Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Don Bartolomeo abbate di San Clemente

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Don Bartolomeo abbate di San Clemente

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Il Cecca Gherardo

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VITA DI DON BARTOLOMEO ABBATE DI S. CLEMENTE MINIATORE E PITTORE

Rade volte suole avvenire che chi è d’animo buono e di vita esemplare, non sia dal cielo proveduto d’amici ottimi e di abitazioni onorate, e che per i buoni costumi suoi non sia vivendo in venerazione, e morto in grandissimo disiderio di chiunche l’ha conosciuto; come fa Don Bartolomeo della Gatta, abbate di S. Clemente d’Arezzo, il quale fu in diverse cose eccellente, e costumatissimo in tutte le sue azzioni. Costui, il quale fu monaco degl’Agnoli di Firenze, dell’Ordine di Camaldoli, fu nella sua giovanezza, forse per le cagioni che di sopra si dissono nella vita di Don Lorenzo, miniatore singularissimo e [p. 449 modifica]molto pratico nelle cose del disegno, come di ciò possono far fede le miniature lavorate da lui per i monaci di S. Fiore e Lucilla nella Badia d’Arezzo, et in particolare un messale che fu donato a papa Sisto, nel quale era nella prima carta delle segrete una Passione di Cristo bellissima. E quelle parimente sono di sua mano, che sono in S. Martino, Duomo di Lucca. Poco dopo le quali opere fu questo padre da Mariotto Maldoli aretino, Generale di Camaldoli, e della stessa famiglia che fu quel Maldolo il quale donò a S. Romualdo institutore di quell’ordine il luogo e sito di Camaldoli, che si chiamava allora Campo di Maldolo. La detta Badia di S. Clemente d’Arezzo, ed egli come grato del benefizio lavorò poi molte cose per lo detto Generale e per la sua Religione. Venendo poi la peste del 1468, per la quale senza molto praticare si stava l’abbate, sì come facevano anco molti altri, in casa si diede a dipignere figure grandi, e vedendo che la cosa secondo il disiderio suo gli riusciva, cominciò a lavorare alcune cose, e la prima fu un S. Rocco, che fece in tavola ai rettori della Fraternita d’Arezzo, che è oggi nell’udienza dove si ragunano; la quale figura raccomanda alla Nostra Donna il popolo aretino; et in questo quadro ritrasse la piazza di detta città e la casa pia di quella Fraternita con alcuni becchini che tornano da sotterrare morti. Fece anco un altro S. Rocco, similmente in tavola, nella chiesa di S. Piero, dove ritrasse la città d’Arezzo nella forma propria che aveva in quel tempo, molto diversa da quella che è oggi; et un altro il quale fu molto migliore che li due sopra detti, in una tavola ch’è nella chiesa della Pieve d’Arezzo alla cappella de’ Lippi; il quale S. Rocco è una bella e rara figura, e quasi la meglio che mai facesse, e la testa e le mani non possono essere più belle nè più naturali. Nella medesima città d’Arezzo fece in una tavola in San Piero, dove stanno frati de’ Servi, un agnolo Raffaello, e nel medesimo luogo fece il ritratto del beato Iacopo Filippo da Piacenza. Dopo, condotto a Roma, lavorò una storia nella cappella di papa Sisto, in compagnia di Luca da Cortona e di Pietro Perugino. E tornato in Arezzo fece nella cappella de’ Gozzari in Vescovado un San Girolamo in penitenza, il quale essendo magro e raso e con gl’occhi fermi attentissimamente nel crucifisso e percotendosi il petto, fa benissimo conoscere quanto l’ardor d’amore in quelle consumatissime carni possa travagliare la virginità. E per quell’opera fece un sasso grandissimo con alcune altre grotte di sassi, fra le rotture delle quali fece di figure piccole, molto graziose, alcune storie di quel Santo. Dopo in Santo Agostino lavorò per le