Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Arnolfo di Lapo

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Arnolfo di Lapo

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Cimabue Nicola e Giovanni Pisani

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VITA D’ARNOLFO DI LAPO ARCHITETTO FIORENTINO.


E
Ssendosi ragionato nel proemio delle vite d’alcune fabriche di maniera vecchia non antica, e taciuto per non sapergli, i nomi degl<’>Architetti, che le fecero fare, farò menzione nel proemio di questa vita d’Arnolfo, d’alcuni altri edifizij fatti ne’ tempi suoi o poco inanzi, de<’> quali non si sa similmente chi furono i Maestri. E poi di quelli, che furono fatti ne’ medesimi tempi, de’ quali si sa chi furono gl’Architettori, o per riconoscersi benissimo la maniera d’essi edifizij, o per averne notizia avuto, mediante gli scritti, e memorie lasciate da loro nelle opere fatte. Ne sarà cio fuor di proposito, perche se bene non sono ne di [p. 89 modifica]bella, ne di buona maniera, ma solamente grandissimi, e magnifici, sono degni nondimeno di qualche considerazione. Furono fatti dunque al tempo di Lapo, e d’Arnolfo suo figliuolo molti edifizij d’importanza in Italia, e fuori, de’ quali non ho potuto trovare io gl’architettori, come sono la Badia di Moreale in Sicilia, il Piscopio di Napoli, la Certosa di Pavia, il Duomo di Milano, san Piero, e san Petronio di Bologna, e altri molti, che per tutta Italia fatti con incredibile spesa si veggiono. I quali tutti edificij, avendo io veduti, e considerati, e cosi molte Sculture di que’ tempi, e particolarmente in Ravenna, e non avendo trovato mai, non che alcuna memoria de’ Maestri, ma ne anche molte volte, in che millesimo fussero fatte, non posso se non maravigliarmi della goffezza, e poco disiderio di gloria degl’uomini di quell’età. Ma tornando a nostro proposito, dopo le fabriche dette di sopra, cominciarono pure a nascere alcuni di spirito piu elevato, i quali se non trovarono, cercarono almeno di trovar qualche cosa di buono. Il primo fu Buono del quale non so ne la patria, ne il cognome, perche egli stesso, facendo memoria di se in alcuna delle sue opere, non pose altro, che semplicemente il nome. Costui, il quale fu Scultore, e Architetto fece primieramente in Ravenna molti palazzi, e Chiese, e alcune Sculture ne gl’anni di nostra salute 1152 per le quali cose venuto in cognizione fu chiamato a Napoli dove fondò, se bene furono finiti da altri, come si dirà, Castel Capoano, e Castel dell’Uovo, e dopo al tempo di Domenico Morosini doge di Vinezia, fondò il Campanile di S. Marco con molta considerazione, e giudizio, avendo cosi bene fatto palificare, e fondare la piatea di quella torre, ch’ella non ha mai mosso un pelo, come aver fatto molti edifizij fabricati in quella Città inanzi a lui, si è veduto, e si vede. E da lui forse appararono i Viniziani a fondare nella maniera, che oggi fanno i bellissimi, e ricchissimi edifizij, che ogni giorno si fanno magnificamente in quella nobilissima Città. Bene è vero, che non ha questa torre altro di buono in se, ne maniera, ne ornamento, ne in somma cosa alcuna, che sia molto lodevole. Fu finita sotto Anastasio quarto, e Adriano quarto, pontefici, l’anno 1154. Fu similmente Architettura di Buono la Chiesa di S. Andrea di Pistoia, e sua Scultura un’Architrave di marmo, che è sopra la porta; pieno di figure fatte alla maniera de’ Gotti, nel quale Architrave è il suo nome intagliato, e in che tempo fu da lui fatta quell’opera, che fu l’anno 1166. Chiamato poi a Firenze, diede il disegno di ringrandire, come si fece, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, la quale era allhora fuor della Città et avuta in Venerazione, per averla sagrata Papa Pelagio molti anni inanzi; e per esser quanto alla grandezza, e maniera assai ragionevole corpo di Chiesa.
