Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Andrea del Sarto

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Andrea del Sarto

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Giovan Francesco detto il Fattore e Pellegrino da Modana Madonna Properzia de' Rossi

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Vita d’Andrea del Sarto eccellentissimo Pittore Fiorentino


Ccoci dopo le vite di molti artefici stati eccellenti chi per colorito, chi per disegno e chi per invenzione, pervenuti all’eccellentissimo Andrea del Sarto: nel quale uno mostrarono la natura e l’arte tutto quello che può far la pittura, mediante il disegno, il colorire e l’invenzione; in tanto che, se fusse stato Andrea d’animo alquanto più fiero et ardito, sì come era d’ingegno e giudizio profondissimo in questa arte, sarebbe stato senza dubitazione alcuna senza pari. Ma una certa timidità d’animo, et una sua certa natura dimessa e semplice, non lasciò mai vedere in lui un certo vivace ardore, né quella fierezza, che aggiunta all’altre sue parti l’arebbe fatto essere nella pittura veramente divino; perciò che [p. 150 modifica]egli mancò per questa cagione di quegli ornamenti, grandezza e copiosità di maniere, che in molti altri pittori si sono vedute. Sono non di meno le sue figure, se bene semplici e pure, bene intese, senza errori et in tutti i conti di somma perfezzione; l’arie delle teste, così di putti come di femmine, sono naturali e graziose, e quelle de’ giovani e de’ vecchi con vivacità e prontezza mirabile; i panni begli a maraviglia e gl’ignudi molto bene intesi. E se bene disegnò semplicemente, sono non di meno i coloriti suoi rari e veramente divini. Nacque Andrea l’anno 1478 in Fiorenza di padre che esercitò sempre l’arte del sarto, onde egli fu sempre così chiamato da ognuno. E pervenuto all’età di sette anni, levato dalla scuola di leggere e scrivere, fu messo all’arte dell’orefice. Nella quale molto più volentieri si esercitò sempre (a ciò spinto da naturale inclinazzione) in disegnare che in maneggiando ferri per lavorare d’argento o d’oro; onde avvenne che Gian Barile, pittore fiorentino, ma grosso e plebeo, veduto il buon modo di disegnare del fanciullo, se lo tirò appresso e, fattogli abbandonare l’orefice, lo condusse all’arte della pittura. Nella quale cominciandosi ad esercitare Andrea con suo molto piacere, conobbe che la natura per quello esercizio l’aveva creato; onde cominciò in assai picciolo spazio di tempo a far cose con i colori, che Gian Barile e gl’altri artefici della città ne restavano maravigliati. Ma avendo dopo tre anni fatto bonissima pratica nel lavorare e studiando continuamente, s’avvide Gian Barile che, attendendo il fanciullo a quello studio, egli era per fare una straordinaria riuscita, perché, parlatone con Piero di Cosimo, tenuto allora dei migliori pittori che fussero in Fiorenza, acconciò seco Andrea il quale, come desideroso d’imparare, non restava mai di affaticarsi, né di studiare. E la natura, che l’aveva fatto nascere pittore, operava tanto in lui che nel maneggiare i colori lo faceva con tanta grazia, come se avesse lavorato cinquanta anni; onde Piero gli pose grandissimo amore e sentiva incredibile piacere nell’udire che quando aveva punto di tempo, e massimamente i giorni di festa, egli spendeva tutto il dì insieme con altri giovani disegnando alla sala del papa, dove era il cartone di Michelagnolo e quello di Lionardo da Vinci; e che superava, ancor che giovanetto, tutti gl’altri disegnatori che, terrazzani e forestieri, quasi senza fine vi concorrevano. In fra i quali piacque più che quella di tutti gl’altri ad Andrea la natura e conversazione del Francia Bigio pittore, e parimente al Francia quella d’Andrea; onde, fatti amici, Andrea disse al Francia che non poteva più sopportare la stranezza di Piero già vecchio e che voleva perciò torre una stanza da sé, la quale cosa udendo il Francia, che era forzato a fare il medesimo, perché Mariotto Albertinelli suo maestro aveva abbandonata l’arte della pittura, disse al suo compagno Andrea che anch’egli aveva bisogno di stanza e che sarebbe con comodo dell’uno e dell’altro ridursi insieme. Avendo essi addunque tolta una stanza alla piazza del Grano, condussero molte opere di compagnia, una delle quali furono le cortine che cuoprono l’altar maggior delle tavole de’ Servi, le quali furono allogate loro da un sagrestano, strettissimo parente del Francia. Nelle quali tele dipinsero, in quella che è volta verso il coro, una Nostra Donna Annunziata, e nell’altra, che è dinanzi, un Cristo diposto di croce, simile a quello che è nella tavola che quivi [p. 151 modifica]era di mano di Filippo e di Pietro Perugino. Solevano ragunarsi in Fiorenza in capo della via Larga, sopra le case del Magnifico Ottaviano de’ Medici, dirimpetto all’orto di San Marco, gli uomini della Compagnia che si dice dello Scalzo, intitolata in San Giovanni Battista; la quale era stata murata in que’ giorni da molti artefici fiorentini, i quali fra l’altre cose vi avevano fatto di muraglia un cortile di prima giunta che posava sopra alcune colonne non molto grandi; onde, vedendo alcuni di loro che Andrea veniva in grado d’ottimo pittore, deliberarono, essendo più ricchi d’animo che di danari, che egli facesse intorno a detto chiostro in dodici quadri di chiaro scuro, cioè di terretta in fresco, dodici storie della vita di San Giovanbatista; per lo che egli, messovi mano, fece nella prima quando San Giovanni battezza Cristo, con molta diligenza e tanto buona maniera, che gl’acquistò credito, onore e fama per sì fatta maniera, che molte persone si voltarono a fargli fare opere, come a quello che stimavano dover col tempo a quello onorato fine che prometteva il principio del suo operare straordinario pervenire. E fra l’altre cose che egli allora fece di quella prima maniera, fece un quadro che oggi è in casa di Filippo Spini, tenuto per memoria di tanto artefice in molta venerazione. Né molto dopo in San Gallo, chiesa de’ frati Eremitani osservanti dell’Ordine di Santo Agostino, fuor della porta a San Gallo, gli fu fatto fare per una capella una tavola d’un Cristo, quando in forma d’ortolano apparisce nell’orto a Maria Maddalena; la quale opera, per colorito e per una certa morbidezza et unione, è dolce per tutto e così ben condotta, che ella fu cagione che non molto poi ne fece due altre nella medesima chiesa, come si dirà di sotto. Questa tavola è oggi al Canto agl’Alberti in San Jacopo tra’ Fossi, e similmente l’altre due. Dopo queste opere, partendosi Andrea et il Francia dalla piazza del Grano, presono nuove stanze vicino al convento della Nunziata, nella Sapienza; onde avvenne che Andrea et Iacopo Sansovino allora giovane, il quale nel medesimo luogo lavorava di scultura sotto Andrea Contucci suo maestro, feciono sì grande e stretta amicizia insieme che né giorno né notte si staccava l’uno dall’altro, e per lo più i loro ragionamenti erano delle difficultà dell’arte; onde non è maraviglia se l’uno e l’altro sono poi stati eccellentissimi, come si dice ora d’Andrea e come a suo luogo si dirà di Iacopo. Stando in quel tempo medesimo nel detto convento de’ Servi et al banco delle candele un frate sagrestano, chiamato fra’ Mariano dal canto alle macine, egli sentiva molto lodare a ognuno Andrea e dire che egli andava facendo maraviglioso acquisto nella pittura, perché pensò di cavarsi una voglia con non molta spesa. E così, tentando Andrea (che dolce e buono uomo era) nelle cose dell’onore, cominciò a mostrargli sotto spezie di carità di volerlo aiutare in cosa che egli recarebbe onore et utile e lo farebbe conoscere per sì fatta maniera, che non sarebbe mai più povero. Aveva già molti anni innanzi, nel primo cortile de’ Servi, fatto Alesso Baldovinetti nella facciata, che fa spalle alla Nunziata, una Natività di Cristo, come si è detto di sopra; e Cosimo Rosselli dall’altra parte aveva cominciato nel medesimo cortile una storia, dove San Filippo autore di quell’Ordine de’ Servi piglia l’abito, la quale storia non aveva Cosimo condotta a fine per essere, mentre appunto la lavorava, venuto a morte. Il frate dunque, avendo [p. 152 modifica]volontà grande di seguitare il resto, pensò di fare con suo utile che Andrea et il Francia, i quali erano d’amici venuti concorrenti nell’arte, gareggiassino insieme e ne facessino ciascun di loro una parte; il che, oltre all’essere servito benissimo, averebbe fatto la spesa minore et a loro le fatiche più grandi. Laonde, aperto l’animo suo ad Andrea, lo persuase a pigliare quel carico, mostrandogli che per essere quel luogo publico e molto frequentato, egli sarebbe, mediante cotale opera, conosciuto non meno dai forestieri che dai fiorentini e che egli per ciò che doveva pensare a prezzo nessuno, anzi neanco di esserne pregato, ma più tosto di pregare altrui e che, quando egli a ciò che non volesse attendere, aveva il Francia, che, per farsi conoscere, aveva offerto di farle e del prezzo rimettersi in lui. Furono questi stimoli molto gagliardi a far che Andrea si risolvesse a pigliare quel carico, essendo egli massimamente di poco animo. Ma questo ultimo del Francia l’indusse a risolversi affatto et ad essere d’accordo, mediante una scritta, di tutta l’opera, perché niun altro v’entrasse. Così