consiste la perfezione religiosa? — Nel soggiorno continuo in una moschea e nel rinunziare al commercio colle donne. — Che devesi fare quando si vuol intraprendere un pellegrinaggio? — Devesi avere l’età della ragione, essere istruito nei doveri della religione, e bisogna poi intraprenderlo almeno una volta nella vita. — Quali cose si è inoltre obbligati ad osservare? — È mestieri rivestirsi del mantello di pellegrino (ihram)2. Bisogna osservare le istruzioni dell’haarafa, fare il giro della Kaaba (tavaf)3 e visitare l’urna ossia Kagella alla Mecca. — E quali usi possono ancora osservarsi conformemente alla pratica del Profeta? — Consistono nel visitare le diverse stazioni di [p. 327 modifica] Mina.4. — Che vi pare della guerra santa? — È un dovere indispensabile quando gl’infedeli attaccano i credenti; allora bisogna prender l’armi e marciare contro i nemici senza tornar addietro5. — Potreste dirmi qualche cosa intorno alla vendita ed all’acquisto? — Bisogna essere liberi da ambe le parti, e compilare un atto di consenso e di accettazione. — Vi sono certe cose che in certi casi è vietato di vendere? — Sì; esiste in tal proposito una tradizione chiarissima del Profeta, la quale vieta espressamente di cambiar fichi freschi con fichi secchi; vecchia carne con carne fresca; burro fresco con burro salato, ed in generale tutte le vettovaglie fresche colle vecchie e secche. —

«Il dottore di teologia aveva esaurita tutta la sua scienza, e vedendo che la schiava ne sapeva quant’egli, ne fece la confessione sincera al califfo.

«— Permettetemi» sire,» disse allora Teveddud al principe,» d’interrogare a mia volta il dottore. Quanti partaggi della fede vi sono, ed a chi son concessi? — Ve n’hanno dieci. La professione di fede appartiene a tutto il popolo; la preghiera è il partaggio dell’uomo pio; l’elemosina è il partaggio dei benefici; il digiuno, de’ temperanti; il pellegrinaggio, de’ viaggiatori, e la guerra, quello degli uomini forti e valorosi. I giusti s’astengono dalle cose proibite, e chi è animato di zelo fervente astengasi anche dalle cose lecite. I doveri della società sono fedelmente adempiti da quelli che l’amano. — Bene! Quali sono le colonne dell’Islam? [p. 328 modifica] — La sana ragione, l’amor del bene, l’osservanza de’ doveri e delle regole in tutte le cose, e la fedeltà nell’adempimento delle promesse. — Una domanda ancora,» disse Teveddud; «ma se non vi rispondete, vi prevengo che vi torrò quel vostro mantello dottorale. — Vediamo di che si tratta? — Ebbene, ditemi quali sono i rami dell’Islam?» Il dottore non seppe rispondere a quell’interrogazione. — Rispondete voi stessa al vostro quesito,» disse il califfo alla giovane; «vi concedo il mantello del dottore. «— I rami dell’Islam,» soggiunse Teveddud, «compongonsi di venti parti: primieramente, bisogna osservare le sante scritture; secondo, imitare le azioni del Profeta; in terzo luogo, non commettere veruna ingiustizia; in quarto luogo, non mangiare che cose permesse; quinto, astenersi da tutte le proibite; sesto, punire i trasgressori della legge; settimo, pentirsi dei falli; ottavo, far del bene a’ propri nemici; nono, esser umile nella propria condotta; in decimo luogo, fuggire ogni innovazione; undecimo, spiegare coraggio nel bisogno; in duodecimo luogo, munirsi di pazienza nell’avversità; decimoterzo, conoscere Iddio; decimoquarto, conoscere il Profeta; in decimoquinto luogo, conoscere Satana; decimosesto, conoscere sè stesso; decimosettimo, esser sempre pronto a combattere Satana; decimottavo, resistere alle passioni; decimonono, servire Dio con fiducia; e vigesimo, con sommissione. —

«Avendo allora il califfo comandato di togliere il mantello al dottore, questi se n’andò pieno di vergogna e di confusione. Un altro si levò dalla sedia, e disse:

«— Quali sono i doveri della religione da osservarsi durante il pasto? — Bisogna invocare il nome di Dio, riconoscere che ogni cibo viene da lui e rendergliene grazie. — In che consistono le azioni di [p. 329 modifica] grazie? — Nel rendere i nostri cuori riconoscenti di tutte le cose create da Dio. — Quali sono le pratiche imitative del Profeta da osservarsi durante il pasto? — Si devono fare le abluzioni, sedere sull’anca destra, mangiare con tre sole dita, e lasciare inoltre mangiar gli schiavi. — E che esigono le convenienze durante il pasto, mentre si è a tavola? — Non devonsi mangiare che piccoli bocconi, e non troppo guardare con chi si sta. — Bene! ditemi adesso quali sono le principali virtù del cuore ed i vizi loro opposti? — La fede e l’empietà; l’osservanza de’ saggi costumi e l’amore delle cose nuove; la sommessione e lo spirito di contraddizione. La fede abita in quattro siti; nella testa, nel cuore, nella lingua e nel resto delle membra. La forza del cuore consiste nella gioia; la forza della testa, nella conoscenza della verità; la forza della lingua, nella sincerità, e la forza dell’altre membra nella sommessione. — Ma in quanti punti consiste la fede dommatica? — Avvene nove: la fede in Dio, la fede nelle sue promesse, la fede alla sommessione, la fede all’attaccamento, la fede alla predestinazione, la fede ai precetti divini che abrogano gli antichi precetti, la fede a quelli che consolano, la fede agli angeli, e finalmente la fede al Profeta ed a’ suoi scritti. — Parlatemi ora del cielo. — O Dio! dice il Corano, più d’un porto conduce al cielo. Ed il Profeta aggiunge che il novero non n’è conosciuto se non a chi li ha creati, e che vi ha in cielo una porta per ciascun uomo, la quale rimane aperta sino alla sua morte; ma chiudesi per la prima volta, sia ch’egli entri nel cielo, o che ne sia respinto. — Ditemi che sia qualche cosa, la metà di qualche cosa, e meno di qualche cosa. — Secondo il Corano, la fede è qualche cosa, l’ipocrisia è la metà di qualche cosa, e l’empietà è meno di qualche cosa. — Quante sorte di cuori vi sono? Prima di tutto [p. 330 modifica] v’ha il cuore santo che spetta al credente; il cuor debole, che spetta all’infedele; il cuor vacillante, che appartiene al pusillanime; il cuore dell’eletto è il cuore del Profeta, ed il cuore illuminato è quello de’ compagni del Profeta. Vi sono cuori che appartengono alla terra ed altri al cielo; vi sono cuori schiavi dello loro passioni, e cuori che servono Dio; son vi cuori illuminati dai raggi della luce divina; cuori che apronsi alla beneficenza; cuori che racchiudono l’avarizia; cuori inaspriti dall’odio; cuori tremebondi pel timore; cuori che ardono d’amore; v’hanno cuori gelati dall’egoismo, cuori lacerati dall’invidia, e cuori gonfi d’orgoglio. —