Condotto poi Buono da gl’Aretini nella loro Città, fece l’abitazione vecchia de<’> signori d’Arezzo, cio è un Palazzo della maniera de’ Gotti, e appresso a quello una Torre per la Campana; il quale edificio, che di quella maniera era ragionevole, fu gettato in terra, per essere dirimpetto, e assai vicino alla fortezza di quella Città, l’anno 1533. Pigliando poi l’arte alquanto di miglioramente, per l’opere d’un Guglielmo di nazione (Credo io) Tedesco, furono fatti alcuni edifizij di grandissima spesa, e d’un poco migliore maniera: perche questo Guglielmo, secondo, che si dice, l’anno 1174 insieme con Bonanno Scultore fondò in Pisa il Campanile del Duomo, dove sono alcune parole [p. 90 modifica]che dicono: A.D.M.C. 74 campanile hoc fuit fundatum Mense Aug. Ma non avendo questi due architetti molta pratica di fondare in Pisa, e perciò non palificando la platea come dovevano, prima che fussero al mezzo di quella fabrica, ella inchinò da un lato, e piegò in sul più debole, di maniera che il detto campanile pende sei braccia e mezzo fuor del diritto suo, secondo che da quella banda calò il fondamento; e sebbene ciò nel disotto è poco, e all’altezza si dimostra assai, con fare star altrui maravigliato, come possa essere che non sia rovinato e non abbia gettato peli, la ragione è perchè questo edifizio è tondo fuori e dentro, e fatto a guisa d’un pozzo vòto e collegato di maniera con le pietre, che è quasi impossibile che rovini; e massimamente aiutato dai fondamenti, che hanno fuor della terra un getto di tre braccia, fatto, come si vede, dopo la calata del campanile per sostentamento di quello. Credo bene che non sarebbe oggi, se fusse stato quadro, in piedi, perciò che i cantoni delle inquadrature l’arebbono, come spesso si vede avvenire, di maniera spinto in fuori, che sarebbe rovinato. E se la Carisenda torre in Bologna è quadra, pende e non rovina, ciò adiviene perchè ella è sottile e non pende tanto, non aggravata da tanto peso a un gran pezzo, quanto questo campanile; il quale è lodato, non perchè abbia in sè disegno o bella maniera, ma solamente per la sua stravaganza, non parendo a chi lo vede che egli possa in niuna guisa sostenersi. E il sopra detto Bonanno, mentre si faceva il detto campanile, fece l’anno 1180 la porta reale di bronzo del detto Duomo di Pisa, nella quale si veggiono queste lettere: Ego Bonannus Pis. mea arte hanc portam uno anno perfeci tempore Benedicti operarii. Nelle muraglie poi, che in Roma furono fatte di spoglie antiche a S. Ianni Laterano sotto Luzio Terzo et Urbano Terzo, pontifici, quando da esso Urbano fu coronato Federigo imperatore, si vede che l’arte andava seguitando di migliorare, perchè certi tempietti e capelline fatti, come s’è detto, di spoglie, hanno assai ragionevole disegno et alcune cose in sè degne di considerazione, e fra l’altre questa, che le volte furon fatte, per non caricare le spalle di quelli edifizii, di cannoni piccoli, e con certi partimenti di stucchi, secondo que’ tempi assai lodevoli; e nelle cornici et altri membri si vede che gl’artefici si andavano aiutando per trovare il buono. Fece poi fare Innocenzio Terzo in sul monte Vaticano due palazzi, per quel che si è potuto vedere, di assai buona maniera; ma perchè da altri papi furono rovinati, e particolarmente da Nicola Quinto che disfece e rifece la maggior parte del palazzo, non ne dirò altro, se non che si vede una parte d’essi nel torrione tondo, e parte nella sagrestia vecchia di S. Piero. Questo Innocenzio III, il quale sedette anni diciannove e si dilettò molto di fabricare, fece in Roma molti edifizii, e particolarmente col disegno di Marchionne aretino, architetto e scultore, la torre de’ Conti, così nominata dal cognome di lui che era di quella famiglia. Il medesimo Marchionne finì, l’anno che Innocenzio Terzo morì, la fabrica della Pieve d’Arezzo, e similmente il campanile, facendo di scultura nella facciata di detta chiesa tre ordini di colonne l’una sopra l’altra molto variatamente, non