Lettere (Sarpi)/Vol. I/15

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XV. — Al medesimo

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XV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Nelli mesi passati, che sono stato senza lettere di Vostra Signoria, non sono stato senza avvisi particolari dell’esser suo, comunicatimi dal signor Assellineau nostro, col quale spesso faccio menzione di lei. Intesi la sua indisposizione e ne sentii dispiacere grande, restando però in certa speranza, che fosse in beneplacito della Maestà divina renderli la sanità.

Teneva il signor Assellineau2 che ella fosse per trasferirsi alli bagni di Padova. Come mi sarebbe stato di sommo piacere, per poter servirla e godere la sua conversazione; così mi sarebbe dispiaciuto che avesse conceputo speranza sopra la virtù di queste acque, e sopra la sufficienza di questi medici, quali fussero in fine riuscite senza effetto.

Il caso occorso sopra la mia testa è passato, se bene qualche vestigii ne rimangono. Io lo reputo così niente, come se non fusse occorso. Solo ricevo in bene per quanto mi tiene avvertito delli futuri pericoli; li quali sono molti, poichè persone di tanto potere e grandezza perseverano in macchinare contra la mia vita cose simili, e anco più secrete nell’esecuzione. Io però son risoluto di non [p. 45 modifica]darmene pensiero. So che ogni cosa è nella mano divina, e che le potestà umane non vagliono contra quella: alla quale quando piacesse dar tal fine alla mia vita, questo l’averò per indifferente, ma mi tenerò gradito da Dio, attesa la causa per la quale credo sii felicità il finire. Mi riconosco, come V. S. mi raccorda, debitore per li divini beneficii prestatimi in questo particolare, e per quelli che mi dona quotidianamente, pur in tal proposito; e son prontissimo d’adoperarmi in quel quasi niente che vaglio. Ma le occasioni sono smarrite, dirò morte e sepolte; anzi debbo dirlo, perchè solo Dio (per quanto a me pare) può eccitarle: al quale se piacerà così, ho materia accumulata e formata secondo le occasioni.

Son del parere di V. S., non dover restare dal signor Foscarini che non si faccia qualche buon principio, e son più che certo della sua sufficienza: però non convengo in quello che ella teme di mancamento di costì, anzi tengo per fermo che il mancamento sarà da noi tutti. Nè conviene che V. S. faccia di noi giudicio per quello che ci lasciò; perchè, se ritornasse qua, non ci conoscerebbe: tanto siamo mutati.3

La Savoia è un paese pieno di monti, valli e recessi, più che il laberinto di Creta. Chi sarà quello, che senza il filo e altri preparativi vorrà esporsi? Delli Paesi Bassi sono più giorni ch’io reputo non esserci fine di pace, ma solo pretesto, sotto quale sii un secreto trattato di mettere quelle provincie in diffidenza tra loro, facendole scoprire ciascuna li [p. 46 modifica]interessi propri, e poco curanti delli interessi delle altre. Con che, parte con le seminate discordie, e parte con li capi guadagnati, per non dir comprati, restino vincibili. La lega fatta con loro dal Cristianissimo è stato un tratto molto magistrale.

Li fini del re d’Inghilterra, essendo quella Maestà prudentissima, non sono così conosciuti. È comparso qui un libro che viene di quel regno, ed è lodato di troppo modestia. Martedì prossimo (li dirò questo, perchè siamo in Inghilterra) entrò in Milano il conte di Tirone, accompagnato da’ suoi archibusieri, incontrato e favorito singolarmente; poichè (cosa insolita farsi in quella città) fu concesso l’ingresso con le pistole ed archibusi carichi. Si tiene che presto andarà in Roma: là aspetto qualche bel trattato.

Qui non abbiamo avviso che li preparativi de’ Spagnuoli siino così grandi, come costì si crede; ed io veramente ho opinione che si tengano per vinti sempre che li parerà, e per tanto abbino li loro pensieri volti altrove. E per dir a V. S. quello che reputo di questo nostro mondo, egli è un infermo di molto tempo; l’infermità fu riputata incurabile; successe un poco di crise, con che fu creduto che potesse guarire; li medici pensarono di curarlo con boni cibi senza medicine, non atteso l’avvertimento d’Ippocrate, che più s’offendono li corpi infermi, quanto più si nudriscono. Se allora secondo l’arte fosse stato eseguito il buon documento, che li morbi estremi vogliono estremi rimedi, forse si sarebbe fatto bene. Le occasioni sono precipitose; non bisogna far alcun fondamento sopra le passate. Nelle parti che già erano inferme, il morbo ha preso tanto piede, che è passato in natura; le neutre sono ammalate e le buone [p. 47 modifica]indebolite. Si può dire, come il comico: — la salute stessa non può salvare questo corpo. — Non intendo però parlare di quello che possi essere nelli arcani divini; ma per ragione umana non conviene sperarci.4

Li Gesuiti hanno fatto una congregazione generale in Roma, durata più giorni, con numero assai pieno di loro. Non ho potuto ancora penetrare cosa alcuna delle trattate: con tanta segretezza sono negoziate. Tra altre, sarà stato deliberato qualche male; perchè l’ultima loro congregazione fatta nel 1593, costò assai alla Polonia, e più alla Transilvania, e non poco alla Francia.

Crederò che uno de’ capi trattati ora sarà stato il suo ritorno in questo dominio; del quale non son senza dubitazione. La mia relazione è in ordine, ma non comporta il tempo che si faccia cosa alcuna di proprio volere: è necessario ch’essa ancora aspetti occasione. Ho ricevuto molte lettere graziosissime e dottissime da monsignor l’Eschassier.

Resto molto obligato a V. S., che sii stata mediatrice di farmi conoscere un gentiluomo di tanta dottrina. Mi duole non essere in età più fresca, che certamente non potrei contenermi di passar li monti, per conoscere di faccia tanti valentissimi uomini, e vedere una volta un regno libero.

Li signori Malipiero e Molino tengono gratissima memoria di V. S., e hanno ricevute per gratissime le sue salutazioni e li baciano la mano: il che fa ancora il padre Fulgenzio, ed io sopra tutti.



Note

  1. Edita, come sopra; e benchè priva di data, da riferirsi, per le cose discorsevi, o alla fine di quest’anno 1607 o al principio del susseguente.
  2. Pietro (dai nostri detto) Asselineo, dotto medico dimorante in Venezia e nativo d’Orléans. Di lui scrive il Griselini: “L’amicizia che ebbe il Sarpi con questo, intima e strettissima ognora si mantenne, nè col variare degli anni a cangiamento alcuno soggiacque.„
  3. Sono parole, con l’altre di senso somigliante, assai memorabili, non solo per l’istoria delle Controversie, ma per quella della veneta e già declinante Repubblica.
  4. Se non andiamo errati, questo paragrafo rivela la mente elevatissima dell’autore, e quello che volgarmente dicesi il genio.