«Il dottore dichiarò d’essere contento delle sue risposte. Permettetemi ora, Commendatore de’ credenti,» disse la schiava ad Aaron, «d’interrogarlo anch’io e di togliergli lo sciallo, se non sa rispondere. Ditemi dunque, gran dottore,» proseguì essa, «qual è il dovere de’ doveri (farz) il primo di tutti i doveri, e quello che deve precedere tutti gli altri, benchè siano di maggior importanza? —

«Il dottore restò muto, e la schiava, toltogli lo sciallo, rispose poi alla propria interrogazione nel modo seguente:

«— Il dovere de’ doveri è la conoscenza di Dio; il primo de’ doveri, cioè quello onde emanano tutti i doveri religiosi, è la professione di fede: Non v’ha altro Dio che Dio, e Maometto è il suo Profeta! ed il dovere che deve procedere tutti gli altri, è quella dell’abluzione, poichè bisogna purificarsi prima d’ogni altra cosa. —

«Il dottore si confessò vinto, ed andossene svergognato. Allora la bella Teveddud si rivolse al famoso Makarri, uno de’ piò celebri saggi del suo secolo, che possedeva cognizioni profonde nelle diverse maniere di leggere il Corano, e ne’ differenti rami della [p. 331 modifica] filologia, e lo pregò d’interrogarla. Il gran Makarri, alzatosi, le disse:

«— Voi avete adunque lette le sacre scritture e conoscete tutti i passi del Corano? Sapete quelli che ammettono spiegazioni e quelli che non ne ammettono; quelli che dichiarano una cosa illecita e quelli che ne permettono un’altra; quelli scritti alla Mecca e quelli che lo furono a Medina; quelli che appartengono al giorno ed alla notte, alla state ed all’inverno? Sapete il numero de’ capitoli, de’ versetti, delle parole, delle consonanti e dei punti diacritici? — Sì, lo so,» rispose Teveddud. — Ebbene,» ripigliò Makarri, «datemi un saggio de’ vostri lumi e delle cognizioni vostre. — Sono nel Corano, » riprese la bella schiava, «cento quattordici surate, settanta delle quali furono scritte alla Mecca e quarantaquattro a Medina. È il Corano diviso in 621 parti chiamate aschar, e contiene 6,236 versetti. Contiene pure 79,439 parole e 323,670 lettere, ciascuna delle quali infonde una forza benefica a chi le legge. Vi si trovano i nomi di trenta profeti: Adamo, Set, Noè, Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, e i suoi undici fratelli, Esaù, Giona, Jol, Saleh, Houd, Jetro, David, Salomone, Zulkefel, Sun-Nun, Elia, Lokman, Alasis, Saul, Jehu, Zaccaria, Giobbe, Mosè, Aronne, Gesù e Maometto. Nel Corano trovasi ancora il nome di nove animali alati: la zanzara, l’ape, la mosca, la formica volante, l’upupa, il corvo, la cavalletta, l’uccello yesou e l’uccello ebabil che gettò pietre sui nimici i quali avvicinavansi per impossessarsi della Kaaba. — Bene! Qual è la più bella surate di tutto il Corano? — La seconda, che s’intitola: La Vacca. — E qual n’è il più bel versetto? — Quello il cui nome viene dal trono, e che contiene cinquanta parole, ciascuna delle quali contiene altrettante benedizioni. «— Qual è il versetto che annunzia nove meraviglie? — Il seguente: «La creazione del cielo e [p. 332 modifica] della terra, la successione del giorno o della notte, ed i vascelli che solcano la superficie dei mari, sono benefizi che saranno utili agli uomini sino all’ultimo giorno.» — Qual è il versetto onde spira particolarmente la giustizia? — Questo: «Dio ci ha comandato d’essere benefici e giusti.» — Ed in qual versetto è comandata l’avarizia? — Eccolo: «Sii avaro de’ miei beni, affine di goder un giorno del paradiso.» - Quale il versetto che accusa di menzogna i profeti? — Quello dove si tratta de’ fratelli di Giuseppe, che presentaronsi a Giacobbe colla veste del loro fratello, tinta d’un sangue menzognero. — Conoscete voi, per lo contrario, un versetto nel quale vennero citati gl’infedeli come dicenti la verità? — Lo conosco; è il versetto dove trovansi queste parole: «Gli Ebrei dicono: I cristiani son nell’errore; ed i cristiani rispondono: Gli Ebrei non sanno quello che dicono.» D’ambe le parti dicono la verità. — Citatemi un versetto dove Iddio parli in persona. — Ei disse: «Non ho creato geni e gli uomini se non perchè m’adorassero.» — Citatemi un detto che il Corano mette in bocca ai profeti. — I profeti dicono nel Corano: «Non è se non per la misericordia di Dio che abbiamo il potere di condurvi.» - Gli angeli non parlano anch’essi nel Corano? — Sì, e dicono: «Noi celebriamo la tua gloria, o Signore, e t’adoriamo.» — Che dice il Corano intorno a questa preghiera: «Mi rifugio presso Dio ed imploro il suo soccorso contro Satana maledetto?» — Ei dice: «Tutte le «volte che si legge il Corano, si deve ricorrere a Dio.» - Poichè cotesta formola è tanto potente, è dunque importante di sapere in che consista la particolare sua forza, e d’onde venga la voce istias che dà a tal formola il suo nome. — Istias significa rifuggirsi, cercare soccorso; alcuni l’usano nel senso che [p. 333 modifica] ha nel versetto seguente: «Io mi rifuggo presso Dio che sa e conosce tutto, e gli domando asilo contro il maledetto Satana.» Altri l’adoperano nel senso di quest’altro versetto: «Ricorro al Signore, il forte, il misericordioso!» Ogni volta che il Profeta leggeva il Corano, ogni volta che alzavasi la notte, aveva la cura di dire: «Io mi rifuggo presso Dio, cerco un asilo contro Satana il maledetto, e contro tutte le tentazioni del diavolo.» — Secondo una tradizione, l’angelo Gabriele insegnò questa formola al Profeta la prima volta che lo visitò, dicendogli queste parole: «Maometto, di’: Io mi rifuggo presso Dio che sa e conosce tutto, ed aggiungi: In nome di Dio clemente e misericordioso!» Or che pensate di quest’ultima formola? — È la eccellente tra tutte le formole, poichè si trova in capo a tutte le surate. — Ma perchè non si trova al principio della nona intitolata Berat, cioè l’immunità? — Si è perchè in quel momento era stato rotto il contratto conchiuso tra il Profeta e gl’infedeli, ed allorchè il Profeta lesse quella surate, preterì la formola. — In che cosa consistono i vantaggi che traggonsi da questa surate? — Il Profeta disse: «Io non l’ho giammai recitata senza esperimentare le sue benedizioni.» E secondo ciò ch’egli assicura, Dio giammai non intese quell’invocazione nella bocca d’un infermo senza guarirlo. Allorchè Iddio ebbe creato i cieli, tremarono davanti alla sua onnipotenza. Egli scrisse sulla loro, volta: «In nome di Dio clemente e misericordioso,» e furono rassicurati. Un pescatore, che Dio condannò al fuoco eterno, implora la sua misericordia, dicendo avervi già riposta la sua fiducia in questo mondo, e Dio gli risponde: «Entra in paradiso per la forza e potenza della mia misericordia, poichè io sono misericordioso verso quelli che mi implorano.» — Sapreste dirmi come questa [p. 334 modifica] formola sia venuta a poco a poco in uso tra gli uomini? — Oh sì! avanti Maometto dicevasi: «In nome tuo, mio Dio!» Ma quando fu disceso dal cielo questo versetto: «Chiamatelo Dio clemente, però che è il suo più bel nome!» Si disse allora: «Nel nome di Dio clemente!» Finalmente, fu mandato dal cielo quest’altro versetto: «Il vostro Dio è un Dio unico: non v’ha altro Dio che lui, il clemente, il misericordioso. » E da quell’istante, universalmente fu detto: «Nel nome di Dio clemente e misericordioso! »