dunque avendolo il frate imbarcato e datogli danari, volle che per la prima cosa egli seguitasse la vita di San Filippo e non avesse per prezzo da lui altro che dieci ducati per ciascuna storia, dicendo che anco quelli gli dava di suo e che ciò faceva più per bene e commodo di lui, che per utile o bisogno del convento. Seguitando dunque quell’opera con grandissima diligenza, come quello che più pensava all’onore che all’utile, finì del tutto, in non molto tempo, le prime tre storie e le scoperse: cioè in una quando San Filippo già frate riveste quell’ignudo, nell’altra quando egli sgridando alcuni giuocatori che biastemmano Dio e si ridevano di S. Filippo, facendosi beffe del suo ammonirgli, viene in un tempo una saetta dal cielo, e percosso un albero dove eglino stavano sotto all’ombra, ne uccide due e mette negl’altri incredibile spavento: alcuni con le mani alla testa si gettano sbalorditi innanzi et altri si mettono gridando in fuga tutti spaventati; et una femmina, uscita di sé per lo tuono della saetta e per la paura et in fuga tanto naturale, che pare ch’ella veramente viva; et un cavallo scioltosi a tanto rumore e spavento, fa con i salti e con un orribile movimento vedere quanto le cose improvise e che non si aspettino rechino timore e spavento; nel che tutto si conosce quanto Andrea pensasse alla varietà delle cose ne’ casi che avvengono, con avvertenze certamente belle e necessarie a chi esercita la pittura. Nella terza fece quando S. Filippo cava gli spiriti da dosso a una femmina, con tutte quelle considerazioni che migliori in sì fatta azzione possono immaginarsi. Onde recarono tutte queste storie ad Andrea onore grandissimo e fama; perché inanimito seguitò di fare due altre storie nel medesimo cortile: in una faccia è San Filippo morto e i suoi frati intorno che lo piangono, et oltre ciò, un putto morto che toccando la bara dove è S. Filippo, risuscita; onde vi si vede prima morto e poi risuscitato e vivo con molto bella considerazione e naturale e propria. Nell’ultima da quella banda figurò i frati che mettono la veste di San Filippo in capo a certi fanciulli; et in questa ritrasse Andrea della Robbia scultore in un vecchio vestito di rosso, che viene chinato e con una mazza in mano. Similmente vi ritrasse Luca suo figliuolo sì come nell’altra già detta, dove è morto San Filippo, ritrasse Girolamo pur figliuolo d’Andrea, scultore e suo amicissimo, [p. 153 modifica]il quale è morto, non è molto, in Francia. E così, dato fine al cortile di quella banda, parendogli il prezzo poco e l’onore troppo, si risolvé licenziare il rimanente dell’opera, quantunque il frate molto se ne dolesse, ma per l’obbligo fatto non volle disobligarlo, se Andrea non gli promisse prima fare due altre storie a suo commodo piacimento e crescendogli il frate il prezzo, e così furono d’accordo. Per queste opere venuto Andrea in maggior cognizione, gli furono allogati molti quadri et opere d’importanza, e fra l’altre dal generale de’ monaci di Vallombrosa, per il monasterio di San Salvi, fuor della porta alla Croce nel refettorio, l’arco d’una volta e la facciata, per farvi un Cenacolo. Nella quale volta fece in quattro tondi quattro figure: San Benedetto, San Giovanni Gualberto, San Salvi vescovo e San Bernardo degl’Uberti di Firenze loro frate e cardinale; e nel mezzo fece un tondo dentrovi tre faccie, che sono una medesima, per la Trinità, e fu questa opera, per cosa in fresco, molto ben lavorata e per ciò tenuto Andrea quello che egli era veramente nella pittura. Laonde per ordine di Baccio d’Agnolo gli fu dato a fare in fresco allo sdrucciolo d’Or San Michele, che va in Mercato Nuovo, in un biscanto, quella Nunziata di maniera minuta, che ancor vi si vede, la quale non gli fu molto lodata e ciò poté essere perché Andrea, il quale faceva bene senza affaticarsi o sforzare la natura, volle, come si crede, in questa opera sforzarsi e farla con troppo studio. Fra i molti quadri, che poi fece per Fiorenza, de’ quali tutti sarei troppo lungo a volere ragionare, dirò che fra i più segnalati si può anoverare quello che oggi è in camera di Baccio Barbadori, nel quale è una Nostra Donna intera con un Putto in collo e Santa Anna e San Giuseppo, lavorati di bella maniera e tenuti carissimi da Baccio. Uno ne fece similmente molto lodevole, che è oggi appresso Lorenzo di Domenico Borghini, et un altro a Lionardo del Giocondo d’una Nostra Donna, che al presente è posseduto da Piero suo figliuolo. A Carlo Ginori ne fece due non molto grandi, che poi furono comperi dal Magnifico Ottaviano de’ Medici, de’ quali oggi n’è uno nella sua bellissima villa di Campi, e l’altro ha in camera, con molte altre pitture moderne fatte da eccellentissimi maestri, il signor Bernardetto, degno figliuolo di tanto padre, il quale come onora e stima l’opere de’ famosi artefici, così è in tutte l’azzioni veramente magnifico e generoso signore. Aveva in questo mentre il frate de’ Servi allogato al Francia Bigio una delle storie del sopradetto cortile, ma egli non aveva anco finito di fare la turata, quando Andrea, insospettito perché gli pareva che il Francia in maneggiare i colori a fresco fusse di sé più pratico e spedito maestro, fece, quasi per gara, i cartoni delle due storie, per mettergli in opera nel canto fra la porta del fianco di San Bastiano e la porta minore, che del cortile entra nella Nunziata; e fatto i cartoni, si mise a lavorare in fresco e fece nella prima la Natività di Nostra Donna, con un componimento di figure benissimo misurate et accommodate con grazia in una camera, dove alcune donne, come amiche e parenti, essendo venute a visitarla, sono intorno alla donna di parto, vestite di quegli abiti che in quel tempo si usavano, et alcune altre manco manco nobili, standosi intorno al fuoco, lavano la puttina pur allor nata, mentre alcune altre fanno le fascie et altri così fatti servigi; e fra gl’altri vi è un fanciullo che si scalda a quel fuoco, molto vivace, et un vecchio che si riposa sopra un lettuccio, [p. 154 modifica]molto naturale; et alcune donne similmente che portano da mangiare alla donna che è nel letto, con modi veramente proprii e naturalissimi. E tutte queste figure insieme con alcuni putti, che stando in aria gettano fiori, sono per l’aria, per i panni e per ogn’altra cosa consideratissimi e coloriti tanto morbidamente, che paiono di carne le figure e l’altre cose più tosto naturali che dipinte. Nell’altra Andrea fece i tre Magi d’Oriente, i quali guidati dalla stella andarono ad adorare il fanciullino Gesù Cristo; e gli finse scavalcati, quasi che fussero vicini al destinato luogo, e ciò per esser solo lo spazio delle due porte per vano fra loro e la Natività di Cristo, che di mano di Alesso Baldovinetti si vede; nella quale storia Andrea fece la corte di que’ tre Re venire lor dietro con i cariaggi e molti arnesi e genti che gl’accompagnano, fra i quali sono in un cantone ritratti di naturale tre persone vestite d’abito fiorentino, l’uno è Iacopo Sansovino, che guarda in verso chi vede la storia tutto intero, l’altro appoggiato a esso, che ha un braccio in iscorto et accenna è Andrea, maestro dell’opera, et un’altra testa in mezzo occhio dietro a Iacopo è l’Aiolle musico. Vi sono, oltre ciò, alcuni putti che salgono su per le mura, per stare a vedere passare le magnificenze e le stravaganti bestie, che menano con esso loro que’ tre Re. La quale istoria è tutta simile all’altra già detta di bontà, anzi nell’una e nell’altra superò se stesso, non che il Francia, che anch’egli la sua vi finì. In questo medesimo tempo fece una tavola, per la Badia di San Godenzo, benefizio dei medesimi frati, che fu tenuta molto ben fatta; e per i frati di San Gallo fece in una tavola la Nostra Donna annunziata dall’Angelo, nella quale si vede un’unione di colorito molto piacevole et alcune teste d’Angeli che accompagnano Gabbriello, con dolcezza sfumate e di bellezza d’arie di teste condotte perfettamente, e sotto questa fece una predella Iacopo da Puntormo, allora discepolo d’Andrea, il quale diede saggio in quell’età giovenile d’avere a far poi le bell’opere che fece in Fiorenza di sua mano; prima che egli diventasse si può dire un altro, come si dirà nella sua vita. Dopo fece Andrea un quadro di figure non molto grandi a Zanobi Girolami, nel quale era dentro una storia di Giuseppo, figliuolo di Iacob, che fu da lui finita con una diligenza molto continuata e perciò tenuta una bellissima pittura. Prese, non molto dopo, a fare agl’uomini della Compagnia di Santa Maria della Neve, dietro alle monache di Santo Ambrogio, in una tavolina tre figure: la Nostra Donna, San Giovambatista e Santo Ambruogio, la quale opera finita fu col tempo posta in sull’altare di detta Compagnia. Aveva in questo mentre preso dimestichezza Andrea, mediante la sua virtù, con Giovanni Gaddi, che fu poi cherico di camera; il quale, perché si dilettò sempre dell’arti del disegno, faceva allora lavorare del continuo Iacopo Sansovino; onde, piacendo a costui la maniera d’Andrea, gli fece fare per sé un quadro d’una Nostra Donna bellissima; il quale, per avergli Andrea fatto intorno e modegli et altre fatiche ingegnose, fu stimato la più bella opera che insino allora Andrea avesse dipinto. Fece dopo questo un altro quadro di Nostra