Le stragi della China/21. La vendetta del gigante

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21. La vendetta del gigante

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20. Rinchiusi nel sotterraneo Conclusione

21.

La vendetta del gigante


Il progetto crudele, ideato dalla fantasia bestiale del bandito, fu subito messo in esecuzione onde costringere gli assediati ad arrendersi senza esporre i soldati manciù ad un combattimento sanguinoso e forse di dubbio esito.

Avendo il bandito osservato che il sotterraneo formava una specie di immenso bacino quasi impermeabile, essendo le pareti formate da blocchi di pietra cementati perfettamente, si era proposto di far subire ai disgraziati un lento annegamento. Veder la morte avanzarsi adagio adagio, senza poterla sfuggire in modo alcuno, doveva essere qualche cosa di atroce, aveva pensato quel briccone.

Nel giardino vi erano parecchie fontane e molte manichelle di gomma, adoperate dai servi per irrigare le aiuole. Nulla quindi di più facile d’inondare il sotterraneo servendosi della finestra, difesa dalla inferriata, situata molto in alto, presso il principio della vôlta. I banditi, aiutati dai servi del mandarino, che erano stati slegati, si misero dunque all’opera, stimolati dal capo, il quale, quantunque soffrisse assai per la ferita riportata, non aveva voluto rinunciare al piacere di dirigere personalmente quell’operazione. Una lunga manica di gomma, che aveva diramazioni in quattro fontane dal getto abbondante, fu trascinata nel corridoio e fatta passare attraverso le sbarre della finestra.

— Ed ora, godiamo lo spettacolo — disse il bandito, con un sorriso crudele, nascondendosi presso la finestra. — Li farò urlare come cani questi maledetti cristiani. Vedremo se quando avranno l’acqua alla gola si ostineranno a non arrendersi.

Fece calare due lanterne, non volendo perdere nulla della scena orribile che stava per accadere; poi fece aprire la manica. Subito un getto d’acqua cadde, scrosciando sul pavimento del sotterraneo, correndo in direzione del pozzo.

I due italiani ed i cinesi si erano alzati, sollevando il cadavere del missionario e guardando, con un misto di terrore e di sorpresa, quel grosso zampillo che non cessava di rovesciare acqua.

— Padre, cosa fanno? — chiese Enrico.

— Si preparano ad affogarci — rispose il signor Muscardo con voce angosciata. — Ho compreso l’idea di quei miserabili!

— Cerchiamo di uscire prima che l’acqua ci giunga alle labbra.

— Uscire! Lo tenterei ben volentieri, ma come? La porta è stata barricata al di fuori e tutte le nostre forze riunite sarebbero impotenti ad atterrarla.

— E moriremo così, senza nulla fare?

— Non ci rimane che un solo mezzo per sottrarci all’affogamento.

— E quale?

— D’arrenderci.

— La resa non ci salverebbe, padre.

— Lo so, figlio mio — rispose il signor Muscardo con accento disperato. — Siamo in mezzo ad una banda di tigri!

— Signore — disse il capo della Croce gialla con voce alterata. — Corriamo verso la morte.

— Lo vedo.

— Tra qualche ora noi affogheremo.

— Ed io assisterò alla vostra agonia! — urlò il bandito che non aveva perduto una sillaba di quel dialogo.

— Ah! Sei ancora vivo? — gridò il capo della Croce gialla, esasperato. — Credevo di averti rotto il cranio.

— Non mi hai rotto che un braccio che pagherai più tardi con la tua testa — rispose il bandito.

— Prendi questo intanto! — gridò Sheng il quale di soppiatto si era portato sotto la finestra, salendo su di una sporgenza.

Il bandito, credendosi al sicuro, aveva commessa l’imprudenza di mostrarsi presso l’inferriata. Il giovane cinese aveva subito alzata la rivoltella, scaricando, con rapidità prodigiosa due colpi.

