Leggenda eterna/Leggenda eterna/A un Colibrì imbalsamato

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A un Colibrì imbalsamato

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A UN COLIBRÌ IMBALSAMATO.


 
O piccioletto morto,
fu bene a te funesta
la screziata vesta
di smeraldo e rubino!
Eri troppo giocondo,
eri troppo felice;
e se dà gioie al mondo
le dà brevi il destino.

A luminosi monti
sovra l’abisso oscuro
viaggiavi sicuro,
e il cielo azzurro e il flutto
credevi tuo, credevi
eterno quell’immenso
tripudio, e non sapevi
che solo eterno è il lutto.

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Dimmi, piccolo ucciso,
in quel tempo beato
cui da Dio t’era dato
il cielo ampio cercare
sulle alucce tue pronte,
che mai vedesti, oh dimmi
di là di là dal monte,
di là di là dal mare?

L’ali aperte ancor tieni,
povero amor! Volavi
verso brezze soavi
dietro un sogno gentile,
quando un umano, un forte,
ti precideva il volo
saettandoti a morte.
Oh l’uom, quanto è mai vile!

Mio povero uccellino,
un tempo anch’io, lo sai,
per l’etere vagai
libera, e m’eran ali

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— ali ardite e possenti —
i miei giovani sogni,
i miei palpiti ardenti,
le speranze immortali.

Anch’io con volo aperto
dietro un sogno d’amore,
dietro un amico albore
che mi ridea lontano,
anch’io fui còlta, e il dardo
mi lanciava un nemico
ben più del tuo gagliardo
che del mondo è sovrano.

Tu, morto sei col sole
negli occhi, in mezzo ai fiumi
dei silvestri profumi,
e a sospirar la festa
perduta mancò l’ora.
A me, per la tenace
cura che mi divora
tutta la vita resta.