monache, come si dice, del Terzo Ordine, in una capella a fresco una coronazione di Nostra Donna molto lodata e molto ben fatta; e sotto a questa, in un’altra cappella, una Assunta con alcuni Angeli in una gran tavola molto bene abbigliati di panni sottili; e questa tavola, per cosa lavorata a tempera, è molto lodata et invero fu fatta con buon disegno e condotta con diligenza straordinaria. Dipinse il medesimo a fresco, nel mezzo tondo che è sopra la porta della chiesa di San Donato nella fortezza d’Arezzo, la Nostra Donna col Figlio in collo, San Donato e San Giovanni Gualberto, che tutte sono molto belle figure. Nella badia di Santa Fiore, in detta città, è di sua mano una cappella all’entrar della chiesa per la porta principale, dentro la quale è un San Benedetto et altri Santi fatti con molta grazia e con [p. 450 modifica]buona pratica e dolcezza. Dipinse similmente a Gentile Urbinate, vescovo aretino molto suo amico e col quale viveva quasi sempre, nel palazzo del Vescovado in una cappella, un Cristo morto, et in una loggia ritrasse esso vescovo, il suo vicario e ser Matteo Francini suo notaio di banco che gli legge una bolla; vi ritrasse parimente se stesso et alcuni canonici di quella città. Disegnò per lo medesimo vescovo una loggia che esce di palazzo e va in Vescovado, a piano con la chiesa e palazzo; et a mezzo di questa aveva disegnato quel vescovo fare, a guisa di cappella, la sua sepoltura, et in quella esser dopo la morte sotterrato, e così la condusse a buon termine, ma sopravenuto dalla morte, rimase imperfetta, perchè se bene lasciò che dal successor suo fusse finita, non se ne fece altro, come il più delle volte avviene dell’opere che altri lascia che siano fatte in simili cose dopo la morte. Per lo detto vescovo fece l’abbate nel Duomo vecchio una bella e gran cappella, ma perchè ebbe poca vita, non accade altro ragionarne. Lavorò oltre questo per tutta la città in diversi luoghi, come nel Carmine tre figure, e la cappella delle monache di S. Orsina; et a Castiglione aretino nella Pieve di S. Giuliano una tavola a tempera alla cappella dell’altar maggiore, dove è una Nostra Donna bellissima e San Giuliano e San Michelagnolo, figure molto ben lavorate e condotte, e massimamente il San Giuliano; perchè avendo affisati gl’occhi al Cristo che è in collo alla Nostra Donna, pare che molto s’affligga d’aver ucciso il padre e la madre. Similmente in una cappella poco di sotto, è di sua mano un portello che soleva stare a un organo vecchio, nel quale è dipinto un San Michele, tenuto cosa meravigliosa et in braccio d’una donna un putto fasciato che par vivo. Fece in Arezzo alle monache delle Murate la cappella dell’altar maggiore, pittura certo molto lodata; et al monte San Savino un tabernacolo, dirimpetto al palazzo del cardinale di Monte, che fu tenuto bellissimo. Et al Borgo Sansepolcro, dove è oggi il Vescovado, fece una cappella che gli arrecò lode et utile grandissimo. Fu don Bartolomeo persona che ebbe l’ingegno atto a tutte le cose, et oltre all’essere gran musico fece organi di piombo di sua mano; et in San Domenico ne fece uno di cartone, che si è sempre mantenuto dolce e buono; et in San Clemente n’era un altro pur di sua mano, il quale era in alto et aveva la tastatura da basso al pian del coro, e certo con bella considerazione, perchè avendo, secondo la qualità del luogo, pochi monaci, voleva che l’organista cantasse e sonasse, e perchè questo abbate amava la sua Religione come vero ministro e non dissipatore delle cose di Dio, bonificò molto quel luogo di muraglie e di pitture, e particolarmente rifece la capella maggiore della sua chiesa e quella tutta dipinse. Et in due nicchie che la