solo nella foggia de’ capitegli e delle base, ma ancora nei fusi delle colonne, essendo fra esse alcune grosse alcune sottili, altre a due a due, altre a 4 a 4 ligate insieme. Parimente alcune sono avolte a guisa di vite, ed alcune fatte diventar figure che reggono, con diversi intagli. Vi fece ancora molti animali di diverse sorti, [p. 91 modifica]che reggono i pesi, col mezzo della schiena, di queste colonne, e tutti con le più strane e stravaganti invenzioni che si possino imaginare, e non pur fuori del buono ordine antico, ma quasi fuor d’ogni giusta e ragionevole proporzione. Ma con tutto ciò chi va bene considerando il tutto, vede che egli andò sforzandosi di far bene, e pensò per avventura averlo trovato in quel modo di fare e in quella capricciosa varietà. Fece il medesimo di scultura ne l’arco che è sopra la porta di detta chiesa, di maniera barbara, un Dio Padre con certi Angeli di mezzo rilievo assai grandi, e nell’arco intagliò i dodici mesi, ponendovi sotto il nome suo in lettere tonde come si costumava, et il millesimo, cioè l’anno MCCXVI. Dicesi che Marchionne fece in Roma per il medesimo papa Innocenzio Terzo, in borgo Vecchio, l’edifizio antico dello spedale e chiesa di S. Spirito in Sassia, dove si vede ancora qualche cosa del vecchio; et a’ giorni nostri era in piedi la chiesa antica, quando fu rifatta alla moderna con maggiore ornamento e disegno da papa Paolo Terzo di casa Farnese.

Et in S. Maria Maggiore pur di Roma, fece la capella di marmo dove è il presepio di Gesù Cristo; in essa fu ritratto da lui papa Onorio Terzo di naturale, del quale anco fece la sepoltura, con ornamenti alquanto migliori e assai diversi dalla maniera che allora si usava per tutta Italia comunemente. Fece anco Marchionne in que’ medesimi tempi la porta del fianco di S. Piero di Bologna, che veramente fu opera in que’ tempi di grandissima fattura, per i molti intagli che in essa si veggiono, come leoni tondi che sostengono colonne, et uomini a uso di facchini, et altri animali che reggono pesi: e nell’arco di sopra fece di tondo rilievo i dodici mesi con varie fantasie, et ad ogni mese il suo segno celeste; la quale opera dovette in que’ tempi essere tenuta maravigliosa. Nei medesimi tempi essendo cominciata la religione de’ frati minori di S. Francesco, la quale fu dal detto Innocenzio Terzo pontefice confermata l’anno 1206, crebbe di maniera non solo in Italia, ma in tutte l’altre parti del mondo, così la divozione come il numero de’ frati, che non fu quasi alcuna città di conto, che non edificasse loro chiese e conventi di grandissima spesa, e ciascuna secondo il poter suo. Laonde, avendo frate Elia due anni inanzi la morte di S. Francesco edificato, mentr’esso Santo come generale era fuori a predicare et egli guardiano in Ascesi, una chiesa col titolo di Nostra Donna, morto che fu S. Francesco, concorrendo tutta la cristianità a visitare il corpo di S. Francesco, che in morte e in vita era stato conosciuto tanto amico di Dio, e facendo ogni uomo al santo luogo limosina secondo il poter suo, fu ordinato che la detta chiesa cominciata da frate Elia si facesse molto maggiore e più magnifica. Ma essendo carestia di buoni architettori, et avendo l’opera che si aveva da fare bisogno d’uno eccellente, avendosi a edificar sopra un colle altissimo, alle radici del quale cammina un torrente chiamato Tescio, fu condotto in Ascesi dopo molta considerazione, come migliore di quanti allora si ritrovavano, un maestro Jacopo tedesco, il quale considerato il sito et intesa la volontà de’ padri, i quali fecero perciò in Ascesi un capitolo generale, disegnò un corpo di chiesa e convento bellissimo, facendo nel modello tre ordini, uno da farsi sotto terra, e gli altri per due chiese, una delle quali sul primo piano servisse per piazza con un portico intorno assai grande, l’altra per chiesa, e che dalla prima si salisse alla seconda per un ordine commodissimo di scale, le quali girassono [p. 92 modifica]intorno alla capella