Le corde d'oro elette
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CANZONE II.
LE corde d’oro[1] elette
Sù, sù, Musa, percoti, e al trionfante
Gran Dio delle vendette
Compon d’inni festosi aurea ghirlanda.
5Chi è, che a lui di contrastar si vante,
A lui, che in guerramanda
Tuoni e tremuoti e turbini e saette?
Ei fu, che ’I Tracio stuolo
Ruppe, atterrò, disperse; e rimirarlo,
10Struggerlo, e dissiparlo,
E farne polve, e pareggiarlo al suolo
Fu un punto, un punto solo;
Ch’ei può tutto, e città scinta di mura
E’ chi fede ha in se stesso, e Dio non cura.
15Si crederon quegli Empi
Con ruinoso turbine di guerra
Abbatter torri e tempi,
E sver da sua radice il sacro Impero:
Empir pensaron di trofei la terra,
20Ed oscurar credero
Con più illustri memorie i vecchi esempi,
E disser: l’Austria doma,
Domerem poi l’ampia Germania; e all’Ebro
Fatto vassallo il Tebro;
25A Turco ceppo il piè rasa la chioma
Porgerà Italia e Roma:
Qual Dio, qual Dio delle nostr’armi all’onda
Fia che d’opporsi vanti argine o sponda?
Ma i temerari accenti,
30Qual tenue fumo alzaronsi e svaniro,
E ne fer preda i venti;
Che, sebben di Val d’Ebro attrasse Marte
Vapor che si fer nuvoli e s’apriro[2],
E piovve d’ogni parte
35Aspra tempesta sull’Austriache genti,
Perir la tua diletta
Greggia, Signor, non tu però lasciasti;
E all’empietà mostrasti,
Che arriva e fere, allor che men s’aspetta,
40Giustissima vendetta.
Il sanno i fiumi, che sanguigni vanno,
E ’l san le fiere e le campagne il sanno.
Qual corse gel per l’ossa
All’Arabo Profeta e al sozzo Anubi,
45Quando l’ampia tua possa
Tutte fe’ scender le sue furie ultrici[3]
Sulle penne de i venti e sulle nubi?
L’orgogliose cervici
Chinò Bizanzio, e tremò Pelio ed Ossa;
50E le squadre rubelle,
Al Ciel rivolta la superba fronte,
Videro starsi a fronte
Coll’arco teso i nembi e le procelle,
E guerreggiar le stelle
55Di quell’acciar vestite, onde s’armaro
Quel dì, che contro ai Cananei pugnaro.
Tremar l’insegne allora,
Tremar gli scudi, e palpitar le spade
Al popol dell’Aurora
60Vidi; e qual di salir l’egro talvolta
Sognando agogna e nel salir giù cade,
Tal ei sentì a sè tolta
Ogni forza ogni lena, e in poco d’ora
Sbaragliato e disfatto
65Feo di sè monti, e riempiro le valli
D’uomini e di cavalli
Svenati o morti o di morire in atto.
Del memorabil fatto
Chi la gloria s’arroga? Io già nol taccio:
70Nostre fur l’armi, e tuo, Signor, fu ’l braccio.
A te dunque de’Traci
Debellator possente, a te, che in una
Vista distruggi, e sfaci
La barbarica possa, e al cui decreto
75Serve suddito il Fato e la Fortuna,
Il trionfo sì lieto
Alzo la voce, e i secoli fugaci
A darti lode invito.
Saggio e forte sei tu; pugna il robusto
Tuo braccio a prò del Giusto;
Nè indifesa umiltà, nè folle ardito
Furor lascia impunito:
85Milita sempre al fianco tuo la gloria,
E al tuo soldo arrolata è la vittoria.
Là dove l’Istro bee
Barbaro sangue, e dove alzò poc’anzi
Turca empietà moschee,
90Ergonsi a te delubri: a te, cui piacque
Salvar di nostra eredità gli avanzi,
Fan plauso i venti e l’acque,
E dicono in lor lingua: a Dio si dee
Degli assalti repressi
95Il memorando sforzo: a Dio la cura
Dell’assediate mura,
Rispondon gli antri, e ti fan plauso anch’essi:
Veggio i macigni istessi
Pianger di gioia, e gli altri scogli e monti
100A te inchinar l’ossequiose fronti.
Ma, se pur anco lice
voti e giugner prieghi a prieghi,
La spada vincitrice
Non ripongasi ancor. Pria tu l’indegna
105Stirpe recidi, o fa che ’l collo pieghi
A servitù ben degna:
Pria, Signor, della tronca egra infelice
Pannonia i membri accozza,
E riunirli al Capo lor ti piaccia.
110Ah no, non più soggiaccia
A doppio giogo in sè divisa e mozza
Regnò, regnò la sozza,
Gente ahi! purtroppo. E temp’omai, che deggia
Tutta tornare ad un Pastor la greggia.
115Non chi vittoria ottiene,
Ma chi ben l’usa, il glorioso nome
Di vincitor ritiene,
Nella naval gran pugna[4], onde divenne
Lepanto illustre, e per cui rotte e dome
120Fur le Sitonie antenne,
Vincemmo è ver; ma l’Idumee catene
Cipro[5] non ruppe unquanco:
Vincemmo, e nocque al vincitor il vinto.
Qual fia dunque, che scinto
125Appenda il brando, e ne disarmi il fianco?
Oltre, oltre scorra il franco
Vittorioso esercito, e le vaste
Dell’Asia interne parti arda e devaste.
Ma la caligin folta
130Chi dagli occhi mi sgombra? Ecco, che ’l tergo
Dei fuggitivi a sciolta
Briglia, Signor, tu incalzi; ecco gli arresta
Il Rabbe[6] a fronte, ed han la morte a tergo.
Colla gran lancia in resta
135Veggio, che già gli atterri e metti in volta:
Veggio, ch’urti e fracassi
Le sparse turme, e di Bizanzio a i danni
Stendi sì ratto i vanni,
Che già i venti, e ’l pensiero indietro lassi;
140E tant’oltre trapassi,
Che vinto è già del mio veder l’acume,
E allo stanco mio vol mancan le piume.
Note
- ↑ Per la liberazione di Vienna seguita li 12. Settembre del 1683.
- ↑ Le mine le bombe e fuochi artifiziali del campo nemico.
- ↑ Accenna la tempesta, che fu la notte de’ 14. di Agosto con fulmini e diluvio di pioggia, onde il campo Turchesco ebbe gran danno.
- ↑ La battaglia del 1571 ai Curzolari, nel la quale i Veneziani collegati con Pio V. e con Filippo II. Re di Spagna disfecero la grossa ar mata di Selimo II., che si trovava nel golfo di Lepanto.
- ↑ Cipro fin dal 1571 occupata da’ Turchi.
- ↑ Rabbe fiume d’Ungheria presso Giavarino, dove Carà Mustafà primo Visire cacciato di Vienna si ritirò, e dove perdè molti soldati affogandosi nel guado.