«Sempre più maravigliato delle cognizioni della schiava, Makarri non sapeva più che domanda rivolgerle; laonde le propose, per ultimo appiglio, la quistione più ardua e sottile.

«— Il Corano,» le disse, «è disceso tutto intiero, come sta nelle tavole custodite in cielo, e dov’era scritto dal principio de’ secoli, oppure discese in più volte? — È stato portato dall’arcangelo Gabriele, in nome del Sovrano dei mondi, al suo profeta Maometto, principe degl’inviati da Dio, nello spazio di vent’anni, a versetti staccati, secondo che l’esigevano lo stato e la condizione delle cose. — Qual è la prima surate mandata al Profeta? — Secondo Ben Abbas, è, la surate Alak, e secondo Giaber, figlio di Abdallah, la surate Almodesser. — E il versetto disceso per l’ultimo dal cielo? — Questo: «La vittoria di Dio è qui e la conquista vicina.» — Quali sono, tra’ compagni del Profeta, quelli che raccolsero al suo tempo i versetti sparsi del Corano? — Furono quattro: Ebi Ben Kaab, Zeid Ben Thabet, Ebn Obeid Pon-al-Gerrah, e Osman Ben Affan. — Chi quelli che insegnarono la vera maniera di leggere il Corano? — Abdalla Been Musud, Vathed Ben Kaab, Moas Ben Giabel e Salein Ben Abdalla. — Cosa significa il seguente versetto del Corano: «Tu sai cosa è in me [p. 335 modifica] ed io non so cosa è in te?» — Eccolo: l’uomo involge tali parole a Dio, che conosce il fondo del suo cuore; ma l’uomo non conosce i segreti di Dio. — In che occasione discese dal cielo il versetto: «O voi che creduto in me, non rinunziate ai godimenti che Dio v’ha permessi?» — In questa occasione: Ali figlio di Au Thaleb, Osmano figlio di Massaab, ed alcuni altri compagni del Profeta spingendo troppo lontano lo spirito di penitenza, voleano farsi eunuchi e portare vestimenti di crini. —

«Allora Makarri avendo esaurita tutta la sua scienza, alzossi, e disse ad alta voce: — Prendo a testimonio Iddio, Commendatore de’ credenti, che questa schiava conosce il Corano meglio di me. — Permettetemi dunque, o sire,» soggiunse Teveddud, che gli faccia anch’io qualche interrogazione, e che se non saprà rispondermi, gli levi l’abito. —

«Acconsentì il califfo, e la schiava continuò: — Ditemi, gran dottore, qual è il versetto che abbraccia ventitrè volte la lettera kiaf (k)? Qual è quello che contiene sedici volte la lettera mim (m)? e finalmente, quale il versetto dove trovasi quaranta volte la lettera ain (a)6? —

«Rimase il dottore muto come un pesce; cosicchè Teveddud rispose a sè medesima:

«— Il versetto che contiene sedici mim trovasi nella surate Houd, e comincia con queste parole: Ia Nouh bis-selam; il versetto che racchiude ventitrè kiaf, sta nella surate della Vacca, ed è conosciuto sotto il nome di versetto della fede. Quello che contiene quaranta volte l’ain, si trova nella surate Aaraaf, e comincia colle parole ikhlar moussa schyne. —

«Makarri, per vergogna, lacerossi lo vesti che [p. 336 modifica] Teveddud avevagli ancora lasciato, e si diede alla fuga. Un altro dottore gli succedette, e disse:

«— Sì è abbastanza ragionato su ciò che risguarda all’anima; vediamo se siete altrettanto ben istruita in quanto concerne il corpo. Spiegatevi dunque, se v’aggrada, bella Teveddud, sul corpo umano, la sua formazione, le vene, l’ossa, e intorno all’origine del nome di Adamo. — Il nome di Adamo fu dato all’uomo perchè creato con una massa di terra (edim) formata col suolo di sette climi. La testa colla terra della Kaaba, il petto colla terra dell’Oriente, i piedi con quella dell’Occidente. Sette parti ha la sua testa: due occhi, due orecchie, due nari e la bocca. Sono gli occhi il senso della vista, le orecchie quello dell’udito, e così del resto. I quattro elementi si sono riuniti per formare l’insieme del suo temperamento. Il bilioso ha la natura del fuoco, ch’è caldo e secco; il flemmatico, la natura dell’acqua, fredda ed umida; il collerico, la natura della terra, fredda e secca; il sanguigno, la natura dell’aria, ch’è umida e calda. V’hanno nel corpo umano trecentosettanta vene, settecentonovantanove ossa, e tre istinti, cioè della vita, della riproduzione, dell’appetito. Vi si trovano sette spiriti vitali; son essi che guidano le funzioni de’ cinque sensi, al pari della forza parlante e della forza operante. Nel corpo umano sono sette parti, che portano in arabo il nome di testa: la testa propriamente detta, le spalle, i due gomiti, il palato, ed una settima della quale in questo momento non mi ricordo il nome. Dio collocò il cuore dal lato sinistro, e lo stomaco davanti al cuore, al quale i polmoni servono di ventaglio. Collocò il fegato alla destra come una dipendenza del cuore, e le reni dopo il fegato e la milza. Articolate ha le costole e le ossa che formano il petto, ed intrecciati gl’intestini. — Quante vene vi sono nella testa? — Tre: una, [p. 337 modifica] sul davanti, chiamasi la vena dell’immaginazione; l’altra in mezzo, la vena della memoria; e la terza, dietro la testa, la vena del giudizio. Di più, avvi nella lesta quarantotto ossa, sette nelle mascelle, due nel naso, e cinquantotto nelle mani. Trentadue denti ha l’uomo, sedici di sopra e sedici sotto; ventiquattro costole, dodici a ciascun lato. Le donne hanno una costa al lato destro più che al sinistro, all'uopo di avere l’estensione necessaria per racchiudere la prole che son destinate a portar in grembo. L’uomo ha di più sedici grandi vene, otto delle quali sono arterie. La sorgente di tutte le arterie e delle vene è la grossa vena del polso, che emana dal cuore, e d’onde il sangue si sparge in tutte le parti del corpo. Di là partono quattro vene che stendonsi verso gli occhi, quattro verso la fronte, quattro che traversano l’orecchie, quattro che vivificano le labbra; due perdonsi nel seno, due nella lingua; due altre conducono il sangue nelle reni; sette lo spargono nel collo, dieci nel dorso, nel basso ventre, e le altre su tutta la superficie del corpo. La lingua serve all’uomo d’interprete, gli occhi sono le sue faci, e le mani l’ali sue. Il fegato è la sede della pietà, la milza quella della gioia. Nelle reni abita l’astuzia, il ventre è il tesoro del corpo, ed il cuore n’è la colonna. Quando sta bene il cuore, sta pur bene tutto il resto del corpo. — Mi piacerebbe adesso udirvi parlare intorno a’ sintomi delle malattie. — Vi sono sintomi esterni ed interni, da’ quali l’abile medico conosce lo stato del male. La ruvidezza, la secchezza, il calore, al par de’ loro opposti, sono i sintomi ordinari delle malattie. Così, occhi piccoli annunziano pallore, ed il dorso arcuato è segno di polmonia. — Perfettamente risposto! E quali sono i sintomi interni? — Ponno dividersi in sei classi: la prima abbraccia i segni che si ricavano dalle azioni; [p. 338 modifica] la seconda comprende gli escrementi; la terza, le lesioni organiche; la quarta, il luogo dove ha sede la malattia; la quinta, i tumori d’ogni specie; la sesta, la perdita della ragione. Uno o più membri possono esser affetti da dolori. — Qual è la cagione ordinaria de’ dolori di capo? — L’accumulamento di cibi nello stomaco. Quest’è la cagione di quasi tutte le malattie che fanno strage nel popolo. Chi vuol prolungare la propria vita, deve alzarsi di buon’ora alla mattina, non vegliare troppo tardi la notte, ed astenersi da tutti i godimenti che indeboliscono. L’uomo deve riempirsi il corpo d’un terzo di cibo e d'un terzo d’acqua, e l’altro terzo rimaner libero per la circolazione del sangue. L’uomo che mangia troppo segue un tenore di vita perniciosissimo. — Quali sono i sintomi della febbre biliosa? — Un color giallo, un respiro precipitato, vertigini, frequenti sternuti, e disgusto pei piaceri carnali. — Come dividesi la medicina7? — In due parti: consiste la prima nella cognizione delle malattie, e la seconda nella cognizione de’ rimedi. — Cosa devesi bere, secondo voi? — L’acqua pura in vasi nuovi confricati con qualche eccellente profumo, è benefica al corpo, ma non bisogna ber troppo presto dopo aver mangiato. Quanto ai sorbetti medicinali, devesi, nel prenderli, badare al momento opportuno e non lasciarlo passare. È perciò che il Profeta disse essere il calore il principio, e lo stomaco il ricetto di tutti i rimedi. — Che pensate voi del bagno? — Non bisogna entrare nel bagno prima d’aver intieramente fatta la digestione. Il [p. 339 modifica] bagno migliore è quello nel quale v’ha acqua dolce, aria pura e camera vasta. — Qual è il miglior cibo? — Quello acconciato dalla mano d’una donna, che non costa troppi preparativi e vien mangiato con cuore libero. Secondo il Profeta, avvi ancora il thorid o specie di brodo. Solea dire il Profeta: «Il thorid è il più eccellente di tutti i cibi, come Aischa è l’ottima fra le donne.» Ei sosteneva ancora che la carne è il miglior nutrimento, perchè riunisce il gusto di questo mondo e dell’altro. — Quali sono i migliori frutti? — Quelli in ghiaccio. — Quando devesi ber acqua? — Non bisogna berne quando si esce dal bagno, ma la mattina, uscendo dal letto ed alzandosi da tavola. — Cosa dite del vino? — Non esiste una risposta alla vostra interrogazione, essendo il vino vietato nel libro santo. Il Corano dice: -«Il vino ed i giuochi d’azzardo sono opera del demonio.» Se mi chiedeste ancora altre autorità, posso citarvi parecchi poeti, i cui versi rappresentano l’uso del vino come indegno d’un uomo ragionevole. «Ho bevuto,» dice uno di loro, «del liquore proibito sino a perderne la ragione.» Le persone sagge non si espongono mai al pericolo di perdere la ragione. Nondimeno, non devo negare che il vino non abbia qualità preziose. Infonde coraggio ed allegria, eccita la franchezza, facilita la digestione, rinvigorisce il corpo, scaccia i dolori reumatici, netta il corpo dagli umori che contiene, abbellisce il colorito, e rianima gli spiriti vitali. Se Dio ed il suo Profeta non l’avessero proibito, non vi sarebbe sulla terra rimedio nessuno che gli si potesse paragonare sotto il rapporto delle virtù medicinali. — Quando ed a chi è necessario il salasso? — A quello che ha troppo sangue. Il tempo più conveniente è il novilunio. Di più, bisogna che la giornata sia bella, non faccia vento e non piova. Il terzo ed il decimosettimo giorno del mese [p. 340 modifica] sono i più propizi per tale operazione. Convien essere a digiuno. È il consiglio che diede il Profeta a qualcuno venuto a consultarlo pei mali di testa e gli ordinò in pari tempo di non mangiar nulla d’acre, nè di salato. Del resto, non bisogna farsi cavar sangue ne’ grandi calori, nè al tempo de’ grandi freddi. La primavera è la stagione più opportuna. — Cosa dite del matrimonio sotto il rapporto della salute? —

«La bella Teveddud, arrossendo a quella domanda, abbassò gli occhi e nulla rispose. — Commendatore de’ credenti,» disse poi, «non attribuite il mio silenzio a difetto di cognizioni; ho studiato a fondo tutti i rami della medicina, ma mi vergognerei palesando ciò che in questo proposito ho imparato. —

«Il califfo sorrise. — Quando si è una volta,» disse, << sui banchi de’ dotti, bisogna parlare come un dottore. Perciò desidero che vi spieghiate senza alcun imbarazzo. Io non mi son dato il pensiero di cercare i vantaggi che dal matrimonio possono risultar per la salute, ed avrei un piacere estremo di ragionare su questa materia con alcuno quanto voi versato nella medicina. — Il matrimonio,» rispose Teveddud, rassicurata alquanto, «produce benefizi infiniti. Rende il corpo più leggero, tempra il fuoco ardente dell’amore, rallegra il cuore e forma un legame che ci attacca alla società. Non bisogna maritarsi d’estate, ma è salutarissimo farlo d’inverno, e soprattutto in primavera. Confesserò tuttavia che il matrimonio è più pregiudizievole che utile ai temperamenti freddi. Ma nulla al mondo è funesto quanto maritarsi a vecchia donna. È un veleno mortale pel corpo, un’unione mal assortita ed intollerabile. È mestieri che la moglie sia giovane per rendere il marito felice. Infine, come dice il poeta:

«Una giovinetta che v’intenda ad un volger d’oc[p. 341 modifica]chio, vi parli coi piedi e colle mani, vi offre l’immagine d’un’aiuola di fiori quando su di lei fermate gli sguardi.» — A proposito di rose, ditemi quali sono i fiori più comuni? — Le rose e le viole. — Non m’intendete; parlo come medico: è vero, avete troppi bei colori per poter amare i fiori bianchi; ma in somma.... — Basta!» sclamò la bella Teveddud. «Ben si vede che siete medico; siccome non potete uccidermi co’ vostri rimedi, volete farlo co’ quesiti. Commendatore de’ credenti, «disse poi, volgendosi al califfo, «permettete che l’interroghi a mia volta. Qual è l’acqua che trovasi ora dolce, ora amara, che avvelena le ferite e talora le guarisce, ch’è il sorbetto de’ mortali quando ricevono la vita e quando la lasciano? —

«Il dottore fu muto. Gli tolse la schiava il mantello, e poi seguitò: — Sono le lagrime, poichè piangiamo ora di dolore e disperazione, ed ora di gioia e di felicità; piangiamo nascendo e piangiamo morendo. —

«Un astronomo8 presentossi quindi in vece del dottore per interrogare la bella Teveddud, la quale l’accolse sorridendo, poichè ben sapeva che i suoi occhi darebbero all’astronomo maggior imbarazzo che non tutte le stelle del mondo.

«— D’onde levansi il sole e la luna, e dove vanno quando spariscono? — Escono dalle sorgenti d’Oriente e si posano in quelle dell’Occidente. Tali sorgenti sono in numero di ventiquattro. Il sole è il re del giorno, la luna regina della notte. Dio ha detto nel Corano: [p. 342 modifica] «Son io che dà al sole il suo splendore, alla luna la sua luce, e che assegnai loro certi siti, affinchè «possiate conoscere il numero degli anni e contarli.» — Cosa diventa il giorno quando giunge la notte, e cos’è dell’oscurità quando comparisce la luce? — Il giorno e la notte, le tenebre e la luce mescolanti e s’identificano continuamente insieme.— Quanti pianeti vi sono, e quali sono i loro buoni o cattivi influssi? — I pianeti sono: il Sole, la Luna, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno. La Luna è fredda ed umida, Saturno freddo ed umido, Giove caldo ed umido, Marte caldo ed umido. Il soggiorno della Luna è il Cancro, il suo apogeo il Toro, l’inclinazione sua lo Scorpione, ed il suo perigeo il Capricorno. Casa di Giove è il suo apogeo la Libra, sua inclinazione l’Ariete, suo perigeo i Gemini. La casa di Venere è il Toro, il suo apogeo i Pesci, la sua inclinazione la Libra, il suo perigeo i Gemini. I Gemini sono la casa di Mercurio, apogeo suo è la Vergine, sua inclinazione i Pesci, suo perigeo il Toro. Casa di Marte l’Ariete, suo apogeo il Toro, inclinazione sua il Toro, la Libra il suo apogeo. —

«L’astronomo era stupito della profondità delle cognizioni della bella Teveddud, che superavano ciò ch’egli medesimo sapeva. — Pioverà in questo mese? » le chiese allora.

«La schiava rimase alquanto in silenzio, ed il califfo credette che fosse per rimaner muta.

«— Non mi rispondete?» le chiese l’astronomo. — No,» diss’ella, «a meno che il califfo non me ne conceda il permesso in particolare. — Rispondete pure,» soggiunse il califfo. — Ebbene! sire, datemi la vostra sciabola acciò gli tronchi il capo; poichè è uno Zendik, cioè uno spirito forte, un ateo. — Perchè? » disse il califfo sorridendo. — Perchè sonvi quattro cose che Dio solo conosce: l’ora della morte, [p. 343 modifica] i cambiamenti dell’atmosfera, gli avvenimenti futuri, ed il sesso del feto che la madre porta ancora in seno. Voler predire con certezza una di queste cose, sarebbe quasi come negare l’esistenza di Dio. — Nondimeno,» ripigliò l’astronomo, «vi sono certe cose delle quali si possono prevedere i risultati. Del resto, vi perdono la vostra piacevolezza; ma perchè non possiate eludere le questioni che sono per farvi sui giorni della settimana e l’influenza degli astri, ditemi, vi prego, ciò che sapete intorno alla domenica? — La domenica è sacra al sole. Quando l’anno comincia in domenica, v’ha un’inondazione del Nilo che spande la fertilità nelle campagne: vi sono numerose ed abbondanti rugiade: tutti i grani, e specialmente le lenticchie, vengono in copia; ma nello stesso tempo grandi turbolenza e sanguinosi combattimenti accadono tra gli Arabi dell’Egitto. I cavalli moltiplicano in modo sorprendente; ma in contraccambio sono quasi tutti soggetti alle malattie degli occhi.... Il lunedì è sacro alla luna. Nell’anno che comincia col lunedì, il Nilo cresce sul principio con molta rapidità, ma in breve si ferma. I grani crescono, ma sopravvengono continue piogge che sono loro contrarie. Perisce la metà delle pecore e degli agnelli; ma d’altro lato v’ha meno oppressione e crudeltà per parte dei governo. Vengono l’uve in grande quantità; però si manca di mele. Libri ed abiti a buon mercato.... Il martedì è il giorno di Marte, e se l’anno ha principio con esso, il traripamento del Nilo si effettua felicemente, ma vi sono pochissimi pesci. Il miele, le lenticchie, il canape e l’orzo sono a basso prezzo, ed avvengono guerre sanguinose tra i re... Mercoledì, giorno di Mercurio, quando l’anno comincia da esso, è favorito riguardo all’escrescenza del Nilo; ma regna grande mortalità fra le pecore ed i buoi. Si danno per certe grandi battaglie, e frequentissimi sono i tempo[p. 344 modifica]rali, accompagnati da tuoni e lampi, come i grani carissimi. Non si manca di canape, nè di cotone, ma d’aglio e di navoni... Il giovedì è sacro a Giove. In quell’anno che lo ha per primo giorno, il cielo è continuamente coperto di nugoli, e piove spessissimo. Il Nilo cresce come il solito; i frutti, i grani, i datteri, il cotone, la canapa, l’uva, il pesce, si ha tutto in gran copia... Il venerdì è il giorno di Venere. Se l’anno principia con esso, abbondanti riescono le rugiade, l’escrescenza del Nilo passabile; il cotone, al pari de’ grani, è a prezzo altissimo; grandi turbamenti e gravi disavventure si fanno sentire sulla terra e sul mare. L’uva ed i meloni si guastano affatto. Nascono moltissimi figli... Il sabato è di Saturno. Sgraziato l’anno che da tal giorno ha principio! poichè il Nilo mostrasi avaro, sebbene il cielo si vegga del continuo coperto di nubi. Gli abitanti dell’Egitto e della Siria mandano alte grida contro l’oppressione intollerabile. Sterili i campi e gli alberi, la fame succede alla guerra. —

«L’astronomo non sapeva più che domande fare, e per trarlo d’impaccio, Teveddud gli disse: — Adesso tocca a me; rispondetemi, o vi tolgo il mantello come a’ vostri colleghi. Ditemi dunque quante classi di stelle vi sono? —