Un grido che terminò in un gemito rauco risuonò nel corridoio. Il miserabile capo di quell’orda di bricconi aveva ricevuto i due proiettili non più nelle braccia, bensì in pieno volto, ed era caduto addosso all’inferriata con una mascella fracassata e la fronte spaccata.

— Così non assisterai alla nostra agonia — gridò Sheng.

Il bandito non rispose.

Delle grida erano scoppiate nel corridoio. I suoi banditi erano accorsi e lo avevano trovato morto.

— Vendichiamolo! — gridarono, passando alcuni fucili attraverso l’inferriata.

Già si preparavano a fucilare quei disgraziati, quando comparve in buon punto il mandarino.

— Fermate! — comandò. — Quegli uomini appartengono a me e non a voi.

— Ping-Ciao! — gridò il signor Muscardo slanciandosi sotto la finestra. — Mostra il tuo volto, assassino!

— Più tardi — rispose il mandarino, allontanandosi rapidamente.

— Lascia che ti veda un solo istante.

— Sì, quando ti avrò preso.

— Infame!

Il mandarino che temeva troppo la collera dell’ex bersagliere, era già uscito dal corridoio, ordinando ai banditi di continuare l’inondazione.

I due italiani ed i cinesi si erano ritirati verso la galleria che conduceva alla porta. L’acqua ormai aveva riempito il pozzo ed invaso tutto il sotterraneo e continuava a crescere rapidamente. La morte si avvicinava e non avevano alcun mezzo per isfuggirla. La resa, presto o tardi, doveva imporsi.

Prima però di dover cedere, quei miseri vollero tentare un ultimo mezzo.

— Proviamo ad abbattere la porta — disse il capo della Croce gialla.

— Non ne avremo il tempo — rispose il signor Muscardo. — Ci vorrebbero parecchie ore mentre fra poco l’acqua ci avrà raggiunti.

— Tentiamo, signore.

— Fuori troveremo soldati manciù.

— Impegneremo la lotta. Meglio morire combattendo che affogati o fra i più atroci tormenti.

Avevano portata con loro una lanterna. Esaminarono la porta e quantunque fossero tutti convinti dell’inutilità dei loro sforzi, si provarono ad intaccare le grosse tavole di tek ed i cardini.

I soldati manciù, udendo quei colpi, avevano dato l’allarme chiamando in loro soccorso i banditi ed i servi del mandarino.

Anche Ping-Ciao era accorso, credendo che i cristiani si preparassero a irrompere contro la guardia imperiale.

— Arrendetevi! — gridò, accostando le labbra ad una fessura. — Se uscite vi faccio fucilare. Vi sono qui cento uomini.

Né i due italiani, né i cinesi risposero. Tutti lavoravano con furore, adoperando coltelli e pugnali, sforzandosi di levare qualche tavola o di aprire una breccia sufficiente per far passare le canne delle rivoltelle.

Erano sforzi vani. Il legno, duro come il ferro, resisteva ostinatamente e smussava le armi troppo deboli per intaccare quelle fibre che resistono alle scuri le meglio affilate.

Intanto l’acqua era già giunta anche nel corridoio, ed il capo della Croce gialla aveva dovuto sollevare il cadavere del missionario. I lavoranti avevano le gambe immerse fin sopra il ginocchio.

— Non si farà nulla — disse ad un tratto il signor Muscardo, con accento disperato. — Questa porta resisterebbe anche ad un cannone.

— Tentiamo di forzare l’inferriata — disse il capo della Croce gialla. — Chi sa nuotare segua l’uomo bianco.

Quattro cinesi si offersero di accompagnare l’ex bersagliere.

— Venite — disse questi. — Se anche quest’ultima speranza ci viene meno, ci arrenderemo dopo aver vendicato mio fratello.

Mentre Enrico, Sheng e gli altri si stringevano attorno al capo della Croce gialla, il quale reggeva sempre il cadavere del missionario, il signor Muscardo e i quattro cinesi tornavano nel sotterraneo. L’acqua lo aveva invaso tutto, innalzandosi un paio di metri. Nel mezzo si scorgeva una specie di gorgo formato dal pozzo.

