Le massere/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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Le massere L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

FERDINANDO TODERINI

PATRIZIO VENETO.


O
GNI uomo onesto, Eccellentissimo Signore, dee cercare di pagare i suoi debiti, ed ogni creditore discreto dee contentarsi di quello che il debitore gli può offerire in isconto. Quattr’anni or sono,1 contratto ho un debito con V. E., e veggendo che fino ad ora non ho pensato a pagarlo, crederà Ella ch’io me ne sia villanamente scordato. Ma io per verità aspettava che da Lei mi venisse offerto il modo di soddisfare agli obblighi miei con qualche suo preciso comando, perchè in tal caso, se non avessi intieramente pagato il debito, avrei soddisfatto almeno alla compiacenza del creditore. Il silenzio di V. E. mi fa maggiormente arrossire della picciolezza delle mie forze, e disperando poter corrispondere alla somma de’ miei doveri, ho pensato di correggere almeno le mie mancanze con una pubblica confessione. Confesso adunque esser io debitore di V. E. per quella gloria ch’Ella ha voluto dare al mio nome, parlando non solo in favore delle opere mie, ma difendendole ancora colla sua penna. Deggio perciò ringraziare il Cavaliere di Lei amico,2 il quale mostrandosi, per bizzarria, mal contento del mio Filosofo Inglese, ha indirizzata a V. E. la critica3, avendo egli con questo mezzo eccitata la di [p. 114 modifica]Lei Musa a scrivere in brievi giorni cinquecento settantadue versi4 talmente forti, eleganti, succosi, e talmente apologetici e convincenti, che non solamente persuasero l’autor della critica, ma tutti quelli che forse con maggiore animosità impegnati si erano a sostenerla. Ella ha seguitato nel metro lo stile dei Martelliani, per uniformarsi non solo ai versi della Commedia da Lei difesa, ma a quelli ancora usati nella critica stessa, ed ha di questa parimenti imitato il linguaggio, scrivendo Ella pure nel nostro Veneto idioma; ma colla scelta delle parole, e colla robustezza dei sentimenti, ha fatto conoscere che la lingua nostra è capace di tutta la forza e di tutte le grazie dell’arte oratoria e poetica, e che usata anch’essa da mano maestra, non ha che invidiare alla più elegante Toscana. Ella aveva ciò dimostrato altre volte in varie pubbliche azioni, nelle quali vuole il sistema di questa ben regolata Repubblica, che del proprio nativo idioma gli Oratori si valgano, e la di Lei naturale facondia, unita al chiarissimo suo talento, ed allo studio incessante di cui si compiace, rende l’E. V. ammirabile nell’età verde in cui si ritrova, e fa sperare in Lei coll’andar degli anni un benemerito cittadino di questa Patria gloriosa.

Giacchè ho differito finora a soddisfare le mie obbligazioni, e giacchè ho che fare con un creditore umanissimo, che della mia tardanza non sa lagnarsi, procurerò di tirare innanzi, non per seguire il costume dei debitori ostinati, ma per imitare coloro che attendono l’opportunità di pagare. Aspetterò una favorevole congiontura, e allora quando sia l’E. V. per accrescere l’onore della Nobile sua Famiglia con titoli e dignità decorose, m’ingegnerò di adoperare tutta la forza del mio scarso talento per far eco alle pubbliche voci. Frattanto, facendo anch’io come quelli, che non potendo scontare il debito, cercano con qualche picciola offerta di cattivarsi l’animo del creditore, presento a V. E. il miserabile dono di una Commedia, sperando che appagandosi Ella dell’umile sincera mia ricordanza, vorrà prolungarmi benignamente [p. 115 modifica]l’adempimento de’ miei doveri. So che questa Commedia ha acuto la fortuna di non dispiacerle sulle Scene rappresentata, e mi lusingo ch’Ella vorrà con eguale compiacimento accoglierla sotto i di lei auspici stampata. Ella che ha ottimo discernimento, conoscerà lo studio che ho adoperato per farla, non essendo sì facile, come taluni credono, esporre al pubblico la verità dei caratteri popolari, mentre se degli Eroi possiamo figurare talora a piacer nostro le azioni, non si può, trattandosi di gente bassa, uscire dal suo preciso costume. Le serventi più grossolane, che da noi Massere si chiamano, sono assai conosciute; in quasi tutte le case se ne ritrovano, o nelle camere, o nelle cucine impiegate, e può ciascuno decidere, se abbia di esse il Poeta conservato il carattere generale. Dico il carattere generale, poichè in ogni ordine vi sono quelli che dal comune si devono eccettuare, e il Comico allora quando prende di mira un genere di persone, deve attaccarsi alla parte più universale. Lo stile è bassissimo, ma Ella conoscerà, che se tale non fosse, non parlerebbero i bassi attori nel loro naturale linguaggio. Ho procurato di adornare quest’operetta con di quei sali, de’ quali abbonda la spiritosa nostra Patria comune, ma in questa parte avrò supplito malamente all’impresa, non avendo io quello spirito di vivacità, che sarebbe in ciò necessario; quello spirito di vivacità, per esempio, onde ha formato l’E. V. i brillantissimi versi per amor mio pubblicati. Ma che dico io pubblicati? Parerebbe, al mio dire, ch’ella avesse voluto donarli al pubblico liberalmente, come l’onor mio ed i suoi amici avrebbero desiderato. Ma la di lei modestia, che fra le tante Virtù che l’adornano, a tutte le altre sovrasta, contenta di aver convinto la critica, e di aver dato a me una prova di sua eccessiva bontà, voleva con ogni studio occultarli. Ma l’artificio altrui prevalse alle di lei gelose cautele; i versi gli sono stati carpiti, e mille e mille penne li hanno avidamente copiati5. Per me userò quel rispetto [p. 116 modifica]ch’io devo alle di lei prescrizioni, ma non posso prometterle che un qualche giorno non se li vegga stampati. Pur troppo gli editori stanno cogli occhi aperti, e van facendo la caccia a quelle cose che possono loro recar profitto. Io per una parte sarei dolente ch’Ella di ciò si lagnasse, ma esulterei per l’altra di rendermi con questa pubblica testimonianza onorato. Vero è, che in faccia del Mondo comparirei ancora più ingrato, ma questo mio umilissimo foglio giustificherà in qualche parte il mio rimorso e la mia ossequiosa riconoscenza, protestandomi col più profondo rispetto

Di V. E.



Umiliss. Devotiss. Obblig. Servidore
Carlo Goldoni.


  1. La presente lettera di dedica uscì nel giugno del 1736, in testa alla commedia delle Massare, nel t. IV del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. C, ed. Pitteri, Venezia.
  2. Alludesi al N. U. Giorgio Baffo.
  3. Vedasi la prefazione alla Nota storica del Filosofo inglese, nel voi. X della presente edizione.
  4. Vol. X cit., pp. 405-6.
  5. Se ne ritrovano infatti più copie: oltre al cit. cod. Cicogna MDCCCL.XXXII-2395, vedasi anche il cod. 1074 delle Miscellanee Correr nello stesso Museo Civico di Venezia, e quello della Bibl.a Universitaria di Bologna descritto da Corrado Ricci (Nota goldon., in num. unico C. G., Venezia, 1883, p. 19).