«Indarno alzò l’astronomo gli occhi al cielo: nulla vi scoprì che lo potesse cavar d’imbarazzo. Abbassò quindi gli sguardi alla terra, e rimase muto, senza saper cosa rispondere. — Mi si dia il suo mantello!» disse Teveddud, e rispose alla propria domanda nel modo seguente:

«— Gli astri dividonsi in due classi: alcuni sono sospesi alla volta de’ cieli, come faci, per illuminare gli abitatori della terra e dissipare le tenebre durante le imprese de’ demoni che tentano di sollevarsi sull’orizzonte. È perciò che vien detto nel Corano: [p. 345 modifica]

«Noi abbiamo ornato il cielo di faci, che sono altrettante sentinelle contro il diavolo.» La seconda classe comprende le stelle, che trovansi nell’aria per rischiarare l’oscurità dei mari. —

«L’astronomo, non potendo più a lungo sostenere la sua umiliazione, domandò il permesso di fare una nuova interrogazione alla schiava. — Quali sono le quattro cose,» disse, «che Dio creò perchè fossero opposte a quattro altre? —

«Teveddud rispose: — Il caldo ed il freddo, il secco e l’umido, co’ quali Iddio formò la terra e l’acqua, l’aria ed il fuoco. — »

«Ed un’altra domanda ancora le rivolse l’astronomo sulle costellazioni dello Zodiaco, alla quale essa rispose con soddisfazione di tutto l’uditorio.

«Il califfo fe’ poscia chiamare un filosofo, il quale, alzatosi, pregò la bella Teveddud a dire ciò che sapeva relativamente al tempo ed al mondo.

«— Il tempo,» rispos’ella, «è lo spazio del giorno e della notte, la carriera del sole e della luna. Iddio lo disse nel Corano: «La notte fu lor accordata per assegnare i limiti alla lunghezza del giorno. Il sole percorre uno spazio di tempo prescritto per dar loro una misura conveniente.» — Or ditemi, l’infedeltà nasce essa coll’uomo? — Vi risponderò colle proprie parole del Profeta: «L’infedeltà circola tra’ figliuoli d’Adamo come il sangue nelle vene tosto che attaccano il cuore al mondo.» Ed il Profeta dice pure in altro luogo: «Nessuno di voi ami il mondo, poichè Iddio non verrà in aiuto di chi vi si attacca. Nessuno di voi attacchi il suo cuore al tempo, poichè non v’ha dubbio che il tempo avvenire errà senza di questo. Nessuno di voi s’attacchi alla terra, però ch’egli è scritto: Io ho creata la terra, ve n’ho formato, e voi dovete un giorno, ad un mio ordine, lasciarla.» — Quali sono le cinque creature di Dio [p. 346 modifica] che hanno bevuto e mangiato senza che nulla sia uscito dal loro corpo? — Adamo, Simeone, il camello di Saleh, la capra d’Ismaello e l’uccello che vide Abubekr. — Ditemi adesso, quali sono le cinque creature del paradiso che non sono nè uomini, nè angeli, nè geni? — La volpe di Giacobbe, il cane de’ sette dormienti, il camello di Saleh, l’asino di Putifar, e Daidal, mula del Profeta. — Qual è l’uomo, la cui preghiera non faceasi nè in cielo, nè in terra? — Salomone, che faceva le sue preci tra il cielo e la terra, sostenuto dallo zeffiro. — Spiegatemi il fatto seguente: «un uomo mirò il mattino una schiava, e, secondo la legge, non ne ha il diritto; la guarda il mezzodì, come la legge gli permette. Dopo mezzodì, non ne ha più il diritto, e lo può al tramonto del sole. La notte non osa accostarsi a lei per rispetto alla legge, ma la mattina gli è permesso di abbandonarsi alla sua passione per lei. Spiegatemi come circostanze tanto diverse possano succedersi si rapidamente nello spazio di ventiquattr’ore. — Un uomo volge alla mattina i suoi sguardi su d’una schiava che non è sua, e dalla legge gli è vietato di mirarla. La compra a mezzodì, ed allora la può considerare quanto gli piace. Dopo mezzogiorno le concede la libertà, ed in tal caso è sciolta dai doveri dell’obbedienza verso l’antico padrone, e questi non ha più diritto di fissarle addosso gli occhi. La sposa al tramonto del sole, e per tal modo gli diventa consorte legittima. La notte fa divorzio e non se le può accostare: la mattina la riprende in moglie con tutte le cerimonie usitate in simili casi, ed allora non gli è più vietato d’aver commercio con lei. — Conoscete una tomba mobile di cui si parli nella storia? — Certo, la balena che inghiottì Giona. — Qual è la valle che i raggi del sole illuminarono una volta, e non illumineranno più mai? — La valle che [p. 347 modifica] formò la verga di Mosè allorchè divise il mar Rosso per aprir il passo ai figli d’Israello. — Qual donna fu la prima a portare veste a coda? — Agar scopò la terra davanti a Sara colla coda del suo abito, e da quel tempo gli Arabi portarono lunghe vesti. — Ditemi, avvi qualche cosa che respiri senza essere animata? — Sì; dice Iddio nel Corano: «Quando il mattino respira» — Ditemi il vostro parere intorno a ciò che sono per dirvi. Uno stormo d’uccelli si posa sur un albero: alcuni volteggiano sui rami superiori, poggiansi gli altri sugli inferiori. Gli uccelli che occupano la cima dell’albero dicono a quelli che stanno sotto: Se uno di voi si unisse a noi, la nostra brigata sarà al doppio della vostra: ma se uno di noi discendesse tra voi, ci pareggerete in numero. Quanti uccelli erano? — Dodici in tutto. Ve n’erano sette sull’alto dell’albero e cinque ne’ rami inferiori. Se uno degli uccelli di sotto fosse andato a raggiunger quelli che trovavansi in cima, il numero di questi sarebbe salito ad otto, che è il doppio di quattro; ma se uno di quelli dell’alto fosse disceso con quelli di sotto, sarebbero stati sei di qua e sei di là. —

«Temendo d’essere interrogato come i suoi colleghi, e non volendo perdere il mantello, il sapiente si diede alla fuga e sparì.

