Le mecaniche (Favaro)/Delle utilità che si traggono dalla scienza mecanica e dai suoi instrumenti

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Delle utilità che si traggono dalla scienza mecanica e dai suoi instrumenti

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Delle utilità che si traggono dalla scienza mecanica e dai suoi instrumenti
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delle utilità che si traggono dalla scienza mecanica e dai suoi instrumenti.


Degno di grandissima considerazione mi è parso, avanti che discendiamo alla speculazione delli strumenti mecanici, il considerare in universale, e di mettere quasi inanzi agli occhi, quali siano i commodi, che dai medesimi strumenti si ritraggono: e ciò ho giudicato tanto più doversi fare, quanto (se non m’inganno) più ho visto ingannarsi l’universale dei mecanici, nel volere a molte operazioni, di sua natura impossibili, applicare machine, dalla riuscita delle quali, ed essi sono restati ingannati, ed altri parimente sono rimasti defraudati della speranza, che sopra le promesse di quelli avevano conceputa. Dei quali inganni parmi di avere compreso essere principalmente cagione la credenza, che i detti artefici hanno avuta ed hanno continuamente, di potere con poca forza muovere ed alzare grandissimi pesi, ingannando, in un certo modo, con le loro machine la natura; instinto della quale, anzi fermissima constituzione, è che niuna resistenza possa essere superata da forza, che di quella non sia più potente. La quale credenza quanto sia falsa, spero con le dimostrazioni vere e necessarie, che averemo nel progresso, di fare manifestissimo.

I cod., b e p portano il titolo: Le Meccaniche del Gallilei; il cod. m, Le Meccaniche del S.r Galileo Galilei Accademico Linceo; il cod. n, Medianiche del Galilei; ed il cod. r, Mecaniche del sig.r Galileo. — I cod. a ed s sono anepigrafi. La classe B, confondendo il titolo dell’opera con quello del primo capitolo, intitola: Dell’utilità che si traggono della mecanica et de’ suoi instromenti. Trattato del Signor Galileo Galilei Fiorentino.

1. Della utilità che si cava, V — si traggono della, r, B — 2. e de’ suoi, Z, B — 10. sono restati defraudati, Z, B — 18. nelle dimostrazioni, V —
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Tra tanto, poichè si è accennato, la utilità, che dalle machine si trae, non essere di potere con piccola forza muovere, col mezzo della machina, quei pesi, che senza essa non potriano dalla medesima forza esser mossi, non sarà fuori di proposito dichiarare, quali siano le commodità, che da tale facoltà ci sono apportate: perchè, quando niuno utile fusse da sperarne, vana saria ogni fatica che nell’acquisto suo s’impiegasse.

Facendo dunque principio a tale considerazione, prima ci si fanno avanti quattro cose da considerarsi: la prima è il peso da trasferirsi di luogo a luogo; la seconda è la forza o potenza, che deve muoverlo; terza è la distanza tra l’uno e l’altro termine del moto; quarta è il tempo, nel quale tal mutazione deve esser fatta; il qual tempo torna nell’istessa cosa con la prestezza e velocità del moto, determinandosi, quel moto essere di un altro più veloce, che in minor tempo passa eguale distanza. Ora, assegnata qual si voglia resistenza determinata, e limitata qualunque forza, e notata qual si voglia distanza, non è dubbio alcuno, che sia per condurre la data forza il dato peso alla determinata distanza; perciò che, quando bene la forza fusse picciolissima, dividendosi il peso in molte particelle, ciascheduna delle quali non resti superiore alla forza, e transferendosene una per volta, arà finalmente condotto tutto il peso allo statuito termine: nè però nella fine dell’operazione si potrà con ragione dire, quel gran peso esser stato mosso e traslato da forza minore di sè, ma sì bene da forza la quale più volte averà reiterato quel moto e spazio, che una sol volta sarà stato da tutto il peso misurato. Dal che appare, la velocità della forza essere stata tante volte superiore alla resistenza del peso, quante esso peso è superiore alla forza; poichè in quel tempo nel quale la forza movente ha molte volte misurato l’intervallo tra i termini del moto, esso mobile lo viene ad avere passato una sol volta: nè per ciò si deve dire, essersi superata gran resistenza con piccola forza, fuori della constituzione della natura. Allora solamente si potria dire, essersi superato il naturale instituto, quando la minor forza trasferisse la maggiore resistenza con pari velocità di moto, secondo il quale essa camina; il che assolutamente affermiamo essere impossibile a farsi con qual si voglia machina, immaginata o che immaginar
1. che dalle meccaniche, m, n — 2. con più piccola, Z, n — 11. la terza, Z, B, n — la quarta, V, B — 15. passi, Z, B, n —
[p. 157 modifica]si possa. Ma perchè potria tal ora avvenire che, avendo poca forza, ci bisognasse muovere un gran peso tutto congiunto insieme, senza dividerlo in pezzi, in questa occasione sarà necessario ricorrere alla machina: col mezzo della quale si trasferirà il peso proposto nell’assegnato spazio dalla data forza; ma non si leverà già, che la medesima forza non abbia a caminare, misurando quel medesimo spazio od altro ad esso eguale, tante e tante volte, per quante viene dal detto peso superata: tal che nel fine dell’azione noi non ci troveremo avere dalla machina ricevuto altro benefizio, che di trasportare il dato peso con la data forza al dato termine tutto insieme; il qual peso diviso in parti, senz’altra machina, dalla medesima forza, dentro al medesimo tempo, per l’istesso intervallo, saria stato trasferito. E questa deve essere per una delle utilità, che dal mecanico si cavano, annoverata: perchè invero spesse volte occorre che, avendo scarsità di forza, ma non di tempo, ci occorre muovere gran pesi tutti unitamente. Ma chi sperasse e tentasse, per via di machine far l’istesso effetto senza crescere tardità al mobile, questo certamente rimarrà ingannato, e dimostrerà di non intendere la natura delli strumenti mecanici e le ragioni delli effetti loro.