mettevano in mezzo dipinse in una un S. Rocco e nell’altra un S. Bartolomeo, le quali insieme con la chiesa sono rovinate. Ma tornando all’abbate, il quale fu buono e costumato religioso, egli lasciò suo discepolo nella pittura maestro Lappoli aretino, che fu valente e pratico dipintore, come ne dimostrano l’opere che sono di sua mano in S. Agostino, nella cappella di San Bastiano, dove in una nicchia è esso Santo, fatto di rilievo dal medesimo; et intorno gli sono di pittura San Biagio, San Rocco, Sant’Antonio da Padova, San Bernardino, e nell’arco della cappella è una Nunziata, e nella volta i quattro Evangelisti lavorati a fresco [p. 451 modifica]pulitamente. Di mano di costui è in un’altra cappella a fresco, a man manca entrando per la porta del fianco in detta chiesa, la Natività e la Nostra Donna annunziata dall’Angelo, nella figura del quale Angelo ritrasse Giulian Bacci, allora giovane, di bellissima aria. E sopra la detta porta di fuori, fece una Nunziata in mezzo a S. Piero e S. Paulo, ritraendo nel volto della Madonna la madre di Messer Pietro Aretino, famosissimo poeta. In S. Francesco, alla cappella di S. Bernardino, fece in una tavola esso Santo che par vivo, e tanto è bello che egli è la miglior figura che costui facesse mai. In Vescovado fece nella cappella de’ Pietramaleschi, in un quadro a tempera, un santo Ignazio bellissimo; et in Pieve, all’entrata della porta di sopra che risponde in piazza, un Santo Andrea et un S. Bastiano. E nella Compagnia della Trinità con bella invenzione fece per Buoninsegna Buoninsegni aretino un’opera che si può fra le migliori che mai facesse annoverare, e ciò fu un Crucifisso sopra un altare in mezzo di uno S. Martino e S. Rocco, et a’ piè ginocchioni due figure: una figurata per un povero, secco e macilente e malissimo vestito, dal quale uscivano certi razzi che dirittamente andavano alle piaghe del Salvatore, mentre esso Santo lo guardava attentissimamente; e l’altra per un ricco vestito di porpora e bisso e tutto rubicondo e lieto nel volto, i cui raggi nell’adorar Cristo parea, se bene gli uscivano del cuore come al povero, che non andasseno dirittamente alle piaghe del crucifisso, ma vagando et allargandosi per alcuni paesi e campagne piene di grani, biade, bestiami, giardini et altre cose simili, e che altri si distendessino in mare verso alcune barche cariche di mercanzie, et altri finalmente verso certi banchi dove si cambiavano danari. Le quali tutte cose furono da Matteo fatte con giudizio, buona pratica e molta diligenza; ma furono, per fare una cappella, non molto dopo mandate per terra. In Pieve sotto il pergamo fece il medesimo un Cristo con la croce, per messer Lionardo Albergotti. Fu discepolo similmente dell’abbate di S. Clemente un frate de’ Servi aretino, che dipinse di colori la facciata della casa de’ Belichini d’Arezzo et in S. Piero due cappelle a fresco, l’una allato all’altra. Fu anche discepolo di don Bartolomeo, Domenico Pecori aretino, il quale fece a Sargiano in una tavola a tempera tre figure, et a olio, per la Compagnia di S. Maria Madalena, un gonfalone da portare a processione, molto bello. E per Messer Presentino Bisdomini in Pieve, alla cappella di S. Andrea, un quadro d’una S. Apollonia simile al di sopra, e finì molte cose lasciate imperfette dal suo maestro, come in S. Piero la tavola di S. Bastiano e Fabiano con la Madonna per la famiglia de’ Benucci; e dipinse nella chiesa di S. Antonio la tavola de l’altar maggiore, dove è una Nostra Donna molto devota con certi Santi; e perchè detta Nostra Donna adora il Figliuolo che tiene in grembo, ha finto che uno Angioletto inginocchiato dirieto, sostiene Nostro Signore con un guanciale, non lo