«In mezzo a questa riunione di dotti trovavasi un saggio celeberrimo, chiamato Ibrahim Nasami; prese questi il posto del dottore, e chiese alla bella Teveddud se non si confessasse anticipatamente vinta. — No,» rispose quella; «Iddio mi aiuterà. Vi consiglio a munirvi d’altri abiti, poichè vi prevengo che lascerete qui i vostri. — Ebbene! ora vedremo,» rispose Nasami. «Quali sono le cinque cose da Dio create prima dell’uomo? — L’acqua, la terra, la luce, le tenebre ed il fuoco. — Quali le opere uscite dalle mani dell’onnipotenza di Dio, mentre il resto delle [p. 348 modifica] cose è stato prodotto dal solo effetto della sua volontà? - Il trono Arsch, l’albero del Paradiso, il giardino d’Eden e l’uomo, tutte queste cose vennero formate dalle sue mani onnipossenti, ed egli diede l’essere a tutte le altre creature dicendo: «Siano!» e furono. — Qual è il vostro padre spirituale? — Maometto, il Profeta di Dio. - Qual è il padre spirituale di Maometto? Abramo. - In che consiste l’Islam? — Nella professione di fede: «Non v’ha altro Dio che Dio, e Maometto è il suo profeta.» — Cos’è l’uomo nel principio e nel fine della sua vita? — Al principio è una goccia d’acqua ed al fine un granello di polve. Fu fatto di terra, vive sulla terra e torna alla terra. — Qual è la cosa ch’era prima di legno, e poi ricevette la vita? — La verga di Mosè, ch’era di legno. Ma quando la gettò, convertissi in serpente, che da quel tempo adorna la bacchetta dei maghi. — Qual è la donna che vide la luce del giorno senza essere stata portata nel seno d’altra donna, e quale l’uomo non generato da altro uomo? — Eva è la donna, formata d’una costa d’Adamo; l’uomo è Gesù, che lo spirito di Dio concepì nel grembo di Maria. — Qual è il fuoco che mangia, ma non beve; il fuoco che beve, ma non mangia; il fuoco che non mangia e non beve, ed il fuoco che beve e mangia? — Il primo è il fuoco del mondo; il fuoco del sole il secondo; il terzo, il fuoco della luna, ed il quarto, il fuoco dell’inferno. — Qual è la parola dell’enigma seguente d’un poeta: «Quando ho bevuto, son pieno d’eloquenza, e le parole scorrono dalla mia lingua. Cammino e parlo senza far alcun rumore. Ad onta di queste rare qualità, non mi onorano mentre vivo, nè mi piangono dopo morte?» — La penna. — Quale la parola di quest’altro enigma: «Io sono un uccello privo di carne, di sangue e di penne; nonostante mi mangiano qual sono, allesso od arrosto. Ho il colore dell’oro e [p. 349 modifica] dell’argento, e non pertanto valgo appena un denaro?» — Non occorrevano tante parole,» rispose Teveddud, «per farmi capire, che si tratta d’un uovo. Domandatemi qualche cosa di più difficile. — Come Iddio creò Adamo, e di qual materia? — Dio l’ha formato di fango; il fango era formato di spuma; la spuma venne dal mare; il mare, dalle tenebre; le tenebre, dalla luce; la luce, dal pesce; il pesce, dal rubino; il rubino, dall’acqua; l’acqua, dalla parola onnipossente: «Sia!» e fu. — Tutto questo risguarda la Genesi; è un enigma per la ragione, e non vi domando che me lo spieghiate se sapete dirmi la parola d’un altro enigma più chiaro che sono a proporvi: «Mangia, e non ha bocca, nè ventre; si nutre d’alberi e di animali. Gli alimenti ne mantengono la vita, e la bevanda l’uccide.» — È il fuoco. — Quali sono i due amici che riunisconsi e si separano senza la minima allegrezza? Passano la notte l’un accanto all’altro, difendono la casa, e si lasciano tutte le mattine? — Le due imposte d’una porta. — Che vuol dir questo: «Quando cammina, si strascina sempre dietro una lunga coda. Ha un’orecchia, e non intende; fa sempre abiti, e non ne porta mai?» — L’ago. — Quante porte ed abissi ha l’inferno? — Sette. — Di che lunghezza è il ponte Sirat, ch’è acuto come il filo della spada, e sul quale passeranno tutti gli uomini il giorno del giudizio? — Ha di lunghezza tremila anni di cammino. Occorrono mille anni per arrivarvi, mille per attraversarlo, e mille per discendere dalla fine di quel ponte. — Quante volte il Profeta ha egli il diritto d’intercedere per ciascun’anima? — Tre volte. Abubekr è il primo che abbracciò l’islamismo? — Sì. — Ma Alì non era musulmano prima di Abubekr? — Sì, interiormente; poichè all’età di sette anni, Iddio aveva sparse su di lui le sue grazie, accordandogli i lumi necessari per rigettare l’idolatria. — Ma non [p. 350 modifica] accordate voi la preminenza ad Alì sopra Abbas? —

«Si avvide la schiava come questa fosse questione molto delicata, e che dispiacerebbe al califfo dichiarandosi per Ali, poichè egli era discendente di Abbas. Dopo un momento di riflessione, disse dunque; — Non veggo veruna preminenza; hanno amendue egual merito. — Brava! bravissima!» sclamò il califfo all’udire quella risposta. — Ho ancora varie altre interrogazioni da farvi,» ripigliò Ibrahim figlio di Nasami. — Ebbene! sentiamo. — Cosa è più dolce del miele? Cosa più tagliente della sciabola? Che cosa più rapido del pesce? Qual è il godimento d’un attimo? Quale il riposo di tre giorni? Quale il bene e l’avere d’un giorno? Qual è la festa onde risulta un bene generale per la società? Quale il debito che sono costretti a pagare anche i più pessimi debitori? Quale il martirio che ci segue sin nella tomba? In che consiste la gioia del cuore? Qual è la schiavitù dell’anima? Quale la malattia contro cui non v’ha rimedio? Quale l’onta incancellabile? Qual è l’animale che devasta i campi coltivati, che compiacesi dei deserti, e riunisce la forma e la natura di sette animali selvaggi? — Ecco ampia materia di risposte,» disse Teveddud, «ma per tenermi in lena, spogliatevi del vostro mantello, affinchè me ne impossessi se rispondo in modo soddisfacente ai vostri quesiti.» Il califfo ordinò ad Ibrahim di levarsi il mantello, e Teveddud rispose in tal guisa:

«— L’amore dei figliuoli è più dolce del miele; la lingua, più tagliente della sciabola; il malocchio, più rapido del pesce; il godimento d’un istante, quello dell’amore; il riposo di tre giorni è quello onde godono gli uomini all’epoca in cui le mogli trovansi mensilmente incomodate; il bene e l’avere d’un giorno è il benefizio che si fa nel commercio allorchè spesso si perde la domane ciò che si è guadagnato [p. 351 modifica] l’oggi: le nozze sono la festa dalla quale risulta un bene generale; il debito cui sono costretti a pagare i cattivi debitori, è la morte; il martirio che ci segue sino alla tomba sono i figli ingrati; la gioia del cuore, è una moglie sommessa al marito; la schiavitù dell’anima è un servo buono a nulla; la malattia contro cui non v’ha rimedio, è una cattiva indole, e l’onta incancellabile, quella d’una fanciulla disonorata; l’animale che devasta i campi coltivati e compiacesi de’ deserti è la locusta, che ha la testa di cavallo, il collo del toro, le ali d’aquila, i piedi di camello, la coda di serpente, il corpo di scorpione e le corna della gazella. —

«Maravigliato di tanta sagacia e di tante cognizioni, il califfo permise alla bella Teveddud d’impossessarsi del mantello d’Ibrahim figlio di Nasami, il quale si confessò vinto. — Ora,» soggiunse Aaron, «più non mi resta che vedervi giuocare. Ecco uno de’ più bravi giuocatori di scacchi, che si misurerà con voi.» Teveddud si mise a giuocare, ed in un istante diede scaccomatto all’avversario. Alla seconda partita, gli donò un cavallo ed un rokh9; alla terza il visir; nondimeno tutto questo non impedì che non vincesse l’avversario. Il gran giuocatore di scacchi strappavasi la barba, laceravasi gli abiti, e giurò che più non giuocherebbe sinchè Teveddud si trovasse a Bagdad. [p. 352 modifica]

«Subentrò un altro celebre giuocatore che sapeva a fondo il giuoco di nerd. — Cosa mi date se guadagno?» gli chiese Teveddud. — Dieci superbi abiti di Costantinopoli,» rispose quello, «e mille zecchini; ma se io avessi il vantaggio, altro non vi domando se non di dichiarare in iscritto che foste vinta.» Teveddud guadagnò la partita, e ricevette il premio convenuto.