Donna a Giovanni di Paulo merciaio, che piacque a chiunque il vide infinitamente per essere veramente bellissimo. Et ad Andrea Santini ne fece un altro, dentrovi la Nostra Donna, Cristo, San Giovanni e San Giuseppo, lavorati con tanta diligenza, che sempre [p. 155 modifica]furono stimati in Fiorenza pittura molto lodevole. Le quali tutte opere diedero sì gran nome ad Andrea nella sua città, che fra molti giovani e vecchi, che allora dipignevano, era stimato dei più eccellenti che adoperassino colori e pennelli; laonde si trovava non solo essere onorato, ma in istato ancora, se bene si faceva poco affatto pagare le sue fatiche, che poteva in parte aiutare e sovvenire i suoi e difenderse dai fastidii e dalle noie che hanno coloro che ci vivono poveramente. Ma essendosi d’una giovane innamorato e poco appresso, essendo rimasta vedova, toltala per moglie, ebbe più che fare il rimanente della sua vita e molto più da travagliare che per l’adietro fatto non aveva; perciò che, oltre le fatiche e fastidii che seco portano simili impacci comunemente, egli se ne prese alcuni da vantaggio, come quello che fu ora da gelosia et ora da una cosa et ora da un’altra combattuto. Ma per tornare all’opere che fece, le quali, come furono assai, così furono rarissime, egli fece, dopo quelle di che si è favellato di sopra, a un frate di Santa Croce dell’Ordine minore, il quale era governatore allora delle monache di San Francesco in via Pentolini e si dilettava molto della pittura, in una tavola per la chiesa di dette monache, la Nostra Donna ritta e rilevata sopra una basa in otto faccie; in sulle cantonate della quale sono alcune arpie che seggono quasi adorando la Vergine, la quale con una mano tiene in collo il Figliuolo, che con attitudine bellissima la strigne con le braccia tenerissimamente, e con l’altra un libro serrato, guardando due putti ignudi i quali, mentre l’aiutano a reggere, le fanno intorno ornamento. Ha questa Madonna, da man ritta, un San Francesco molto ben fatto, nella testa del quale si conosce la bontà e semplicità che fu veramente in quel santo uomo; oltre ciò sono i piedi bellissimi, e così i panni, perché Andrea con un girar di pieghe molto ricco e con alcune ammaccature dolci sempre contornava le figure in modo che si vedeva l’ignudo; a man destra ha un San Giovanni Evangelista, finto giovane et in atto di scrivere l’Evangelio, in molto bella maniera; si vede, oltre ciò, in questa opera un fumo di nuvoli trasparenti sopra il casamento e le figure che pare che si muovino. La quale opera è tenuta oggi fra le cose d’Andrea di singolare e veramente rara bellezza. Fece anco al Nizza legnaiuolo un quadro di Nostra Donna che fu non men bello stimato che l’altre opere sue. Deliberando poi l’Arte de’ Mercatanti che si facessero alcuni carri trionfali di legname, a guisa degl’antichi Romani, perché andassero la mattina di San Giovanni a processione in cambio di certi paliotti di drappo e ceri che le città e castella portano in segno di tributo, passando dinanzi al Duca e magistrati principali, di dieci che se ne fecero allora, ne dipinse Andrea alcuni a olio e di chiaro scuro, con alcune storie che furono molto lodate. E se bene si doveva seguitare di farne ogni anno qualcuno, per insino a che ogni città e terra avesse il suo (il che sarebbe stato magnificenza e pompa grandissima) fu nondimeno dismesso il ciò fare l’anno 1527. Mentre dunque che con queste et altre opere Andrea adornava la sua città et il suo nome ogni giorno maggiormente cresceva, deliberarono gl’uomini della Compagnia dello Scalzo che Andrea finisse l’opera del loro cortile, che già aveva cominciato e fattovi la storia del battesimo di Cristo; e così, avendo egli rimesso [p. 156 modifica]mano all’opera più volentieri, vi fece due storie, e per ornamento della porta che entra nella Compagnia, una Carità et una Iustizia bellissime. In una delle storie fece San Giovanni che predica alle turbe in attitudine pronta, con persona adulta e simile alla vita che faceva e con un’aria di testa che mostra tutto spirito e considerazione. Similmente la varietà e prontezza degl’ascoltatori è maravigliosa, vedendosi alcuni stare ammirati e tutti attoniti nell’udire nuove parole et una così rara e non mai più udita dottrina. Ma molto più si adoperò l’ingegno d’Andrea nel dipignere Giovanni che battezza in acqua una infinità di popoli, alcuni de’ quali si spogliano, altri ricevono il battesimo et altri, essendo spogliati, aspettano che finisca di battezzare quelli che sono inanzi a loro; et in tutti mostrò un vivo affetto e molto ardente disiderio nell’attitudini di coloro che si affrettano per essere mondati dal peccato, senzaché tutte le figure sono tanto ben lavorate in quel chiaro scuro ch’elle rappresentano vive istorie di marmo e verissime. Non tacerò che, mentre Andrea in queste et in altre pitture si adoperava, uscirono fuori alcune stampe intagliate in rame d’Alberto Duro, e che egli se ne servì e ne cavò alcune figure, riducendole alla maniera sua. Il che ha fatto credere ad alcuni, non che sia male servirsi delle buone cose altrui destramente, ma che Andrea non avesse molta invenzione. Venne in quel tempo disiderio a Baccio Bandinelli, allora disegnatore molto stimato, d’imparare a colorire a olio; onde, conoscendo che niuno in Fiorenza ciò meglio sapea fare di esso Andrea, gli fece fare un ritratto di sé, che somigliò molto in quell’età, come si può anco vedere. E così nel vedergli fare questa et altre opere, vide il suo modo di colorire, se ben poi o per la difficultà o per non se ne curare, non seguitò di colorire, tornandogli più a proposito la scultura. Fece Andrea un quadro ad Alessandro Corsini pieno di putti intorno et una Nostra Donna che siede in terra con un putto in collo; il quale quadro fu condotto con bell’arte e con un colorito molto piacevole. Et a un merciaio, che faceva bottega in Roma et era suo molto amico, fece una testa bellissima. Similmente Giovanbatista Puccini fiorentino, piacendogli straordinariamente il modo di fare d’Andrea, gli fece fare un quadro di Nostra Donna per mandare in Francia, ma riuscitogli bellissimo se lo tenne per sé e non lo mandò altrimenti. Ma nondimeno, facendo egli in Francia suoi traffichi e negozii e perciò essendogli commesso che facesse opera di mandar la pittura eccellente, diede a fare ad Andrea un quadro d’un Cristo morto e certi Angeli attorno che lo sostenevano e con atti mesti e pietosi contemplavano il loro Fattore in tanta miseria per i peccati degli uomini. Questa opera finita che fu, piacque di maniera universalmente, che Andrea, pregato da molti, la fece intagliare in Roma da Agostino Viniziano; ma non gli essendo riuscita molto bene, non volle mai più dare alcuna cosa alla stampa. Ma tornando al quadro, egli non piacque meno in Francia, dove fu mandato, che s’avesse fatto in Fiorenza, in tanto che il re, acceso di maggior disiderio d’avere dell’opere d’Andrea, diede ordine che ne facesse alcun’altre, la quale cosa fu cagione che Andrea, persuaso dagl’amici, si risolvé d’andare poco dopo in Francia. Ma intanto, intendendo i Fiorentini, il che fu l’anno 1515, che papa Leone Decimo voleva fare grazie alla patria di farsi in quella vedere, ordinarono per riceverlo feste grandissime et un magnifico e sontuoso apparato con tanti [p. 157 modifica]archi, facciate, tempii, colossi et altre statue et ornamenti, che infino allora non era mai stato fatto né il più sontuoso, né il più ricco e bello; perché allora fioriva in quella città maggior copia di begli et elevati ingegni, che in altri tempi fusse avvenuto già mai. All’entrata della porta di San Pier Gattolini, fece Iacopo di Sandro un arco tutto istoriato et insieme con esso lui Baccio da Monte Lupo; a San Felice in Piazza ne fece un altro Giuliano del Tasso, et a Santa Trinita alcune statue e la meta di Romolo; et in Mercato Nuovo la Colonna Traiana. In piazza de’ Signori fece un tempio a otto faccie Antonio, fratello di Giuliano da San Gallo; e Baccio Bandinelli fece un gigante in sulla loggia. Fra la Badia et il palazzo del podestà fecero un arco il Granaccio et Aristotile da San Gallo, et al canto de’ Bischeri ne fece un altro il Rosso, con molto bello ordine e varietà di figure. Ma quello che fu più di tutto stimato fu la facciata di Santa Maria del Fiore, fatta di legname e lavorata in diverse storie di chiaro scuro dal nostro Andrea, tanto bene che più non si sarebbe potuto disiderare; e perché l’architettura di questa opera fu di Jacopo Sansovino e similmente alcune storie di basso rilievo e di scultura molte figure tonde, fu giudicato dal Papa che non sarebbe potuto essere quell’edifizio più bello quando fusse stato di marmo, e ciò fu invenzione di Lorenzo de’ Medici, padre di quel Papa, quando viveva. Fece il medesimo Iacopo in sulla piazza di Santa Maria Novella un cavallo simile a quello di Roma, che fu tenuto bello affatto. Furono anco fatti infiniti ornamenti alla sala del papa nella via della Scala, e la metà di quella strada piena di bellissime storie di mano di molti artefici; ma per la maggior parte disegnate da Baccio Bandinelli. Entrando dunque Leone in Fiorenza del medesimo anno, il terzo dì di settembre, fu giudicato questo apparato il maggiore che fusse stato fatto già mai et il più