— Non bagnate le armi — disse l’ex bersagliere. — Ne avremo bisogno.

Strinse la rivoltella fra i denti e si gettò risolutamente a nuoto, dirigendosi verso l’inferriata che era illuminata da due lanterne.

I servi ed i banditi, credendo che gli assediati cercassero di forzare la porta, avevano abbandonato la galleria, fidando nella robustezza delle sbarre di ferro.

Essendo l’acqua molto alta, l’ex bersagliere con una spinta poté aggrapparsi all’inferriata ed aiutare i quattro cinesi a raggiungerlo.

— Uno sforzo supremo — disse. — Forse riusciremo a svellere qualche sbarra.

Erano tutti e cinque robusti e la disperazione in quel momento raddoppiava la loro forza.

Le loro mani si strinsero attorno ad una delle sbarre, scuotendola con vigore sovrumano. Una prima scossa la piegò, una seconda scrostò il muro.

— Riusciremo — disse il signor Muscardo, il quale cominciava a sperare. — Un buon colpo ancora! Forza!

La sbarra, già scossa e contorta, non resse a quell’ultimo e poderoso attacco, e le sue estremità uscirono dai loro incastri.

— È una — disse il signor Muscardo, mandando un grido di trionfo. — Se i banditi non giungono, usciremo da questa prigione.

Una sola non bastava, non essendovi spazio sufficiente per passare. Incoraggiati da quel primo successo, ne attaccarono una seconda, raddoppiando gli sforzi.

Dopo quattro o cinque poderose scosse, anche quella cedette e cadde contorta nel sotterraneo.

— Siamo salvi! — esclamò il signor Muscardo, prendendo la rivoltella.

— E gli altri che non sanno nuotare come faranno a seguirci? — chiesero i mongoli.

— Apriremo loro la porta.

— Vi sono i manciù.

— Vedendoci comparire forse fuggiranno. Prendete le rivoltelle e seguitemi.

Il corridoio non era guardato da nessuno. Il signor Muscardo ed i quattro cinesi, risoluti ad impegnare una lotta suprema, lo percorsero correndo e si scagliarono in mezzo ai paraventi.

Stavano per gettarsi nelle sale pianterrene, quando alcuni banditi e dei soldati che si erano messi in agguato dietro ai paraventi, piombarono addosso a loro con tale slancio da atterrarli di colpo, prima ancora che avessero potuto far uso delle armi.

L’ex bersagliere aveva mandato un ruggito di rabbia. Con una scossa irresistibile si era liberato dei due soldati manciù che si erano gettati addosso a lui, ma altri quattro lo avevano nuovamente atterrato, strappandogli la rivoltella ed il pugnale.

— Uccidetemi! — gridò.

— Trascinate quest’uomo nel giardino — comandò una voce.

— Ping-Ciao! — esclamò il signor Muscardo, facendo sforzi sovrumani per liberarsi dalle corde che già lo avvincevano.

— Sì, Ping-Ciao che viene ad assistere alla tua morte.

— Non ti bastava quella di mio fratello?

— Voglio anche la tua — rispose l’implacabile mandarino, con voce cupa.

— Finiscila, assassino.

— Voglio che prima tu mi dica dove si trova Wang.

— Non te lo dirò mai.

— Ti farò tagliare in diecimila pezzi.

— Morire in un modo o nell’altro poco m’importa.

— Prima di ucciderti farò tormentare atrocemente tuo figlio dinanzi a te! — gridò il mandarino esasperato.

E volgendosi verso i manciù, disse:

— Abbattete la porta del sotterraneo.

— Miserabile — disse il signor Muscardo, con furore. — Non ti è bastato far morire mio fratello?

— Preparate i ferri pel giovane europeo — comandò l’inesorabile mandarino. — Cominceremo da lui.

— Canaglia!

— E che siano arroventati bene; gli bruceremo le carni prima di decapitarlo.

— No! Non lo farai! — gridò il signor Muscardo al colmo della disperazione.