«Il califfo, sempre più incantato della bella schiava, le chiese allora se sapesse suonare qualche stromento, ed avutone risposta affermativa, le si portò, in un astuccio di raso rosso, chiuso con fermaglio d’oro, un liuto. Teveddud aprì l’astuccio, e ne trasse il liuto sul quale stavano incisi questi versi:


««Un ramo flessibile è divenuto un liuto armonioso.

««Un tempo risuonava de’ melodiosi concenti dei cantori delle selve; oggi rende accordi ancora più dolci.»»


«Teveddud, appoggiatosi il liuto al seno, suonò sopra dodici tuoni in maniera sì seducente, che tutti gli astanti ne rimasero commossi.

«Il califfo, era rapito al terzo cielo. — Dio vi sia propizio, bella Teveddud!» sclamò egli. E tosto, fatti portare centomila zecchini, li diede al padrone della schiava. Avendo poscia domandato alla bella Teveddud cosa preferisse o di starsene col suo antico signore, o d’entrare nel serraglio, si dichiarò ingenuamente pel primo. Il monarca, approvando la risoluzione, fece un presente di diecimila zecchini alla bella schiava, ed ammise il padrone di lei nel numero de’ suoi più intimi favoriti, contrassegni di generosità e liberalità, onde non si sono più veduti esempi, dopo l’estinzione de’ califfi Abbassidi.» [p. 353 modifica]

Scheherazade terminava il lungo novellare, quando i primi albori già penetravano nel reale appartamento. Allora impetrò dal consorte la licenza di cominciare un altro racconto la notte successiva, cui s’accinse in fatti nel modo seguente:

  1. Kibla, letteralmente ciò che si ha dinanzi. Così chiamasi il sito del tempio della Mecca verso il quale devono volgersi i credenti allorchè fanno la preghiera, secondo i precetti del Corano; tutti i mirhail o altari maggiori, sono collocati da quel lato nelle moschee. Da principio Gerusalemme era la Kibla de’ Musulmani; ma nel secondo anno dell’egira scelsero la Mecca, per distinguersi da’ Giudei e dai Cristiani, che parimenti volgevansi verso Gerusalemme. Servonsi ordinariamente i Maomettani, in viaggio, d’uno bussola chiamata Khibla numa, per orientarsi. Formata di due circoli concentrici, il punto centrale corrisponde al tempio della Mecca, e le otto divisioni del circolo inferiore, ai quattro venti cardinali ed ai quattro collaterali. Nel gran circolo esteriore stanno i nomi delle città indicate secondo la loro posizione rispettiva colla Mecca. Così, allorchè si dirige la Khibla numa verso il circolo meridionale del paese in cui si è, vedesi, dai nomi delle città che sono intorno, in qual parte dell’orizzonte trovasi il tempio della Mecca.
  2. L’ihram o mantello di pellegrino è una specie di veste composta di due pezzi di tela senza cuciture, uno per coprirsi la parte inferiore, e l’altro la superiore del corpo. Tal veste non è d’obbligo per le donne. Se lo prendono, devono conservare camicia e calzoni. Sinchè si è vestiti dell’ihram è proibito l’aver commercio colla moglie, il cacciare, tagliarsi l’unghie, radersi qualche parte del corpo, coprirsi la testa ed il volto, ecc.
  3. La Kaaba è il tempio della Mecca dove i Musulmani vanno in pellegrinaggio. Lo si chiama pure Casa di Dio. È, dicono i Musulmani, il primo fra’ templi consagrati all’adorazione dell’Altissimo. Dopo che Adamo si fu riconciliato con Dio, portano le tradizioni musulmane, vennero gli angeli ad innalzare, sul suolo che oggi occupa la Kaaba, una tenda che avevano trasportata dal paradiso terrestre. Seth eresse poi in tal luogo un edifizio di pietra pel culto dell’Eterno. Finalmente Abramo, assistito da Ismaele, costrusse di nuovo quel tempio ed istituì il pellegrinaggio, che più non cessò da quell’epoca sino a’ nostri giorni. Quest’edifizio sacro è sempre coperto d’una stoffa di seta nera, su cui sono ricamati diversi passi del Corano: è quello che chiamasi il velo della Kaaba. Non è dunque il sepolcro di Maometto che si vada a visitare alla Mecca, come molti ancora credono, ma quel santuario venerato in ogni tempo dagli Arabi. La tomba di Maometto trovasi a Medina. Vero è che molti pellegrini la vanno a visitare tornando dalla Mecca; ma è una pratica di surrogazione. Non è sospesa in aria per virtù d’una calamita; ridicola favola che non merita d’esser seriamente confutata. — Espos. della fede musul.
  4. Nella valle di Mina i pellegrini deggiono gettare pietre, e ciò in memoria di Abramo, che attraversando que’ luoghi per andar ad immolare il figlio, ne scacciò a colpi di pietra il demonio che gli suggeriva di non obbedire a Dio.
  5. Ciò spiega le continue sollevazioni delle tribù arabe e le guerre micidiali che i Francesi debbono sostenere oggidì in Algeria.
  6. L’ain è il segno d’un’aspirazione gutturale asprissima e particolare alle lingue d’Oriente.
  7. Le cognizioni attuali degli Orientali in medicina sono limitatissime; eppure la scuola araba esercitò altre volte tra noi lunga influenza. Si sa che, per quasi sei secoli, i canoni di Avicenna furono osservati esclusivamente nelle Università d’Europa.
  8. L’astronomia fu un tempo lo studio favorito de’ Musulmani, ed in oggi quasi intieramente negletta tra loro, sebbene trovinsi nelle loro biblioteche molti libri intorno a tale materia. Ad onta de’ soccorsi che loro hanno somministrato i Greci, pare che gli Arabi abbiano fatto in questa scienza pochi progressi. Il talento di calcolare un’eclissi basta oggi per meritar appo di essi fama di astronomo abilissimo.
  9. Il rokh o roc è il nome d’un uccello favoloso, e che sulle scacchiere degli Arabi corrisponde a quello che noi chiamiamo la torre. Di là viene l’espressione irrocarsi. Il visir è la nostra regina; si capirà agevolmente che in questo giuoco militare, venutoci dall’Oriente, in cui le donne trovansi continuamente rinchiuse ne’ serragli, una donna nun poteva condurre la principale bisogna e decidere colpi decisivi. Nell’Oriente, il visir è il depositario del sovrano potere, e lo gentilezza europea l’ha cangiato in regina, come fece de’ rocchi in torri, e de’ corridori in alfieri.