bello. Ma tornando oggimai ad Andrea, essendo di nuovo ricerco di fare un altro quadro per lo re di Francia, ne finì in poco tempo uno, nel quale fece una Nostra Donna bellissima, che fu mandato subito e cavatone dai mercanti quattro volte più che non l’avevano essi pagato. Aveva a punto allora Pier Francesco Borgherini fatto fare a Baccio d’Agnolo di legnami intagliati spalliere, cassoni, sederi e letto di noce molto belli, per fornimento d’una camera; onde, perché corrispondessero le pitture all’eccellenza degl’altri lavori, fece in quelli fare una parte delle storie da Andrea, in figure non molto grandi, de’ fatti di Giuseppo figliuolo di Iacob, a concorrenza d’alcune che n’aveva fatte il Granaccio e Iacopo da Pontorno, che sono molto belle. Andrea dunque si sforzò, con mettere in quel lavoro diligenza e tempo straordinario, di far sì che gli riuscissero più perfette che quelle degli altri sopra detti. Il che gli venne fatto benissimo, avendo egli nella varietà delle cose, che accaggiono in quelle storie, mostro quanto egli valesse nell’arte della pittura. Le quali storie per la bontà loro furono per l’assedio di Fiorenza volute scassare di dove erano confitte da Giovanbatista della Palla, per mandare al re di Francia; ma perché erano confitte di sorte che tutta l’opera si sarebbe guasta, restarono nel luogo medesimo con un quadro di Nostra Donna che è tenuto cosa rarissima. Fece dopo questo Andrea una testa d’un Cristo, tenuta oggi dai frati de’ Servi in sull’altare della Nunziata, tanto bella, che io per me non so se può imaginare da umano intelletto, per una testa d’un Cristo, la [p. 158 modifica]più bella. Erano state fatte in San Gallo, fuor della porta nelle capelle della chiesa, oltre alle due tavole d’Andrea, molte altre, le quali non paragonano le sue; onde avendosene ad allogare un’altra, operarono que’ frati col padrone della capella ch’ella si desse ad Andrea; il quale, cominciandola subito, fece in quella quattro figure ritte che disputano della Trinità, cioè un Santo Agostino, che con aria veramente africana et in abito di vescovo si muove con veemenzia verso un San Pier martire, che tiene un libro aperto in aria et atto fieramente terribile, la quale testa e figura è molto lodata. Allato a questo è un San Francesco che con una mano tiene un libro e l’altra ponendosi al petto pare che esprima con la bocca una certa caldezza di fervore che lo faccia quasi struggere in quel ragionamento. Èvvi anco un S. Lorenzo, che ascolta come giovane e pare che ceda all’autorità di coloro. Abbasso sono ginocchioni due figure, una Maddalena con bellissimi panni, il volto della quale è ritratto della moglie, perciò che non faceva aria di femine in nessun luogo che da lei non la ritraesse; se pur aveniva che da altre tallora la togliesse, per l’uso del continuo vederla e per tanto averla disegnata e, che è più, averla nell’animo impressa, veniva che quasi tutte le teste che faceva di femmine, la somigliavano. L’altra delle quattro figure fu un San Bastiano, il quale, essendo ignudo, mostra le schiene che non dipinte, ma paiono a chiunche le mira vivissime. E certamente questa fra tante opere a olio fu dagl’artefici tenuta la migliore, conciò sia che in essa si vede molta osservanza nella misura delle figure et un modo molto ordinato e la proprietà dell’aria ne’ volti, perché hanno le teste de’ giovani dolcezza, crudezza quelle de’ vecchi, et un certo mescolato che tiene dell’une e dell’altre quelle di mezza età. Insomma questa tavola è in tutte le parti bellissima e si truova oggi in San Iacopo tra’ Fossi al canto agl’Alberti insieme con l’altre di mano del medesimo. Mentre che Andrea si andava trattenendo in Fiorenza dietro a queste opere, assai poveramente, senza punto sollevarsi, erano stati considerati in Francia i due quadri che vi aveva mandati dal re Francesco Primo; e fra molti altri stati mandati di Roma, di Vinezia e di Lombardia erano stati di gran lunga giudicati i migliori; lodandogli dunque straordinariamente quel re, gli fu detto che essere potrebbe agevolmente che Andrea si conducesse in Francia al servigio di Sua Maestà. La qual cosa fu carissima al re, onde data commessione di quanto si avea da fare e che in Fiorenza gli fussero pagati danari per il viaggio, Andrea si mise allegramente in camino per Francia conducendo seco Andrea Sguazzella suo creato. Arrivati poi finalmente alla corte, furono da quel re con molta amorevolezza et allegramente ricevuti, et Andrea, prima che passasse il primo giorno del suo arrivo, provò quanta fosse la liberalità e cortesia di quel magnanimo re, ricevendo in dono danari e vestimenti ricchi et onorati. Cominciando poco appresso a lavorare, si fece al re et a tutta la corte grato di maniera, che essendo da tutti carezzato, gli pareva che la sua partita l’avesse condotto da una estrema infelicità a una felicità grandissima. Ritrasse fra le prime cose, di naturale il Dalfino figliuolo del re, nato di pochi mesi, e così in fascie; e portatolo al re n’ebbe in dono trecento scudi d’oro. Dopo, seguitando di lavorare, fece al re una Carità che fu tenuta cosa rarissima e dal re tenuta in pregio, come cosa che lo meritava; ordinatogli appresso grossa provisione, faceva [p. 159 modifica]ogni opera perché volentieri stesse seco, promettendo che niuna cosa gli mancherebbe. E questo perché gli piaceva nell’operare d’Andrea la prestezza et il procedere di quell’uomo che si contentava d’ogni cosa; oltre ciò, sodisfacendo molto a tutta la corte, fece molti quadri e molte opere; e se egli avesse considerato donde si era partito e dove la sorte l’aveva condotto, non ha dubbio che sarebbe salito (lasciamo stare le ricchezze) a onoratissimo grado. Ma essendogli un giorno, che lavorava per la madre del re un San Girolamo in penitenza, venuto alcune lettere da Fiorenza, le quali gli scriveva la moglie, cominciò (qualunque si fusse la cagione) a pensare di partirsi. Chiese dunque licenza al re, dicendo di volere andare a Firenze e che, accommodate alcune sue faccende, tornerebbe a Sua Maestà per ogni modo e che per starvi più riposato menarebbe seco la moglie, et al ritorno suo porterebbe pitture e sculture di pregio. Il re, fidandosi di lui, gli diede per ciò danari, et Andrea giurò sopra il Vangelo di ritornare a lui fra pochi mesi. E così arrivato a Fiorenza felicemente, si godé la sua bella donna parecchi mesi e gl’amici e la città. Finalmente, passando il termine in fra ’l quale doveva ritornare al re, egli si trovò in ultimo, fra in murare e darsi piacere e non lavorare, aver consumati i suoi danari e quelli del re parimente. Ma nondimeno volendo egli tornare, potettero più in lui i pianti e i preghi della sua donna che il proprio bisogno e la fede promessa al re. Onde, non essendo (per compiacere alla donna) tornato, il re ne prese tanto sdegno, che mai più con diritto occhio non volle vedere per molto tempo pittori fiorentini; e giurò che se mai gli fusse capitato Andrea alle mani, più dispiacere che piacere gli arebbe fatto, senza avere punto di riguardo alla virtù di quello. Così Andrea restato in Fiorenza e da uno altissimo grado venuto a uno infimo, si tratteneva e passava tempo, come poteva il meglio. Nella sua partita per Francia avevano gl’uomini dello Scalzo, pensando che non dovesse mai più tornare, allogato tutto il restante dell’opera del cortile al Francia Bigio, che già vi aveva fatto due storie; quando vedendo Andrea tornato in Firenze fecero che egli rimise mano all’opera, e seguitando vi fece quattro storie, l’una a canto all’altra. Nella prima è San Giovanni preso dinanzi a Erode; nell’altra è la cena et il ballo d’Erodiana, con figure molto accomodate et a proposito; nella terza è la decollazione di esso San Giovanni, nella quale il maestro della iustizia mezzo ignudo è figura molto eccellentemente disegnata, sì come sono anco tutte l’altre; nella quarta Erodiana presenta la testa, et in questa sono alcune figure che si maravigliano, fatte con bellissima considerazione; le quali storie sono state un tempo lo studio e la scuola di molti giovani che oggi sono eccellenti in queste arti. Fece in sul canto che fuor della porta a Pinti voltava per andare agl’Ingesuati, in un tabernacolo a fresco una Nostra Donna a sedere con un Putto in collo et un San Giovanni fanciullo che ride, fatto con arte grandissima e lavorato così perfettamente, che è molto stimato per la bellezza e vivezza sua; e la testa della Nostra Donna è il ritratto della sua moglie di naturale. Il quale tabernacolo, per la incredibile bellezza di questa pittura, che è veramente maravigliosa, fu lasciato in piedi, quando l’anno 1530 per l’assedio di Fiorenza fu rovinato il detto convento degl’Ingesuati et [p. 160 modifica]altri molti bellissimi edifizii. In que’ medesimi tempi, facendo in Francia Bartolomeo Panciatichi il vecchio molte facende di mercanzia, come disideroso di lasciare memoria di sé in Lione, ordinò a Baccio d’Agnolo che gli facesse fare da Andrea una tavola e gliela mandasse là, dicendo che in quella voleva un’Assunta di Nostra Donna con gl’Apostoli intorno al sepolcro. Questa opera dunque condusse Andrea fin presso alla fine, ma perché il legname di quella parecchie volte s’aperse, or lavorandovi, or lasciandola stare, ella si rimase a dietro non finita