Un’altra utilità si trae dalli strumenti mecanici, la quale depende dal luogo dove dev’essere fatta l’operazione: perchè non in tutti i luoghi, con eguale commodità, si adattano tutti li strumenti. E così veggiamo (per dichiararci con qualche essempio), che per cavar l’acqua da un pozzo ci serviremo di una semplice corda con un vaso accommodato per ricevere e contenere acqua, col quale attingeremo una determinata quantità di acqua in un certo tempo con la nostra limitata forza: e qualunque credesse di potere con machine di qual si voglia sorte cavare, con l’istessa forza, nel medesimo tempo, maggior quantità di acqua, costui è in grandissimo errore; e tanto più spesso e tanto maggiormente si troverà ingannato, quanto più varie e multiplicate invenzioni anderà imaginandosi. Con tutto ciò veggiamo estrar l’acqua con altri strumenti, come con trombe per seccare i fondi delle navi. Dove però è d’avvertire, non essere state introdotte le trombe in simile uffizio, perchè tragghino copia maggiore di acqua, nell’istesso tempo, e con la medesima forza, di quello che si faria con una semplice secchia, ma solamente perchè in tal luogo l’uso della secchia o d’altro simile vaso non potria fare l’effetto che si desidera, che è [p. 158 modifica]di tenere asciutta la sentina da ogni piccola quantità di acqua; il che non può fare la secchia, per non si potere tuffare e demergere dove non sia notabile altezza di acqua. E così veggiamo col medesimo stromento asciugarsi le cantine, di dove non si possa estrar l’acqua se non obliquamente; il che non faria l’uso ordinario della secchia, la quale si alza ed abbassa con la sua corda perpendicolarmente.

Il terzo, e per avventura maggior commodo delli altri che ci apportano li stromenti mecanici, è rispetto al movente, valendoci o di qualche forza inanimata, come del corso di un fiume, o pure di forza animata, ma di minor spesa assai di quella che saria necessaria per mantenere possanza umana: come quando per volgere mulini ci serviremo del corso di un fiume, o della forza di un cavallo per far quell’effetto, al quale non basteria il potere di quattro o sei uomini. E per questa via potremo ancora vantaggiarci nell’alzar acque o fare altre forze gagliarde, le quali da uomini senz’altri ordigni sariano esseguite, perchè con un semplice vaso potrian pigliar acqua ed alzarla e votarla dove fa bisogno: ma perchè il cavallo, o altro simile motore, manca del discorso e di quelli strumenti che si ricercano per apprendere il vaso ed a tempo votarlo, tornando poi a riempirlo, e solamente abbonda di forza, per ciò è necessario che il mecanico supplisca con suoi ordigni al natural difetto di quel motore, somministrandogli artificii ed invenzioni tali, che, con la sola applicazione della forza sua, possa esseguire l’effetto desiderato. Ed in ciò è grandissimo utile: non perchè quelle ruote o altre machine faccino che con minor forza, e con maggior prestezza, o per maggior intervallo, si trasporti il medesimo peso, di quello che, senza tali instrumenti, eguale ma giudiziosa e bene organizzata forza potria fare; ma sì bene perchè la caduta di un fiume o niente o poco costa, ed il mantenimento di un cavallo o di altro simile animale, la cui forza supererà quella di otto e forse più uomini, è di lunga mano di minor dispendio, che quello non saria che potesse sostentare e mantenere li detti uomini.

Queste dunque sono le utilità che dai mecanici instrumenti si caveranno, e non quelle che, con inganno di tanti principi e con loro propria vergogna, si vanno sognando i poco intendenti ingegneri, mentre si vogliono applicare a imprese impossibili. Dal che, e per
10-11. ma di maggior forza di quella saria la forza umana, B — 19. prendere, B, n — 20. forze, V —
[p. 159 modifica]questo poco che si è accennato, e per quel molto che si dimostrerà nel progresso di questo trattato, verremo noi assicurati, se attentamente apprenderemo quanto si ha da dire.