Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Capitolo 16
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CAP. XVI
De gli schizzi, disegni, cartoni et ordine di prospective; e per quel che si fanno, et a quello che i pittori se ne servono.
Gli schizzi chiamiamo noi una prima sorte di disegni, che si fanno per trovare il modo delle attitudini et il primo componimento dell’opra. E sono fatti in forma di una macchia, accennati solamente da noi in una sola bozza del tutto. E perché questi dal furor dello artefice sono in poco tempo espressi, universalmente son detti schizzi, perché vengono, schizzando o con la penna o con altro disegnatoio o carbone, in maniera che questi non servono se non per tentare l’animo di quel che gli sovviene. Da questi schizzi vengono poi rilevati in buona forma e con piú amore e fatica i disegni, i quali con tutta quella diligenza che si può si cerca vedere dal vivo, se già l’artefice non si sentisse gagliardo che da sé li potesse condurre. Appresso, misuratili con le seste o a occhio, si ringrandiscono da le misure piccole nelle maggiori, secondo l’opera che si ha da fare. Questi si fanno con varie cose, ciò è o di lapis rosso, che è una pietra la qual viene da’ monti di Alamagna, che per esser tenera agevolmente si sega e riduce in punte sottili da segnare con esse in su i fogli come tu vuoi, o con la pietra nera che viene de’ monti di Francia, la qual è similmente come la rossa. Altri di chiaro e scuro si conducono su fogli tinti, che fa un mezzo, e la penna fa il lineamento ciò è il d’intorno o profilo, e l’inchiostro con un poco d’acqua fa una tinta dolce che vela et ombra quello, da poi con un pennello sottile con della biacca stemperata con la gomma si lumeggia il disegno, e questo modo è molto alla pittoresca e mostra piú l’ordine del colorito. Molti altri fanno con la penna sola lasciando i lumi della carta, che è difficile ma molto maestrevole; et infiniti altri modi ancora de’ quali non accade fare menzione, perché tutti rappresentano una cosa medesima, cioè il disegnare. Fatti cosí i dissegni, chi vuole lavorare in fresco, ciò è in muro, è necessario faccia i cartoni, ancora che e’ si costumi per molti di fargli per lavorare anco in tavola. Questi cartoni si fanno cosí: impastansi fogli con colla di farina et acqua cotta al fuoco, et i fogli voglion essere squadrati, e si tirano al muro con lo incollarli attorno duo dita verso il muro con la medesima pasta, e si bagnano spruzzandovi dentro per tutto acqua fresca, e cosí molli si tirano, acciò nel seccarsi vengano a distendere il molle delle grinze. Da poi, quando sono secchi con una canna lunga, per giudicare discosto, vanno riportando sul cartone tutto quello che nel disegno piccolo è disegnato con pari grandezza, et a poco a poco quando a una figura, quando a l’altra danno fine. Qui fanno i pittori tutte le fatiche dell’arte del ritrarre dal vivo ignudi e panni di naturale, e tirano le prospettive con tutti quelli ordini che piccoli si sono fatti in su’ fogli, ringrandendoli a proporzione. E se in quegli fussero prospettive o casamenti, si ringrandiscono con la rete, la quale è una graticola di quadri piccoli ringrandita nel cartone, che riporta giustamente ogni cosa. Perché chi ha tirate le prospettive ne’ disegni piccoli, cavate di su la pianta, alzate co ’l profilo e con la intersecazione e co ’l punto fatte diminuire e sfuggire, bisogna che le riporti proporzionate in su ’l cartone. Ma de ’l modo del tirarle, perché ella è cosa fastidiosa e difficile a darsi ad intendere non voglio io parlare altrimenti. Basta che le prospettive son belle tanto, quanto elle si mostrano giuste alla loro veduta e sfuggendo si allontanano da l’occhio, e quando elle sono composte con variato e bello ordine di casamenti. Bisogna poi ch’il pittore abbia risguardo a farle con proporzione sminuire con la dolcezza de’ colori, la qual è nello artefice una retta discrezione et un giudizio buono, la causa del quale si mostra nella difficultà delle tante linee confuse colte da la pianta, dal profilo et intersecazione, che ricoperte dal colore restano una facilissima cosa, la qual fa tenere l’artefice dotto, intendente et ingegnoso nell’arte. Usono ancora molti maestri, innanzi che faccino la storia nel cartone, fare un modello di terra in su un piano, con situare tonde tutte le figure per vedere li sbattimenti, ciò è l’ombre, che da un lume si causano addosso alle figure, che sono quella ombra tolta dal sole, il quale piú crudamente che il lume le fa in terra nel piano per l’ombra della figura. E di qui ritraendo il tutto della opra hanno fatto l’ombre che percuotono addosso a l’una e l’altra figura, onde ne vengono i cartoni e l’opera, per queste fatiche, di perfezzione e di forza piú finiti, e da la carta si spiccano per il rilievo. Il che dimostra il tutto piú bello e maggiormente finito. E quando questi cartoni al fresco o al muro s’adoprano, ogni giorno nella commettitura se ne taglia un pezzo e si calca sul muro che sia incalcinato di fresco e pulito eccellentemente. Questo pezzo del cartone si mette in quel luogo dove s’ha a fare la figura e si contrassegna, perché l’altro dí, che si voglia rimettere un altro pezzo, si riconosca il suo luogo appunto e non possa nascere errore. Appresso, per i dintorni del pezzo detto, con un ferro si va calcando in su lo intonico della calcina, la quale per esser fresca acconsente alla carta e cosí ne rimane segnata. Per il che si lieva via il cartone, e per que’ segni che nel muro sono calcati si va con i colori lavorando, e cosí si conduce il lavoro in fresco o in muro. Alle tavole et alle tele si fa il medesimo calcato; ma il cartone tutto d’un pezzo, salvo che bisogna tingere di dietro il cartone con carboni o polvere nera, acciò che segnando poi col ferro, quello venga profilato e disegnato nella tela o tavola. E per questa cagione i cartoni si fanno per compartire, che l’opra venga giusta e misurata. Assai pittori sono che, per l’opre a olio, sfuggono ciò, ma per il lavoro in fresco non si può sfuggire che non si faccino. Ma certo chi trovò tal invenzione ebbe buona fantasia, atteso che ne’ cartoni si vede il giudizio di tutta l’opra insieme, e si acconcia e guasta finché stiano bene. Il che ne l’opra poi non può farsi.