del tutto alla morte sua e fu poi da Bartolomeo Panciatichi il giovane riposta nelle sue case, come opera veramente degna di lode, per le bellissime figure degl’Apostoli, oltre alla Nostra Donna che da un coro di putti ritti è circondata, mentre alcuni altri la reggono e portano con una grazia singularissima; et a sommo della tavola è ritratto fra gl’Apostoli Andrea tanto naturalmente che par vivo; è oggi questa nella villa de’ Baroncelli, poco fuor di Fiorenza in una chiesetta stata murata da Piero Salviati vicina alla sua villa, per ornamento di detta tavola. Fece Andrea a sommo dell’orto de’ Servi in due cantoni due storie della vigna di Cristo, cioè quando ella si pianta, lega e paleggia, et appresso quel padre di famiglia che chiama a lavorare coloro che si stavano oziosi, fra i quali è uno che mentre dimandato se vuole entrare in opera, sedendo si gratta le mani e sta pensando se vuole andare fra gl’altri operai, nella guisa a punto che certi infingardi si stanno con poca voglia di lavorare. Ma molto più bella è l’altra, dove il detto padre di famiglia gli fa pagare, mentre essi mormorando si dogliono; e fra questi uno che da sé annovera i danari, stando intento a quello che gli tocca, par vivo; sì come anco pare il castaldo che gli paga; le quali storie sono di chiaro scuro e lavorate in fresco con destrissima pratica. Dopo queste fece nel noviziato del medesimo convento a sommo d’una scala, una Pietà colorita a fresco in una nicchia, che è molto bella. Dipinse anco in un quadretto a olio un’altra Pietà et insieme una Natività nella camera di quel convento, dove già stava il generale Angelo Aretino. Fece il medesimo a Zanobi Bracci, che molto disiderava avere opere di sua mano, in un quadro per una camera, una Nostra Donna che inginocchiata si appoggia a un masso contemplando Cristo che, posato sopra un viluppo di panni, la guarda sorridendo; mentre un San Giovanni, che vi è ritto, accenna alla Nostra Donna quasi mostrando quello essere il vero Figliuol di Dio. Dietro a questi è un Giuseppo appoggiato con la testa in su le mani posate sopra uno scoglio, che pare si beatifichi l’anima nel vedere la generazione umana essere diventata, per quella nascita, divina. Dovendo Giulio cardinale de’ Medici per commessione di papa Leone far lavorare di stucco e di pittura la volta della sala grande del Poggio a Caiano, palazzo e villa della casa de’ Medici, posta fra Pistoia e Fiorenza, fu data la cura di quest’opera e di pagar i danari al Magnifico Ottaviano de’ Medici, come a persona che non tralignando dai suoi maggiori s’intendeva di quel mestiere et era amico et amorevole a tutti gl’artefici delle nostre arti, dilettandosi più che altri d’avere adorne le sue case dell’opere dei più eccellenti; ordinò dunque, essendosi dato carico di tutta l’opera al Francia Bigio, ch’egli n’avesse un terzo solo, un terzo Andrea e l’altro Iacopo da Pontormo, Né fu possibile per molto che il Magnifico Ottaviano sollecitasse costoro, né [p. 161 modifica]per danari che offerisse e pagasse loro, far sì che quell’opera si conducesse a fine; per che Andrea solamente finì con molta diligenza in una facciata una storia, dentrovi quando a Cesare sono presentati i tributi di tutti gl’animali: il disegno della quale opera è nel nostro libro insieme con molti altri di sua mano; et è il più finito, essendo di chiaro scuro, che Andrea facesse mai. In questa opera Andrea, per superare il Francia e Iacopo, si mise a fatiche non più usate, tirando in quella una magnifica prospettiva et un ordine di scale molto difficile, per le quali salendo si perviene alla sedia di Cesare; e queste adornò di statue molto ben considerate. Non gli bastando aver mostro il bell’ingegno suo nella varietà di quelle figure che portano addosso que’ tanti diversi animali, come sono una figura indiana che ha una casacca gialla indosso e sopra le spalle una gabbia, tirata in prospettiva, con alcuni papagalli dentro e fuori, che sono cosa rarissima; e come sono ancora alcuni che guidano capre indiane, leoni, giraffi, leonze, lupi cervieri, scimie e mori et altre belle fantasie accommodate con bella maniera e lavorate in fresco divinissimamente, fece anco in su quelle scalee a sedere un nano che tiene in una scatola il camaleonte, tanto ben fatto, che non si può immaginare nella disformità della stranissima forma sua la più bella proporzione di quella che gli diede. Ma questa opera rimase, come s’è detto, imperfetta per la morte di papa Leone. E se bene il duca Alessandro de’ Medici ebbe disiderio che Iacopo da Pontormo la finisse, non ebbe forza di far sì che vi mettessi mano. E nel vero ricevé torto grandissimo a restare imperfetta, essendo per cosa di villa la più bella sala del mondo. Ritornato in Fiorenza, Andrea fece in un quadro una mezza figura ignuda d’un S. Giovan Battista, che è molto bella, la quale gli fu fatta fare da Giovan Maria Benintendi, che poi la donò al signor duca Cosimo. Mentre le cose succedevano in questa maniera, ricordandosi alcuna volta Andrea delle cose di Francia, sospirava di cuore; e se avesse pensato trovar perdono del fallo commesso, non ha dubbio che egli vi sarebbe tornato. E per tentare la fortuna, volle provare se la virtù sua gli potesse a ciò essere giovevole. Fece addunque in un quadro un S. Giovanni Battista mezzo ignudo, per mandarlo al gran Maestro di Francia, acciò si adoperasse per farlo ritornare in grazia del re. Ma qualunche di ciò fusse la cagione, non glielo mandò altrimenti, ma lo vendé al magnifico Ottaviano de’ Medici, il quale lo stimò sempre assai mentre visse, sì come fece anco due quadri di Nostre Donne, che gli fece d’una medesima maniera, i quali sono oggi nelle sue case. Né dopo molto gli fece fare Zanobi Bracci per monsignore di San Biause un quadro, il quale condusse con ogni diligenza, sperando che potesse esser cagione di fargli riavere la grazia del re Francesco, il quale desiderava di tornare a servire. Fece anco un quadro a Lorenzo Iacopi, di grandezza molto maggiore che l’usato, dentrovi una Nostra Donna a sedere con il Putto in braccio e due altre figure, che l’accompagnano, le quali seggono sopra certe scalee, che di disegno e colorito sono simili all’altre opere sue. Lavorò similmente un quadro di Nostra Donna bellissimo a Giovanni d’Agostino Dini, che è oggi per la sua bellezza molto stimato; e Cosimo Lapi ritrasse di naturale tanto bene, che pare vivissimo. Essendo poi venuto l’anno 1523 in Fiorenza la peste et anco pel contado in qualche luogo, Andrea, per mezzo [p. 162 modifica]d’Antonio Brancacci, per fuggire la peste et anco lavorare qualche cosa, andò in Mugello a fare per le monache di San Piero a Luco dell’ordine di Camaldoli una tavola. Là dove menò seco la moglie et una figliastra, e similmente la sorella di lei et un garzone. Quivi dunque standosi quietamente mise mano all’opera; e perché quelle venerande donne più l’un giorno che l’altro facevano carezze e cortesie alla moglie, a lui et a tutta la brigata, si pose con grandissimo amore a lavorare quella tavola. Nella quale fece un Cristo morto, pianto dalla Nostra Donna, S. Giovanni Evangelista e da una Madalena in figure tanto vive, che pare ch’elle abbiano veramente lo spirito e l’anima. Nel S. Giovanni si scorge la tenera dilezzione di quell’Apostolo e l’amore della Madalena nel pianto et un dolore estremo nel volto et attitudine della Madonna, la quale vedendo il Cristo, che pare veramente di rilievo in carne e morto, fa per la compassione stare tutto stupefatto e smarrito San Piero e San Paulo, che contemplano morto il Salvatore del mondo in grembo alla madre. Per le quali maravigliose considerazioni si conosce quanto Andrea si dilettasse delle fini e perfezzioni dell’arte; e per dire il vero questa tavola ha dato più nome a quel monasterio, che quante fabriche e quante altre spese vi sono state fatte, ancor che magnifiche e straordinarie. Finita la tavola, perché non era ancor passato il pericolo della peste, dimorò nel medesimo luogo, dove era benissimo veduto e carezzato, alcune settimane. Nel qual tempo, per non si stare, fece non solamente una Visitazione di Nostra Donna e S. Lisabetta, che è in chiesa a man ritta sopra il presepio, per finimento d’una tavoletta antica, ma ancora in una tela non molto grande una bellissima testa d’un Cristo, alquanto simile a quella che è sopra l’altare della Nunziata, ma non sì finita; la qual testa, che invero si può annoverare fra le buone cose che uscissero delle mani d’Andrea, è oggi nel monasterio de’ monaci degl’Angeli di Firenze, appresso il molto reverendo padre don Antonio da Pisa, amator non solo degl’uomini eccellenti nelle nostre arti, ma generalmente di tutti i virtuosi. Da questo quadro ne sono stati ricavati alcuni; per che avendolo don Silvano Razzi fidato a Zanobi Poggini pittore, acciò uno ne ritraesse a Bartolomeo Gondi, che ne lo richiese, ne furono ricavati alcuni altri, che sono in Firenze tenuti in somma venerazione. In questo modo adunque passò Andrea senza pericolo il tempo della peste e quelle donne ebbero dalla virtù di tanto uomo quell’opera, che può stare al paragone delle più eccellenti pitture che siano state fatte a’ tempi nostri; onde non è maraviglia se Ramazzotto, capo di parte a Scaricalasino, tentò per l’assedio di Firenze