maggiore, inginocchiandosi in due pezzi per condurre più agiatamente alla seconda chiesa, alla quale diede forma d’un T, facendola cinque volte lunga quanto ell’è larga, e dividendo l’un vano dall’altro con pilastri grandi di pietra, sopra i quali poi girò archi gagliardissimi, e fra l’uno e l’altro le volte in crociera. Con sì fatto, dunque, modello si fece questa veramente grandissima fabrica, e si seguitò in tutte le parti, eccetto che nelle spalle di sopra che avevano a mettere in mezzo la tribuna e capella maggiore, e fare le volte a crociere, perchè non le fecero come si è detto, ma in mezzo tondo a botte perchè fussero più forti. Misero poi dinanzi alla capella maggiore della chiesa di sotto, l’altare, e sotto quello quando fu finito collocarono con solennissima traslazione il corpo di S. Francesco. E perchè la propria sepoltura che serba il corpo del glorioso Santo è nella prima, cioè nella più bassa chiesa, dove non va mai nessuno e che ha le porte murate, intorno al detto altare sono grate di ferro grandissime con ricchi ornamenti di marmo e di musaico, che laggiù riguardano. È accompagnata questa muraglia dall’uno dei lati da due sagrestie e da un campanile altissimo, cioè cinque volte alto quanto egli è largo. Aveva sopra una piramide altissima a otto facce, ma fu levata perchè minacciava rovina. La quale opera tutta fu condotta a fine nello spazio di quattro anni e non più, dall’ingegno di maestro Jacopo tedesco e dalla sollecitudine di frate Elia, dopo la morte del quale, perchè tanta macchina per alcun tempo mai non rovinasse, furono fatti intorno alla chiesa di sotto 12 gagliardissimi torrioni, et in ciascun d’essi una scala a chiocciola che saglie da terra insino in cima. E col tempo poi vi sono state fatte molte capelle et altri ricchissimi ornamenti, dei quali non fa bisogno altro raccontare, essendo questo intorno a ciò per ora a bastanza, e massimamente potendo ognuno vedere quanto a questo principio di maestro Jacopo abbiano aggiunto utilità, ornamento, e bellezza molti Sommi Pontefici, Cardinali, Principi, et altri gran personaggi di tutta Europa. Ora per tornare a maestro Jacopo, egli mediante questa opera si acquistò tanta fama per tutta Italia, che fu da chi governava allora la città di Firenze chiamato, e poi ricevuto quanto più non si può dire volentieri, sebbene, secondo l’uso che hanno i Fiorentini, e più avevano anticamente, d’abbreviare i nomi, non Jacopo, ma Lapo lo chiamarono in tutto il tempo di sua vita, perchè abitò sempre con tutta la sua famiglia questa città. E sebbene andò in diversi tempi a fare molti edifizii per Toscana, come fu in Casentino il palazzo di Poppi a quel Conte, che aveva avuto per moglie la bella Gualdrada et in dote il Casentino, agl’Aretini il Vescovado, et il Palazzo Vecchio de’ Signori di Pietramala, fu nondimeno sempre la sua stanza in Firenze, dove fondate l’anno 1218 le pile del ponte alla Carraia, che allora si chiamò il ponte Nuovo, le diede finite in due anni, et in poco tempo poi fu fatto il rimanente di legname come allora si costumava. E l’anno 1221 diede il disegno e fu cominciata con ordine suo la chiesa di S. Salvadore del Vescovado, e quella di S. Michele a piazza Padella, dove sono alcune sculture della maniera di quei tempi. Poi, dato il disegno di scolare l’acque della città, fatto alzare la piazza S. Giovanni, e fatto al tempo di messer Rubaconte da Mandella milanese il ponte che dal medesimo ritiene il nome, e trovato l’utilissimo modo di lastricare le strade, che prima si mattonavano, fece il modello [p. 93 modifica]del palagio oggi del Podestà, che allora si fabricò per gli Anziani: e mandato finalmente il modello d’una sepoltura in Sicilia alla Badia di Monreale per Federigo imperadore, e d’ordine di Manfredi, si morì, lasciando Arnolfo suo figliuolo erede non meno della virtù che delle facultà paterne. Il quale Arnolfo, dalla cui virtù non manco ebbe miglioramento l’architettura che da Cimabue la pittura avuto s’avesse, essendo nato