— Allora parla.

— Ti dirò dove si trova Wang, se risparmi mio figlio.

— E m’ingannerai ancora?

— Wang non è lontano.

— Tu hai detto? — gridò il mandarino slanciandosi verso l’ex bersagliere.

— Che tuo figlio sta per giungere.

— Lui?!

— Sì, e verrà per maledirti e per rimproverarti l’assassinio di mio fratello.

— Oh! — Il mandarino proruppe in una risata. — Quando verrà, se è vero che sta per giungere, non troverà nessuno di voi vivo — disse con voce cupa. — Voi siete tutti condannati a morte.

— Ah! Vile uomo!

— Presto, abbattete la porta — comandò Ping-Ciao.

Mentre il signor Muscardo, pazzo di rabbia, faceva sforzi per rompere i legami, i soldati della guardia imperiale, muniti di alcune pesanti travi, scardinavano la porta del sotterraneo.

Appena la videro cadere puntarono i fucili verso il corridoio, gridando:

— Arrendetevi o facciamo fuoco!

Due cinesi si erano precipitati fuori con le rivoltelle in mano.

Vedendosi dinanzi venti uomini coi fucili puntati, pronti a fare una scarica, gettarono le armi, dicendo:

— Ci arrendiamo.

Enrico e Sheng li avevano seguìti, portando il cadavere del missionario; poi dietro di loro erano usciti gli altri.

Ne mancava però uno: il capo della Croce gialla.

— Vi siete tutti? — chiese l’ufficiale che comandava i manciù.

— Tutti — risposero i cinesi.

— Legateli — comandò il mandarino.

— Dov’è mio padre? — chiese Enrico, deponendo su una stuoia il cadavere del missionario.

— È là che attende la morte — rispose il mandarino con un ghigno feroce. — Prima di intraprendere il grande viaggio all’altro mondo, desidera vederti chiudere gli occhi.

— Sono pronto a morire — rispose il valoroso giovane con voce che non tremava.

— Non avere fretta, mio bell’europeo. Devo divertire questi poveri soldati che da due ore aspettano pazientemente il principio dello spettacolo.

— Cosa vuoi fare di me?

— Sono pronti i ferri? — chiese il mandarino, volgendosi verso i banditi che si affaccendavano attorno ad un fuoco acceso sul pianerottolo dello scalone di marmo.

— Quando vorrete, signore — rispose uno di quei birbaccioni.

— Prendete questo giovane e fatelo urlare.

Due soldati avevano già afferrato Enrico, quando dal corridoio del sotterraneo si slanciò fuori un uomo, gridando:

— Prendi anche te, Ping-Ciao!

Era il capo della Croce gialla. Sapendo che i soldati ed i banditi non conoscevano il numero degli assediati, invece di seguire i cinesi, era rimasto nascosto nel corridoio.

Se avesse voluto, sarebbe stato salvo, perché i suoi compagni non l’avrebbero certamente tradito. Il gigante non era rimasto indietro per sfuggire alla morte, bensì per darla prima all’assassino del missionario e dei cristiani di Ming come aveva giurato.

Approfittando del momento in cui i soldati stavano per legare i suoi compagni, si era scagliato con impeto irresistibile in mezzo a loro per giungere addosso al mandarino.

Rintronarono due spari.

Ping-Ciao, colpito nel petto da una delle due palle, era caduto fra le braccia di un bandito, mandando un grido di dolore.

Il capo della Croce gialla aveva subito approfittato della confusione e della sorpresa causata da quel colpo inaspettato, per aprirsi il passo fra i soldati e fuggire attraverso i viali del giardino, gridando:

— I cristiani sono vendicati!

Quando i manciù ed i banditi pensarono di vendicare il mandarino, il gigante, che correva con la velocità d’un daino, era già scomparso sotto gli alberi.

— Inseguitelo! — gridò l’ufficiale, volgendosi verso i banditi.

Quindi, lanciando sui prigionieri uno sguardo terribile, disse:

— Vi farò morire fra i più atroci tormenti.