più volte d’averla, per mandarla a Bologna in San Michele in Bosco alla sua capella. Tornato Andrea a Firenze, lavorò a Becuccio Bicchieraio da Gambassi, amicissimo suo, in una tavola una Nostra Donna in aria col Figliuolo in collo, et abbasso quattro figure, San Giovanni Battista, S. Maria Madalena, S. Bastiano e San Rocco; e nella predella ritrasse di naturale esso Becuccio e la moglie, che sono vivissimi. La quale tavola è oggi a Gambassi, castello fra Volterra e Fiorenza nella Valdelsa. A Zanobi Bracci per una capella della sua villa di Rovezzano fece un bellissimo quadro di una Nostra Donna, che allatta un Putto, et un Giuseppo con tanta diligenza che si staccano, tanto hanno rilievo, dalla tavola. Il quale quadro è oggi in casa di Messer Antonio Bracci, figliuolo di detto Zanobi. Fece anco Andrea nel medesimo tempo [p. 163 modifica]e nel già detto cortile dello Scalzo, due altre storie; in una delle quali figurò Zacheria che sacrifica et ammutolisce nell’apparirgli l’Angelo; nell’altra è la Visitazione di Nostra Donna, bella a maraviglia. Federigo Secondo duca di Mantoa, nel passare per Fiorenza, quando andò a far reverenza a Clemente Settimo, vide sopra una porta, in casa Medici, quel ritratto di papa Leone in mezzo al cardinale Giulio de’ Medici et al cardinale de’ Rossi, che già fece l’eccellentissimo Raffaello da Urbino; per che, piacendogli straordinariamente, pensò, come quello che si dilettava di così fatte pitture eccellenti, farlo suo. E così quando gli parve tempo, essendo in Roma, lo chiese in dono a papa Clemente, che gliene fece grazia cortesemente; onde fu ordinato in Fiorenza a Ottaviano de’ Medici, sotto la cui cura e governo erano Ippolito et Alessandro, che incassatolo, lo facesse portare a Mantoa. La qual cosa dispiacendo molto al Magnifico Ottaviano, che non arebbe voluto privar Fiorenza d’una sì fatta pittura, si maravigliò che il Papa l’avesse corsa così a un tratto, pure rispose che non mancherebbe di servire il Duca, ma che essendo l’ornamento cattivo ne faceva fare un nuovo, il quale come fusse messo d’oro manderebbe sicurissimamente il quadro a Mantoa; e ciò fatto, Messer Ottaviano, per salvare, come si dice, la capra et i cavoli, mandò segretamente per Andrea e gli disse come il fatto stava, e che a ciò non era altro rimedio che contrafare quello con ogni diligenza; e mandandone un simile al Duca, ritenere, ma nascosamente, quello di mano di Raffaello. Avendo dunque promesso Andrea di fare quanto sapeva e poteva, fatto fare un quadro simile di grandezza et in tutte le parti, lo lavorò in casa di Messer Ottaviano segretamente. E vi si affaticò di maniera che esso Messer Ottaviano, intendentissimo delle cose dell’arti, quando fu finito non conosceva l’uno dall’altro, né il proprio e vero dal simile, avendo massimamente Andrea contrafatto insino alle macchie del sucido, come era il vero apunto. E così, nascosto che ebbero quello di Raffaello, mandarono quello di mano d’Andrea in un ornamento simile a Mantoa. Di che il Duca restò soddisfattissimo, avendoglielo massimamente lodato, senza essersi avveduto della cosa, Giulio Romano pittore e discepolo di Raffaello. Il quale Giulio si sarebbe stato sempre in quella openione e l’arebbe creduto di mano di Raffaello. Ma capitando a Mantoa Giorgio Vasari, il quale, essendo fanciullo e creatura di Messer Ottaviano, aveva veduto Andrea lavorare quel quadro, scoperse la cosa. Per che, facendo il detto Giulio molte carezze al Vasaro e mostrandogli, dopo molte anticaglie e pitture, quel quadro di Raffaello come la miglior cosa che vi fusse, disse Giorgio: "L’opera è bellissima, ma non è altrimenti di mano di Raffaello". "Come no?", disse Giulio, "non lo so io, che riconosco i colpi che vi lavorai su?". "Voi ve gli sete dimenticati", soggiunse Giorgio, "perché questo è di mano d’Andrea del Sarto; e per segno di ciò, eccovi un segno (e glielo mostrò) che fu fatto in Fiorenza, perché quando erano insieme si scambiavano." Ciò udito fece rivoltar Giulio il quadro, e visto il contrasegno, si strinse nelle spalle, dicendo queste parole: "Io non lo stimo meno che s’ella fusse di mano di Raffaello, anzi molto più, perché è cosa fuor di natura che un uomo eccellente imiti sì bene la maniera d’un altro e la faccia così simile". Basta, che si conosce che così valse la virtù d’Andrea accompagnata, come sola. E così fu col giudizio e consiglio di Messer Ottaviano sodisfatto al Duca e non privata [p. 164 modifica]Fiorenza d’una sì degna opera. La quale essendogli poi donata dal duca Alessandro, tenne molti anni appresso di sé. E finalmente ne fece dono al duca Cosimo, che l’ha in guardaroba con molte altre pitture famose. Mentre che Andrea faceva questo ritratto, fece anco per il detto Messer Ottaviano in un quadro, solo la testa di Giulio cardinal de’ Medici, che fu poi papa Clemente, simile a quella di Raffaello, che fu molto bella. La quale testa fu poi donata da esso Messer Ottaviano al vescovo vecchio de’ Marzi. Non molto dopo, disiderando Messer Baldo Magni da Prato fare alla Madonna della Carcere nella sua terra una tavola di pittura bellissima, dove aveva fatto fare prima un ornamento di marmo molto onorato, gli fu, fra molti altri pittori, messo inanzi Andrea; onde avendo Messer Baldo, ancor che di ciò non s’intendesse molto, più inchinato l’animo a lui che a niun altro, gli aveva quasi dato intenzione di volere che egli e non altri facesse; quando un Niccolò Soggi sansovino, che aveva qualche amicizia in Prato, fu messo inanzi a Messer Baldo per quest’opera, e di maniera aiutato, dicendo che non si poteva avere miglior maestro di lui, che gli fu allogata quell’opera. Intanto, mandando per Andrea chi l’aiutava, egli con Domenico Puligo et altri pittori amici suoi, pensando al fermo che il lavoro fusse suo, se n’andò a Prato. Ma giunto trovò che Niccolò non solo aveva rivolto l’animo di Messer Baldo, ma anco era tanto ardito e sfacciato, che in presenza di Messer Baldo disse ad Andrea che giocherebbe seco ogni somma di danari a far qualche cosa di pittura e chi facesse meglio tirasse. Andrea, che sapea quanto Niccolò valesse, rispose, ancor che per ordinario fusse di poco animo: "Io ho qui meco questo mio garzone che non è stato molto all’arte, se tu vuoi giocar seco, io metterò i danari per lui, ma meco non voglio che tu ciò faccia per niente: perciò che, se io ti vincessi, non mi sarebbe onore, e se io perdessi, mi sarebbe grandissima vergogna". E detto a Messer Baldo che desse l’opera a Niccolò, perché egli la farebbe di maniera che ella piacerebbe a chi andasse al mercato, se ne tornò a Fiorenza, dove gli fu allogata una tavola per Pisa, divisa in cinque quadri, che poi fu posta alla Madonna di S. Agnesa lungo le mura di quella città, fra la cittadella vecchia et il Duomo. Facendo dunque in ciascun quadro una figura, fece S. Giovanni Battista e S. Piero, che mettono in mezzo quella Madonna che fa miracoli; negl’altri è S. Caterina martire, S. Agnesa e S. Margherita; figure, ciascuna per sé, che fanno maravigliare per la loro bellezza chiunche le guarda e sono tenute le più leggiadre e belle femmine che egli facesse mai. Aveva Messer Iacopo, frate de’ Servi, nell’assolvere e permutar un voto d’una donna, ordinatole ch’ella facesse fare sopra la porta del fianco della Nunziata che va nel chiostro, dalla parte di fuori, una figura d’una Nostra Donna; per che trovato Andrea, gli disse che aveva a fare spendere questi danari e che, se bene non erano molti, gli pareva ben fatto, avendogli tanto nome acquistato le altre opere fatte in quel luogo, che egli e non altri facesse anco questa. Andrea, che era anzi dolce uomo che altrimenti, spinto dalle persuasioni di quel padre, dall’utile e dal desiderio della gloria, rispose che la farebbe volentieri; e poco appresso, messovi mano, fece in fresco una Nostra Donna che siede, bellissima, con il Figliuolo in collo et un San Giuseppo, che appoggiato a un sacco, tien gl’occhi fissi a un libro aperto. E fu si fatta quest’opera, che per disegno, [p. 165 modifica]grazia e bontà di colorito e per vivezza e rilievo, mostrò egli avere di gran lunga superati et avanzati tutti i pittori che avevano insino a quel tempo lavorato. Et invero è questa pittura così fatta che apertamente da se stessa, senza che altri la lodi, si fa conoscere per stupenda e rarissima. Mancava al cortile dello Scalzo solamente una storia a restare finito del tutto; per il che Andrea, che aveva ringrandito la maniera per aver visto le figure che Michelagnolo aveva cominciate e parte finite per la sagrestia di San Lorenzo, mise mano a fare quest’ultima storia; et in essa, dando l’ultimo saggio del suo miglioramento, fece il nascer di San Giovanni Battista in figure bellissime e molto migliori e di maggior rilievo che l’altre da lui state fatte per l’adietro nel medesimo luogo. Sono bellissime in questa opera fra l’altre, una femmina che porta il putto nato al letto, dove è S. Lisabetta, che anch’ella è bellissima figura; e Zacheria che scrive sopra una carta, la quale ha posata sopra un ginocchio, tenendola con una mano e con l’altra scrivendo il nome del figliuolo, tanto vivamente che non gli manca altro che il fiato stesso. È bellissima similmente una vecchia che siede in su una predella, ridendosi del parto