l’anno 1232, era, quando il padre morì, di trenta anni et in grandissimo credito; perciò che avendo imparato non solo dal padre tutto quello che sapeva, ma appresso Cimabue dato opera al disegno per servirsene anco nella scultura, era intanto tenuto il migliore architetto di Toscana, che non pure fondarono i Fiorentini col parere suo l’ultimo cerchio delle mura della loro città l’anno 1284 e fecero secondo il disegno di lui, di mattoni e con un semplice tetto di sopra, la loggia et i pilastri d’Or S. Michele dove si vendeva il grano, ma deliberarono per suo consiglio il medesimo anno che rovinò il poggio de’ Magnuoli dalla costa di S. Giorgio sopra S. Lucia nella via de’ Bardi, mediante un decreto publico, che in detto luogo non si murasse più, nè si facesse alcuno edificio già mai, atteso che per i relassi delle pietre che hanno sotto gemiti d’acque, sarebbe sempre pericoloso qualunque edifizio vi si facesse: la qual cosa esser vera si è veduto a’ giorni nostri, con rovina di molti edifizii e magnifiche case di gentiluomini. L’anno poi 1285 fondò la loggia a piazza dei Priori, e fece la capella maggiore, e le due che la mettono in mezzo della Badia di Firenze, rinovando la chiesa et il coro, che prima molto minore aveva fatto fare il conte Ugo fondatore di quella Badia, e facendo per lo cardinale Giovanni degli Orsini legato del Papa in Toscana, il campanile di detta chiesa, che fu secondo l’opere di que’ tempi lodato assai, come che non avesse il suo finimento di macigni se non poi l’anno 1330. Dopo ciò fu fondata col suo disegno l’anno 1294 la chiesa di S. Croce, dove stanno i frati minori, la quale condusse Arnolfo tanto grande nella navata del mezzo e nelle due minori, che con molto giudizio, non potendo fare sotto ’l tetto le volte per lo troppo gran spazio, fece fare archi da pilastro a pilastro, e sopra a quelli i tetti a frontespizio per mandar via l’acque piovane con docce di pietra murata sopra detti archi, dando loro tanto pendio, che fussero sicuri, come sono, i tetti dal pericolo dell’infradiciare; la qual cosa quanto fu nuova et ingegnosa, tanto fu utile e degna d’esser oggi considerata. Diede poi il disegno dei primi chiostri del convento vecchio di quella chiesa; e poco appresso fece levare d’intorno al tempio di S. Giovanni dalla banda di fuori, tutte l’arche e sepolture che vi erano di marmo e di macigno, e metterne parte dietro al campanile nella facciata della calonaca allato alla Compagnia di S. Zanobi; e rincrostar poi di marmi neri di Prato tutte le otto facciate di fuori di detto S. Giovanni, levandone i macigni che prima erano fra que’ marmi antichi. Volendo in questo mentre i Fiorentini murare in Valdarno di sopra il castello di S. Giovanni e Castelfranco, per commodo della città e delle vettovaglie, mediante i mercati, ne fece Arnolfo il disegno l’anno 1295, e sotisfece di maniera così in questa, come aveva fatto nell’altre cose, che fu fatto cittadino fiorentino. Dopo queste cose deliberando i Fiorentini, come racconta Giovanni Villani nelle sue Istorie, di fare una chiesa principale nella loro città, e farla tale, che per grandezza e magnificenza, non si potesse desiderare nè [p. 94 modifica]maggiore nè più bella dall’industria e potere degli uomini, fece Arnolfo il disegno et il modello del non mai abbastanza lodato tempio di S. Maria del Fiore, ordinando che s’incrostasse di fuori tutto di marmi lavorati, con tante cornici, pilastri, colonne, intagli di fogliami, figure, et altre cose, con quante egli oggi si vede condotta, se non interamente, a una gran parte almeno della sua perfezzione. E quello che in ciò fu sopra tutte l’altre cose maraviglioso, fu questo, che, incorporando oltre S. Reparata altre piccole chiese e case che e’ erano intorno, nel fare la pianta, che è bellissima, fece con tanta diligenza e giudizio fare i fondamenti di sì gran fabrica larghi e profondi, riempiendogli di buona materia, cioè di ghiaia e calcina, e di pietre grosse in fondo, là dove ancora la