Intanto i servi avevano rialzato il mandarino, mettendogli a nudo il petto. Il miserabile era stato colpito mortalmente.

La palla gli aveva attraversato un polmone e gli era uscita dal dorso, offendendo anche gravemente la colonna vertebrale.

— Muoio — balbettò.

— Coraggio, signore — disse l’ufficiale dei manciù. — La ferita forse non è grave.

— No... è finita...

— Vi vendicheremo — disse l’ufficiale.

E volgendosi verso i suoi soldati, comandò:

— Preparate le armi: prima che il mandarino chiuda gli occhi, questi cristiani saranno morti.

I manciù avevano trascinati i prigionieri sulla gradinata di marmo, gettandoli l’uno sull’altro, come fossero bestie da macello.

Dodici uomini si disposero su una fila, a quindici passi.

Già l’ufficiale che vedeva il mandarino impallidire rapidamente e socchiudere gli occhi, stava per dare il comando di far fuoco su quell’ammasso di persone, quando si videro comparire all’estremità del viale tre cavalli lanciati al gran galoppo.

Il primo, che precedeva gli altri due di alcuni passi, era montato da un bel giovane d’aspetto fiero, che indossava un vestito di capitano manciù; gli altri due erano montati da due tartari armati di lunghi fucili e di scimitarre.

Il comandante della guardia, vedendoli, aveva ordinato al drappello armato di puntare le armi verso di loro, credendoli nemici.

— Abbasso i fucili! — gridò il giovane con voce minacciosa.

— Chi siete voi? — chiese l’ufficiale.

— Wang.

— Il figlio del mandarino?

— Dov’è mio padre?

— Sta per morire — rispose l’ufficiale.

Il giovane era balzato a terra.

— Chi lo ha ucciso? — chiese impallidendo.

— Un cristiano che è fuggito.

Wang si era appressato rapidamente ai servi che sorreggevano il mandarino. Una viva emozione aveva alterato il suo volto, ma nessuna parola di vendetta gli era uscita dalle labbra.

S’inginocchiò presso il genitore che aveva già gli occhi chiusi, mentre una bava sanguigna gli usciva dalle labbra contorte dagli ultimi spasimi dell’agonia.

— Padre — disse, soffocando un singhiozzo. — Padre, guardami!

Il mandarino udendo quella voce aveva riaperto gli occhi, velati dalla morte. Un lampo fugace li illuminò; mentre un lieve rossore gli coloriva le smorte gote.

— Wang... — mormorò. — Perdonami... ho... ucciso... il missio...nario...

— Chi ucciso? — chiese il giovane con voce rotta.

— Il... tuo...

— Padre Giorgio!

— Sì... padre... Gior...gio...

— Disgraziato! Cos’hai fatto?! — esclamò Wang rompendo in singhiozzi.

— Perdo...nami... figlio... t’ama...vo... anco...ra...

— Ti perdono, padre.

— Gli... euro...pei... salva...li... non voglio più che... muoiano...

— Quali europei?

— Là... là... — mormorò il mandarino, alzando con un ultimo sforzo il braccio ed indicando la gradinata.

Wang era balzato in piedi. Solamente in quell’istante aveva scorto i due italiani ed i cinesi ammonticchiati sul pianerottolo di marmo per venire mitragliati in massa.

— Guai a chi li tocca! — gridò, volgendosi verso i soldati. — Liberateli subito!

— Signore, sono cristiani — disse l’ufficiale.

— Liberateli! — ripeté Wang con un tono da non ammettere replica. — Qui comando io!

Si curvò nuovamente verso suo padre: ormai il mandarino aveva esalato l’ultimo sospiro.

— Dio l’ha voluto — mormorò il giovine con voce triste, chiudendogli gli occhi.

S’alzò e avendo scorto il cadavere del missionario, gli si inginocchiò accanto, scoppiando in singhiozzi.

— Triste giorno! — esclamò. — La fatalità me li ha rapiti entrambi!