di quell’altra vecchia e mostra nell’attitudine e nell’affetto quel tanto che in simile cosa farebbe la natura. Finita quell’opera, che certamente è dignissima di ogni lode, fece per il generale di Vallombrosa in una tavola quattro bellissime figure, San Giovanni Battista, S. Giovangualberto, institutor di quell’Ordine, S. Michelagnolo e S. Bernardo, cardinale e loro monaco; e nel mezzo alcuni putti che non possono esser né più vivaci, né più belli. Questa tavola è a Vallombrosa sopra l’altezza d’un sasso, dove stanno certi monaci separati dagl’altri, in alcune stanze, dette le celle, quasi menando vita da romiti. Dopo questa, gli fece fare Giuliano Scala, per mandare a Serrezzana, in una tavola una Nostra Donna a sedere col Figlio in collo e due mezze figure dalle ginocchia in su, San Celso e S. Iulia, S. Onofrio, S. Caterina, San Benedetto, S. Antonio da Padoa, San Piero e San Marco. La quale tavola fu tenuta simile all’altre cose d’Andrea et al detto Giuliano Scala rimase per un resto, che coloro gli dovevano di danari pagati per loro, un mezzo tondo, dentro al quale è una Nunziata, che andava sopra per finimento della tavola; il quale è nella chiesa de’ Servi a una sua capella intorno al coro nella tribuna maggiore. Erano stati i monaci di San Salvi molti anni senza pensare che si mettesse mano al loro Cenacolo, che avevano dato a fare ad Andrea, allora che fece l’arco con le quattro figure; quando un abbate galantuomo e di giudizio, deliberò che egli finisse quell’opera; onde Andrea, che già si era a ciò altra volta obligato, non fece alcuna resistenza, anzi messovi mano in non molti mesi, lavorandone a suo piacere un pezzo per volta, lo finì e di maniera che quest’opera fu tenuta, ed è certamente, la più facile, la più vivace di colorito e di disegno che facesse già mai, anzi che fare si possa: avendo, oltre all’altre cose, dato grandezza, maestà e grazia infinita a tutte quelle figure; intanto che io non so che mi dire di questo Cenacolo che non sia poco, essendo tale che chiunche lo vede resta stupefatto; onde non è maraviglia se la sua bontà fu cagione che nelle rovine dell’assedio di Firenze l’anno 1529 egli fusse lasciato stare in piedi, allora che i soldati e guastatori, per comandamento di chi reggeva, rovinarono tutti i borghi fuor della città, i monasteri, spedali e [p. 166 modifica]tutti altri edifizii. Costoro dico, avendo rovinato la chiesa et il campanile di San Salvi e cominciando a mandar giù parte del convento, giunti che furono al refettorio, dove è questo Cenacolo, vedendo chi gli guidava e forse avendone udito ragionare sì maravigliosa pittura, abbandonando l’impresa, non lasciò rovinar altro di quel luogo, serbandosi a ciò fare quando non avessero potuto fare altro. Dopo fece Andrea alla Compagnia di San Iacopo detta il Nicchio, in un segno da portare a processione, un San Iacopo che fa carezze, toccandolo sotto il mento, a un putto vestito da Battuto et un altro putto, che ha un libro in mano, fatto con bella grazia e naturale. Ritrasse di naturale un commesso de’ monaci di Vallonbrosa, che per bisogni del suo monasterio si stava sempre in villa e fu messo sotto un pergolato, dove aveva fatto suoi acconcimi e pergole con varie fantasie e dove percuoteva assai l’acqua et il vento, sì come volle quel commesso amico d’Andrea. E perché finita l’opera avanzò de’ colori e della calcina, Andrea, preso un tegolo, chiamò la Lucrezia sua donna e le disse: "Vien qua, poiché ci sono avanzati questi colori, io ti voglio ritrarre, acciò si veggia in questa tua età come ti sei ben conservata, e si conosca nondimeno quanto hai mutato effigie e sia per esser questo diverso dai primi ritratti". Ma non volendo la donna, che forse aveva altra fantasia, star ferma, Andrea, quasi indovinando esser vicino al suo fine, tolta una spera, ritrasse se medesimo in quel tegolo, tanto bene che par vivo e naturalissimo. Il qual ritratto è appresso alla detta Madonna Lucrezia sua donna, che ancor vive. Ritrasse similmente un canonico pisano suo amicissimo, et il ritratto, che è naturale e molto bello, è anco in Pisa. Cominciò poi, per la Signoria, i cartoni che si avevano a colorire, per far le spalliere della ringhiera di piazza con molte belle fantasie sopra i quartieri della città, con le bandiere delle capitudini tenute da certi putti, con ornamenti ancora dei simulacri di tutte le virtù, e parimente i monti e’ fiumi più famosi del dominio di Fiorenza. Ma quest’opera così cominciata rimase imperfetta per la morte d’Andrea; come rimase anco, ma poco meno che finita, una tavola che fece per i monaci di Vallombrosa alla loro badia di Poppi in Casentino; nella quale tavola fece una Nostra Donna Assunta con molti putti intorno, San Giovanni Gualberto, San Bernardo cardinale loro monaco, come s’è detto, S. Caterina e San Fedele. La quale tavola così imperfetta è oggi in detta Badia di Poppi. Il simile avvenne d’una tavola non molto grande, che finita doveva andar a Pisa. Lasciò bene finito del tutto un molto bel quadro, che oggi è in casa di Filippo Salviati, et alcuni altri. Quasi ne’ medesimi tempi Giovanbattista della Palla, avendo compere quante sculture e pitture notabili aveva potuto, facendo ritrarre quelle che non poteva avere, aveva spogliato Fiorenza d’una infinità di cose elette, senza alcun rispetto, per ordinare al re di Francia un appartamento di stanze, che fusse il più ricco di così fatti ornamenti che ritrovare si potesse. Costui dunque, desiderando che Andrea tornasse in grazia et al servigio del re, gli fece fare due quadri: in uno dipinse Andrea Abramo in atto di volere sacrificare il figliuolo; e ciò con tanta diligenza, che fu giudicato che insino allora non avesse mai fatto meglio. Si vedeva nella figura del vecchio espressa divinamente quella viva fede e constanza che senza punto spaventarlo, lo faceva di buonissima [p. 167 modifica]voglia pronto a uccidere il proprio figliuolo. Si vedeva anco il medesimo volgere la testa verso un bellissimo putto, il quale parea gli dicesse che fermasse il colpo. Non dirò quali fussero l’attitudini, l’abito, i calzari et altre cose di quel vecchio, perché non è possibile dirne a bastanza. Dirò bene che si vedeva il bellissimo e tenero putto Isaac tutto nudo tremare per timore della morte e quasi morto senza esser ferito. Il medesimo aveva, non che altro, il collo tinto dal calor del sole e candidissime quelle parti che nel viaggio di tre giorni avevano ricoperto i panni. Similmente il montone fra le spine pareva vivo et i panni di Isaac in terra più tosto veri e naturali che dipinti. Vi erano, oltre ciò, certi servi ignudi che guardavano un asino che pasceva et un paese tanto ben fatto che quel proprio dove fu il fatto non poteva esser più bello né altrimenti. La qual pittura, avendo dopo la morte d’Andrea e la cattura di Battista compera Filippo Strozzi, ne fece dono al signor Alfonso Davalos marchese del Vasto, il quale la fece portar nell’isola d’Ischia, vicina a Napoli, e porre in alcune stanze in compagnia d’altre dignissime pitture. Nell’altro quadro fece una Carità bellissima con tre putti, e questo comperò poi dalla donna d’Andrea, essendo egli morto, Domenico Conti pittore, che poi lo vendé a Niccolò Antinori, che lo tiene come cosa rara, che ell’è veramente. Venne in questo mentre desiderio al Magnifico Ottaviano de’ Medici, vedendo quanto Andrea aveva in quest’ultimo migliorata la maniera, d’avere un quadro di sua mano; onde Andrea, che desiderava servirlo, per esser molto obligato a quel signore, che sempre aveva favorito i begli ingegni e particolarmente i pittori, gli fece in un quadro una Nostra Donna, che siede in terra con un putto in su le gambe a cavalcione, che volge la testa a un San Giovannino, sostenuto da una S. Elisabetta vecchia, tanto ben fatta e naturale, che par viva, sì come anco ogni altra cosa è lavorata con arte, disegno e diligenza incredibile. Finito che ebbe questo quadro, Andrea lo portò a Messer Ottaviano; ma perché, essendo allora l’assedio attorno a Firenze, aveva quel signore altri pensieri, gli rispose che lo desse a chi voleva, scusandosi e ringraziandolo sommamente. Al che Andrea non rispose altro se non: "La fatica è durata per voi e vostro sarà sempre". "Vendilo", rispose Messer Ottaviano "e serveti de’ danari, perciò che io so quel che io mi dico." Partitosi dunque Andrea, se ne tornò a casa, né per chieste che gli fussino fatte volle mai dare il quadro a nessuno, anzi, fornito che fu l’assedio et i Medici tornati in Firenze, riportò Andrea il quadro a Messer Ottaviano, il quale presolo ben volentieri e ringraziandolo, glielo pagò doppiamente. La qual opera è oggi in camera di Madonna Francesca, sua donna, e sorella del reverendissimo Salviati; la quale non tiene men conto delle belle pitture lasciateli dal Magnifico suo consorte che ella si faccia del conservare e tener conto degl’amici di lui. Fece un altro quadro Andrea, quasi simile a quello della Carità già detta, a Giovanni Borgherini, dentrovi una Nostra Donna, un S. Giovanni putto che porge a Cristo una palla, figurata per il mondo, et una testa di S. Giuseppo molto bella. Venne voglia a Pavolo da Terra Rossa, veduta la bozza del sopra detto Abramo, d’avere qualche cosa di mano d’Andrea, come amico universalmente di tutti