piazza si chiama lungo i fondamenti, che eglino hanno benissimo potuto, come oggi si vede, reggere il peso della gran macchina della cupola, che Filippo di ser Brunellesco le voltò sopra. Il principio dei quali fondamenti, e di tanto tempio, fu con molta solennità celebrato: perciò che il giorno della Natività di Nostra Donna del 1298 fu gettata la prima pietra dal cardinale legato del Papa, in presenza non pure di molti Vescovi e di tutto il clero, ma del Podestà ancora, Capitani, Priori, et altri magistrati della città, anzi di tutto il popolo di Firenze, chiamandola S. Maria del Fiore. E perchè si stimò le spese di questa fabrica dover essere, come poi sono state, grandissime, fu posta una gabella alla camera del Comune di quattro danari per lira di tutto quello che si mettesse a uscita, e due soldi per testa l’anno; senzachè il Papa et il legato concedettono grandissime indulgenze a coloro che per ciò le porgessino limosine. Non tacerò ancora, che oltre ai fondamenti larghissimi e profondi quindici braccia, furono con molta considerazione fatti a ogni angolo dell’otto facce quegli sproni di muraglie, perciò che essi furono poi quelli che assicurarono l’animo del Brunellesco a porvi sopra molto maggior peso di quello che forse Arnolfo aveva pensato di porvi. Dicesi, che cominciandosi di marmo le due prime porte de’ fianchi di S. Maria del Fiore, fece Arnolfo intagliare in un fregio alcune foglie di fico, che erano l’arme sua e di maestro Lapo suo padre, e che perciò si può credere, che da costui avesse origine la famiglia dei Lapi, oggi nobile in Fiorenza. Altri dicono similmente, che dei discendenti d’Arnolfo discese Filippo di ser Brunellesco. Ma lasciando questo, perchè altri credono che i Lapi siano venuti da Figaruolo, castello in su le foci del Po, e tornando al nostro Arnolfo, dico che per la grandezza di quest’opera egli merita infinita lode e nome eterno, avendola massimamente fatta incrostare di fuori tutta di marmo di più colori, e dentro di pietra forte, e fatte insino le minime cantonate di quella stessa pietra. Ma perchè ognuno sappia la grandezza a punto di questa maravigliosa fabrica, dico che dalla porta insino all’ultimo della capella di S. Zanobi, è la lunghezza di braccia dugentosessanta; è larga nelle crociere centosessantasei, nelle tre navi braccia sessantasei; la nave sola del mezzo è alta braccia settantadue, e l’altre due navi minori braccia quarantotto; il circuito di fuori di tutta la chiesa è braccia 1280; la cupola è da terra insino al piano della lanterna braccia centocinquantaquattro; la lanterna senza la palla è alta braccia trentasei, la palla alta braccia quattro, la croce alta braccia otto; tutta la cupola da terra insino alla sommità della croce è braccia dugentodue. Ma tornando ad Arnolfo, dico che essendo tenuto, come era, eccellente, [p. 95 modifica]s’era acquistato tanta fede, che niuna cosa d’importanza senza il suo consiglio si deliberava; onde, il medesimo anno essendosi finito di fondar dal comune di Firenze l’ultimo cerchio delle mura della città, come si disse di sopra essersi già cominciato, e così i torrioni delle porte, ed in gran parte tirati inanzi, diede al palazzo de’ Signori principio, e disegno, a simiglianza di quello che in Casentino aveva fatto Lapo suo padre ai Conti di Poppi. Ma non potette già, come che magnifico e grande lo disegnasse, dargli quella perfezzione che l’arte ed il giudizio suo richiedevano; perciò che essendo state disfatte e mandate per terra le case degli Uberti, rubelli del popolo fiorentino e Ghibellini, e fattone piazza, potette tanto la sciocca caparbietà d’alcuni, che non ebbe forza Arnolfo, per molte ragioni che allegasse, di far sì, che gli fusse conceduto almeno mettere il palazzo in isquadra, per non aver voluto chi governava, che in modo nessuno il palazzo avesse i fondamenti in sul terreno degli Uberti rebelli; e piuttosto comportarono che si gettasse per terra la navata di verso tramontana di S. Piero Scheraggio, che