Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Vellano da Padova

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Vellano da Padova

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Alesso Baldovinetti Fra' Filippo Lippi
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VITA DI VELLANO DA PADOVA SCULTORE

Tanto grande è la forza del contraffare con amore e studio alcuna cosa, che il più delle volte essendo bene imitata la maniera d’una di queste nostre arti da coloro che nell’opere di qualcuno si compiacciono, sì fattamente somiglia la cosa che imita quella che è imitata, che non si discerne, se non da chi ha più che buon occhio, alcuna differenza. E rade volte avviene che un discepolo amorevole non apprenda almeno in gran parte la maniera del suo maestro. Vellano da Padova s’ingegnò con tanto studio di contrafare la maniera et il fare di Donato nella scultura, e massimamente ne’ bronzi, che rimase in Padova sua patria, erede della virtù di Donatello fiorentino, come ne dimostrano l’opere sue nel Santo dalle quali pensando quasi ognuno, che non ha di ciò cognizione intera, ch’elle siano di Donato, se non sono avvertiti restano tutto giorno ingannati. Costui dunque, infiammato dalle molte lodi che sentiva dare a Donato scultore fiorentino che allora lavorava in Padova, e dal disiderio dell’utile che mediante l’eccellenza dell’opere viene in mano de’ buoni artefici, si acconciò con esso Donato per imparar la scultura, e vi attese di maniera che con l’aiuto di tanto maestro conseguì finalmente l’intento suo; onde prima che Donatello partisse di Padova finite l’opere sue, aveva tanto acquisto fatto nell’arte che già era in buona aspettazione, e di tanta speranza appresso al maestro che meritò che da lui gli fussero lasciate tutte le masserizie, i disegni e i modelli delle storie, che si avevano a fare di bronzo intorno al coro del Santo in quella città. La qual cosa fu cagione che partito Donato, come si è detto, fu tutta quell’opera publicamente allogata al Vellano nella patria, con suo molto onore. Egli dunque fece tutte le storie di bronzo che sono nel coro del Santo dalla banda di fuori; dove fra l’altre è la storia quando Sansone, abbracciata la colonna, rovina il tempio de’ Filistei, dove si vede con ordine venir giù i pezzi delle rovine, e la morte di tanto popolo, et inoltre la diversità di molte attitudini in coloro che muoiono, chi per la rovina e chi per la paura; il che maravigliosamente espresse Vellano. Nel medesimo luogo sono alcune cere et i modelli di queste cose, e così alcuni candelieri di bronzo lavorati dal medesimo con molto giudizio et invenzione. E per quanto si vede, ebbe questo artefice estremo disiderio d’arivare al segno di Donatello; ma non vi arrivò, perchè si pose colui troppo alto in un’arte difficilissima. E perchè Vellano si dilettò anco dell’architettura e fu più che ragionevole in quella professione, andato a Roma al tempo di papa Paulo viniziano l’anno 1464, per il quale Pontefice era architettore nelle fabriche del Vaticano Giuliano da Maiano, fu anch’egli adoperato a molte cose; e fra l’altre opere che vi fece sono di sua mano l’arme che vi si veggiono di quel Pontefice, col nome appresso. Lavorò ancora al palazzo di S. Marco molti degl’ornamenti di quella fabrica per lo medesimo Papa, la testa del quale è di mano di Vellano a sommo le scale. Disegnò il medesimo per quel luogo un cortile stupendo, con una salita di scale commode e piacevoli, [p. 384 modifica]ma ogni cosa, sopravenendo la morte del Pontefice, rimase imperfetta. Nel qual tempo che stette in Roma, il Vellano fece per il detto Papa e per altri, molte cose piccole di marmo e di bronzo, ma non l’ho potute rinvenire. Fece il medesimo in Perugia una statua di bronzo maggior che il vivo, nella quale figurò di naturale il detto Papa a sedere in pontificale, e da piè vi mise il nome suo e l’anno ch’ella fu fatta. La qual figura posa in una nicchia di più sorte pietre, lavorate con molta diligenza fuor della porta di S. Lorenzo, che è il Duomo di quella città. Fece il medesimo molte medaglie, delle quali ancora si veggiono alcune e particolarmente quella di quel Papa e quelle d’Antonio Rosello aretino e di Battista Platina, ambi di quello segretarii. Tornato dopo queste cose Vellano a Padoa con bonissimo nome, era in pregio non solo nella propria patria, ma in tutta la Lombardia e Marca Trivisana; sì perchè non erano insino allora stati in quelle parti artefici eccellenti, sì perchè aveva bonissima pratica nel fondere i metalli. Dopo, essendo già vecchio Vellano, deliberando la Signoria di Vinegia che si facesse di bronzo la statua di Bartolomeo da Bergamo a cavallo, allogò il cavallo ad Andrea del Verrocchio fiorentino e la figura a Vellano. La qual cosa udendo, Andrea, che pensava che a lui toccasse tutta l’opera, venne in tanta collera, conoscendosi, come era in vero, altro maestro che Vellano non era, che, fracassato e rotto tutto il modello che già aveva finito del cavallo, se ne venne a Firenze. Ma poi, essendo richiamato dalla Signoria che gli diede a fare tutta l’opera, di nuovo tornò a finirla. Della qual cosa prese Vellano tanto dispiacere, che partito di Vinegia senza far motto o risentirsi di ciò in niuna maniera, se ne tornò a Padoa, dove poi visse il rimanente della sua vita onoratamente, contentandosi dell’opere che aveva fatto, e di essere, come fu sempre, nella sua patria amato et onorato. Morì d’età d’anni 92, e fu sotterrato nel Santo con quell’onore che la sua virtù, avendo sè e la patria onorato, meritava. Il suo ritratto mi fu mandato da Padoa da alcuni amici miei che l’ebbono, per quanto mi avisarono, dal dottissimo e reverendissimo cardinal Bembo, che fu tanto amatore delle nostre arti, quanto in tutte le più rare virtù e doti d’animo e di corpo, fu sopra tutti gl’altri uomini dell’età nostra eccellentissimo.

FINE DELLA VITA DI VELLANO DA PADOA SCULTORE