i pittori. Per che richiestolo d’un ritratto di quello Abramo, Andrea volentieri lo servì, e glielo fece tale che nella sua piccolezza non fu punto inferiore [p. 168 modifica]alla grandezza dell’originale. Laonde, piacendo molto a Pavolo, gli domandò del prezzo per pagarlo, stimando che dovesse costarli quello che veramente valeva; ma chiedendoli Andrea una miseria, Pavolo quasi si vergognò e strettosi nelle spalle gli diede tutto quello che chiese. Il quadro fu poi mandato da lui a Napoli... et in quel luogo è la più bella et onorata pittura che vi sia. Erano per l’assedio di Firenze fuggitisi con le paghe alcuni capitani della città, onde essendo richiesto Andrea di dipignere nella facciata del palazzo del podestà et in piazza non solo detti capitani, ma ancora alcuni cittadini fuggiti e fatti ribelli, disse che gli farebbe; ma per non si acquistare, come Andrea dal Castagno, il cognome degli Impiccati, diede nome di fargli fare a un suo garzone, chiamato Bernardo del Buda. Ma fatta una turata grande, dove egli stesso entrava e usciva di notte, condusse quelle figure di maniera che parevano coloro stessi vivi e naturali. I soldati che furon dipinti in piazza nella facciata della Mercatanzia Vecchia vicino alla condotta furono, già sono molt’anni, coperti di bianco perché non si vedesseno. E similmente i cittadini che egli finì tutti di sua mano nel palazzo del podestà guasti. Essendo dopo Andrea in questi suoi ultimi anni molto familiare d’alcuni che governavano la Compagnia di San Bastiano che è dietro a’ Servi, fece loro di sua mano un San Bastiano dal bellico in su tanto bello, che ben parve che quelle avessero a essere l’ultime pennellate che egli avesse a dare. Finito l’assedio se ne stava Andrea aspettando che le cose si allargassino, se bene con poca speranza, che il disegno di Francia gli dovesse riuscire, essendo stato preso Giovambatista della Palla, quando Fiorenza si riempié dei soldati del campo e di vettovaglie. Fra i quali soldati essendo alcuni Lanzi appestati, diedero non piccolo spavento alla città e poco appresso la lasciarono infetta. Laonde, o fusse per questo sospetto o pure perché avesse disordinato nel mangiare, dopo aver molto in quello assedio patito, si ammalò un giorno Andrea gravemente. E postosi nel letto giudicatissimo senza trovar rimedio al suo male e senza molto governo, standoli più lontana che poteva la moglie, per timor della peste, si morì (dicono) che quasi nissuno se n’avide; e così con assai poche cirimonie gli fu nella chiesa de’ Servi vicino a casa sua dato sepoltura dagli uomini dello Scalzo, dove sogliono sepellirsi tutti quelli di quella Compagnia. Fu la morte d’Andrea di grandissimo danno alla sua città et all’arte, perché insino all’età di quarantadue anni che visse, andò sempre di cosa in cosa migliorando di sorte, che quanto più fusse vivuto, sempre averebbe accresciuto miglioramento all’arte; perciò che meglio si va acquistando a poco a poco, andandosi col piede più sicuro e fermo nelle difficultà dell’arte, che non si fa in volere sforzare la natura e l’ingegno a un tratto. Né è dubbio che se Andrea si fusse fermo a Roma, quando egli vi andò per vedere l’opere di Raffaello e di Michelagnolo, e parimente le statue e le rovine di quella città, che egli averebbe molto arrichita la maniera ne’ componimenti delle storie et averebbe dato un giorno più finezza e maggior forza alle sue figure. Il che non è venuto fatto interamente, se non a chi è stato qualche tempo in Roma a praticarle e considerarle minutamente. Avendo egli dunque dalla natura una dolce e graziosa maniera nel disegno et un colorito facile e vivace molto, così nel lavorare in fresco, come a olio, si crede senza dubbio, se si fusse fermo in [p. 169 modifica]Roma, che egli averebbe avanzati tutti gl’artefici del tempo suo. Ma credono alcuni che da ciò lo ritraesse l’abondanza dell’opere che vidde in quella città di scultura e pittura, e così antiche come moderne, et il vedere molti giovani discepoli di Raffaello e d’altri essere fieri nel disegno e lavorare sicuri e senza stento; i quali, come timido che egli era, non gli diede il cuore di passare. E così, facendosi paura da sé, si risolvé per lo meglio tornarsene a Firenze, dove, considerando a poco a poco quello che avea veduto, fece tanto profitto che l’opere sue sono state tenute in pregio et amirate, e, che è più, imitate più dopo la morte che mentre visse. E chi n’ha le tien care, e chi l’ha volute vendere n’ha cavato tre volte più che non furono pagate a lui, atteso che delle sue cose ebbe sempre poco prezzo, sì perché era, come si è detto, timido di natura, e sì perché certi maestri di legname, che allora lavoravano le migliori cose in casa de’ cittadini, non gli facevano mai allogare alcun’opera, per servire gl’amici loro, se non quando sapevano che Andrea avesse gran bisogno, nel qual tempo si contentava d’ogni pregio. Ma questo non toglie che l’opere sue non siano rarissime e che non ne sia tenuto grandissimo conto e meritamente, per essere egli stato de’ maggiori e migliori maestri, che siano stati insin qui. Sono nel nostro libro molti disegni di sua mano, e tutti buoni, ma particolarmente è bello affatto quello della storia che fece al Poggio, quando a Cesare è presentato il tributo di tutti gl’animali orientali; il quale disegno, che è fatto di chiaro scuro, è cosa rara et il più finito che Andrea facesse mai; avenga che quando egli disegnava le cose di naturale per metterle in opera faceva certi schizzi così abbozzati, bastandogli vedere quello che faceva il naturale. Quando poi gli metteva in opera gli conduceva a perfezzione. Onde i disegni gli servivano più per memoria di quello che aveva visto che per copiare a punto da quelli le sue pitture. Furono i discepoli d’Andrea infiniti, ma non tutti fecero il medesimo studio sotto la disciplina di lui, perché vi dimorarono chi poco e chi assai, non per colpa d’Andrea, ma della donna sua, che senza aver rispetto a nessuno, comandando a tutti imperiosamente gli teneva tribolati. Furono dunque suoi discepoli Iacopo da Puntormo, Andrea Sguazzella, che tenendo la maniera d’Andrea, ha lavorato in Francia un palazzo fuor di Parigi, che è cosa molto lodata; il Solosmeo, Pierfrancesco di Iacopo di Sandro, il qual ha fatto in Santo Spirito tre tavole, e Francesco Salviati e Giorgio Vasari aretino, che fu compagno del detto Salviati, ancor che poco dimorasse con Andrea; Iacopo del Conte fiorentino e Nannoccio, ch’oggi è in Francia col cardinale Tornone in bonissimo credito. Similmente Iacopo, detto Iacone fu discepolo d’Andrea e molto amico suo et imitatore della sua maniera. Il quale Iacone, mentre visse Andrea si valse assai di lui, come appare in tutte le sue opere e massimamente nella facciata del cavalier Buondelmonti in sulla piazza di S. Trinità. Restò dopo la sua morte erede dei disegni d’Andrea e dell’altre cose dell’arte Domenico Conti, che fece poco profitto nella pittura, al quale furono da alcuni (come si crede) dell’arte rubati una notte tutti i disegni e cartoni et altre cose che aveva d’Andrea. Né mai si è potuto sapere chi que’ tali fussero. Domenico Conti adunque, come non ingrato de’ benefizii ricevuti dal suo maestro e disideroso di dargli dopo [p. 170 modifica]la morte quelli onori che meritava, fece sì che la cortesia di Raffaello da Montelupo gli fece un quadro assai ornato di marmo, il quale fu nella chiesa de’ Servi murato in un pilastro, con questo epitaffio fattogli dal dottissimo Messer Pier Vettori, allora giovane:

ANDREAE SARTIO Admirabilis ingenii pictori, ac veteribus illis omnium iudicio comparando. Dominicus Contes, discipulus, pro laboribus, in se instituendo susceptis, grato animo posuit. Vixit annos XLII. Obiit Anno MDXXX.

Dopo non molto tempo alcuni cittadini Operai della detta chiesa, più tosto ignoranti che nemici delle memorie onorate, sdegnandosi che quel quadro fusse in quel luogo stato messo senza loro licenza, operarono di maniera che ne fu levato, né per ancora è stato rimurato in altro luogo. Nel che volle forse mostrarci la fortuna che non solo gl’influssi de’ fati possono in vita, ma ancora nelle memorie dopo la morte. Ma a dispetto loro sono per vivere l’opere et il nome d’Andrea lunghissimo tempo e per tenerne, spero, questi miei scritti, molti secoli, memoria. Conchiudiamo adunque che se Andrea fu d’animo basso nell’azzioni della vita, contentandosi di poco, egli non è perciò che nell’arte non fusse d’ingegno elevato e speditissimo e pratico in ogni lavoro; avendo con l’opere sue, oltre l’ornamento ch’elle fanno a’ luoghi dove elle sono, fatto grandissimo giovamento ai suoi artefici nella maniera, nel disegno e nel colorito; et il tutto con manco errori che altro pittor fiorentino; per avere egli, come si è detto inanzi, inteso benissimo l’ombre et i lumi e lo sfuggire delle cose negli scuri e dipinte le sue cose con una dolcezza molto viva, senzaché egli mostrò il modo di lavorare in fresco con perfetta unione e senza ritoccare molto a secco: il che fa parer fatta ciascuna opera sua tutta in un medesimo giorno. Onde può agli artefici toscani stare per essempio in ogni luogo et avere fra i più celebrati ingegni loro lode grandissima et onorata palma.

IL FINE DELLA VITA D’ANDREA DEL SARTO, PITTOR FIORENTINO