potendo reggiere la Madonna, che sta in atto d’orazione a man giunte. Nella chiesa di S. Giustino dipinse a Messer Antonio Rotelli una cappella de’ Magi, in fresco. Et alla Compagnia della Madonna in Pieve una tavola grandissima, dove fece una Nostra Donna in aria, col popolo aretino sotto, dove ritrasse molti di naturale; nella quale opera gli aiutò un pittore spagnuolo che coloriva bene a olio et aiutava in questo a Domenico, che nel colorire a olio non aveva tanta pratica, quanto [p. 452 modifica]nella tempera, e con l’aiuto del medesimo condusse una tavola per la Compagnia della Trinità, dentrovi la Circuncisione di Nostro Signore, tenuta cosa molto buona, e nell’orto di S. Fiore in fresco, un Noli me tangere. Ultimamente dipinse nel Vescovado per Messer Donato Marinelli Primicerio, una tavola con molte figure con buon’invenzione e buon disegno e gran rilievo, che gli fece allora e sempre onore grandissimo, nella quale opera essendo assai vecchio chiamò in aiuto il Capanna, pittor sanese ragionevol maestro, che a Siena fece tante facciate di chiaro scuro e tante tavole, e se fusse ito per vita, si faceva molto onore nell’arte, secondo che da quel poco che aveva fatto si può giudicare. Avea Domenico fatto alla Fraternità d’Arezzo uno baldacchino dipinto a olio, cosa ricca e di grande spesa, il quale non ha molti anni che prestato per fare in S. Francesco una rappresentazione di S. Giovanni e Paulo, per adornarne un paradiso vicino al tetto della chiesa, essendosi dalla gran copia de’ lumi acceso il fuoco, arse insieme con quel che rapresentava Dio Padre, che per esser legato non potette fuggire come feciono gli Angioli, e con molti paramenti e con gran danno degli spettatori, i quali spaventati dall’incendio, volendo con furia uscire di chiesa mentre ognuno vuole essere il primo, nella calca ne scoppiò intorno a LXXX, che fu cosa molto compassionevole. E questo baldacchino fu poi rifatto con maggior ricchezza e dipinto da Giorgio Vasari. Diedesi poi Domenico a fare finestre di vetro, e di sua mano n’erano tre in Vescovado, che per le guerre furon rovinate dall’artiglieria. Fu anche creato dal medesimo, Angelo di Lorentino pittore, il quale ebbe assai buono ingegno; lavorò l’arco sopra la porta di S. Domenico; se fusse stato aiutato sarebbe fattosi bonissimo maestro. Morì l’abbate d’anni LXXXIII e lasciò imperfetto il tempio della Nostra Donna delle Lacrime, del quale aveva fatto il modello, et il quale è poi da diversi stato finito. Merita dunque costui di essere lodato, per miniatore, architetto, pittore e musico. Gli fu data dai suoi monaci sepoltura in S. Clemente, sua badia, e tanto sono state stimate sempre l’opere sue in detta città, e sopra il sepolcro suo si leggono questi versi:

Pignebat docte Zeusis; condebat et aedes
Nicon; Pan capripes, fistula prima tua est.
Non tamen ex vobis mecum certaverit ullus:
quae tres fecistis unicus haec facio.

Morì nel 1461 avendo aggiunto all’arte della pittura nel miniare quella bellezza che si vede in tutte le sue cose, come possono far fede alcune carte di sua mano che sono nel nostro libro; il cui modo di far ha imitato poi Girolamo Padoano, nei minii che sono in alcuni libri di S. Maria Nuova di Firenze, Gherardo, miniatore fiorentino, e Attavante che fu anco chiamato Vante, del quale si è in altro luogo ragionato, e dell’opere sue che sono in Venezia particolarmente, avendo puntualmente posta una nota mandataci da certi gentiluomini di Venezia; per sodisfazione de’ quali, poi che avevano durata tanta fatica in ritrovar quel tutto che quivi si legge, ci contentammo che fusse tutto narrato secondo che aveano scritto, poichè di vista non ne potevo dar giudizio proprio.