Le mecaniche (Favaro)/Della forza della percossa

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Della forza della percossa

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Della coclea d'Archimede per levar l'acqua


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della forza della percossa.


L’investigare qual sia la causa della forza della percossa è per più cagioni grandemente necessario. E prima, perchè in essa apparisce assai più del maraviglioso di quello, che in qualunque altro stromento meccanico si scorga, atteso che, percotendosi sopra un chiodo da ficcarsi in un durissimo legno, o vero sopra un palo che debbia penetrare dentro in terreno ben fisso, si vede, per la sola virtù della percossa, spingersi e l’uno e l’altro avanti; onde senza quella, mettendosi sopra il martello, non pure non si muoverà, ma quando anco bene vi fosse appoggiato un peso molte e molte volte nell’istesso martello più grave: effetto veramente maraviglioso, e tanto più degno di speculazione, quanto, per mio avviso, niuno di quelli, che sin qui ci hanno intorno filosofato, ha detto cosa che arrivi allo scopo; il che possiamo pigliare per certissimo segno ed argumento della oscurità e difficoltà di tale speculazione. Perchè ad Aristotile o ad altri che volessero la cagione di questo mirabile effetto ridurre alla lunghezza del manubrio o manico del martello, parmi che, senza altro lungo discorso, si possa scoprire l’infermità delli loro pensieri dall’effetto di quei stromenti, che, non avendo manico, percotono o col cadere da alto a basso, o coll’esser spinti con velocità per traverso. Dunque ad altro principio bisogna che ricorriamo, volendo ritrovare la verità di questo fatto. Del quale benchè la cagione sia alquanto di sua natura obstrusa e difficile a esplicazione, tuttavia anderemo tentando, con quella maggior lucidezza che potremo, di render chiara e sensibile; mostrando finalmente, il principio ed origine di questo effetto non derivar da altro fonte, che da quello stesso onde scaturiscono le ragioni d’altri effetti meccanici.

E questo sarà co ’l ridurci inanzi gli occhi quello, che in ogni
7. dentro un terreno, B, n — 23. natura oscura, B — difficile esplicazione, p, b, r —
[p. 189 modifica]operazione meccanica s’è veduto accadere: cioè che la forza, la resistenza ed il spazio, per lo quale si fa il moto, si vanno alternamente con tal proporzione seguendo, e con legge tale rispondendo, che resistenza eguale alla forza sarà da essa forza mossa per egual spazio e con egual velocità di quella che essa si muova. Parimente, forza che sia la metà meno di una resistenza potrà muoverla, purchè si muova essa con doppia velocità, o, vogliam dire, per distanza il doppio maggiore di quella che passerà la resistenza mossa. Ed in somma s’è veduto in tutti gli altri stromenti, potersi muovere qualunque gran resistenza da ogni data picciola forza, purchè lo spazio, per il quale essa forza si muove, abbia quella proporzione medesima allo spazio, per il quale si moverà la resistenza, che tra essa gran resistenza e la picciola forza si ritrova, e ciò esser secondo la necessaria constituzione della natura. Onde, rivolgendo il discorso ed argumentando per lo converso, qual meraviglia sarà, se quella potenza, che moveria per grande intervallo una picciola resistenza, ne spingerà una cento volte maggiore per la centesima parte di detto intervallo? Niuna per certo: anzi quando altrimente fosse, non pure saria assurdo, ma impossibile. Consideriamo dunque quale sia la resistenza all’esser mosso nel martello in quel punto dove va a percuotere, e quanto, non percotendo, dalla forza ricevuta saria tirato lontano; ed in oltre, quale sia la resistenza al muoversi di quello che percuote, e quanto per una tal percossa venga mosso: e trovato come questa gran resistenza va avanti per una percossa, tanto meno di quello che anderebbe il martello cacciato dall’empito di chi lo muove, quanto detta gran resistenza è maggiore di quella del martello, cessi in noi la meraviglia dell’effetto, il quale non esce punto da i termini delle naturali constituzioni e di quanto s’è detto. Aggiungasi, per maggior intelligenza, l’essempio in termini particolari. È un martello, il quale, avendo quattro di resistenza, viene mosso da forza tale, che, liberandosi da essa in quel termine dove fa la percossa, anderia lontano, non trovando l’intoppo, dieci passi; e viene in detto termine opposto un gran trave, la cui resistenza al moto è come quattromila, cioè mille volte maggiore
11-13. spazio per lo quale si moverà la resistenza abbia quella proporzione medesima che tra essa, Z, n, π — 16. muoverà, m, B — 17. spinga, t, v; spiega, o — 23. ch’è percosso, B — 29. Ed a quanto si è detto aggiungasi, n —
[p. 190 modifica]di quella del martello (ma non però è immobile, sì che senza proporzione superi la resistenza del martello): però, fatto in esso la percossa, sarà ben spinto avanti, ma per la millesima parte delli dieci passi, ne i quali si saria mosso il martello. E così, riflettendo con metodo converso quello che intorno ad altri effetti meccanici s’è speculato, potremo investigare la ragione della forza della percossa.

So che qui nasceranno ad alcuni delle difficoltà ed instanze, le quali però con poca fatica si torranno di mezzo; e noi le rimetteremo volontariamente tra i problemi meccanici, che in fine di questo discorso si aggiungeranno.




APPENDICE.



Dalla seconda Lezione Accademica di Evangelista Torricelli

Della Forza della Percossa


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Siano fin qui dette l’opposizioni contro l’infinità della forza della percossa.

L’esperienze che la favoriscano, e l’invenzioni di quel famosissimo Vecchionota, eran queste. Egli, mentre viveva in Padova, fece fare di molti archi, tutti però di diversa gagliardezza. Prendeva poi il più debole di tutti, ed al mezzo della corda di esso sospendeva una palla di piombo di due once in circa, attaccata con un filo, lungo, per esempio, un braccio; fermato l’arco in una morsa, alzava quella palla, e lasciandola ricadere, osservava, per via di un vaso sonoro sottoposto, per quanto spazio l’impeto della palla incurvasse e si tirasse dietro la corda dell’arco: noi supporremo che fusse intorno a quattro dita. Attaccava poi alla corda del medesimo arco un peso quiescente, tanto grande che incurvasse e tirasse giù la corda dell’arco per lo medesimo spazio di 4 dita; ed osservava che il peso voleva essere circa X libre. Fatto questo, prendeva un altr’arco più gagliardo del primo; alla corda di esso sospendeva la medesima palla di piombo, col medesimo filo; e facendola cadere dalla medesima altezza, notava per quanto spazio ella attraesse la corda. Attaccava poi del piombo quiescente, tanto che facesse il medesimo effetto; e trovava che non bastavano più quelle X libre che bastavano

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  1. Intendi Galileo.