Le odi di Orazio/Libro secondo/VI

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Libro secondo
VI

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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VI.


Settimio, che con me verresti a’ Gadi
    E al Cantabro non anco al giogo avvezzo
    Ed alle Sirti barbare, ove l’onda
            4Maura ognor bolle,

Tivoli, eretta dall’argèo colono.
    Della vecchiezza mia fosse la sede,
    Fosse riposo a me di terre e mari
            8E d’armi stanco!

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Ma se maligne il vietino le Parche,
    Vedrò il Galesio fiume, a le impellate
    Pecore dolce, e il suol cui lo spartano
            12Falanto resse:

Più di tutte le terre a me quel caro
    Angolo ride, ove all’Imetto il miele
    Non cede, e a gara col Venafro viene
            16Verde l’oliva.

Quivi una lunga primavera e verni
    Tiepidi manda il cielo; Aulon, vestito
    Di fertil bacco, non invidia in nulla
            20L’uve falerne.

E te quel loco e quei beati colli
    Chiamano meco: là d’una pietosa
    Lagrima spargerai la cener calda
            24Del vate amico.