lasciarlo fare in mezzo della piazza con le sue misure: oltre che volsono ancora che si unisse et accomodasse nel palazzo la torre de’ Foraboschi chiamata la torre della Vacca, alta cinquanta braccia, per uso della campana grossa, et insieme con essa alcune case comperate dal Comune per cotale edifizio. Per le quali cagioni niuno maravigliare si dee, se il fondamento del palazzo è bieco e fuor di squadra, essendo stato forza, per accomodar la torre nel mezzo e renderla più forte, fasciarla intorno colle mura del palazzo, le quali da Giorgio Vasari pittore e architetto essendo state scoperte l’anno 1561 per rassettare il detto palazzo al tempo del duca Cosimo, sono state trovate bonissime. Avendo dunque Arnolfo ripiena la detta torre di buona materia, ad altri maestri fu poi facile farvi sopra il campanile altissimo che oggi vi si vede, non avendo egli in termine di due anni finito se non il palazzo, il quale poi di tempo in tempo ha ricevuto que’ miglioramenti che lo fanno esser oggi di quella grandezza e maestà che si vede. Dopo le quali tutte cose e altre molte che fece Arnolfo, non meno commode e utili che belle, essendo d’anni settanta, morì nel 1300 nel tempo a punto che Giovanni Villani cominciò a scrivere l’istorie universali de’ tempi suoi. E perchè lasciò non pure fondata S. Maria del Fiore, ma voltate con sua molta gloria le tre principali tribune di quella, che sono sotto la cupola, meritò che di sè fusse fatto memoria in sul canto della chiesa dirimpetto al campanile, con questi versi intagliati in marmo con lettere tonde:

Annis millenis centum bis octonogenis venit legatus Roma bonitate dotatus, qui lapidem fixit fundo simul et benedixit, praesule Francisco gestante pontificatum. Istud ab Arnolfo templum fuit aedificatum. Hoc opus insigne decorans Florentia digne Reginae caeli construxit mente fideli, quam tu, Virgo pia, semper defende Maria. [p. 96 modifica] Di questo Arnolfo avemo scritta, con quella brevità che si è potuta maggiore, la vita, perchè sebbene l’opere sue non s’appressano a gran pezzo alla perfezzione delle case d’oggi, egli merita nondimeno essere con amorevole memoria celebrato, avendo egli fra tante tenebre mostrato a quelli che sono stati dopo sè, la via di caminare alla perfezzione. Il ritratto d’Arnolfo si vede di mano di Giotto in S. Croce a lato alla capella maggiore, dove i frati piangono la morte di S. Francesco, nel principio della storia in uno d’i due uomini che parlano insieme. Et il ritratto della chiesa di S. Maria del Fiore, cioè del di fuori con la cupola, si vede di mano di Simon sanese nel capitolo di S. Maria Novella, ricavato dal proprio di legname che fece Arnolfo. Nel che si considera, che egli aveva pensato di voltare imediate la tribuna in su le spalle al finimento della prima cornice: là dove Filippo di ser Brunelesco per levarle carico e farla più svelta, vi aggiunse prima che cominciasse a voltarla, tutta quell’altezza dove oggi sono gl’occhi: la qual cosa sarebbe ancora più chiara di quello che ella è, se la poca cura e diligenza di chi ha governato l’Opera di S. Maria del Fiore negli anni addietro, non avesse lasciato andar male l’istesso modello che fece Arnolfo, e dipoi quello del Brunellesco e degli altri.

Cominciò il detto Arnolfo in Santa Maria Maggiore di Roma la sepoltura di papa Onorio Terzo di casa Savella, la quale lasciò imperfetta con il ritratto del detto Papa, il quale con il suo disegno fu posto poi nella cappella maggiore di musaico in San Paolo di Roma, con il ritratto di Giovanni Gaetano abate di quel monasterio. E la cappella di marmo, dove è il presepio di Jesù Cristo, fu delle ultime sculture di marmo che facesse mai Arnolfo, che la fece ad istanzia di Pandolfo Ipotecorvo l’anno dodici, come ne fa fede un epitaffio che è nella facciata allato (di) detta cappella; e parimente la cappella e sepolcro di papa Bonifazio Ottavo in San Piero di Roma, dove è scolpito il medesimo nome d’Arnolfo che la lavorò.

IL FINE DELLA VITA D’ARNOLFO